Gennaio 25th, 2017 Riccardo Fucile
IL MECCANISMO DEI CAPILISTI PERMETTE SIA A RENZI CHE A BERLUSCONI DI DISTRIBUIRE UGUALMENTE I POSTI SICURI
La Corte, di fatto, ha sfornato una nuova legge elettorale, con una sentenza, come recita il comunicato, “suscettibile di immediata applicazione”.
Un Verdetto, dunque, che ha un forte valore (e un forte impatto) politico. Perchè sancisce un ruolo di supplenza a un Parlamento incapace di prendere una iniziativa politica in materia, dopo che è franato un disegno di riforma costituzionale a cui era legato l’Italicum. E, al tempo stesso, accorcia la durata della legislatura.
O meglio, assicura quel finale ordinato della legislatura auspicato dal capo dello Stato.
Dalla sentenza della Consulta viene fuori una legge elettorale proporzionale alla Camera, con un premio di maggioranza per la lista che raggiunge il al 40 per cento (un elemento maggioritario che però difficilmente può scattare con gli attuali rapporti di forza), soglia di sbarramento al tre per cento, senza obbligo di coalizione.
Scontata la rottamazione del ballottaggio, che in verità l’hanno fatta gli elettori il 4 dicembre, perchè inservibile in un sistema bicamerale e non monocamerale.
Pensato come una legge per un sistema con una sola Camera, con due comporta il rischio di maggioranze diverse.
Al Senato c’è il cosiddetto Consultellum, ovvero la legge che viene fuori dalla precedente sentenza della Consulta sulla legge elettorale di Calderoli (a testimoniare la perdurante incapacità del Parlamento in materia): è un proporzionale puro, con uno sbarramento all’8 per chi va da solo e al tre per cento per le liste nelle coalizioni.
Due leggi elettorali che non sono perfettamente “armoniche”, anzi non lo solo per nulla: al Senato non c’è premio e ci sono le coalizioni, alla Camera c’è il premio ma non ci sono le coalizioni.
Il punto però e che, sia pur non armonica per i due rami, una legge c’è. Spiegava Orfini in Parlamento: “Anche l’8 al Senato si può considerare un principio maggioritario. La legge è utilizzabile”.
Ecco il punto, tutto politico. La legge che esce dalla Corte consente, sulla carta, la forzatura a Renzi e al partito del “voto a giugno”.
Due minuti dopo la sentenza della Corte dice Ettore Rosato, capogruppo del Pd: “Vedo di una disponibilità a discutere di legge elettorale da parte del M5S, se riguarda anche il Mattarellum bene se no una legge elettorale c’è. Quanto tempo diamo al Parlamento per valutare il Mattarellum? Se non c’è il Mattarellum abbiamo i Consultellum”.
Poco dopo, Renzi fa filtrare: “Basta Melina, Mattarellum o voto”. Dunque, un tentativo sul Mattarellum, poi basta. E si vota. Come chiede anche l’M55 e la Lega, insomma un bel pezzo di Parlamento. Almeno nelle intenzioni.
Il punto chiave che consente la forzatura sono i capilista bloccati, che la Corte non mette in discussione. I famosi “cento capilista” che i partiti si possono nominare. Facciamo un esempio.
Con questa legge Berlusconi, che prende meno di cento seggi alla Camera, si nomina tutto il suo gruppo parlamentare. Renzi ne prende attorno ai 200, dunque ne nomina mezzo. Il grosso della Camera è di nominati.
Proprio il criterio di nomina aiuta il tentativo di un blitz sulle elezioni anticipate. Perchè produce un riflesso d’ordine con gli aspiranti nominati che hanno paura di essere fuori dalle liste, saldamente nelle mani di Renzi.
Che potrà distribuire posti sicuri pur di ottenere lo scioglimento. Dice un alto in grado del Pd: “A questo punto Renzi distribuirà posti sicuri per blindare l’accordo con le correnti, da Orlando a Franceschini”. Nè questa dinamica è intaccata dall’intervento della Corte sul meccanismo dei capilista plurimi, per cui è stato introdotto un criterio che non è l’arbitrio.
Insomma, la sentenza mette agli atti che l’Italicum era una cattiva legge con profili di incostituzionalità .
La boccia, ma al tempo stesso indica una via d’uscita, consentendo di tornare al voto a una classe politica incapace di produrre buone leggi elettorali da diversi lustri.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Parlamento | Commenta »
Gennaio 25th, 2017 Riccardo Fucile
SUL MATTARELLUM NON C’E’ CONVERGENZA, QUINDI AL VOTO A BREVE
“Stiamo stappando lo spumante”, esulta una fonte renzianissima un minuto dopo la decisione della Consulta sui ricorsi dell’Italicum.
“Sobrietà ”, frenano dal Nazareno dove Matteo Renzi è riunito con Guerini e Serracchiani, Rosato, Bonifazi e Fiano.
Al di là dei brindisi, il segretario del Pd si dice “soddisfatto”. Per lui la Corte Costituzionale apre la strada al tanto agognato voto anticipato. Una data: 11 giugno, continua a ripetere, implicita nella chiusa del dispositivo deciso dalla Corte dopo due giorni di dibattimento e camera di consiglio.
Ovvero la frase: “All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”. Secca, inconfutabile. Almeno per Renzi e per chi in Parlamento vuole il voto anticipato come lui: M5s e Lega.
Per Renzi è la soluzione al rebus.
Il segretario ha ricominciato a sperare quando ieri la Corte ha deciso di rinviare a oggi la decisione. La sentenza doveva arrivare a pranzo, poi è slittata al pomeriggio. E pare che i giudici siano rimasti a discutere proprio sul punto più caro a Renzi.
Cioè sulla pronta applicabilità della sentenza sulla legge elettorale, sull’opportunità di occuparsi anche dell’omogeneità dei due sistemi elettorali tra Camera e Senato.
La frase finale elimina i dubbi, così la legge il segretario del Pd e i suoi, convinti che al Colle la pensino così.
Tanto che proprio oggi, non a caso, Renzi lancia il suo nuovo blog, si esercita in nuove invettive con l’Unione Europea, smonta la vecchia segreteria Dem anche se non annuncia la nuova (prossimi giorni), ma di fatto Renzi è già in campagna elettorale. Prima tappa: sabato e domenica a Rimini con gli amministratori locali del Pd.
“Ora basta melina, il Pd è per il Mattarellum, i partiti dicano subito se vogliono il confronto. Altrimenti la strada è il voto”, dice il segretario parlando con i suoi nel suo studio al Nazareno.
Di fatto però la via del ritorno al Mattarellum si è già consumata, forse in Parlamento non è mai nata. E allora, dicono i suoi più stretti, “la sentenza della Consulta ci permette di puntare al voto e ci elimina l’incombenza di dover fare per forza la legge elettorale laddove nessuno la vuole fare”.
In Transatlantico il renzianissimo Dario Parrini, deputato e segretario regionale Dem in Toscana, è impegnato a spiegare i motivi ai tanti giornalisti che glielo chiedono.
Il ragionamento è questo: la Corte ha salvato il premio di maggioranza per la lista che prenda il 40 per cento alla Camera, ha eliminato il ballottaggio.
Al Senato c’è uno sbarramento dell’8 per cento su base regionale. Se si considera quella soglia del 40 per cento nei fatti irraggiungibile, allora ecco che emerge un sistema simile tra le due Camere, largamente proporzionale, omogeneo.
Un sistema pronto per il voto. “Suscettibile”, scrive la Corte.
Ma c’è un altro punto della sentenza che fa contento Renzi e regala munizioni al ‘partito del voto anticipato’. Vale a dire: i capilista bloccati.
La Consulta non li ha eliminati. Ha solo deciso che chi è candidato in più collegi non potrà decidere dove essere eletto a sua discrezione. Sarà un sorteggio a stabilirlo.
Ma i capilista bloccati sono per Renzi la garanzia di poter governare le correnti.
E’ il segretario a deciderli. Saranno materia di contrattazione con le varie aree del partito. Voto subito in cambio di 20-25 capilista, per fare un esempio.
I capi-corrente di maggioranza — da Franceschini a Orlando — dovranno trattare su questo, è lo schema renziano.
“Per noi bisogna andare a votare subito”, dice il capogruppo Pd alla Camera, Ettore Rosato. “La legge così come modificata dalla Corte è immediatamente applicabile perchè si tutela ‘il principio costituzionale di dare la possibilità al presidente della Repubblica di sciogliere le Camere’ quando fosse necessario”.
La legge è “omogenea ed è subito applicabile”, rincara il vicesegretario Lorenzo Guerini.
I renziani mostrano una baldanza che non si vedeva da prima del referendum costituzionale. Renzi pensa di riunire la direzione del Pd per tirare le fila delle nuove parole d’ordine alla luce delle decisioni della Consulta.
Ora l’obiettivo è: se il Parlamento non decide per il Mattarellum, votato da tutta l’assemblea Dem a dicembre, allora meglio andare al voto a giugno. E’ un estremo tentativo o una finta per dar mostra di tener fede alla parola data. “Una verifica rapida”, la definisce Fiano. Ma Renzi vede già le urne e fa affidamento sul fatto che dal Colle non gli arriveranno ostacoli.
Ma qual è l’atto che porterà il presidente della Repubblica a sciogliere le Camere?
Il Pd renziano dice che è una questione di formalità . Varie le ipotesi allo studio: dimissioni di Paolo Gentiloni per esaurito compito della legislatura. Un po’ come fece Mario Monti alla fine del 2012. Meno quotata l’opzione secondo cui il Pd a un certo punto ritiri il suo appoggio al governo. Renzi immagina un percorso di comune accordo: almeno nella maggioranza del suo partito.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Renzi | Commenta »
Gennaio 25th, 2017 Riccardo Fucile
UNA POLITICA INCAPACE DI DECLINARLO IN MODO APPENA GUARDABILE
Il maggioritario muore di tradimento, e non da parte della Consulta ma di una politica incapace di declinarlo in modo appena appena costituzionale e guardabile.
La Corte infatti ci riporta al proporzionale come scelta obbligata, dovuta alla necessità di non poter ammettere un maggioritario sciatto e arruffato dove anche con tre voti ci si aggiudica il cinquantacinque per cento dei seggi.
Lo aveva fatto in modo grossolano il Porcellum, e lo ha fatto poi in modo ugualmente grottesco l’Italicum.
Si era provato a segnalarlo sin dall’inizio ma la sordità di governo e di una tetragona e servizievole maggioranza fu totale.
Che dovesse finire così lo si sapeva quindi dal giorno in cui con la forzatura del super-canguro (ve lo ricordate l’ineffabile senatore Esposito?) fu approvata una legge che bellamente ignorava quel che la Corte costituzionale aveva appena detto sul Porcellum.
Perchè come era stato facile prevedere anche ieri su queste colonne, se c’è una cosa certa è che la Consulta (come tutte le Corti costituzionali) dà continuità alle proprie recenti e motivate pronunce.
Ma le mani un po’ saccenti che scrissero l’Italicum, non vollero nemmeno leggere quella sentenza pur fresca di stampa, nè tanto meno capirla nei suoi inequivocabili principi. E consiglieri sempre troppo ossequiosi in attesa di ricompense, omettevano di segnalarlo.
Non c’è nessun vincolo costituzionale a fare una legge elettorale proporzionale, aveva detto e ripetuto la Corte, aggiungendo pure che la governabilità è senz’altro un valore non inferiore a quello della rappresentanza; ma aveva aggiunto la correzione maggioritaria non può essere fatta completamente a casaccio come anche un bambino rileverebbe.
E allora se è all’evidenza necessario stabilire un quorum di voti minimi per prendere il premio, non è che se poi fai due turni sempre senza quorum hai risolto granchè. Piuttosto sei ricaduto nello stesso medesimo pasticcio. Lo dicemmo, invocammo pronte correzioni approfittando del tempo a disposizione; ma fu come urlare nel deserto.
La cosa era così grossolana che se mai ci avrebbe dovuto pensare la Presidenza della Repubblica.
E però Napolitano ne fu persino fautore senza farne mistero; mentre al momento del varo Mattarella era troppo fresco di nomina (pochi giorni) per esordire con un clamoroso rinvio alle Camere di una norma che, in una generale corrività , veniva sbandierata come la “migliore del mondo” e che ci verrà “copiata dagli altri paesi” (sic!). Pensa che fregatura avrebbe preso se lo avessero fatto.
Così maggioritario e governabilità muoiono di tradimento da sciatteria (e buona dose di arroganza) da parte degli stessi che se ne dicevano assertori.
Mentre la Consulta non ne è in alcun modo preconcetta avversaria, come anche ieri ha dimostrato validando la soglia e il premio del primo turno, pur ancorati ad una soglia (del 40%) ben al di sotto di quella a suo tempo stabilita da una legge bollata come “truffa”.
Sicchè ora teoricamente tutte le strade sarebbero aperte e pienamente costituzionali anche quella di una legge maggioritaria purchè minimamente ben fatta su base nazionale o di collegio come fu il Matarellum.
Nè ha senso dire che non attaglierebbe al tripolarismo quanto è proprio la frammentazione a suggerire leggi maggioritarie, purchè dignitosamente congegnate.
Ma ovviamente è illusorio che lo facciano; allora non resta che lasciare l’impianto che la Consulta è stata costretta a ritagliare, però con la necessaria accortezza che si dovrebbe avere, di ridurre collegi enormi (al Senato sono persino regionali) che in combinato con le appiccicose preferenze ci danno una legge obbligata per la Corte ma ben brutta per gli elettori.
Sarebbe inoltre l’occasione per superare l’ulteriore pasticcio dei capilista bloccati e la mortificazione del sorteggio che pure i giudici hanno dovuto imporre.
La correzione uninominale quindi, fermo il residuato impianto proporzionale, è il minimo che si possa pretendere dopo tanto tempo così assurdamente perduto.
Almeno questo lo avremo?
Gianluigi Pellegrino
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Parlamento | Commenta »
Gennaio 25th, 2017 Riccardo Fucile
PROPORZIONALE PURO A PALAZZO MADAMA, CON UNA SOGLIA SU BASE REGIONALE DELL’8% PER COALIZIONI O I PARTITI CHE CORRONO DA SOLI… A MONTECITORIO PREMIO ALLA SINGOLA LISTA CHE SUPERA IL 40%
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale Camera e Senato si ritrovano con un sistema elettorale che diverge su più punti.
A Montecitorio è immediatamente applicabile, come non poteva non essere, mentre quello di Palazzo Madama è lo stesso uscito dalla precedente sentenza della Consulta (n 1 del 2014), chiamato nel linguaggio giornalistico Consultellum proprio perchè scritto dai 15 giudici costituzionali.
Quella sentenza dichiarò illegittimi alcuni punti del Porcellum lasciandone in vita altri.
Il Parlamento ha poi approvato nel maggio 2015 una nuova legge elettorale per la sola Camera (l’Italicum), da cui la Corte ha oggi espunto il ballottaggio.
Ecco i due sistemi che sono oggi in vigore.
Senato
Sistema proporzionale puro, con una soglia su base regionale dell’8% per le coalizioni o i partiti che corrono da soli, e del 3% per i partiti all’interno delle coalizioni. È prevista la preferenza unica. Ogni collegio ha ampiezza regionale, anche nelle Regioni più popolose (Lombardia, Campania, Lazio, Sicilia, ecc) il che rende difficile e onerosa la caccia alle preferenze.
Camera
È un sistema proporzionale ma con un premio alla singola lista che supera il 40% (il premio non scatta per le coalizioni). In caso di mancato raggiungimento di questa soglia, si passa al riparto proporzionale tra tutti i partiti che hanno superato il 3%.
Una volta stabiliti quanti deputati spettano complessivamente a ciascuna lista, attraverso un complicato algoritmo i numeri vengono proiettati su 100 collegi plurinominali, in ciascuno dei quali vengono eletti tra i 5 e i 7 candidati.
In ogni collegio i partiti presentano dei listini di 5-7 nomi: il primo candidato è bloccato (viene cioè eletto automaticamente se per quel partito scatta il seggio), mentre per gli altri c’è la preferenza.
L’elettore ha a disposizione due preferenze, ma solo se vota un uomo e una donna, altrimenti si deve accontentare di una sola preferenza.
Ci si può candidare come capolista in più collegi (fino a dieci). Se si viene eletti in più di un collegio, verrà tirato a sorte quello in cui il candidato viene dichiarato eletto.
Omogeneità
Alcuni sostengono che i due sistemi non sono omogenei — come ha chiesto il presidente Mattarella — perchè per il Senato è un proporzionale puro, mentre per la Camera viene reso maggioritario attraverso il premio.
Inoltre per il Senato sono previste le coalizioni, cosa non previste nel sistema della Camera (anche se una lista può essere composta da più partiti che si presentano insieme sotto un unico simbolo, come fu per l’Ulivo, rinunciando al proprio). Altri sottolineano invece che entrambi hanno un impianto proporzionale, e che al premio della Camera corrisponde in Senato la soglia dell’8%.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Parlamento | Commenta »
Gennaio 25th, 2017 Riccardo Fucile
“LEGGE GIA’ APPLICABILE”
Italicum, la Consulta boccia il ballottaggio e salva il premio di maggioranza. No anche ai capilista bloccati e alle pluricandidature.
Sul premio di maggioranza, dunque, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità . Sono le attese decisioni dei giudici della Corte Costituzionale.
Che, aggiungono, con questa sentenza “la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”. Si potrebbe, dunque, votare subito.
Quindi il premio di maggioranza per il partito che ottiene il 40% dei voti è legittimo.
I rilievi eraqno contenuti in cinque ordinanze giunte dai tribunali di Messina, Torino, Perugia, Genova e Trieste. A promuovere i ricorsi un pool di avvocati: tra loro Felice Besostri, che fu già al centro dell’azione contro il Porcellum (video), poi dichiarato incostituzionale nel 2014. Giudice relatore è Nicolò Zanon. Fra le parti, figura il Codacons rappresentato dal suo presidente Carlo Rienzi. A difesa della legge impugnata, l’Avvocatura dello Stato con Vincenzo Nunziata, in rappresentanza della Presidenza del consiglio dei ministri.
(da agenzie)
argomento: Parlamento | Commenta »
Gennaio 25th, 2017 Riccardo Fucile
HA SALUTATO CON UN SMS I MEMBRI DELLA VECCHIA SEGRETERIA ANNUNCIANDO DI FATTO LA NUOVA SQUADRA
Matteo Renzi riparte con un blog. «Il futuro, prima o poi, torna», è lo scritto con cui spiega di rimettersi in cammino con un blog «non pensato per i reduci» ma per «camminare verso il futuro» aprendo a discussioni su Ue ma anche sul centrosinistra. «La sconfitta al referendum – ammette Renzi – ci ha fatto male. Con le riforme, volevamo un paese più semplice e più forte: è andata male. Volevo tagliare centinaia di poltrone e alla fine l’unica che è saltata è stata la mia. Ma anche quella sconfitta appartiene al passato».
Renzi lancia il primo tema di discussione sull’Unione europea.
«A cosa servono – si chiede l’ex premier – le istituzioni europee in un’era che i commentatori immaginano dominata dal rapporto Trump-Putin (tutto da verificare, peraltro)? A cosa serve l’idea dell’Europa nata a Ventotene? A inviare letterine ridicole per chiedere assurde correzioni sul deficit, come quelle che ci hanno inviato senza risultati per tre anni? Davanti a 45mila scosse di terremoto e all’inadempienza dell’Unione Europea sugli immigrati, come rispondiamo non alle regole -che rispettiamo- ma alle miopi interpretazioni delle regole fatte da qualche euro burocrate?».
L’ex premier, poi, guarda avanti. E saluta la vecchia squadra con un messaggio di poche righe. «Grazie per quanto avete fatto per il Pd».
Secondo quanto apprende l’Agi, Renzi ha salutato così i membri della segreteria del Nazareno annunciando di fatto la nuova squadra. «Riorganizzeremo il partito», dice il segretario, «continueremo a combattere insieme».
È quindi imminente l’annuncio del prossimo team, «anche se – spiega uno dei big del Nazareno – dal messaggio non si capisce se cambia tutta la squadra o soltanto alcuni membri». L’sms comunque è stato inviato a tutti i componenti della segreteria.
Renzi intanto attende il pronunciamento della Consulta sulle modifiche all’Italicum. Qualora le previsioni dovessero essere rispettate, una delle strade sarebbe quella di cercare di armonizzare le due leggi esistenti con un provvedimento, magari anche un decreto.
Il Pd punta sul Mattarellum ma qualora il tentativo di trovare un’intesa non si concretizzasse, in presenza di una sentenza della Consulta “auto-applicativa”, si potrebbe – osservano fonti parlamentari dem – andare a votare anche con le due leggi esistenti, ovvero l’Italicum per la Camera e il Consultellum al Senato.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Renzi | Commenta »
Gennaio 25th, 2017 Riccardo Fucile
RIVOLTA NEL PD CONTRO LE VOCE DI UN BARATTO: SCAMBIO DI FAVORI CON LA LEGGE ELETTORALE TRA PD E LEGA?
“Se un partito di sinistra, il Pd, il mio partito, contrabbandasse una legge di civiltà come lo “ius soli” con un accordo sulla legge elettorale, quella sarebbe una delle ragioni per abbandonare quel partito”.
Gianni Cuperlo, leader della sinistra interna, esprime il disagio che cresce tra i democratici.
Il rischio che la riforma della cittadinanza ai nuovi italiani finisca nella palude, in cambio di un assist della Lega sulla legge elettorale per andare alle elezioni a giugno, agita il Pd.
E la rivolta non è solo della minoranza dem contro la realpolitik renziana, ma si allarga dentro il partito.
Sarebbe un “pactum sceleris”, un patto scellerato: lo definisce Roberto Cociancich, senatore renzianissimo, che ha guidato il comitato per il Sì al referendum costituzionale. “Lo stesso Matteo ha sempre detto che la riforma della cittadinanza era insieme con quella sulle unioni civili, uno dei provvedimenti che dà dignità a questa legislatura. Una legge elettorale non sta sullo stesso piano di una legge di civiltà come questa”.
Il Pd ha ritenuto la cittadinanza ai bambini nati in Italia figli di immigrati, uno spartiacque di modernità e di diritti.
Così da archiviare lo “ius sanguinis”, la cittadinanza italiana per diritto di sangue. Pierluigi Bersani, l’ex segretario del Partito democratico, ne aveva fatto il cavallo di battaglia della sua campagna elettorale.
Adesso lo ricorda: “Alla domanda su cosa avrei fatto per prima cosa se fossi andato a Palazzo Chigi, io rispondevo: “Se tocca a me si comincia dal primo giorno a chiamare italiani i figli di immigrati che studiano qui e che oggi non sono nè italiani, nè immigrati”.
Avverte: “Questo è l’impegno che avevamo preso con gli elettori”. Dal quale non si può derogare. Del resto era stato riconfermato da Enrico Letta diventando premier (“Sarà un provvedimento dei primi 100 giorni del mio governo”) e rilanciato da Renzi.
E ora? Ieri nell’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali del Senato il dossier “ius soli” è stato aperto da Doris Lo Moro.
Relatrice della riforma, capogruppo in commissione, Lo Moro ex magistrata, dice di essere determinata: “Porterò a casa la legge sulla cittadinanza a tutti i costi. I lavori vanno velocizzati”.
Ammette che sì, “in questi giorni si sente che c’è qualcosa che non va. Credo sia collegato alla sentenza della Consulta e alle sue conseguenze: se si va al voto prima dell’estate o meno. Comunque non mi sembra credibile l’ipotesi di voto anticipato con tutti i problemi sul tavolo. E con la Lega non abbiamo nulla che ci accomuni, non vedo neppure affinità sulla legge elettorale”.
Capitolo Lega. Roberto Calderoli, leader del Carroccio e vice presidente del Senato, è convinto che la riforma della cittadinanza non vada più da nessuna parte.
“Se approda in aula presenterò non gli 8 mila emendamenti già depositati in commissione, ma milioni. Faremo su questo la campagna elettorale”.
Per novecentomila ragazzi, italiani di fatto, nati, cresciuti in Italia, la speranza è appesa al filo della politica. La commissione Affari costituzionali al Senato è senza presidente, perchè Anna Finocchiaro, che la guidava, è diventata ministra dei Rapporti con il Parlamento.
Anche questo non aiuta a portare avanti i provvedimenti. Salvo Torrisi, alfaniano, in queste settimane presidente temporaneo, commenta: “Il tema è la durata della legislatura. Se si va a votare a giugno, sarà molto difficile approvare una riforma così divisiva”.
Il 13 ottobre del 2015 la Camera dei deputati ha dato il primo via libera allo “iu soli”, dopo un decennio di annunci bloccati. La comunità di Sant’Egidio aveva presentato una proposta di legge nel 2004.
Al Senato la riforma della cittadinanza si è impantanata. Partecipando al convegno organizzato da Emma Bonino sull’immigrazione, il presidente Pietro Grasso ha assicurato il suo impegno: “È una priorità “.
Il sondaggio
E’ favorevole a dare la cittadinanza italiana ai figli di immigrati nato in Italia il 73% degli italian. La apparente sorpresa è che l’elettorato di centodestra a maggioranza è anch’esso favorevole, dimostrando maggiore lucidità dei vertici dei loro partiti di riferimento. Il 70% di elettori di Forza Italia e il 53% di chi vota Lega è favorevole.
Percentuale che sale rispettivamente all’82% e al 67% di favorevoli nei due partiti a concedere che votino alle elezioni politiche e amministrative.
Con buona pace di Calderoli e dei suoi emendamenti che servono solo a lui per dimostrare che respira aria dal naso.
(da agenzie)
argomento: Diritti civili | Commenta »
Gennaio 25th, 2017 Riccardo Fucile
UNA LEGGE ANTIQUATA E UNA BUROCRAZIA ASSURDA IMPEDISCONO L’INTEGRAZIONE DI CHI DA ANNI IN ITALIA RISIEDE E LAVORA
Sarà perchè è nata a Roma diciotto anni fa e nella capitale ha sempre vissuto, ma Cristina ci teneva tanto a diventare cittadina italiana.
Eppure, al momento giusto, non le sono bastati i 18 anni e i – tanti – documenti in regola. C’è voluto molto di più.
Nonostante Cristina sia una persona “fragile” che la sociologia definirebbe “a rischio di discriminazione multipla”: è disabile, Rom e donna.
Così, quando con i genitori – nati anche loro in Italia anche se non cittadini – e i suoi amici di Sant’Egidio si è recata negli uffici comunali per ottenere, secondo la legge, ciò che era suo diritto, è iniziato un altro percorso a ostacoli.
“La norma prevede che la persona esprima la volontà di diventare cittadina”, è stato obiettato. Cristina non parla, ma fa capire bene ai genitori i suoi bisogni primari. Ha persino una “scheda” su cui indicare il sì e il no (come se non bastasse il sorriso largamente espressivo con cui accoglie gli amici e fa capire cosa le piace).
Ma neanche questo è sufficiente: non è previsto da leggi e regolamenti, gli impiegati sono in imbarazzo, rinviano, chiedono certificazioni, rimandano.
Quando, con il padre, raccontiamo la sua storia in giro, le persone si stupiscono: “Ma perchè non è già italiana?”. E ancora: “Nata in Italia, figlia di genitori nati in Italia, e non le danno la cittadinanza?”.
Lo stupore è legittimo, perchè generalmente il sentimento delle persone sull’argomento è di grande buon senso e supera la legge: i figli di famiglie straniere “lungoresidenti” (cioè che vivono da molti anni in Italia) e nati in Italia, sono considerati ormai da tutti cittadini italiani, anche se per la legge non lo sono: bisogna fare domanda a 18 anni. È così che “funziona” ancora oggi in Italia.
Dopo diversi tentativi – compresa l’esibizione della “tabella” per dimostrare il modo con cui si esprime la ragazza – si riesce finalmente a ottenere una ricevuta con numero di protocollo dall’ufficio, con oggetto “valutazione documentazione legge 91/92 art. 4 comma 2”.
Sembra una piccola vittoria, ma poco dopo arriva la doccia gelata: l’ufficio di stato civile non intende accettare l’istanza dell’interessata.
Non resta che una via: il papà deve diventare amministratore di sostegno e chiedere la cittadinanza per lei. Peccato che i tempi del tribunale sono molto lunghi e si rischia di superare il 19° anno di età di Cristina, dopo il quale si perde il diritto alla cittadinanza.
Si pensa quindi a un ultimo tentativo: un’istanza urgente al giudice tutelare.
Il papà va in Tribunale, incontra un giudice sensibile che si prende a cuore la questione e che, in un tempo breve, decide di nominarlo amministratore di sostegno di sua figlia. Così, presenta subito la domanda e Cristina diviene italiana: senza alcuna solennità , come una pratica evasa…
Con la famiglia e gli amici Cristina ha fatto una grande festa mostrando i suoi sorrisi migliori. Vale la pena di raccontare la sua storia, perchè quando trionfa il buonsenso e si affermano i diritti – soprattutto dei più deboli – è una vittoria per tutta la società .
Ed è la sconfitta di una legge antiquata, ingiusta e pericolosa perchè nemica dell’integrazione di migliaia di persone che da anni in Italia risiedono e lavorano senza esserne cittadini.
Paolo Ciani
Comunità di Sant’Egidio
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Diritti civili | Commenta »
Gennaio 25th, 2017 Riccardo Fucile
IN DUE ANNI HA DATO IL COLPO DI GRAZIA ALLA LEGA: DOPO I 71 LICENZIATI DUE ANNI FA, ORA GLI ULTIMI 24… “ELEVATI COSTI DI GESTIONE” IL MOTIVO: CERTO, CON QUELLO CHE COSTA SALVINI AL PARTITO
La comunicazione è stata ufficializzata via fax ieri alle 16,56: la Lega Nord mette in mobilità (brutalmente: licenzia) i 24 dipendenti del partito che si erano salvati dai primi esuberi del 2014.
Allora furono 71 quelli lasciati a casa, ma adesso è davvero la fine del vecchio partito così com’era sempre stato: in via Bellerio e nelle altre strutture del Carroccio non ci sarà più neanche un funzionario stipendiato dalla casa madre.
Come vuole la legge, le imprese (in questo caso la Lega) devono comunicare a Cgil, Cisl e Uil le proprie intenzioni in fatto di procedure di messa in mobilità .
A firmare l’atto inviato alle organizzazioni sindacali non è però il segretario Matteo Salvini, ma il tesoriere Giulio Centemero.
“Il cambio del sistema di finanziamento ha comportato anche per la Lega una improvvisa e drastica riduzione delle risorse economiche e finanziarie”, spiega la missiva. “Fattori che hanno richiesto drastici interventi di ristrutturazione”.
Il tesoriere parla di una “grave crisi” economica della Lega, dovuta agli “elevati costi di gestione” che però non sono supportati da “adeguati ricavi”.
Passati dai 3,5 milioni del 2015 ai 2,2 del 2016. Mentre i costi si attestano sui 3 milioni annui.
Quindi ecco la mobilità per i 22 dipendenti e i due quadri ancora in forza al partito.
Sedici di loro sono in servizio presso la storica sede di via Bellerio (cinque sono classificati come “autisti”).
Sede già lontana parente di quella dei fasti bossiani: la mensa fu chiusa tre anni fa e altri interi uffici sono stati dismessi successivamente.
Ora l’atto finale di una vicenda che si intreccia con la chiusura dei rubinetti del finanziamento pubblico da una parte e alla cattiva gestione del patrimonio della Lega durante gli anni della malattia di Umberto Bossi (a Genova è ancora in corso il processo contro l’ex tesoriere Francesco Belsito).
Mentre per Salvini, che da anni nei suoi comizi e nelle uscite pubbliche oltre all’immigrazione tocca sempre il tema del lavoro (che manca), il nuovo e definitivo licenziamento dei propri dipendenti sarà giocoforza un nuovo e sicuro danno di immagine.
“Già nel 2014 la Lega aveva promesso e non mantenuto l’impegno a ricollocare i lavoratori – dice Andrea Montagni della Filcams Cgil – e nel corso della mia esperienza sindacale solo il Carroccio e Forza Italia non si sono mai preoccupati del destino dei propri ex dipendenti. Persino la vecchia Democrazia proletaria si impegnò per trovare una sistemazione. Comunque sia, la Lega che a parole difende i lavoratori poi abbandona i suoi”.
(da agenzie)
argomento: LegaNord | Commenta »