Gennaio 5th, 2017 Riccardo Fucile
COME SE NON FOSSE NOTO CHE STEFANO MENTANA E’ IMPEGNATO NEL PD … MA LA MACCHINA DEL FANGO SI E’ MESSA IN MOTO: GUAI A MINACCIARE QUERELE A CHI PASSA CAPODANNO A MALINDI ALLA FACCIA DEI POVERI VERI
Enrico Mentana chiama in causa direttamente Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio per un post pubblicato sul loro fan club su Facebook (non direttamente collegato ai due onorevoli M5S) nel quale si mostra una fotografia del figlio del direttore del Tg di La7 insieme a Maria Elena Boschi e si racconta di una candidatura di Stefano con il Partito Democratico, condendo il tutto con insulti a entrambi.
Da quando Mentana ha minacciato la querela a Beppe Grillo infatti i grillini hanno cominciato a far girare gli scatti del figlio con la Boschi e le foto di articoli che annunciavano la candidatura con il PD, e queste foto sono finite anche su questi club su Facebook (in realtà dei gruppi pubblici che non sono direttamente collegati al M5S nè alla Casaleggio ma hanno degli admin che in questo caso sono gli utenti FB Carlo Aprea, Alessio Dioguardi e Annunzia Cecere
Mentana ha successivamente rinunciato a querelare Beppe Grillo per una specie di rettifica pubblicata dal MoVimento il giorno dopo.
Non era sfuggito ai più che a quella usata per illustrare i giornali mancavano Il Messaggero e il Fatto Quotidiano, giusto per voler comprendere appieno che ci sono figli e figliastri.
Stefano Mentana, già segretario dei Giovani Democratici, si era candidato al I Municipio di Roma nel 2013.
(da “Next Quotidiano”)
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Gennaio 5th, 2017 Riccardo Fucile
IL MESSAGGIO DEL 31 E’ STATO REGISTRATO DA CASA SUA A GENOVA PRIMA DELLA PARTENZA PER LA PERLA DELL’OCEANO INDIANO
“Quest’anno voglio farvi gli auguri di Natale con un testo di Goffredo Parise pubblicato il 30 giugno del 1974. Si intitola Il rimedio è la povertà “.
Beppe Grillo, il cantore della decrescita felice, aveva salutato così grillini e lettori del suo blog prima delle feste.
La povertà a loro, il resort a lui.
Dagospia ha rivelato che il leader del Movimento 5 Stelle ha festeggiato 25 dicembre e Capodanno a Malindi, in Kenya, località a cui lui e la moglie sono affezionati e che, al di là di facili moralismi, di “modesto” ha poco.
Alla faccia dell’invito di Parise al “godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua”. Con lui c’era il vecchi amico Gino Paoli, mentre non sarebbe riuscita a raggiungerli Ornella Vanoni per un contrattempo legato ai suoi cagnolini.
E il messaggio di fine anno registrato dietro la scrivania di casa a Genova?
Registrato appunto, prima della partenza per la perla sull’Oceano indiano.
Mentre a casa c’era chi pendeva dalle sue labbra via pc o smartphone, lui si preparava per il cenone “circondato – scrive Dagospia – da nobildonne, vip e amici vari”.
Ma siccome un leader lo deve essere anche a distanza, “ha passato parte della serata al telefono a dare direttive ai suoi collaboratori”.
E l’intemerata sulla “giuria popolare” che deve salvare o condannare questo o quel giornalista?
Preparata sulla spiaggia Sardegna 2 di Watamu.
Le immagini di Grillo a Malindi hanno scatenato ilarità e critiche del popolo del web .
(da agenzie)
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Gennaio 5th, 2017 Riccardo Fucile
CRITICHE ALLA GESTIONE RAGGI A ROMA E IL NUOVO CODICE ETICO “PUZZA DI OPPORTUNISMO”
“Inquinato”, ma anche “irraggiato“.
Gioca con il nome della sindaca di Roma Virginia Raggi il titolo dell’articolo pubblicato sulla versione online dello Spiegel, il settimanale più venduto in Germania.
L’analisi, a firma di Hans-Jà¼rgen Schlamp, corrispondente dall’Italia, è particolarmente critica in merito alle ultime scelte del Movimento 5 Stelle, dall’amministrazione della Capitale fino al codice sulle vicende giudiziarie votato sul blog.
“Verstrahlt“, questo il titolo in tedesco, significa letteralmente “irradiato, sommerso di raggi”, con un chiaro riferimento alle vicende romane e alla scelta di varare il regolamento sugli avvisi di garanzia, scelta letta da più parti come necessaria per garantire un salvacondotto alla sindaca di Roma in vista di una sua possibile iscrizione nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulle nomine al Campidoglio.
“Al posto di soluzioni ci sono solo parole forti: dove il Movimento di Beppe Grillo governa, si accumulano gli errori — scrive Schlamp — hanno perso il loro splendore, tradito i loro ideali”.
“Come essere in un tiro al piccione“. Così, nell’attacco dell’articolo, viene definita la squadra di governo della Raggi, in cui funzionari e dirigenti “vanno e vengono a causa del clima di intrighi e paura“.
Schlamp spiega che alcuni ruoli nell’amministrazione sono già cambiati “due o tre volte”, ma si sofferma soprattutto sull’inchiesta che ha portato all’arresto per corruzione di Raffaele Marra.
Un caso che “può diventare pericoloso per Raggi e per Beppe Grillo”, che “potrebbe perdere la possibilità di arrivare al potere”.
Secondo Schlamp anche la sindaca potrebbe essere indagata ma ora “il Re Grillo può dare la grazia“.
In questo caso la Raggi “dovrebbe dimettersi” perchè “così vuole l’etica dei Cinquestelle”, si legge nell’analisi.
Chi prima di lei aveva rifiutato di farlo, come il sindaco di Parma Pizzarotti, “è stato subito espulso”. Ora però “questa regola ferrea è cambiata con un proclama sul blog”. Dopo aver spiegato il nuovo regolamento, Schlamp sottolinea che “l’ultima parola, in qualità di garante del Movimento, l’ha comunque Grillo” e per questo “molti grillini sono irritati, in particolare quelli della prima ora”.
Perchè “la modifica del ‘Codice d’onore’ proprio in questo momento puzza di opportunismo“.
“Non solo Roma”, scrive Schlamp, che racconta anche dello scandalo delle firme false a Palermo e dell’inchiesta di Buzzfeed, il sito americano che ha accusato il Movimento di essere il responsabile della diffusione in rete di notizie false.
“Forse anche per questo — si legge nell’articolo — Grillo ha avuto una reazione allergica” alla proposta del presidente dell’Antitrust Pitruzzella di istituire organismi che rimuovano dalla rete le bufale e impongano sanzioni.
La tesi di Schlamp è che qualsiasi polemica sarà inutile per i Cinquestelle, “se le cose non andranno meglio a Roma“.
“Il Movimento segue molte direzioni politiche — sostiene il giornalista — si colloca a destra per gli slogan xenofobi, a sinistra con il rifiuto dell’euro. Con gli slogan arriva ai frustrati, grazie alla rete ha affinità con i giovani. Ma se vuole vincere le prossime elezioni, deve dimostrare a Roma di saper governare“.
Daniele Fiori
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 5th, 2017 Riccardo Fucile
“SOSTANZIALE FALLIMENTO DEL PIANO EUROPEO: A UN AUMENTO DELLE PERSONE IDENTIFICATE NON CORRISPONDE QUELLO DEI RICOLLOCATI E DEI RIMPATRIATI”
«Il bilancio dell’approccio hotspot non può che considerarsi deficitario ed evidenziare un sostanziale fallimento del piano europeo: a fronte del raggiungimento di un tasso di identificazioni di oltre il 94 per cento, non sono corrisposti risultati positivi in termini di persone ricollocate e persone rimpatriate».
Qualche numero: «Alla fine di dicembre 2016, sono state ricollocate dall’Italia in altri Stati membri solo 2.350 persone sul totale di 40.000 previste dal piano europeo».
Appena il 5 per cento.
«La funzione del Cie è praticamente esaurita»
L’ultima fotografia scattata dalla Commissione diritti umani del Senato sui Centri di identificazione ed espulsione in Italia risale a tre giorni fa, è aggiornata con i dati relativi al 2016, e mostra che la quota di persone distribuite sul continente o rispedite nel Paese d’origine è molto inferiore alla soglia programmata o perseguita dalle varie strategie governative.
La più recente, annunciata dal Viminale, prevede il ritorno ai Cie, ma dalla relazione della commissione presieduta da Luigi Manconi, senatore del Pd come il ministro dell’Interno Marco Minniti, emerge una critica nemmeno troppo velata.
Perchè «proprio alla luce dell’elevatissima percentuale di persone identificate all’interno degli hotspot e alla disponibilità immediata di dati anagrafici e impronte digitali in una banca-dati condivisa da tutte le forze di polizia degli Stati membri, la funzione istituzionale dei Cie risulta residuale se non praticamente esaurita».
La difficoltà nei rimpatri
Insomma, se tra i migranti si vogliono cercare e fermare in tempo i potenziali terroristi o le persone considerate pericolose perchè hanno già commesso reati, è un problema di polizia e di coordinamento tra apparati, soprattutto a livello europeo; non di identificazione.
E nemmeno di espulsione, visto l’esito di quella ordinata – prima in Italia e poi in Germania – nei confronti di Anis Amri, lo stragista di Berlino.
«L’analisi dei dati conferma le difficoltà nell’eseguire i rimpatri e l’inefficacia dell’intero sistema di trattenimento ed espulsione degli stranieri irregolari», denuncia la relazione. Durante i primi nove mesi del 2016, su 1.968 persone passate dai Cie, ne sono state rispedite indietro solo 876, cioè meno della metà .
E negli anni precedenti, quando i numeri erano più alti, si è sempre rimasti intorno alla soglia del 50 per cento. Gli altri diventano automaticamente irregolari.
Gli hotspot
Un’altra fabbrica di clandestini sono gli hotspot dove vengono raccolti i migranti prima dello smistamento secondo le indicazioni europee.
Quelli che fanno domanda di asilo politico entrano in un circuito separato, mentre chi non lo chiede è destinato al rimpatrio. In teoria.
Tra il settembre 2015 e il gennaio 2016, tra quelli sbarcati a Lampedusa 74 sono stati distribuiti nei Cie, mentre 775 (più del 18 per cento sul totale degli arrivi) hanno ricevuto l’ordine di lasciare il Paese entro sette giorni, verosimilmente non rispettato: «Di fatto sono destinati a rimanere irregolarmente sul territorio italiano, e a vivere e lavorare illegalmente e in condizioni estremamente precarie nel nostro Paese».
I dati sull’hotspot di Taranto, relativi al periodo marzo-ottobre del 2016, riferiscono di 14.576 migranti transitati da quella struttura, di cui solo 5.048 (il 34 per cento) arrivati con gli sbarchi; gli altri «sono stati rintracciati sul territorio italiano e condotti a Taranto per essere identificati».
Una pratica che secondo la Commissione «desta molte perplessità ».
Il 22 ottobre ne sono arrivati un centinaio da Milano, raccolti di notte intorno alla stazione; i successivi controlli hanno appurato che «alcuni avevano già avviato la procedura per la richiesta d’asilo, erano in possesso di regolare permesso di soggiorno e disponevano di un posto nel circuito di accoglienza».
Anche a Taranto, come dagli altri Centri, chi non ha diritto all’asilo è destinato alla clandestinità .
Nonostante la grande maggioranza aspiri a un lavoro, o già lo eserciti nelle pieghe nascoste della società . «C’è la tendenza a spingere verso l’illegalità criminale coloro che invece vorrebbero emergere nella legalità della regolarizzazione» spiega il presidente Manconi, per il quale una soluzione adeguata può essere cercata solo con adeguate politiche sociali.
(da agenzie)
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Gennaio 5th, 2017 Riccardo Fucile
L’ATTESA E IL PRESSING PER LA RIABILITAZIONE PRIMA DEL VOTO
Nel sistema tripolare che ruota intorno al Partito democratico di Matteo Renzi, ai Cinque Stelle di Beppe Grillo e al centrodestra – in cui Forza Italia di Silvio Berlusconi rappresenta il polo di attrazione per i moderati – uno dei tre leader in gioco è ancora azzoppato.
Il Cavaliere, in conseguenza di una condanna per frode fiscale la cui pena è stata espiata il 14 aprile 2015 anche grazie all’indulto, non è solo un ex senatore decaduto dalla carica ma, sempre in forza della legge Severino, è anche un incandidabile fino al 2019.
Il gioco a due
Questa condizione, tra le altre, rende altamente imprevedibile l’esito della partita a tre e in qualche modo frena il possibile gioco a due (Pd-FI), che punterebbe allo schema delle larghe intese per far governare il Paese a una grande coalizione.
Eppure, ormai da tre anni, Berlusconi attende con fiducia la sentenza della Corte europea di Strasburgo o, in ultima analisi, la riabilitazione per rientrare in campo come titolare ben prima del 2019: sicuramente a metà aprile del 2018 (un mese dopo la fine naturale della legislatura decorrono i tre anni necessari per la riabilitazione piena); o, addirittura, nell’estate del 2017 se i giudici di Strasburgo bocceranno tra 6 mesi la legge Severino per violazione dell’articolo 7 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, laddove venisse contestato all’Italia l’effetto retroattivo della norma per la violazione del principio «nulla poena sine praevia lege».
Il calendario
In questo quadro, il calendario possibile in cui cadrà la data delle elezioni (imminenti, comunque anticipate o di fine legislatura?) si arricchisce di un elemento non trascurabile. Oltre al tempo necessario per varare «regole elettorali chiare e adeguate perchè gli elettori possano esprimere con efficacia la loro volontà », come ha ammonito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso di fine anno, lo stato maggiore di Forza Italia punta a una tempistica che mira alla «piena legittimazione politica di Berlusconi».
Quali equilibri politici si produrrebbero, è la tesi di FI, se si votasse in primavera e poi, magari a luglio, la Corte europea accogliesse il ricorso di Berlusconi contro l’applicazione della «Severino» a condanne relative a fatti avvenuti prima del varo della legge?
Gli avvocati del Cavaliere, guidati dal senatore Niccolò Ghedini, mantengono un profilo basso perchè la Corte, dopo tanta attesa, potrebbe ora scegliere la «via breve» per il fascicolo 58428/13: decisione e pubblicazione della sentenza senza convocazione di un’udienza pubblica e senza rinvio all’adunata generale.
Un percorso che potrebbe concludersi a luglio dopo la fase delle controdeduzioni della difesa al parere favorevole alla «Severino» depositato dal governo il 21 dicembre.
La scelta
Se poi la decisione di Strasburgo dovesse essere davvero favorevole a Berlusconi, si porrebbe un problema: la sentenza è immediatamente applicabile?
«Risposta non facile. Bisognerebbe prima leggerla bene – argomenta l’avvocato e professore Vittorio Manes, che si spende da tempo per far applicare in Italia l’«assoluzione» ottenuta a Strasburgo dall’ex numero due del Sisde Bruno Contrada – ma non vi è dubbio che con la dichiarazione della violazione dell’articolo 7 anche l’«incapacitazione» derivante dall’applicazione della legge Severino (decadenza e ineleggibilità ) non potrebbe essere applicata retroattivamente».
Più problematico l’approccio di Filippo Patroni Griffi, presidente aggiunto del Consiglio di Stato (che collaborò con l’allora ministra Severino alla stesura della legge omonima), secondo il quale le sentenze della Corte, frutto di un meccanismo convenzionale, non sarebbero direttamente applicabili.
Semmai, il prevedibile ricorso di Berlusconi al giudice civile (davanti a un rifiuto dell’ufficio elettorale di accettare la sua candidatura nonostante una sentenza favorevole di Strasburgo) potrebbe innescare una questione di legittimità costituzionale.
Ma il calendario della Consulta, si è visto, non sempre marcia con quello delle elezioni.
Dino Martirano
(da “La Stampa”)
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Gennaio 5th, 2017 Riccardo Fucile
L’OFFENSIVA MEDIATICA RUSSA HA IL NOME DI SPUTNIK, UN SITO INTERNET IN 30 LINGUE CON RADIO E AGENZIA… E PER L’EDIZIONE ITALIANA C’E’ LA FIRMA DI GIULIETTO CHIESA: SARA’ IL NUOVO COMPAGNO DI MERENDA DI SALVINI E DELLA MELONI
Da qualche tempo, in vetta alle ricerche Google sui fatti più importanti del mondo, compaiono nelle larghe finestre a pagamento gli articoli di Sputniknews Italia . “Sputnik”, come il primo satellite artificiale sovietico lanciato in orbita nel 1957 dal cosmodromo di Baikonur e la cui traduzione letterale significa “compagno di viaggio”. Un riferimento ai soviet e una strizzata d’occhio agli internauti nell’esplorazione di quella che si promette sia una «fonte unica di notizie alternative» che racconta «ciò che gli altri non dicono».
Il suffisso “it” è la variante italiana di un’agenzia, sito Web e radiobroadcast che si declina in realtà in 30 lingue tra cui quelle parlate nei Paesi a ridosso della Russia, in aree sensibili (l’arabo, il pashto di afgani e pakistani, il serbo dei correligionari ortodossi per il legami con i sempre turbolenti Balcani), oltre naturalmente all’inglese, francese, spagnolo, portoghese per veicolare messaggi dovunque.
Uno sforzo economico enorme che contempla anche 800 ore di trasmissioni radiofoniche giornaliere e il lavoro 7/24 delle redazioni regionali di Washington, Cairo, Pechino, Montevideo.
Il tutto controllato dall’agenzia Rossiya Segodnya, fondata dal Cremlino nel dicembre del 2013 per volere naturalmente di Vladimir Putin e affidata al giornalista Dmitry Konstantinovich Kiselev, 62 anni, già vicedirettore della tv di Stato, un fedelissimo del nuovo zar e in prima linea nel difendere le ragioni di Mosca in Ucraina come in Medioriente.
A svolgere il ruolo di redattore capo c’è invece una donna, Margarita Simonyan, origini armene, che si è guadagnata i galloni sul campo coprendo la seconda guerra di Cecenia e la sanguinosa vicenda della presa d’ostaggi nella scuola di Beslan.
Il sito italiano, peraltro ben curato, ha sezioni che spaziano dai nostri affari interni alla politica internazionale, l’economia, news curiose di vita in Russia.
Riporta interviste come quella all’indipendentista veneto Gianluca Busato su «tutte le cose che hanno in comune la Crimea e il Veneto».
Fornisce in diretta le conferenze stampa del presidente russo, confuta puntigliosamente le teorie sull’invadenza degli hacker russi e la loro influenza sulle elezioni americane.
Difende l’operato di Mosca in Siria. Insomma, informazione a tutto campo.
Più gli opinionisti che le commentano e tra i quali spicca il nome di Giulietto Chiesa, 76 anni, a lungo corrispondente da Mosca per l’Unità e La Stampa, giornalista, scrittore, politico, spesso controcorrente e convinto, per dire, che la versione ufficiale dell’11 settembre di New York sia una serie di colossali panzane americane fatte bere all’opinione pubblica.
Eloquenti alcuni dei suoi ultimi editoriali come quello sulle «falsificazioni mainstream» circa Aleppo, o l’appassionata autconfessione: «Scrivo su Sputnik e collaboro con diversi canali russi. Che ne sarà di me?».
Dove il bersaglio è una risoluzione del Parlamento europeo che «equipara i media russi allo Stato islamico», bollata come «record del delirio russofobico».
Come in tanti altri Paesi, anche in Italia Sputnik è stato accusato di pesante propaganda al servizio di Putin che avrebbe voluto far cadere il governo Renzi per favorire i 5Stelle di Beppe Grillo.
Il tutto per un commento di Marco Fontana, 39 anni, addetto stampa della Regione Piemonte, responsabile dell’ufficio stampa della Federazione medici pediatri di Torino, il quale si difende: «La cosa mi ha fatto parecchio incazzare. Mi hanno paragonato a un hacker russo, nientemeno, e solo perchè il sito TzeTze, area Grillo-Casaleggio, aveva ripreso il mio scritto».
Quando, giura, non ha mai subito pressioni dalla redazione centrale che sta a Mosca, che lo lascia libero di esprimere le sue idee, non ha mai cambiato una riga («certo so che non potrei scrivere che Putin deve andare in galera, ma forse che i media italiani non hanno un padrone contro il quale non possono esprimersi liberamente?») e semmai si è limitata, talvolta, a commissionare un articolo, come capita in ogni giornale: «È successo tre volte. Per un pezzo su Ratzinger, uno sulle foibe e uno sui rappresentanti della Duma in visita a Torino».
Le cose funzionano più o meno così, a suo dire. «L’unico che ha un legame diretto con la redazione centrale è Giulietto Chiesa. Io mando i miei scritti via email a un amico che sta a Mosca e lui li gira alla caporedattrice, di nome Elena. Altro non so, se non che io mi limito a fare il mio lavoro da professionista come farei per qualsiasi altra testata».
Sputnik è l’erede della storica “Voce della Russia”: «Il governo di Mosca», prosegue Fontana, «ha voluto fare un grosso investimento per rendere più moderna la sua informazione e ha fatto scouting in diverse nazioni per accaparrarsi delle firme. Scegliendole, naturalmente, tra coloro che hanno almeno un comune sentire con la politica ufficiale. Veniamo regolarmente retribuiti. Subiamo la doppia tassazione e, da quando è stato varato l’embargo, abbiamo dovuto sottoscrivere con la banca un documento in cui l’istituto di credito ci avverte che può fornire i nostri dati a chiunque li richieda perchè riceviamo un compenso dalla Russia».
Fontana si chiede come mai ci sia tanto interesse per un organo che, nella sua pagina Facebook, raccoglie solo 32 mila “mi piace” quando i media filoccidentali sono centinaia e centinaia con milioni di seguaci.
La risposta è nel rumore che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno fatto notizie apparse sui vari Sputnik (vanno in Rete, è bene ricordarlo, da fine 2014, due anni fa).
A partire da quella più discussa e che ha alimentato il sospetto di ingerenze del Cremlino nella campagna elettorale che ha portato all’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti. Era successo che Bill Moran, redattore di Sputnik Washington, avesse citato alcuni passaggi della corrispondenza privata di Hillary Clinton resa nota da Wikileaks, attribuendo erroneamente una citazione a un assistente della candidata democratica quando in realtà era il frutto di un articolo di “Newsweek”.
Ecco La teoria difensiva che appare sul sito italiano: accortosi del pasticcio, «Moran invece di modificare l’articolo lo ha direttamente eliminato. Era rimasto online per solo 19 minuti. Tra i mille che lo avevano visualizzato c’era Trump che ha usato l’erronea citazione nel corso di un incontro coi suoi sostenitori». Da qui l’accusa al nuovo presidente Usa di usare tesi della propaganda russa quando in realtà si sarebbe trattato solo uno sbaglio materiale.
Resta il fatto che Trump con Putin ha più volte dichiarato di voler andare daccordo. E che Putin con Sputnik ha in mano un’arma efficace per veicolare la sua visione strategica ai quattro angoli del pianeta.
Il che non è nè illegale nè vietato, sia chiaro. Solo l’ennesima dimostrazione di quanto lo zar stia investendo perchè la Russia torni da protagonista della politica mondiale.
Anche grazie a un moderno ed efficiente network mediatico.
Gigi Riva
(da “L’Espresso”)
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Gennaio 5th, 2017 Riccardo Fucile
LA SOVRANITA’ MONETARIA SARA’ SOLO PER BLANDIRE IL NAZIONALISMO INTERNO, I RAPPORTI COMMERCIALI SARANNO REGOLATI DALL’ECU COME MONETA DI SCAMBIO, IN MANO AL SISTEMA BANCARIO EUROPEO
Marine Le Pen ha in mente un piano per far uscire la Francia dall’euro. Più che di un’uscita individuale, che in ogni caso sarebbe condizionata all’esito di un eventuale referendum, la leader del Front National pensa a qualcosa di più complesso, lo ha detto durante un’intervista su BMFTV con Jean-Jacques Bourdin incentrata al programma di governo del FN qualora la Le Pen venisse eletta Presidente della Repubblica.
La Francia tornerà sì al franco come moneta nazionale ma al tempo stesso la Le Pen sogna un ritorno ad una moneta comune europea che è cosa diversa dalla moneta unica.
A chi giova il ritorno dell’Ecu?
Questa moneta comune europea dovrebbe essere — la Le Pen non è stata molto chiara in merito — qualcosa di simile all’Ecu, ovvero la moneta comune — virtuale perchè non è mai stata coniata — che nel 1999 è stata rimpiazzata dall’Euro (il tasso di cambio era un Ecu per un Euro).
Con una moneta comune simile all’Ecu si tornerebbe ad una situazione in cui ci sarebbero di nuovo le monete nazionali (e quindi la mitica sovranità monetaria) ma per realizzare questo ambizioso obiettivo la Francia governata dal Front National dovrebbe trovare un qualche genere di accordo con altri paesi europei in modo da dare vita ad una coalizione “anti Merkel” per riportare in vita l’Ecu.
La Le Pen pensa soprattutto ai paesi dell’Europa del Sud, Portogallo, Spagna e ovviamente anche Italia.
L’idea è quella di utilizzare il Franco (e le monete nazionali degli altri paesi aderenti a questo progetto) per gli scambi interni mentre all’estero gli stati potranno utilizzare l’Ecu. Questo non significa che i francesi avranno materialmente in tasca due valute, come ha successivamente precisato il parlamentare del FN Florian Philippot: “una moneta basata sul modello dell’Ecu non sarebbe una valuta che ognuno avrebbe nel portafoglio o sul suo conto corrente, sarebbe una moneta di scambio tra stati” la nuova moneta comune potrebbe anche essere solo una moneta transitoria, ha aggiunto Philippot senza però spiegare verso cosa.
Ma perchè la Le Pen ha proposto il ritorno alla moneta comune invece che — poniamo — una uscita unilaterale della Francia dall’Euro?
La risposta sta nel funzionamento della moneta comune che aveva un tasso semi-fisso di cambio con alcuni “rari” aggiustamenti.
Insomma “protetta” dalla moneta comune la moneta nazionale, finalmente sovrana, potrebbe tornare a brillare in tutto il suo splendore nei cuori dei francesi .
Come puntualizza Phastidio però c’è più di qualche problema in un modo decisamente troppo ottimistico di vedere le cose.
Innanzitutto c’è la questione della gestione della politica monetaria: è vero che l’Ecu era una sorta di “serpente monetario” (il riferimento è all’immagine del movimento di un serpente in un tunnel il cui serpeggiare è limitato dalle pareti della galleria) ma è bene precisare che a gestire la moneta comune non era una banca centrale (come è invece il caso dell’Euro) ma erano le singole banche centrali nazionali di comune accordo tra loro. Va da sè che alcune banche centrali abbiano maggior peso (e maggior potere) di altre. Questo significa che l’eventuale sovranità monetaria francese andrebbe probabilmente a discapito di paesi più “deboli” (basta guardare la lista dei possibili alleati in questa impresa per capire quali saranno).
C’è poi un’altra questione, importante per i francesi e importantissima per tutti gli altri: che fine faranno i debiti esteri della Francia?
Verranno convertiti in franchi (o nelle altre monete nazionali) o in ECU?
All’agenzia Reuters la Le Pen ha dichiarato durante la conferenza stampa di inizio d’anno che nel caso venisse eletta alla Presidenza il debito nazionale francese sarebbe espresso nella nuova moneta nazionale.
Di sicuro sarebbe una situazione vincente per la Francia, meno per le eventuali altre valute nazionali “deboli” resuscitate da quei governi che decideranno di seguire la Le Pen sulla strada della “nuova” vecchia moneta comune europea.
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 5th, 2017 Riccardo Fucile
IL DURO ATTO DI ACCUSA DELL’EX CONSIGLIERE DI CAMERON VERSO LA STRATEGIA DI LONDRA
“Carissimi, vi scrivo per dirvi che oggi presento le mie dimissioni come rappresentante permanente”.
Inizia così la lettera inviata da Ivan Rogers, ambasciatore britannico presso l’Unione europea, nella quale annuncia le sue dimissioni meno di tre mesi prima dell’avvio dei negoziati per la Brexit annunciati dalla premier Theresa May.
La lettera è stata resa pubblica dalla Bbc.
“Spero – aggiunge – che continuerete a sfidare le argomentazioni infondate e i pensieri confusi e che non avrete mai paura di dire la verità a chi detiene il potere”.
Secondo Rogers gli obiettivi dei negoziati che avvierà May sono sconosciuti ai rappresentanti del suo governo a Bruxelles.
“Non sappiamo – scrive Rogers – quali saranno quelli che il governo fisserà come obiettivi dei negoziati per il rapporto del Regno Unito con l’Unione Europea dopo la Brexit”.
Dimissioni a sorpresa, con 10 mesi di anticipo con la scadenza, con più di qualche sassolino dalla scarpa levato.
Un duro atto d’accusa verso la strategia di Londra per la Brexit. “Spero che vi sosterrete a vicenda nei momenti difficili in cui dovrete consegnare messaggi spiacevoli per coloro che devono riceverli” scrive Rogers, già consigliere del premier David Cameron per l’Europa.
“A Whitehall (sede del ministero degli esteri di Londra ndr) c’è carenza di una seria esperienza negoziale multilaterale”.
La Commissione europea, attraverso una sua portavoce, esprime “rammarico” per le dimissioni a sorpresa dell’ambasciatore britannico all’Ue Ivan Rogers.
La portavoce parla di una “perdita di un interlocutore molto professionale e preparato anche se non sempre facile, che ha sempre rappresentato in modo leale gli interessi del suo Paese”.
No comment sulle eventuali ripercussioni dell’addio sul processo per la Brexit.
“I negoziati non sono ancora iniziati – ha ribadito la portavoce – non faremo nessun commento in questa fase”.
(da agenzie)
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Gennaio 5th, 2017 Riccardo Fucile
I LEGALI DELLA SINDACA: “L’ACCORDO NON E’ VINCOLANTE”… RICORSI SUL NUOVO CODICE ETICO: I DEPUTATI SOSPESI SPERANO DI RIENTRARE
Ci sono tanti avvocati nella recente avventura politico-giudiziaria di Beppe Grillo.
E altri capitoli si scriveranno a breve in procure e tribunali, dove piovono ricorsi ed esposti, e dove si deve sentenziare su quel decalogo in continuo aggiornamento che il comico ha imposto e fatto votare sul web, costretto dagli eventi a cambiare il Non-Statuto, a dotarsi di un regolamento su sospensioni ed espulsioni e infine di un codice etico per amministratori ed eletti 5 Stelle che dovessero trovarsi in guai giudiziari.
LA DECISIONE SUL CONTRATTO
Tra gli avvocati di questa storia, c’è Venerando Monello: amministrativista del foro di Roma, è lui ad aver presentato un ricorso contro il contratto firmato da Virginia Raggi e i consiglieri M5S che prevede una multa da 150 mila euro e la decadenza della sindaca in caso di violazione dei principi grillini.
Va detto subito: Monello è iscritto al Pd e a sostenere la sua battaglia c’è la senatrice dem Monica Cirinnà .
Il 13 gennaio i giudici romani dovranno decidere se quel contratto è nullo o meno e se la carica di Raggi è valida.
Uno si immagina la granitica difesa comune della sindaca e del fondatore-garante, entrambi citati in giudizio, e invece nelle memorie consegnate dai loro avvocati le strade si separano, aprendo allo scenario di una possibile guerra di carte tra i due. Grillo e il M5S, da una parte, difendono la validità del contratto, mentre i legali di Raggi (avvocato lei stessa) aprono chiaramente alla possibilità che sia nullo, in un passaggio in cui affermano che la «l’eventuale dichiarazione di nullità del codice di comportamento accerterebbe in automatico l’inesistenza di un qualsivoglia obbligo in capo a Raggi».
Cioè: se il contratto è illecito la sindaca può restare dov’è.
Il punto però è «che gli avvocati di Raggi – spiega Monello – hanno un approccio difensivo differente da Grillo. Raggi sembra accettare la dichiarazione di nullità cosa che le darebbe piena agibilità politica. Grillo invece sostiene testualmente che «l’impegno a dimettersi è etico e non giuridico proprio perchè non sarebbe ammissibile un vincolo di mandato ai sensi dell’art. 67 della Costituzione».
CAOS SULLE NORME
Ma sulle regole e i codici che si affastellano tra il blog e la Casaleggio Associati per cercare di disegnare una nuova giurisprudenza grillina, potrebbe nuovamente calare la mannaia di Lorenzo Borrè, l’avvocato che conducendo la battaglia degli espulsi ha vinto il ricorso in Tribunale e costretto Grillo a dotarsi di un regolamento.
Ed è proprio quel regolamento, votato online a fine ottobre, da considerarsi, secondo Borrè, «nullo» e con «profili di incostituzionalità ».
Innanzitutto è mancato il quorum del 75% previsto dall’articolo 21 del Codice Civile, «necessario a rendere valide le modifiche alle regole del M5S» e cioè la formalizzazione del ruolo del garante, Grillo, e l’introduzione dei probiviri.
«Ma questa è solo la punta dell’iceberg, il nuovo regolamento prevede come motivo di espulsione la creazione di cordate di minoranze interne, andando contro la legge a tutela dei diritti delle minoranze dei partiti».
Borrè nel ricorso che presenterà la prossima settimana non risparmierà nemmeno il codice etico, da considerare un’appendice del regolamento «imposto dall’alto senza partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, come avviene in una democrazia assembleare».
I DEPUTATI SOSPESI SPERANO
Insomma, Grillo ha davanti a sè un bel po’ di sentenze che decreteranno se il suo puzzle di nuove norme è stato un pasticcio o meno.
A sperare che sia così potrebbero essere i tre deputati indagati per le firme false di Palermo e sospesi da Grillo con una rottura consumata e forse insanabile.
Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita siedono ancora tra i banchi del M5S, partecipano alle assemblee e non sono passati al Gruppo Misto.
«Aspettiamo la decisione del comitato d’appello, dopo la sospensione decisa dai probiviri», spiegano dal M5S.
Ma se i probiviri nati con il nuovo regolamento dovessero essere considerati, per il codice civile, illegittimi e quindi illegittima sarà considerata la sospensione, che si fa?
Ilario Lombardo
(da “La Stampa“)
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