Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
MALTRATTAMENTI E FALSO: DUE INCHIESTE IN CORSO SULLA EDECO, CHE NEGLI ANNI HA ASSUNTO DECINE DI PARENTI DI POLITICI DI DESTRA E DI SINISTRA
Tre centri d’accoglienza, quasi duemila ospiti, un bilancio a sette zeri e più di un’indagine della magistratura.
E poi quell’appellativo che la stampa locale utilizza ormai da tempo: “la coop pigliatutto” la chiamano.
Perchè se in Nord Est c’è un società leader nel settore dell’accoglienza dei migranti quella è la cooperativa Ecofficina Edeco di Padova.
È Ecofficina, infatti, a gestire il centro di prima accoglienza di Cona, in provincia di Venezia, finito al centro delle notizie di cronaca nelle ultime ore a causa della rivolta scoppiata in seguito alla morte della giovane Sandrine Bakayoko.
Le origini, lo smaltimento rifiuti e la primavera Araba
Sulla vicenda è in corso un’indagine della procura di Venezia, al momento a carico di ignoti, mentre il nome della coop è tutt’altro che sconosciuto per gli altri uffici inquirenti della zona, dove negli ultimi mesi sono state aperte ben tre inchieste: truffa, falso e maltrattamenti le ipotesi di reato avanzate dai magistrati di Rovigo e Padova nei confronti dei vertici della coop.
Ma andiamo con ordine. Tra i colli Euganei, infatti, il nome di Ecofficina è noto da tempo: almeno dal 2011 quando, come racconta il Corriere del Veneto, la coop nasce grazie alle quote di Padova Tre, la società che nella zona si occupa di rifiuti.
In origine si chiamava Ecofficina Educational e il suo obiettivo era fornire personale alle varie strutture dalla bassa padovana.
Il 2011, però, è anche l’anno della primavera Araba: le coste del Sud Italia si riempiono di esuli arrivati dal Nord Africa e il sistema d’accoglienza è al collasso.
È in quel periodo che in tutto il Paese nascono nuove associazioni e nuove società per gestire lan nuova ospitalità made in Italy.
Ecofficina: un bilancio decuplicato in quattro anni
Anche i vertici di Ecofficina decidono di entrare nella gestione dei migranti e in breve tempo vedono esplodere il loro fatturato.
Secondo il Mattino di Padova, il primo bilancio, quello del 2011, è di appena 114 mila euro: appena due anni dopo supera il milione, per salire poi a 2 milioni e 369 mila euro nel 2014 e addirittura sfiorare i 10 milioni nel 2015, con un utile di 441 mila euro, praticamente raddoppiato in soli dodici mesi.
Cifre giustificate dal fatto che Ecofficina riesce ad aggiudicarsi nel frattempo la gestione di importanti strutture dedicate all’accoglienza: Bagnoli a Padova, Cona a Venezia, Oderzo a Treviso.
Complessivamente si parla di quasi duemila ospiti. Fino a settembre scorso, poi, la coop gestiva anche l’ex caserma Prandina di Padova.
Qui, alle porte del centro storico del capoluogo euganeo, per circa quattordici mesi sono transitati centinaia di profughi. Troppi.
Tanto che a fine estate 2015 la prefettura fu costretta a trasformare la tendopoli in un insediamento con moduli prefabbricati. È in questo modo che Ecofficina si è guadagnata sul campo l’etichetta di “coop pigliatutto” del Veneto.
La cacciata da Confcooperative: “Fanno troppo business”
Quei bilanci a otto cifre, però, non sono piaciuti ai vertici di Confcooperative, che nel settembre scorso hanno sospeso la società perchè faceva “troppo business“. Emblematiche le parole di Ugo Campagnaro, presidente regionale di Confcooperative: “Non esiste una legge che impedisce di ospitare e gestire centinaia di profughi in un’unica struttura. Questo però è un sistema che non risponde alle logiche della buona accoglienza, della qualità dell’intervento, dell’integrazione e della relazione. Si tratta invece di un modello che guarda soprattutto al business. E, per tutte queste ragioni, vogliamo prendere le distanze da questo soggetto e dalla maniera in cui opera”.
Il legame con Padova Tre e la Parentopoli: da Ncd ai D
Nel frattempo la cooperativa aveva cambiato nome — ora si chiama Ecofficina Edeco — mantenendo invariata la dirigenza: il presidente è sempre Gaetano Battocchio mentre l’amministratore delegato è Sara Felpati, moglie di Simone Borile, ex presidente del Consorzio Padova Sud e vicepresidente della controllata Padova Tre, la società che si occupa di rifiuti dal quale era nata la stessa coop: per il Mattino di Padova si fa segnalare anche perchè “a tratti assume i connotati di un album di famiglia“.
A Padova Tre lavorano o hanno lavorato- tra gli altri — Francesca Degani, sorella di Barbara, ex presidente della provincia e sottosegretario all’Ambiente con il Nuovo Centrodestra, ma anche Emiliano Manzato, figlio di Sergio, ex deputato dei Ds e sindaco di Stanghella.
E poi una pletora di parenti di politici locali: mogli, figli e cognate di assessori, vicesindaci, consiglieri comunali di destra, sinistra e centro: praticamente una Parentopoli bipartisan quella tracciata dal quotidiano euganeo all’interno della società che si occupa di rifiuti e che fino a poco tempo fa gestiva anche i centri d’accoglienza nella zona.
L’unione tra Padova Tre e Ecofficina, infatti, si conclude nel 2014 quando la coop diventa autonoma, ma i legami tra le due società sono finiti comunque al centro di un’inchiesta del pm di Padova Federica Baccaglini su un buco in bilancio da 30 milioni di euro.
Addirittura nel novembre scorso gli uomini della guardia di finanza sono arrivati a perquisire gli uffici di Ecofficine per un sospetto scambio di denaro tra le casse della coop e quelle della società di raccolta rifiuti.
Le altre indagini sulla coop: truffa, falso e maltrattamenti
Non è l’unica indagine che ha colpito i vertici della cooperativa. A maggio 2016, infatti, era stato aperto un fascicolo per truffa e falso.
Secondo l’ipotesi al centro degli accertamenti, per provare la “pluriennale esperienza nel servizio di accoglienza”, funzionale all’aggiudicazione di un appalto per l’accoglienza nel comune di Due Carrare, sempre in provincia di Padova, sarebbe stata modificata una data in alcuni documenti ufficiali.
Nel registro degli indagati è finito anche il nome di Tiziana Quintario, funzionaria della Prefettura, la cui figlia viene indicata dai giornali locali come ex dipendente della coop.
Poche settimane prima, nell’aprile del 2016, i carabinieri avevano perquisito la sede di Ecofficine nell’ambito di un’indagine per presunti maltrattamenti.
Quell’inchiesta era nata da una segnalazione che denunciava cibo di scarsa qualità distribuito agli ospiti delle strutture gestite dalla coop, angherie, soprusi e nessun corso di alfabetizzazione organizzato per fare studiare l’italiano ai migranti.
L’interrogazione parlamentare: “Assistenza sanitaria inadeguata, situazione può degenerale
Praticamente gli stessi problemi denunciati nel dicembre scorso da Giovanni Paglia, il deputato di Sinistra Italiana che per primo si è occupato del centro di Cona. “Le condizioni di alloggio, limitate di fatto a tende di diverse dimensioni, sono caratterizzate da sovraffollamento e condizioni ambientali estremamente disagiate”, scriveva il deputato in un’interrogazione parlamentare depositata dopo un’ispezione nell’ex base missilistica in provincia di Venezia.
Un atto indirizzato all’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano in cui Paglia segnalava tra l’altro “la difficoltà di garantire assistenza sanitaria adeguata” ai quasi 1.500 ospiti del centro e “il rischio che una simile situazione possa degenerare in qualsiasi momento”. Parole che oggi — dopo la morte della giovane ivoriana e la successiva rivolta dei migranti — appaiono quasi profetiche.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
L’ARTIFICIERE DI 39 ANNI HA PERSO L’OCCHIO DESTRO E LA MANO SINISTRA NELL’ATTENTATO DI FIRENZE
I colleghi e gli amici dicono che Mario non si arrende mai.
E così nessuno si è sorpreso quando, prima di entrare in sala operatoria, il sovrintendente Mario Vece, 39 anni, campano di nascita e toscano d’adozione, ha sussurrato quella frase: «Non mi arrendo. Qualunque cosa succeda voglio restare in polizia».
E subito dopo, con la mano sinistra spappolata dalla bomba e l’occhio destro devastato, ha chiesto a medici e infermieri se avrebbe potuto continuare a svolgere il suo lavoro di poliziotto.
L’attentato di Capodanno
Ma per l’artificiere ferito nell’attentato di Capodanno c’è una ragione in più per non mollare, adesso. «Mario ha appena vinto un concorso per diventare ispettore – racconta un suo collega -. Ha superato le prove in modo brillante e stava per partire per il corso finale, quello che dà il diritto a passare di grado. Era entusiasta, un salto in avanti verso il suo sogno: diventare sostituto commissario».
Già , perchè per il futuro ispettore (la nomina ufficiale è prevista tra un mese o due) la polizia non è solo un lavoro ma una passione. «Prima Stefania (la moglie) e le bambine (le due figlie di 12 e 14 anni), poi il distintivo», raccontava agli amici Vece, anche se quel lavoro durissimo e rischioso a volte rubava troppo tempo alla famiglia e alla terza passione: la moto.
Appassionato motociclista
Mario, centauro sfegatato, è vice direttore del Club Versilia Chapter, 180 motociclisti con la passione per l’Harley Davidson.
L’ultima uscita l’8 dicembre, tour tra le colline toscane, tra Lucca e Volterra e la promessa di fare un mega raduno tra un paio di mesi. All’ingresso di Careggi di centauri ne sono arrivati una cinquantina, altri ne arriveranno oggi e domani, anche da Milano dove vive il fratello dell’artificiere, anche lui poliziotto e motociclista.
«Ci hanno detto che Mario ha già chiesto come farà a guidare la moto», raccontano, «e noi abbiamo già pensato a fargli una bella sorpresa. Non potrà più usare la mano sinistra? Stiamo pensando di installare sulla sua moto una frizione a pedale e altri dispositivi di sicurezza in regola con il codice della strada. Poi la differenza la farà lui, la sua grinta, la voglia di combattere. Tornerà in sella presto, ne siamo tutti sicuri».
Stato e polizia presenti
E al lavoro? La moglie Stefania lo ha chiesto al ministro Marco Minniti e al capo della polizia, Franco Gabrielli, che lunedì sono arrivati all’ospedale Careggi. Vece è sedato e per lui ha parlato la moglie.
Che si è commossa quando Minniti e Gabrielli le hanno detto che Stato e polizia saranno sempre presenti, che aiuteranno Mario a superare questo momento terribile e torneranno presto a trovarlo. Lei ha ringraziato e rivolta ai medici ha detto: «Non siete solo bravi ma avete anche gli occhi buoni», ha sussurrato, sorprendendo tutti per forza e serenità d’animo.
Al telefono, la signora Vece, ha avuto parole molto dure nei confronti degli autori del gesto. «Chi ha compiuto questo atto terroristico può essere descritto solo con una parola: assassino. Non lo perdonerò mai. Mercoledì Mario dovrà essere sottoposto a un altro intervento chirurgico. Ma mio marito ce la farà perchè è abituato da sempre ad affrontare tanti problemi».
Pestaggio
E in passato Mario Vece di problemi ne ha dovuti superare di durissimi. Come quando, quindici anni fa, si trovò coinvolto con altri colleghi a Pistoia in una storia controversa di un pestaggio di alcuni ragazzi (c’era anche il figlio dell’ex ministro Vannino Chiti) finito poi in un patteggiamento.
Dopo un trasferimento tornò a guadagnarsi gradi e stima. Prima a Montecatini, poi a Pisa e a Firenze come artificiere.
Indagini
Le indagini continuano. Il procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo, ha aperto un fascicolo per tentato omicidio. Perchè quella bomba poteva uccidere.
Anche lunedì, così come è avvenuto domenica, ci sono state perquisizioni e sono state ascoltate alcune persone vicine all’arcipelago anarchico insurrezionalista.
Al momento però non sono stati individuati responsabili e nemmeno sospetti
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
LA PROTESTA A CONA: PRETENDERE CONTROLLI SU CONDIZIONI DI ACCOGLIENZA ADEGUATE DALLE STRUTTURE PREPOSTE… LE CAZZATE QUOTIDIANE DI SALVINI E MELONI
Si è conclusa la protesta degli ospiti del centro di prima accoglienza di Cona, nel veneziano iniziata dopo la morte di Sandrine Bakayoko, una ragazza di 24 anni originaria della Costa D’Avorio e deceduta il 2 gennaio all’interno del centro.
In attesa dell’esito degli esami autoptici sul cadavere e che gli inquirenti facciano chiarezza sulle modalità di arrivo dei soccorsi — gli ospiti lamentano il fatto che Sandrine abbia avuto un malore la mattina di lunedì ma che l’ambulanza sia stata chiamata solo dopo parecchie ore — alcuni bravi italiani stando dando il meglio di sè nel commentare la notizia.
Per alcuni utenti dei social network il problema principale è infatti che una cinquantina di connazionali della Bakayoko abbiano protestato per come è stata gestita la vicenda dagli operatori del centro prendendo “in ostaggio” per alcune ore 25 volontari (che sono stati successivamente liberati).
La morte di una ragazza di 24 anni, morte che — forse — si sarebbe potuta evitare (qualcuno ha detto che Sandrine stava male da giorni) diventa così un evento di secondo piano.
In fondo, scrivono, già è venuta in Italia illegalmente e viene mantenuta dallo Stato, che cosa sono queste pretese di essere curata (e trattata da essere umano)?
Allo stato attuale i fatti noti sono che la giovane donna si sarebbe sentita male in doccia intorno alle 7 e l’ambulanza che l’ha portata via intorno alle 15 non sarebbe riuscita a salvarla.
«La prima ambulanza non ha potuto portarla via ed è dovuta arrivare una seconda ambulanza ma per lei era troppo tardi. La ragazza è morta 5 minuti dopo essere partita con la seconda ambulanza», dice uno dei profughi al Corriere della Sera.
Al 118 hanno risposto a una richiesta di intervento proveniente da Cona alle 12.50, un’ambulanza è arrivata sul posto dieci minuti dopo e la donna era ancora nel locale adibito alle docce. Successivamente è arrivata una seconda ambulanza con medico a bordo. Ma la ragazza era ormai morta.
All’arrivo i sanitari l’hanno trovata riversa in bagno priva di conoscenza.
Non è peraltro la prima volta che i migranti ospitati a Cona — il centro è gestito dalla cooperativa Ecofficina — si lamentano del trattamento ricevuto e delle carenze nell’assistenza medico-sanitaria, nel gennaio 2016 si era verificata un’altra protesta con «una lunga serie di lamentele sulle loro condizioni di vita: freddo, soprattutto durante la notte, mancanza di acqua calda per lavarsi, scarsità di docce e servizi igienici, cibo insufficiente e nessun cambio di vestiti disponibile, carenza di medicinali e di assistenza medica».
Tutto questo ovviamente non è rilevante per chi commenta perchè come sempre accade lo spazio dei commenti alle notizie è riservato agli sfoghi e agli insulti di vario genere.
Insulti che non sono scatenati dalle famigerate fake news, ad esempio gli screenshot di questo articolo sono stati presi dai commenti degli articoli del Corriere della Sera e Fatto Quotidiano dove si dava semplicemente conto di quanto accaduto a Cona, senza troppi fronzoli e senza falsità o distorsioni di sorta.
A quanto pare l’odio si scatena anche senza l’intervento dei vari titoloni a sfondo razzista delle pagine e dei siti fasciogentisti.
Questo è un dato di realtà del quale i futuri censori delle fake news dovranno tenere conto.
Certo, se una persona è razzista non è che una notizia data in un certo modo potrà farle cambiare idea. Rimarrà sempre dell’opinione che i “negri” si affidino allo sciamano e che quindi debbano soltanto ringraziare di essere capitati in un paese civile come il nostro.
Gli ospiti devono rispettare le nostre leggi e le nostre usanze, se le usanze comprendono anche il morire perchè — come sostengono i connazionali della ragazza — i soccorsi sono stati chiamati in ritardo allora tutto è nella norma.
Commenti del genere si leggono ovunque, non sono una particolarità del caso in oggetto, si tratta di persone che probabilmente non hanno nemmeno letto l’articolo ma solo il lancio su Facebook e — magari — il breve sommario.
Tutto quello che sanno è che una ragazza è morta e che c’è stata una rivolta in uno di quelli che vengono comunemente chiamati “alberghi dei profughi”.
Sono persone che magari hanno letto il post di Salvini, un post nel quale non si fa assolutamente menzione della morte di una ragazza di 24 anni, ma si parla solo di RIVOLTA degli immigrati e si invoca il pugno duro: l’espulsione (meglio se di massa) e la chiusura dei centri. Perchè vanno riportati tutti a casa.
Chi legge il post di Matteo Salvini si fa l’idea che gli immigrati (ingrati) si stiano ribellando, magari perchè non hanno il wi-fi o perchè il pranzo non è “di loro gradimento”.
Anche Giorgia Meloni chiede l’espulsione di coloro che si sono resi protagonisti della rivolta (si spera almeno dopo regolare processo) e anche se ricorda ai suoi che il tutto è nato “a seguito della morte di una giovane ivoriana” — senza naturalmente spiegarne le cause — non rinuncia a raccontare la storia che “in Costa d’Avorio non c’è nessuna guerra” e pertanto non stiamo parlando di rifugiati.
E qui siamo all’ignoranza assoluta: la Costa d’Avorio è un Paese appena pacificato, ma il cui ex capo di stato è sotto processo alla Corte Penale Internazionale dell’Aja. Chi era dalla sua parte ora lascia il paese, per sfuggire a possibili ostracizzazioni e vendette.
Ma la Meloni ama parlare di cose che non conosce, invece che tacere.
E’ opportuno ricordare che se gli immigrati sono trattenuti all’interno di un centro significa che hanno presentato richiesta di asilo politico e che quindi sono in attesa dell’esito del procedimento.
Chi arriva sul nostro territorio (o in uno qualsiasi dei paesi dell’Unione Europea) e fa richiesta di asilo politico non lo ottiene automaticamente.
La legge prevede infatti che siano delle apposite Commissioni territoriali a stabilire se una persona ha diritto o meno all’asilo politico (e tutto quanto ne consegue in termini di diritti e protezione) o meno.
Va da sè che questo procedimento di verifica non sia immediato anzi richieda del tempo, perchè la Commissione competente deve esaminare le carte e svolgere le indagini. Durante questo tempo il migrante ha diritto a rimanere nel nostro paese e viene ospitato all’interno delle strutture idonee dalle quali in teoria non è concesso allontanarsi (perchè altrimenti il migrante perderebbe il diritto d’asilo) fino alla fine della procedura di verifica della domanda.
Qualora la richiesta di protezione internazionale non venga accolta (perchè il cittadino extracomunitario non risulta idoneo) il migrante può presentare ricorso contro la decisione della Commissione.
La presentazione del ricorso (che può essere presentato solo in determinati casi) sospende l’espulsione fino a che non è stato esaminato il ricorso, quindi in teoria per altri trenta giorni.
Infine è sufficiente consultare le sentenze dei vari tribunali che il diritto d’asilo non viene concesso solo a chi scappa dalla guerra ma anche ad altri individui (ad esempio a chi ha subito violenze domestiche, chi ha subito violenze durante il transito in Libia a chi ha compiuto un significativo percorso di integrazione, a chi è perseguitato per ragioni religiose, etniche o sessuali)
Anche da paesi non in guerra e non oppressi da regimi possono arrivare persone che ottengono asilo o protezione umanitaria. Ad esempio, le minoranze religiose perseguitate o emarginate, o gli omosessuali che in alcuni paesi sono anche puniti col carcere.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
LA VICEPRESIDENTE DEM: “MI SPIACE CHE L’IDEA SIA DI UN MINISTRO DEL MIO PARTITO. INSEGUIRE I LEGHISTI E’ UN ERRORE, SI TRATTA DI POSTI DISUMANI”
“Non permetteremo che via Mattei sia trasformato di nuovo in un Cie, faremo questa battaglia con Merola e la vinceremo assieme”.
Per anni la deputata del Pd, Sandra Zampa, ha lottato in parlamento per far chiudere sotto le Due Torri il Centro di identificazione ed espulsione dei migranti, che dall’estate 2014 funziona come hub per l’accoglienza dei profughi.
Per questo, si dice “sorpresa e amareggiata” dall’idea del ministro Minniti di aprire un centro in ogni regione: “Inseguire i leghisti è un errore, i Cie sono posti disumani”.
A distanza di tre anni, il Cie di Bologna potrebbe tornare funzionante. Se lo aspettava?
“Mi stupisce, verificherò questa ipotesi con un’interrogazione parlamentare urgente per capire se sia vera. Occorre ben altro dai Cie, che restano strutture inutili per gestire le politiche sull’immigrazione”.
Si parla di un Cie in ogni regione e ora in Emilia non ce ne sono.
“Se questa idea fosse confermata, servirà un lavoro parlamentare, assieme alla Regione e al Comune di Bologna, per scongiurarla. La riapertura del Cie sarebbe vissuta dai bolognesi come un atto grave. Poche cose in questi anni ci hanno visto uniti come la battaglia per la sua chiusura”.
Perchè boccia questa ipotesi?
“Il Cie era un posto disumano, nel mio ultimo sopralluogo abbiamo trovato escrementi vicino alle stanze dove dormivano i migranti. Sono esperienze spaventose e indimenticabili”.
Il governo punta a raddoppiare le espulsioni. I Cie serviranno?
“Non sono efficaci, se abbiamo bisogno di identificare qualcuno pensiamo a posti umani, non a strutture detentive. I Cie servono solo a giustificare le lentezze della burocrazia sui rimpatri”.
Quali alternative propone?
“Per rendere efficaci i rimpatri servono accordi bilaterali con gli altri Paesi. Più che il pugno duro, usiamo la diplomazia. Dobbiamo rimpatriare chi delinque, non certo rinchiudere un padre di famiglia con il permesso di soggiorno scaduto”.
La proposta, però, nasce da un ministro del Pd, il suo partito.
“Mi dispiace molto, a Bologna non permetteremo che riapra”.
Il sindaco Merola definì via Mattei, «il cuore di tenebra in una città medaglia d’oro». Appoggerà di nuovo la sua battaglia?
“Sì, e sono sicura che la vinceremo assieme”.
Il pm Valter Giovannini condivide la proposta del governo, spiegando che in questo modo “si prende atto della realtà “.
“Se Giovannini andasse a visitare un Cie si renderebbe conto che lì dentro la violazione dei diritti supera di gran lunga qualsiasi altro diritto”.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
“NON RINNEGO IL MIO PASSATO MA CON IL TEMPO SI CAMBIA, HO SEMPRE CREDUTO IN UNA DESTRA SOCIALE, DA 17 ANNI NON VOTO”
«Camerata Paolo, dov’era finito?».
«Per favore, preferirei non scherzare. Non cominciamo così, la prego».
Il passato torna sempre. Erano quasi quindici anni che Paolo Di Canio non parlava di politica. E ha trascorso gli ultimi quattro mesi in un silenzio assoluto.
Da quando una fotografia postata sull’account Facebook di Sky Sport ha mostrato sul suo braccio destro un tatuaggio con la scritta «Dux».
«Era ancora estate, indossavo una polo. C’è da girare un video promozionale. Se fossi stato in giacca e cravatta non sarebbe successo. Così va la vita».
All’improvviso i social network, ma soprattutto alcuni esponenti della comunità ebraica, si ricordano quel che era noto da molto tempo.
L’apprezzato conduttore della trasmissione sul calcio inglese che porta il suo nome è la stessa persona che quando giocava nella Lazio faceva il saluto romano, che si definiva fascista.
Dopo due giorni, Sky Sport sospende lui e la trasmissione. L’appuntamento è al suo negozio di vestiti al centro di Terni, la città della moglie.
Di Canio ci tiene a presentarsi come uomo tutto d’un pezzo. Ma l’ultima bufera di una vita pubblica turbolenta gli ha fatto male. «Non me l’aspettavo. Sono un’altra persona. Non ho fatto nulla, almeno questa volta. A causa di qualcosa ormai lontano nel tempo ho perso un lavoro che facevo con entusiasmo».
Cominciamo dalla fine
«Il giorno in cui vengo sospeso sono in redazione a Sky. Alle 20 c’era la presentazione del palinsesto, i colleghi la chiamano la sera del tappeto rosso. Io e Leonardo, l’ex calciatore brasiliano, eravamo tra gli ospiti. Vedevo facce strane intorno a me. Vado in albergo per prepararmi. Entro nella hall, suona il telefono».
La sua reazione?
«Ci sono rimasto non male, peggio. Ho urlato. Non so neppure cosa sono i social network. Orgoglio ferito. Mi sono sentito un appestato. Avrei voluto reagire d’istinto».
E invece cosa ha fatto
«Sono salito di corsa sul primo Frecciarossa per Roma. Non c’era posto. Alla capotreno ho detto che pagavo la tariffa massima e me ne stavo in piedi, pur di tornare a casa. Mi chiedevo cosa avevo fatto per meritarmi una cosa del genere».
Non le bastano quei tatuaggi sul braccio e sulla schiena?
«Il giovane Di Canio le avrebbe risposto in altro modo. Ma ormai ho quasi cinquant’anni. Ho imparato a mettermi dalla parte degli altri, a ragionare con loro. C’è tanta gente che ha ogni diritto a sentirsi ferita dall’esibizione, per quanto non voluta, di quei tatuaggi. E un’azienda importante come Sky ha diritto a non vedersi associata a una simbologia che non condivide. Ma non era stata una mia scelta. E ancora oggi ne pago le conseguenze».
A lei va bene così?
«Non rinnego le mie idee. E la gente cambia. Io sono cambiato, non da ieri».
La data del 6 gennaio 2005 le dice qualcosa?
«Il derby con la Roma. Il saluto romano sotto la curva Nord. È la cosa di cui mi più mi pento nella mia carriera. Quello è un ambito sportivo, è stupido fare un gesto politico che magari può essere condiviso da alcuni spettatori e amareggiarne molti altri. Non avrei mai dovuto farlo. Lo sport deve restare fuori da certe cose».
Dopo quell’episodio lo ha rifatto anche a Siena, Livorno, Torino.
«Per provocare. Per rabbia. Era scoppiato il casino. Mi tiravano sassi dagli spalti. Sputi, cori con insulti terrificanti ai miei genitori. Le ho detto che sono pentito, non che nella mia vita sono stato un santo».
Lei è fascista?
«Preferirei evitare le etichette. Ho sempre spiegato come la penso, non è un mistero. Ma se mi chiede delle leggi razziali, dell’antisemitismo, dell’appoggio al nazismo, quelle sono cose che mi fanno ribrezzo».
Lo sa che negli archivi ci sono un paio di sue interviste dove si definisce fascista?
«Può essere. Ma sempre con queste distinzioni. E oggi mi rendo conto che per le persone che hanno subito certe cose sulla loro pelle, non può bastare. Ho creduto in una destra sociale, ho seguito le varie svolte da Fiuggi in poi. Non ho mai preso una tessera. Sono 17 anni che non voto».
E comunque Mussolini resta pur sempre una gran brava persona?
«C’è un prima e un dopo. Alcune cose le aveva fatte bene. Quando segue Hitler sulle leggi razziali finisce tutto».
Giacomo Matteotti, chi era costui?
«La vittima di un esecrabile omicidio politico. I regimi sono spesso nati in questo modo, da tutte le parti e tutti i colori. Ed è questo che li offusca e li priva di ogni ragion d’essere».
Quando si è fatto quel tatuaggio?
«Nel 2000, a Bologna. Giocavo in Inghilterra, ero convalescente da un infortunio. Per me Mussolini rappresentava un’idea di società con regole, vere, che tutti rispettano. L’amore e l’orgoglio patrio. Cose che vorrei per il mio Paese e non vedo neppure oggi».
La sua era una famiglia di destra?
«Per carità . I miei tre fratelli votano a sinistra. Mio padre Ignazio era un muratore romano. I nazisti gli spararono addosso. Aveva rubato del formaggio, voleva portare a casa qualcosa da mangiare. Quando ci fu il bombardamento di San Lorenzo, andò in giro con un carretto per dare il poco che aveva alle persone rimaste senza tetto».
Come è successo che lei…?
«Sono nato e cresciuto al Quarticciolo, un quartiere da sempre rosso e romanista. Nel mio gruppo c’erano cinquanta tifosi della Roma e 4-5 laziali. Mi è sempre piaciuto essere minoranza. Anni Ottanta, ci si divideva anche per il modo di vestire. Le Clark e la kefiah erano di sinistra, il giubbotto di pelle Scott e gli stivali di destra».
Solo una questione estetica?
«Ambientale, piuttosto. Ammiravo Giorgio Almirante e la sua capacità oratoria. Nel 1987, quando giocavo nelle giovanili della Lazio, cominciai a frequentare in curva il gruppo degli Irriducibili, che aveva preso una certa impronta politica».
Lanciavano già banane contro i giocatori di colore?
«Cominciarono dopo. Quando non ero più alla Lazio. Trevor Sinclair, quel genio di Shaka Hislop, che terminata la carriera di portiere è diventato ingegnere nucleare, Chris Powell. Compagni di squadra. Amici ancora oggi. Ragazzi di colore. Phil Spencer, il mio agente inglese, è un ebreo praticante. Sono stato al Bar Mitzvah del figlio. Io questa cosa del razzismo non ce l’ho dentro, non mi appartiene, vorrei gridarlo».
Perchè a novembre ha sentito il bisogno di scrivere una lettera all’Unione delle comunità ebraiche italiane?
«Sono a casa. Pensieri cupi, tristezza. Mia moglie mi dice che Ludovica, la nostra primogenita che studia a Londra, fa finta di niente perchè mi vuole bene, ma soffre come una bestia. Mi chiedo cosa posso fare, a chi posso spiegare una volta per tutte il mio pensiero. La comunità ebraica è stata la più toccata da quella involontaria apparizione. Sono persone davanti alle quali posso solo chinare il capo. Ho preso carta e penna».
Si aspettava una risposta più calorosa da parte della presidente Noemi Di Segni?
«Assolutamente no. Mi ha scritto di fare attenzione alle parole e ai simboli, aggiungendo che a una grande visibilità mediatica deve corrispondere un senso di responsabilità ancora maggiore. Condivido dalla prima all’ultima parola»
E da questa intervista?
«Spero che mi venga data una possibilità . Far capire chi sono davvero, pregi e difetti, comunque ormai lontano da quelle foto con il braccio teso. Penso per primi ai reduci dai campi di concentramento che una volta ho incontrato in Campidoglio. E poi ai giovani che portano avanti le loro idee. Devono esserne fieri, purchè rispettino quelle degli altri».
Qualcuno potrebbe risponderle che un fascista è per sempre.
«Non posso convincere tutti. Certe etichette non me le toglierò mai, ne sono consapevole. Ma giro a testa alta. Le mie figlie sanno chi sono».
Ha mai pensato di togliersi quei tatuaggi?
«No. Sarebbe una ipocrisia. Una amica di sinistra mi ha detto che per me sono ormai legati a un’idea romantica e idealista della giovinezza. Forse non è neppure così. Quel che mi porto addosso è il simbolo di ciò che sono stato, di quel che ho fatto. Compresi gli errori».
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
A PROPOSITO DI BALLISTI, C’E’ CHI E’ DAVVERO INSUPERABILE
Che il capodanno romano “disorganizzato” da Virginia Raggi e apprendisti stregoni al seguito sia stata una tragicommedia è ormai cosa risaputa a livello planetario.
Con l’appendice dell’incremento dei fuochi artificiali in città dopo che la sindaca, sbagliando il testo dell’ordinanza, aveva provato a vietarli, salvo poi essere ovviamente bloccata dal Tar del Lazio.
Ma soprattutto con il pasticcio della festa al circo Massimo saltata per la rinuncia degli organizzatori a pochi giorni dall’evento, spaventati dal dilettantismo della Giunta.
Dopo venti anni il concertone a Roma non c’è stato, sostituito da microeventi che hanno fatto flop, come certificato dai ponti sul Tevere deserti mentre mancavano pure i bus.
Un disastro cosmico.
Eppure Virginia Raggi ha la spudoratezza di definire il capodanno romano low-cost un successo.
Lo fa con un post sul blog di Beppe Grillo in cui ha celebrato i risultati della manifestazione.
Peccato però che il post, condiviso sulla pagina Facebook del leader M5s, – come notato da Daniele Cinà su Twitter – mostri in bella vista una foto relativa ad un’altra festa di capodanno, quella organizzata da Ignazio Marino, a inizio 2015.
Per la serie: i ballisti non si smentiscono mai.
(da agenzie)
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Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
BRAVO CHICCO, E’ ORA DI FINIRLA CON I PREGIUDICATI CHE INSULTANO E MINACCIANO TRIBUNALI DEL POPOLO… ANCHE PERCHE’ CHI LI HA VOLUTI SPESSO E’ FINITO CON UNA CORDA AL COLLO
Enrico Mentana querela Beppe Grillo.
A innescare la reazione (legale) del direttore del Tg La7 è stato il post pubblicato sul blog dal leader del Movimento 5 Stelle nel quale lanciava la proposta di una giuria popolare per valutare le bufale in rete.
Nel suo articolo, Grillo si scaglia in maniera generalizzata contro tutti i quotidiani, gli organi di informazione e i telegiornali.
“I giornali e i tg sono i primi fabbricatori di notizie false nel Paese con lo scopo di far mantenere il potere a chi lo detiene. Sono le loro notizie che devono essere controllate”, ha scritto il guru M5S allegando una foto con il logo di molte testate giornalistiche: tra queste anche quella del Tg di La7.
“In attesa della giuria popolare chiedo a Grillo di trovarsi intanto un avvocato”, scrive Enrico Mentana su Facebook.
“Fabbricatori di notizie false è un’offesa non sanabile a tutti i lavoratori del tg che dirigo, e a me che ne ho la responsabilità di legge. Ne risponderà in sede penale e civile”, conclude il suo post il direttore.
Anche il direttore de L’Espresso Tommaso Cerno attacca il leader M5S: “I giornali da quando sono nati hanno una giuria popolare, quella dei lettori, con la quale si confrontano. E’ nella natura stessa dell’informazione che non può nascere senza, è automunita di giuria popolare”, afferma all’Adnkronos Cerno, sottolineando che nel suo blog di oggi “Grillo, da capo politico, in fondo mette i panni di Robespierre per dire una banalità che avrebbe potuto dire già Gutenberg. Non sprecherei i soldi in avvocati”, ha concluso.
Fnsi: “Proposta di Grillo danneggerebbe la libertà di stampa”.
“Vorremmo rassicurare Beppe Grillo: se fosse approvata la sua proposta l’Italia non occuperebbe più il 77°, ma il 154° posto nella classifica sulla libertà di stampa nel mondo”. Lo affermano, in una nota, il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti.
“Quello che il leader del Movimento 5 Stelle fa finta di non capire, lanciandosi in un linciaggio mediatico di stampo qualunquista contro tutti i giornalisti, è che sono le minacce e le intimidazioni, come quelle che lui velatamente lascia trasparire, a far precipitare il Paese nelle classifiche internazionali – prosegue la nota -. Sarebbe molto più opportuno che Beppe Grillo utilizzasse le proprie energie per impegnarsi affinchè in Parlamento venga rapidamente abrogato il carcere per i giornalisti e approvata una norma che scoraggi il fenomeno delle querele temerarie. Altrettanto impegno, in particolar modo sul versante del contrasto alla diffusione di notizie false, sarebbe gradito nell’approvazione in tempi rapidi del Giurì per la lealtà dell’informazione, strumento di garanzia nei confronti dei cittadini che hanno diritto ad una informazione libera e corretta”.
(da “Huffingtnopost“)
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Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
UN SISTEMA TRIPOLARE E’ DESTINATO A NON AVERE UNA MAGGIORANZA SENZA L’ACCORDO TRA DUE PARTITI
La tentazione è la Grande Coalizione.
Monica Guerzoni sul Corriere di oggi racconta che nei palazzi della politica si cominciano a immaginare gli scenari futuri che il nuovo Parlamento dovrà affrontare dopo un voto che si preannuncia sanguinoso per le parti in campo e che rischia, a seconda della scelta della legge elettorale, di lasciare sul campo morti e feriti ma non vincitori e vinti.
Perchè il rischio che nella notte dello spoglio nessuno riesca ad arrivare a una maggioranza nei due rami del parlamento è molto concreto, talmente concreto da lasciar immaginare scenari interessanti per le coalizioni che verranno.
Silvio Berlusconi, sempre sul Corsera, conferma di puntare a un proporzionale con sbarramento e disegna una maggioranza che poggi su due pilastri.
Se in Germania la Merkel ha dovuto accordarsi due volte con i liberali e una con i socialdemocratici, lui ha in mente un nuovo Nazareno: «Vedo come soluzione un patto tra Pd e FI».
E in effetti è proprio questo lo scenario più probabile per il dopo voto: in uno scenario tripolare due poli si alleano per mandare all’opposizione il terzo polo, ovvero i voti di Forza Italia, che si candiderà in coalizione con Meloni e Salvini, serviranno successivamente ad assicurare un nuovo governo a guida diversa da quella dei candidati alle elezioni e necessariamente “tecnico”:
L’ex presidente della Camera sosterrebbe senza imbarazzi un nuovo patto del Nazareno.
«Ma il dibattito sulla data del voto è demenziale – avverte Casini –. Se continuiamo a fare errori la possibilità che la sommatoria tra Grillo, Salvini e Meloni raggiunga il 50% non è remota».
I timori
Federico Fornaro, minoranza dem, lo dimostra coi numeri: «Alla Camera se il Pd prendesse il 30% e Forza Italia il 12%, difficilmente si arriverebbe ai 316 seggi di maggioranza, anche se Ncd superasse uno sbarramento del 3%».
Gaetano Quagliariello è preoccupato. Per l’ex ministro di Letta, teorizzando la grande coalizione a partire dalla legge elettorale «si creano i presupposti per una situazione weimariana, in cui le forze antisistema conquistano la maggioranza ma non costruiscono una coalizione».
Eppure i centristi del Pd continuano a tessere la loro tela.
«Per la complessità italiana servono coalizioni che affrontino le emergenze», sostiene Beppe Fioroni e indica due strade: una legge che consenta la coalizione prima del voto grazie al premio di maggioranza, oppure un’alleanza che si formi in Parlamento dopo il voto, «come dice la Costituzione».
Ncd tifa per il modello tedesco e non solo perchè le larghe intese hanno consentito ad Alfano di battere ogni record di longevità come ministro.
«Noi siamo nati sulla responsabilità – ricorda Maurizio Lupi –. E sono contento che torni la coscienza di una nuova stagione in cui ci si rimbocca le maniche e si lavora assieme».
Purchè, ammonisce, non si commetta il «grande errore» di illudersi che gli scenari futuri si disegnino con le leggi elettorali. La divergenza tra i (tanti) fan della grande coalizione è tutta qui.
Partire dal sistema di voto, oppure aspettare il verdetto delle urne?
Il ministro Gian Luca Galletti risponde al volo: «Meglio partire dal proporzionale. Serve un governo forte e con il maggioritario fai fatica a centrare l’obiettivo».
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
INSERITO NELLA COMMISSIONE SU SCIENZA, TECNOLOGIA E SICUREZZA E IN QUELLA SULL’UCRAINA
Per molti mesi è stato un protagonista assoluto della vita politica italiana.
Dall’Italia dei Valori a Forza Italia, insieme al collega Antonio Razzi, Domenico Scilipoti faceva parte di quella pattuglia di parlamentari passati a sostenere il Governo Berlusconi in odore di sfiducia alla fine del 2010.
Poi una lunga militanza al Senato proprio con il partito di Silvio Berlusconi. Ora l’incarico alla Nato.
Scilipoti è stato infatti nominato vicepresidente della commissione scienze, tecnologia e sicurezza della Nato; è stato inserito anche nella commissione, sempre in seno alla Nato che dovrà occuparsi dei rapporti con l’Ucraina.
“Sono orgoglioso di rappresentare l’Italia” ha detto Scilipoti, “la responsabilità di un incarico internazionale in un momento così delicato per gli equilibri geopolitici mi motiva molto e rende il mio impegno politico ancora più appassionato. Il nostro Paese ha già fatto tanto ma deve poter fare ancora di più nella lotta al terrorismo, portando anzi i valori cristiani a fondamento del dialogo con tutte le parti interessate. Porterò con me gli insegnamenti del popolo siciliano che ha fatto dell’accoglienza e dell’incontro tra culture, una ricetta vincente nella storia passata”.
(da “Huffingtonpost”)
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