Gennaio 7th, 2017 Riccardo Fucile
PROPORZIONALE E TETTO DI SBARRAMENTO AL 5%… A RENZI IN CAMBIO IL PREMIO DI MAGGIORANZA DEL 10%
L’offerta a Forza Italia per rompere gli argini e chiudere la “Grande intesa” archivia l’epoca del maggioritario, anche se non del tutto, perchè farà tremare i piccoli partiti.
Ma per il Pd è l’unica che può aprire la strada al voto anticipato.
Il blitz che Matteo Renzi sta preparando, ha già un suo percorso di massima. Molto accelerato, quasi fulmineo.
La trattativa del tutto informale tra gli sherpa dei due partiti è in corso.
Con un pacchetto così congegnato: il Pd accetterebbe la richiesta di Berlusconi di una legge proporzionale e di una soglia di sbarramento alta alla Camera; in cambio chiederà di inserire un piccolo premio di governabilità del 10 per cento, oltre ad un via libera a mettere fine alla legislatura, il punto che sta più a cuore a Renzi in questa fase.
Nel caso la trattativa andasse a buon fine entro gennaio, ovvero tenendo conto della sentenza del 24 della Consulta sull’Italicum, il Pd chiederebbe a Gentiloni di fare propria la proposta di legge parlamentare e di mettere la fiducia (facendo leva su quella frase del premier “il governo aiuterà il parlamento”) per poter stringere i tempi e andare al voto: in primavera o al massimo in giugno.
Questo è il punto più delicato, perchè incrocia le resistenze ad andare alle urne annidate nel governo, dentro il partito di Renzi e nei palazzi che contano.
Ma questo è lo stato dell’arte, la materia viva di cui si parla tra i big del partito e dei gruppi parlamentari.
Che nei loro conversari con Renzi elencano le mine piazzate su questo percorso da vari attori co-protagonisti. Bersani e compagni hanno già mangiato la foglia e alzano le barricate contro le intese sottobanco e l’uso del voto di fiducia, che “sarebbe una scorciatoia eversiva”, tuona il senatore Federico Fornaro.
I renziani temono poi che Franceschini non spianerà la strada ad una corsa alle urne.
E sanno che Berlusconi non accetterà di buon grado il voto anticipato, in quanto spera di esser scagionato in estate dalla corte di Strasburgo (”finchè il nostro Ronaldo è in panchina meglio aspettare”, dicono i suoi).
E visto il caos dei rapporti con Salvini, accusato da Arcore di esser “un ignorante”, perchè la Costituzione vieta di fare leggi elettorali per decreto.
Del resto, i segnali giunti dalla minoranza pd e dagli azzurri, non intenzionati a votare la sfiducia a Poletti, sono sintomatici di una voglia di stabilità .
Renzi da giorni studia il piano con i suoi, che riportano i dialoghi con il capo del Pd in questi termini. “Con Salvini favorevole al Mattarellum non andiamo lontano, perchè al Senato non avremmo i numeri sufficienti. Ma la sua posizione ci fa comodo per far venire a più miti consigli forza Italia”.
La pratica viene gestita da un gruppo ristretto, Guerini, Rosato e Lotti, mentre a tenere le redini a Palazzo Madama con il plenipotenziario di Berlusconi, Paolo Romani, ci pensano il fedelissimo del leader Andrea Marcucci e Luigi Zanda.
Dunque si lavora ad “un Consultellum armonizzato” tra Camera e Senato: con aggiustamenti che tengano conto delle possibili correzioni imposte dalla Corte all’Italicum.
Un tetto di sbarramento, che Forza Italia vorrebbe alto anche a Montecitorio (5% rispetto all’8% del Senato) e un premio di maggioranza intorno al 10% per non incorrere in future reprimende della stessa Corte.
Un’intesa simile, anche implicitamente se non formalmente, conterrebbe l’ok ad elezioni. Renzi spera siano a fine aprile prima del G7, anche perchè forse, in cuor suo, spera di esser lui, dopo il voto, a condurre le danze al vertice tra i leader.
Carlo Bertini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 7th, 2017 Riccardo Fucile
ABBIAMO ACCORDI SOLO CON MAROCCO, ALGERIA, EGITTO E TUNISIA, MA DA QUESTI PAESI ARRIVA SOLO UNA MINIMA PARTE DEI MIGRANTI… L’82% DEI BARCONI ARRIVA DALLA LIBIA MA IL GOVERNO DI AL SARRAJ CONTROLLA SOLO UNA PICCOLA PARTE DEL TERRITORIO
Raddoppiare le espulsioni degli immigrati irregolari dalle attuali 5mila alle 10mila unità , si legge nella circolare di due pagine che a fine anno il ministero dell’Interno ha inviato a tutte le prefetture.
Per farlo servono accordi con gli Stati di provenienza o di transito.
Per questo nei prossimi giorni il ministro dell’Interno Marco Minniti volerà a Tunisi e Tripoli: “Dobbiamo affrontare il problema lì — ha detto il 5 gennaio — costruire un sistema di cooperazione che funzioni in Libia, Niger, Sudan, Tunisia”.
“Per rimpatriare gli irregolari nei propri Paesi — spiega a IlFattoQuotidiano.it Francesco Cherubini, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università Luiss “Guido Carli” — sono necessarie intese con ogni singolo Stato ed essere riusciti a identificare la nazionalità del soggetto. Al contrario, il rimpatrio è possibile solo verso l’ultimo Paese di transito prima dell’entrata nell’Ue. Ma un accordo sui rimpatri con la Libia — dalla quale è passato l’82% dei migranti arrivati in Italia nel 2016 — è quasi impossibile o, comunque, inapplicabile”.
Tra gli irregolari presenti in Italia ci sono coloro in possesso di un visto turistico o un permesso di soggiorno scaduti, quelli che hanno richiesto ma non ottenuto lo status di rifugiato, l’asilo politico o la clausola umanitaria e quelli che sono entrati nel Paese come irregolari e non hanno fatto richiesta di protezione internazionale.
Tutte queste persone, se individuate, saranno oggetto di un decreto di espulsione.
Ciò che fa la differenza è la possibilità di identificare o meno il migrante irregolare, stabilirne la cittadinanza e ricostruirne la storia personale.
Se questo è possibile, nel caso in cui esista un di riammissione tra i due Stati o tra quello di provenienza e l’Unione Europea, ci sarà il rimpatrio verso il Paese di origine.
Se, come spesso succede, l’immigrato è sprovvisto di documenti e risulta impossibile stabilirne la nazionalità , il rimpatrio sarà disposto verso il Paese non-Ue di transito prima dell’entrata nel territorio dell’Unione. Ma solo se esistono accordi tra i due Paesi interessati o tra quello non-Ue e l’Unione Europea.
Stipulare accordi con tutti i Paesi di provenienza degli immigrati che arrivano sul territorio italiano, sia a livello comunitario che bilaterale, è difficile e non risolve il problema degli irregolari non identificati.
Per questo, trovare intese con i Paesi di transito è fondamentale per rendere efficace la politica dei rimpatri. Per l’Italia, l’area strategica è quella del bacino del Mediterraneo, soprattutto il Nord Africa.
Secondo i dati forniti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), nel 2016 l’82% degli sbarchi sulle coste italiane riguardava migranti partiti dalle coste della Libia. Un 7% in meno rispetto all’anno precedente, dovuto anche alla crescita della rotta tunisina che è passata dallo 0,3% del 2015 al 5,5% del 2016.
Chiudono Algeria ed Egitto, Paesi di provenienza dei barconi nel 10,2% dei casi.
L’Italia può vantare accordi di riammissione con il Marocco, intesa raggiunta a livello europeo, e con l’Algeria.
Quelli raggiunti con Egitto e Tunisia, gli ultimi tra il 2010 e il 2011, potrebbero essere resi inoperosi in conseguenza ai colpi di Stato e agli stravolgimenti dell’impianto istituzionale che hanno coinvolto i due Stati con l’avvento delle Primavere arabe.
Nonostante questo, però, i rimpatri verso i due Paesi sono continuati, anche se la recente visita del ministro Minniti a Tunisi fa pensare alla volontà di ridiscutere e, magari, rafforzare l’accordo tra Roma e il Paese nordafricano. Il governo non ha ancora reso pubblici i dettagli dei colloqui, in vista anche del viaggio a Tripoli del capo del Viminale, ma dal ministero parlano della volontà di creare intese che impediscano le partenze dalle coste nordafricane.
Il grosso nodo da sciogliere per l’Italia, visti i numeri relativi agli sbarchi, rimane però la Libia. Un Paese con il quale i governi precedenti, prima della destituzione di Muammar Gheddafi, avevano raggiunto accordi anche sul tema immigrazione.
Dopo la caduta del regime, però, il Paese è sprofondato nel caos e ancora oggi si trova senza un governo riconosciuto dalle decine di anime che lo compongono.
L’idea del governo italiano è quella di frenare le traversate nel Mar Mediterraneo, contrastando il traffico di esseri umani all’interno del Paese e rendendo così impossibili le partenze. Per fare ciò, le istituzioni libiche avrebbero intenzione di bloccare i flussi già all’estremo sud del proprio territorio, al confine con Ciad e Niger.
L’unico interlocutore affidabile e disposto a parlare con il governo italiano, però, è l’esecutivo voluto e riconosciuto dalle Nazioni Unite: quello del Primo Ministro Fayez al-Sarraj.
Il premier libico, però, ha il controllo di una limitata parte di territorio, con vaste aree del sud, ma anche della costa, in mano a gruppi jihadisti come al-Qaeda e lo Stato Islamico e ad altre realtà tribali.
Senza dimenticare le ampie fette di terreno controllate dal generale Khalifa Haftar, nell’area di Tobruk, e dall’ex premier Khalifa Ghwell, a Tripoli. Le rotte dei migranti provenienti da tutta l’Africa subsahariana attraversano i territori in mano a fazioni tribali o gruppi terroristici che fanno affari con le organizzazioni criminali, sfuggendo così al controllo delle già debolissime istituzioni libiche.
Anche sul fronte espulsioni la situazione libica crea un’impasse con poche vie d’uscita.
Se l’82% degli immigrati che attraversano il Mediterraneo verso l’Italia parte dalla Libia, la maggior parte degli irregolari non identificati dovrebbero essere rimpatriati nel Paese nordafricano.
La frammentazione del Paese torna così a rappresentare un grande ostacolo: “In casi come quello libico — spiega Cherubini — un governo dovrebbe astenersi dallo stringere accordi di riammissione. Questo perchè l’interlocutore scelto, al-Sarraj, rappresenta solo una delle anime politiche del Paese e controlla una fetta limitata di territorio. Un accordo si può pure fare, ma è inapplicabile”.
Gianni Rosini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 7th, 2017 Riccardo Fucile
CAMPANIA SUL PODIO, VINCE L’ARCHEOLOGIA… IL SUCCESSO DI PALATINO, PAESTUM E POMPEI
Un 2016 ancora record per i musei statali italiani, che con 44,5 milioni di visitatori e incassi per oltre 172 milioni di euro registrano un incremento rispettivamente del 4% e del 12% rispetto al 2015, pari a 1,2 milioni di visitatori in più e a 18,5 mln di euro di incassi in più.
Lo annuncia il ministro della cultura Dario Franceschini, che sottolinea il buon risultato della sua riforma.
La parte del leone – sottolinea il ministro – la gioca senza dubbio il nostro patrimonio archeologico, se si considera che solo fra Colosseo, Foro Romano, Palatino, Museo Archeologico di Napoli, parco archeologico di Paestum e Scavi di Pompei nell’anno appena trascorso sono stati emessi circa 11 milioni di biglietti.
Ma anche i musei hanno un ruolo importante, dal momento che circa la metà degli ingressi è concentrata nei musei autonomi.
“Le risorse incassate sono preziose – assicura il ministro Franceschini – e torneranno interamente ai musei secondo un sistema che premia le migliori gestioni e al contempo garantisce le piccole realtà . Si tratta del terzo anno consecutivo di crescita per i musei statali, che da 38 milioni di biglietti nel 2013 sono passati a 44,5 milioni nel 2016: sei milioni di visitatori in più in un triennio che rappresentano un incremento del 15% nel periodo considerato e hanno portato a un aumento degli incassi pari a 45 milioni”.
Una crescita nella quale il Sud gioca un ruolo importante, con la Campania anche nel 2016 stabilmente al secondo posto nella classifica delle regioni con maggior numero di visitatori grazie agli oltre 8 milioni di ingressi registrati, un aumento del 14,2% sul 2015.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 7th, 2017 Riccardo Fucile
“BASTEREBBE UNA COMPAGNIA DI QUESTE PER SISTEMARE ALCUNE COSE”… IL SINDACO LEGHISTA: “UN ATTO FOLLE”
Si veste con la divisa delle Ss, si scatta una foto e la posto sul proprio profilo Facebook.
Autore della trovata il comandante della polizia locale di Biassono (Monza e Brianza), Giorgio Piacentini, che nei commenti quando qualcuno gli chiede se quella sia diventata la nuova divisa di servizio risponde così: “Basterebbe una compagnia di queste per sistemare alcune cose” e nel post successivo aggiunge: “Adesso la propongo al sindaco”.
Goliardata o trovata di cattivo gusto, in rete è subito scoppiata la polemica.
Che sia proprio la divisa delle SS lo conferma lo stesso comandante della polizia locale, che a chi lo domanda specifica quella che indossa è la divisa di ordinanza dei maggiori dell’unità costituita su base volontaria in Vallonia, la Freiwillige Division Wallonien.
Per il sindaco della città brianzola, il leghista Luciano Casiraghi, si tratta di un atto “folle. Mi hanno comunicato la cosa solo da poco. È un gesto fuori da ogni logica. Si poteva vestire da pagliaccio, se voleva far ridere qualcuno. Stiamo già organizzando una giunta straordinaria per le prossime ore e poi vedremo così ci dirà il diretto interessato. Di certo non si deve azzardare, nemmeno per scherzo a propormi di far indossare quelle uniformi alla polizia locale. Nei prossimi giorni, poi, valuteremo se prendere provvedimenti nei suoi confronti”.
Il diretto interessato, a capo della polizia locale della città brianzola da due anni e mezzo, si difende così: “Sono un appassionato di storia e faccio parte di un gruppo impegnato in rievocazioni storiche. Ho molti costumi e quello della foto è solo uno dei tanti. Le risposte che ho dato su Facebook a chi mi chiedeva qualcosa erano solo delle boutade”.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 7th, 2017 Riccardo Fucile
ANGELO, SINGH, GEORGE, ADAM… CINQUE MORTI IN 48 ORE
Angelo è morto nel capannone abbandonato di Avellino dove ormai viveva da cinque anni, senza più casa e famiglia.
Il corpo di Singh, invece, l’hanno trovato abbandonato in una strada di Aversa, come quello di Adam, ucciso dal gelo nei giardini di lungarno Santarosa a Firenze.
Sono storie di solitudine e disperazione quelle dei clochard morti con la prima, vera, ondata di freddo che ha investito l’Italia.
Almeno cinque sono le vittime delle temperature polari nelle ultime 48 ore, mentre altri due senza fissa dimora sono stati uccisi dai malanni di una vita passata in strada, che in giornate come queste diventano spesso letali: George, un romeno di 46 anni malato di tubercolosi trovato morto nell’ex Standa a Messina, e un tunisino di 72 anni che dormiva spesso nelle barche ormeggiate nel porto di San Benedetto del Tronto.
E’ caduto in acqua e non c’è stato nulla da fare.
Per cercare di limitare l’ennesima strage, diversi comuni hanno aperto ricoveri per ospitare i senzatetto e decine di volontari battono le strade delle città per distribuire coperte e bevande calde; ma è quasi impossibile rintracciarli tutti.
Adam Zbigniew Koziol l’hanno trovato stamattina attorno alle 8, assiderato in un angolo dei giardini di Lungarno Santarosa, senza documenti.
Aveva compiuto 48 anni il giorno di Natale ed era un habituè di quei giardini: quando non trovava posto nella sede della Asl lì vicino, era quella la sua camera da letto.
Gli altri disperati che con lui condividevano la vita di strada, hanno raccontato che le condizioni del polacco, malato da tempo, erano peggiorate negli ultimi giorni: “fumava molto, ma non accettava di essere aiutato”.
Polacco era anche l’uomo di 66 anni il cui cadavere è stato trovato all’interno di un palazzo abbandonato in via Antegnati, nella zona sud di Milano, conosciuto per essere frequentato da senza fissa dimora.
Sconosciuto ai servizi sociali del Comune, nessun cittadino aveva mai segnalato la sua presenza fin quando sono arrivati i carabinieri, allertati da una telefonata anonima al 118.
A chiamare è stato probabilmente un altro clochard e quando i soccorsi sono arrivati hanno trovato l’uomo infagottato in diverse coperte, riverso su un materasso malandato buttato sotto le scale.
I primi accertamenti avrebbero confermato che la morte è dovuta ad assideramento, ma sarà l’autopsia a stabilire le esatte cause del decesso.
Angelo Lanzaro era invece italiano, nato e cresciuto a Visciano, un paesino in provincia di Napoli. Fino a cinque anni fa la sua vita era come quella di tanti altri: un lavoro, una moglie, tre figli.
Poi qualcosa deve essersi rotto e quest’uomo di 44 anni è finito ad Avellino dove viveva di espedienti, tanto da accumulare una serie di precedenti per piccoli furti e un foglio di via obbligatorio.
Come casa si era scelto un box del ‘Mercatone’, un mega centro commerciale abbandonato da anni in pieno centro città .
Lasciata la famiglia, Angelo aveva avuto altre due donne, dalle quali erano nati altri tre figli: era stato lui stesso a raccontare la sua storia in un’intervista rilasciata una decina di giorni fa ad un’emittente locale.
Ma in quell’occasione il clochard aveva lanciato anche una richiesta d’aiuto alle istituzioni. Che con ogni probabilità è caduta nel vuoto visto che la notte della Befana era ancora nel capannone, assieme ad altri due senza fissa dimora.
Così quando la mattina si sono svegliati, i suoi compagni non hanno potuto far altro che dare l’allarme, ma per Angelo ormai non c’era più nulla da fare.
Sarà ora la procura, che ha aperto un fascicolo partendo dall’ipotesi di omissione di soccorso, a verificare se nella sua morte vi siano delle responsabilità .
Veniva invece dall’India Singh Amrik, il 47enne morto due giorni fa in strada ad Aversa.
L’uomo era arrivato in Italia da qualche anno ed era stato accolto prima nella struttura di Sant’Agostino e poi nel dormitorio della casa ‘Gratis Accepistis’.
Descritto come persona discreta e volenterosa, Singh aveva partecipato a tante iniziative della Caritas locale, per aiutare quelli più sfortunati di lui.
Come il clochard cinquantenne morto ieri a Latina: lo ha trovato il parroco della chiesa dell’Immacolata, riverso sul selciato a due passi dalla parrocchia.
Un’ora prima di morire erano passati in zona i servizi sociali, che lo avevano invitato, assieme ai suoi due compagni ad andare in un dormitorio per ripararsi dal freddo. Ma l’uomo aveva rifiutato.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 7th, 2017 Riccardo Fucile
PER BRIATORE L’ALLOGGIO DI BEPPE NON E’ DI LUSSO: 3.500 A PERSONA PER MEZZA PENSIONE ( TARIFFA SUL SITO DELL’HOTEL) PER LUI E’ UNA CIFRA ALLA PORTATA DI TUTTI…MA VEDI DI ANDARE A AFF…
Flavio Briatore difende Beppe Grillo a Malindi.
Il soccorso rosso dell’amico imprenditore arriva dopo le polemiche per il post sulla povertà e il contemporaneo Capodanno di lusso. Che però, secondo Briatore, tanto di lusso non è.
Briatore difende il comico, che due anni fa a Capodanno fu fotografato proprio nel suo resort: «La storia non è come l’hanno dipinta i giornali. Malindi non è Sankt Moritz, o Courmayeur. Soggiornando in una casa a Malindi si spende il dieci per cento rispetto a Cortina, i prezzi sono modesti».
A giudicare dalle immagini che girano sui siti Grillo non è stato «pizzicato» in un posticino modesto.
«Tutte balle, io so esattamente dove alloggia». La villa sulla spiaggia di Malindi acquistata nel 2012 dalla signora Grillo?
«Si tratta di un residence con appartamenti uno vicino all’altro, niente di lussuoso. Proprio come il mio Lion in the Sun, non è un posto inaccessibile. Senza le cure, una vacanza da me si può fare con 600 euro».
Fuori stagione, forse.
Ieri i prezzi sul sito del raffinato hotel nato dalla ex villa di Briatore, dove hanno alloggiato Berlusconi e Naomi Campbell, Fernando Alonso e Paolo Bonolis, erano diversi: circa 3.500 euro a persona in mezza pensione (volo escluso), con spa e centro benessere.
Ma il patron del Billionaire insiste: «Hotel di lusso? Mi viene da ridere, il lusso a Malindi non esiste, si può mangiare con 19 euro. Io in Africa porto mio figlio a vedere gli orfanotrofi».
La gente che scrive sui social è imbufalita con Grillo, non hanno ragione?
«No, dov’è lo scandalo se Grillo fa il bagno in Sardegna? Anche in Costa Smeralda ci sono case da 200 mila euro e ville da milioni».
Vero, ma tanti italiani che la casa al mare non possono permettersela faticano a comprendere come si possa vivere da nababbi e predicare una vita francescana, scrivendo sul blog «povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, la casa necessaria e non superflua…».
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 7th, 2017 Riccardo Fucile
A CHIOGGIA UN DEPOSITO DI GPL METTE IN CRISI LA GIUNTA DOPO APPENA SEI MESI
Il problema è che qui, nella piccola Venezia, dove i leoni sulle colonne bianche delle piazze sono grandi come gatti, fanno storicamente fatica a mettersi d’accordo.
O anche, come dice il consigliere della Lega Nord, Marco Dolfin: «Se si andasse a votare tre volte nella stessa settimana eleggeremmo tre sindaci diversi». Forse.
Solo che in questo caso tra i pescherecci e le spiagge di Chioggia, 49 mila abitanti che vivono di vongole, stabilimenti balneari, alberghi e campi da coltivare nella nebbia, non c’è aria da commedia goldoniana – «Sior sì balemo, devertimose, za che semo novizzi» – piuttosto da melodramma mariomeroliano.
Uno scenario reso ancora più cupo dal freddo polare della laguna che ha trasformato in pochi mesi l’aria inebriante del cambiamento elettorale in un muro di sospetti e rancori.
Doveva essere una rivoluzione limpida e veloce quella del governo a 5 Stelle dell’architetto Alessandro Ferro, si sta trasformando in una via crucis che inchioda il neo sindaco a due problemi antichi – la gestione degli immigrati e la messa in sicurezza della Romea – e a uno emerso di recente, ma diventato decisivo per il cambio di guardia avvenuto sei mesi fa al palazzo del Comune: i tre bomboloni del deposito di Gpl piazzati all’improvviso tra il porto e le case, monumento indecente a tutto ciò che non si vuole, non si dovrebbe fare e che dunque si farà .
A che cosa serve? Chi l’ha voluto in questa terra di baruffe, capace di votare indifferentemente a sinistra, a destra, adesso Grillo, ma rimasta democristiana nel profondo?
E, soprattutto, quanto è pericoloso?
«Potenzialmente molto e di certo non l’abbiamo voluto noi», dice il sindaco, che in campagna elettorale, sostenuto dal vice presidente della Camera Luigi Di Maio, aveva giurato che se avesse vinto lui l’impianto sarebbe sparito da Chioggia.
«Era una speranza». E adesso? «Bisogna fare i conti con la legge. E non è semplice». Già sentita, questa.
I tre bomboloni
Il passaggio dalla promessa alla speranza non è piaciuto al comitato «No Deposito Gpl» che, forte delle sue undicimila firme (una valanga), aveva sostenuto Ferro nel ballottaggio con il sindaco uscente Giuseppe Casson, capace di ottenere il 35% dei voti (contro il 22% grillino) alla prima tornata.
E qui servirebbe una parentesi.
Perchè Casson, che aveva aperto la legislatura con il Pd, era riuscito a chiuderla con la Lega Nord, accorgendosi con ritardo, ritenuto a dir poco colpevole, della nascita dell’ecomostro voluto tecnicamente da Romano Tiozzo, sindaco prima di lui, da sempre vicino a Comunione e Liberazione.
Vi state perdendo? Normale. Perchè il miscuglio di tradimenti, incoerenza, dribbling e riposizionamenti, tra queste calli di aria salata, è indescrivibile ma da record mondiale e comunque, stringendo, ha fatto sì che al momento decisivo i due terzi di Chioggia sbattessero Casson fuori dal Palazzo.
Tutti contro uno. Contro. Non pro. «Ma oggi dubito che i 5 Stelle vincerebbero ancora», dice l’avvocato Giuseppe Boscolo, che oltre a essere il legale dei No Gpl è anche il portavoce del comitato Romea Sicura, che da anni si batte per rivedere il percorso della strada più pericolosa d’Italia.
«Anche su questo Ferro ci ha voltato le spalle». Ma lei lo ha votato? «In effetti non ero ostile». E oggi? «Direi che sono degli incompetenti».
Un amore finito male. Perchè, giura Boscolo, il sindaco, che un tempo passava le giornate a battagliare con loro, adesso non li ascolta più. «E’ il comitato che pretende di dettare legge», replica Ferro.
Intanto i tre bomboloni, odiati da tutti con l’eccezione del Vescovo, restano lì (pronti a essere riempiti già all’inizio di maggio) occupando uno spazio di novemila metri cubi destinato al Gpl che le navi gasiere porteranno dal Medio Oriente.
«L’impianto è pericoloso. Si ricorda che cosa fece un vagone solo di gpl alla stazione di Viareggio? La legge prevede che una struttura così dovrebbe stare ad almeno due chilometri dalle case. E invece questo è a duecento metri», dice Roberto Rossi, presidente del comitato.
«Non basta. Lo spazio era destinato a rifornire di carburante la marina, poi, senza nessun cambiamento di destinazione d’uso, è stato allargato in maniera abnorme e predisposto per stoccare il Gpl che servirà tutto il Nord Italia. Secondo il governo è un’opera strategica. Secondo noi impedirà ai pescherecci di entrare in porto e ne ucciderà le attività . Sono a rischio pesca e turismo. Non volevamo le gasiere, ma le grandi navi». Non esattamente la stessa cosa. «Io non so se qualcuno ha preso delle tangenti come mormorano in tanti, ma mi piacerebbe che un’inchiesta della magistratura andasse a fondo», dice Maria Rosa Boscolo, pasionaria ex infermiera che oggi guida le manifestazioni di piazza.
«Nella vita ho sempre votato a sinistra. Stavolta 5 stelle, perchè c’era bisogno di riempire un vuoto. Spero di non avere sbagliato». Così a soli sei mesi dall’insediamento il Movimento – incendiario all’opposizione, pompiere al governo – è già sotto processo.
E ad attaccarlo non sono solo i comitati.
Guerra agli immigrati
Quando ha sentito l’oggetto dell’ordine del giorno, Maria Chiara Boccato, ventinovenne al primo mandato in consiglio, ha pensato a uno scherzo.
«Mica voteremo questa robaccia?». Votata. A larghissima maggioranza. Con il Movimento compatto e una sola eccezione. Lei. Ma compatto su cosa? Su un documento presentato dalla Lega che in premessa – con la inevitabile imprecisione della sintesi – diceva: siccome gli extracomunitari portano disordine e malattie, non solo è il caso che non li facciamo salire sugli autobus con noi, ma ci organizzeremo affinchè sia impedito loro di arrivare nel nostro territorio. Letto e ratificato. Gorino ha fatto scuola anche qui, a pochi chilometri da Cona.
«Una cosa indecente». Boccato dice che i suoi colleghi grillini sono diventati arroganti e sospettosi, neanche fossero guardie di frontiera al controllo passaporti.
E che fanno fatica a parlare con la stampa e con chi non li ama. «Ma noi non siamo così e dobbiamo ricordarci che non abbiamo preso il 67% dei voti, ma il 22»,
E quando parla dà l’impressione di restringersi sempre di più per effetto del freddo.
Fedelissimi
A Palazzo Comunale Gilberto Boscolo, ex consigliere e ora segretario di Ferro, ma secondo molti vero sindaco di Chioggia destinato presto a correre per un seggio romano, spiega che il successo 5 Stelle è semplice.
«Casson era immobile. Noi no». Di fronte a lui Ortensio Crepaldi, ex infermiere ed ex sindacalista, accanito sostenitore di Grillo, alza un muro contro l’offensiva degli ex amici diventati nemici. «Oggi in Comune c’è qualcuno che ci ascolta. Certi attacchi sono strumentali. I 5 Stelle sono giovani. Bisogna dare loro il tempo di crescere».
E se intanto l’impianto Gpl apre? «Vedremo. Di certo il sindaco e i suoi collaboratori hanno individuato i problemi: la Romea, l’impianto, il turismo e l’agricoltura». Facile. «Non è vero prima i problemi li nascondevano. E magari qualcuno sul Gpl ci ha pure guadagnato».
Divaga sugli albergatori che non sanno stare uniti e sui pescatori di frodo che grazie alle vongole hanno bagni firmati Valentino e si comportano come pistoleri in un saloon di Dodge City. Baruffe. Sempre baruffe. Inevitabili baruffe.
Questa è Chioggia. «I 5 Stelle però hanno la forza per cambiare. Ora devono dimostrarla». Se no? «Vedremo». Di nuovo.
E magari ha ragione don Angelo Busetto, parroco del Duomo, quando stigmatizzando la supposta superficialità dei suoi diocesani dice: «La verità è che a Chioggia la gente non cambia mai idea, cambia solo bandiera».
Sipario.
Andrea Malaguti
(da “La Stampa“)
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Gennaio 7th, 2017 Riccardo Fucile
LA PROCURA DI ROMA SI CHIEDE SE SIA STATO MARRA A INFORMARE LA SINDACA DI UN’INDAGINE IN CORSO, MANDANDOLA SUI TETTI
Il giorno dopo l’intervista di Salvatore Romeo in cui l’ex caposegreteria di Virginia Raggi diceva che tutti sapevano «delle cimici in Comune dal secondo giorno di governo della città » la questione diventa un caso.
Perchè la procura ha smentito di aver messo cimici negli uffici in Campidoglio e la sindaca ha detto che non ha nulla da nascondere e che per lei la procura può metterne quante ne vuole.
Ma soprattutto perchè, com’è normale che sia, ora scatta la caccia alla talpa che avrebbe fatto sapere ai grillini romani delle cimici.
Non solo: mentre tra cimici e talpe lo zoo del Campidoglio è in via di completamento, quel tordo di Romeo — il quale, è evidente, non si è nemmeno reso conto del potenziale deflagratorio delle sue affermazioni — finisce nel mirino di Grillo e dei suoi, come racconta Il Messaggero, che puntano a farlo fuori dal M5S:
«A questo Romeo, in quanto dipendente comunale, andrebbe fatta una bella lettera di richiamo: ma chi gliela scrive? Marra come capo del Personale?».
Anche se ulcerato dalla rabbia per il «danno d’immagine, l’ennesimo, al M5S» Beppe Grillo ieri mattina non ha potuto fare a meno di concedersi con i suoi una battuta. Seppur amara, in una giornata passata dai vertici pentastellati a commentare l’intervista surreale «e volgare» del fedelissimo di Virginia Raggi.
«Adesso andremo a verificare se questo Romeo è iscritto al M5S e cercheremo il modo di buttarlo fuori: noi siamo un’altra cosa, è stato lo sfogo di tutti i big pentastellati, da Davide Casaleggio a Luigi Di Maio, che si sono rimbalzati sulle chat le parole dell’ex capo della segreteria politica di «Virginia».
La rettifica di Salvatore Romeo
Intanto scatta la caccia alla talpa: le affermazioni di Romeo fanno comprendere che qualcuno ha avvertito la giunta di una possibile indagine. Visto quanto accaduto dopo viene facile pensare che questo qualcuno sia proprio Raffaele Marra, che poi l’indagine l’ha subita davvero.
Ma se Marra, informato in qualche modo dell’indagine, ha ritenuto di dover mettere in guardia il “suo sindaco” (come chiamava la Raggi in chat), come è venuto a sapere tutto l’ex capo di gabinetto?
Scrive oggi Il Messaggero: «Già nelle scorse settimane,infatti, tra gli investigatori si era diffuso il sospetto che qualcuno potesse aver avvertito l’ex vicecapo di gabinetto con un passato tra le Fiamme gialle e che lui avesse avvertito il sindaco. Romeo ha effettivamente confermato quel sospetto ammettendo che i fedelissimi di Raggi salivano spesso sul tetto con lei per parlare di cose delicate evitando gli“ascolti”».
Daniele Frongia, intervistato dal Corriere, dice però che nelle sue chat non c’è nulla da nascondere e che non le ha cancellate: se la procura vuole, può leggerle in qualsiasi momento, è il ragionamento dell’ex vicesindaco con Andrea Arzilli.
Ci sarebbe però da ricordare che gli omissis li ha messi la procura nell’indagine su Marra, e quindi pare francamente improbabile che abbiano voglia di leggerle ancora o che i magistrati non se le ricordino.
Più interessanti sono invece le risposte di Frongia alla domanda sulla decisione di depotenziare il suo ruolo in Giunta: «È un dato politico di cui oggi si può solo prendere atto. È stato deciso così e io ho subito offerto la possibilità di un mio passo indietro per sedare gli animi, diciamo. Comunque sia faccio parte di una squadra e la mia scelta è dovuta al bene del progetto, del programma e della sindaca. E poi ho sempre l’assessorato allo sport e alle politiche giovanili, mi occuperò anche della funzione statistica e dei detenuti. Continuo a fare il mio lavoro con dedizione e la pazienza necessaria a definire e strutturare le politiche sportive e giovanili, inesistenti o poco incisive fino ad ora». E quando Arzilli gli chiede la motivazione del suo sacrificio, Frongia continua con la recita delle tre scimmiette: «A questo non so proprio rispondere…».
Non vedo, non sento, non parlo. In omaggio, probabilmente, alla trasparenza quanno ce pare della Giunta Raggi. Salvatore Romeo
In tutto ciò Romeo rimane sulla graticola: “in ogni caso il problema non è se davvero ci fossero le microspie, ma che cosa è stato raccontato alla sindaca e al suo staff. E soprattutto da chi. Anche tenendo conto che proprio a giugno, quindi poco dopo le elezioni, una cimice piazzata nell’ufficio di Scarpellini captò le telefonate del costruttore che parlava con la sua segretaria dei soldi consegnati a Marra «perchè temo che altrimenti possa ostacolarmi nelle pratiche che ho al Comune»”, scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere alimentando il sospetto che sia stato proprio Marra a dire a tutti di stare attenti perchè aveva subodorato qualcosa. «Magari le mettessero, così saprebbero che non abbiamo nulla da nascondere», ha detto ieri la sindaca fornendo la migliore risposta possibile in pubblico alla questione. Tuttavia era proprio lei ad andarsene sul tetto con Romeo quando c’era da parlare di questioni delicate.
Trasparenza quanno ce pare, appunto.
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 7th, 2017 Riccardo Fucile
PER 22 CONSIGLIERI REGIONALI CI SONO BEN 16 GRUPPI AUTONOMI, DEI QUALI 10 COMPOSTI DA UNA SOLA PERSONA… COSI’ CI SI GUADAGNA
Miracoli della politica. Di solito quando in italiano ci si riferisce a un gruppo, si parla di più persone.
Ma questo non è vero nella politica regionale, dove un gruppo può essere composto anche da un solo o due consiglieri.
Per 22 consiglieri regionali ci sono infatti ben 16 gruppi consiliari autonomi, dei quali ben 10 (dieci) composti da una sola persona: ognuno presidente di se stesso, scrive oggi Sergio Rizzo sul Corriere.
Sapete quanti sono i gruppi regionali con un solo componente? La bellezza di 62 (sessantadue). Niente è cambiato dopo gli scandali dei soldi dissipati per ragioni che nulla avevano a che fare con la politica.
Niente, nemmeno dopo le inchieste giudiziarie che hanno fatto finire nel registro degli indagati 521 consiglieri.
Niente, neppure dopo il giro di vite imposto a valle di quelle vicende nel 2012 dal governo di Mario Monti, e che di fatto hanno inaridito il fiume di denaro pubblico destinato a quei gruppi nei consigli regionali.
Prima della riformina del 2011 che ha ridotto l’abnorme numero delle poltrone, per oltre 1.100 consiglieri regionali c’erano 75 gruppi monocellulari. Circa il 6,7%. Oggi ce ne sono invece 62 per 904 consiglieri: il 6,8%.
Perfino Regioni che sulla carta li avevano aboliti, quei gruppuscoli, oggi ne sono ipocritamente piene zeppe.
Il 16 novembre del 2011, quando il consiglio regionale del Lazio deliberò il divieto, il suo presidente dell’epoca Mario Abbruzzese esultò: «È un provvedimento che elimina di fatto un costo della politica, risolve il problema esistente fino a oggi della frammentazione dei gruppi».
Allora, con 70 consiglieri regionali, quelli monocellulari erano 8. Oggi, che le poltrone sono 50, eccone 6. Si è passati dall’11,4 al 12%
Per chi si chiede come mai tutto questo, una risposta c’è.
Una volta per i gruppi regionali c’era a disposizione una barca di soldi. Oggi invece molto meno. Briciole: ma è sempre meglio che niente, con questi chiari di luna. Soprattutto, c’è la possibilità di assumere. Addetti stampa, portaborse…
Nel Lazio, per esempio, ogni gruppo può avere fino a 3 collaboratori più l’esperto di comunicazione: al quale qualche giorno fa è stato riconosciuto anche il diritto al contratto giornalistico, con un emendamento ad hoc.
(da “NextQuotidiano”)
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