Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile
ALBERTO SARRA AI GIUDICI: “SCOPELLITI AVEVA RAPPORTI CON IL CLAN DE STEFANO”
“Mi viene da piangere … io sono stato utilizzato”. Inizia così lo sfogo di Alberto Sarra, l’ex sottosegretario della Regione Calabria arrestato dai carabinieri del Ros a luglio nell’inchiesta “Mamma Santissima” coordinata dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo.
Per la Procura, l’ex consigliere regionale di Alleanza Nazionale (oggi accusato di associazione mafiosa) era uno dei componenti “riservati” della ‘ndrangheta, quella cupola di “invisibili” gestita da decenni dall’avvocato Paolo Romeo, ex parlamentare del Psdi ritenuto la testa pensante delle cosche.
Per due volte, il 22 luglio e il 2 agosto 2016, Sarra si è trovato davanti al pm nella sala colloqui del carcere di Arghillà .
I due verbali sono stati inseriti nei faldoni del processo “Gotha” per il quale, a fine dicembre, la procura ha notificato 72 avvisi di conclusione indagini.
Quella di Sarra non può tecnicamente definirsi una collaborazione con la giustizia. Tuttavia ai magistrati dice di voler raccontare tutto quello che sa per chiarire la sua posizione e soprattutto quello che il sostituto della Dda Giuseppe Lombardo definisce il sistema dei “pesi e dei contrappesi”.
Un sistema che ha consentito a Giuseppe Scopelliti (indagato per reato connesso) di essere eletto prima sindaco di Reggio e poi governatore della Calabria.
“Senza Sarra non sarebbe esistito Scopelliti. — è la premessa del pm Lombardo — Per valorizzare uno ‘gestibile’ come Scopelliti era necessario anche uno ingestibile come Alberto Sarra”.
“Io sono stato utilizzato fino in fondo — spiega l’ex sottosegretario — io sono uno che era nel cuore della gente”. Nel primo interrogatorio, Sarra ripercorre la sua carriera politica che si è rivelata fondamentale per consentire a Paolo Romeo e alla sua cricca di plasmare personaggi come Giuseppe Scopelliti.
Nel secondo interrogatorio, però, inizia a fare un po’ di nomi e a riscontrare quanto i carabinieri del Ros avevano già scoperto con l’inchiesta “Mamma Santissima”.
“SCOPELLITI AVEVA IL RAPPORTO CON I DE STEFANO”. ROMEO E IL “MONDO DEVIATO”
“Io — racconta Sarra — avevo il rapporto con Fiume (il pentito ex killer delle cosche di Archi) e Scopelliti aveva il rapporto con i De Stefano. Io da giovane entro alla Provincia. I rapporti che vedo inizialmente con Romeo (Paolo) partono anche con Pirilli (Umberto Pirilli, ex presidente della Provincia di Reggio ed ex parlamentare europeo, ndr). Pirilli e Romeo avevano una base comune che veniva da un certo mondo della destra”.
“Vediamo chi vince! Poi ci spostiamo dalla parte…” era la regola all’interno dello studio Romeo frequentato dall’avvocato Giorgio De Stefano (l’altra testa pensante della ‘ndrangheta) ma anche da sottosegretari, parlamentari ed esponenti politici locali.
“Che lui (Paolo Romeo, ndr) — aggiunge Sarra — abbia i rapporti con tutte queste persone, che sono rapporti sui quali lui incide, io questo lo posso testimoniare perchè ero alla Provincia e lui aveva rapporti con Pirilli e aveva degli spazi all’interno dell’amministrazione provinciale. Che lui avesse dei rapporti con Valentino (l’ex sottosegretario alla Giustizia, ndr), io lo posso testimoniare perchè mi risulta ed erano i rapporti anche in cui lui gli indicava, incideva, esprimeva, dava indicazioni. Paolo Romeo è l’anello di congiunzione tra un mondo deviato. Il mondo che è vicino a Romeo non parla bene di lui”.
LA CANDIDATURA DI PIRILLI ALLE EUROPEE DEL 2004. “È STATA FATTA UN’ABBINATA A LIVELLO NAZIONALE”
Umberto Pirilli, Giuseppe Valentino e Paolo Romeo. È questo il triangolo che, secondo Sarra, ha portato alla candidatura del primo alle europee del 2004 quando fu impedito a Scopelliti di lasciare Reggio per un seggio più “comodo” a Bruxelles.
“Le voglio dare ragione su questo. — dice Sarra — La candidatura di Pirili è una cosa che non è così scontata. Passa da una scelta che non è locale. Il problema è che viene fatta un’abbinata a livello nazionale. Pirilli non vince in Calabria. Tanto per essere chiari. Pirilli vince in Campania, dove prende oltre 10.000 voti”.
La sua elezione, per Sarra, “è una cosa ancora più grossa. È il risultato dell’accordo tra la componente di Matteoli e quella di Alemanno e Storace. Che era la cosiddetta ‘destra sociale’”. Ma anche quest’accordo sarebbe stato il frutto di decisioni prese nello studio di Paolo Romeo.
È lui che “ha fatto pressione su … Valentino che a sua volta ha fatto pressione su Fini per la candidatura di Pirilli”.
È proprio la figura di Fini che risulta incomprensibile al pm Lombardo: “È mai possibile —si domanda il magistrato — che Gianfranco Fini non si rende conto che se gli uomini suoi, su Reggio Calabria entrano ed escono dallo studio di Paolo Romeo qualche giorno finisce nei guai pure lui!”. “Ma andava Valentino! — è la risposta di Sarra — Valentino aveva il rapporto con Fini diretto allora!”.
ANTONIO CARIDI E I FONDI COMUNITARI
L’ex sottosegretario parla anche del senatore Antonio Caridi (anche lui arrestato nella stessa indagine): “Il suo rapporto con Scopelliti è un rapporto risalente nel tempo ed è un rapporto che non ha subito momenti di flessione nè soluzione di continuità . A mio parere non è stato casuale che il Caridi sia stato individuato quale assessore alle Attività Produttive. A tal proposito la invito ad analizzare i progetti legati alla gestione dei fondi comunitari per capire chi è stato avvantaggiato dal Caridi e dalla Fincalabra (la società in house attraverso cui la Regione Calabria gestisce i finanziamenti europei)”.
FRANCO ZOCCALI, IL “RICHELIEU” DI SCOPELLITI
Se Caridi era legato all’ex governatore della Calabria, l’avvocato Franco Zoccali lo era ancora di più. Il nome dell’ex capo di gabinetto di Scopelliti compare nel verbale di Sarra.
Nominato negli anni Novanta assessore provinciale “in quota Romeo”, Zoccali “è la figura fondamentale — dice — in un contesto perchè è quello che fa da collegamento… sia politico che altro. Dal punto di vista elettorale non era uno che aveva grande… cioè non entrava nel cuore della gente. In fondo loro sono stati sempre complementari da questo punto di vista… Scopelliti capace di attrarre grandi consensi… Zoccali era… lo chiamavano Richelieu”.
I MILIONI DI EURO DEL DECRETO REGGIO E LE MINACCE AL SINDACO RAFFA
Nel 2010, Scopelliti diventa governatore della Calabria lasciando il Comune di Reggio nelle mani del sindaco facente funzioni Giuseppe Raffa (Forza Italia). Ma a Palazzo San Giorgio, Scopelliti deve lasciare anche il ruolo di commissario straordinario del Decreto Reggio.
È a questo punto del verbale che, più delle risposte di Sarra, sono illuminanti le considerazioni del pm Giuseppe Lombardo: “Raffa rimane sindaco facente funzione, ci racconta che gli si presenta un soggetto per nome e per conto di Scopelliti e gli dice firma ‘questa missiva e rinuncia al ruolo del Sindaco come Commissario Straordinario del Decreto Reggio, perchè non c’è scritto da nessuna parte che debba essere il sindaco e per una sorta di continuità amministrativa… è il caso che questo soggetto continui a essere Peppe Scopelliti”… Raffa non firma e viene da me a denunciare dicendomi ‘mi volevano costringere perchè per loro è fondamentale mantenere la gestione dei flussi finanziari che ruotano intorno al Decreto Reggio che continuava in quel periodo ad essere foraggiato mi pare con 14 milioni all’anno’”.
Quell’uomo, stando a quanto emerso dall’interrogatorio, era Gianni Artuso, delegato per la gestione del Decreto Reggio ai tempi del sindaco Scopelliti.
Sarra ricostruisce i vari protagonisti del sistema che ruotano attorno allo studio di Paolo Romeo. Tolto quest’ultimo dal panorama politico reggino, figure come Giuseppe Scopelliti, Umberto Pirilli, Pietro Fuda (ex senatore di Forza Italia oggi sindaco di Siderno, ndr), Giuseppe Valentino e Antonio Caridi — dice Sarra — “non sarebbero esistite”.
Dalle carte depositate nel fascicolo del processo “Gotha” emerge che gli arresti di luglio sono solo l’inizio di un’inchiesta più ampia che mira a fare luce sui pupi e sui pupari di Reggio. Pupi e pupari che a volte si scambiano i ruoli e a volte non compaiono proprio.
Le certezze della Procura sono quelle scritte nelle informative del Ros e che riescono a intravedersi nei verbali di alcuni interrogatori come quello di Sarra. Ne viene fuori un Paolo Romeo e un Giorgio De Stefano che hanno sicuramente un “ruolo pesante”. “Dobbiamo capire che ruolo hanno avuto Valentino e Scopelliti” è la frase pronunciata dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo.
Una frase che ha il sapore più amaro di un avviso di garanzia
Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile
IL PREMIER TRUDEAU MANDA UN AVVERTIMENTO A TRUMP: “I MIGRANTI SONO UNA FONTE DI RICCHEZZA”
In attesa dell’insediamento di Donald Trump e di capire le sue prime mosse politiche concrete sui temi dell’immigrazione, il Canada rimarca con forza la sua politica dell’accoglienza, distantissima, almeno per ora, da quella del presidente eletto americano.
E lo fa con le dichiarazioni del suo premier, il liberale Justin Trudeau, e con una nomina significativa, frutto di un rimpasto di governo, che vede arrivare sulla poltrona di ministro dell’Immigrazione Ahmed Hussen, l’anti Trump per eccellenza.
Il 39enne di origine somala, sbarcato nel Paese da solo, da profugo nel 1993, all’età di 16 anni, dopo il lungo viaggio da Mogadiscio, ha vissuto tutta la penosa trafila dell’accoglienza e poi della richiesta di cittadinanza.
Entro il 2017, il Canada prevede di portare a 300.000 il numero degli immigrati, la maggioranza di loro accolti per motivi economici, dunque non rifugiati politici. Hussen, fuggito dalla Somalia devastata dalla guerra, fa il suo ingresso nel Parlamento di Ottawa, ma non vuole rimarcare con il senso del vittimismo le sue radici: «Io sono canadese, mi sento canadese. Il mio Paese è la mia eredità e sono fiero della mia eredità , non cambierò, ma la mia missione è dare il mio contributo al Canada».
E dire che, nel 2004, il Toronto Star, il quotidiano con la più alta diffusione in Canada, parlò di lui come «uno da tenere d’occhio», ma durante un’intervista il giovane e promettente studioso di legge disse: «Io non diventerò mai un politico, piuttosto voglio lavorare nelle retrovie».
Ora, quell’intervista è appesa nel suo studio.
L’immagine dei profughi, secondo le sue dichiarazioni, «deve pian piano cambiare, sono conscio di come la comunità dei migranti sia stigmatizzata, la percezione dovrà essere un’altra», fermo restando i problemi che rendono difficile l’integrazione, tra povertà e disagio dei giovani che arrivano nel Paese.
Giovani come lui, che ora è padre di tre figli, per molti anni ha vissuto con il fratello in case popolari, «e questo mi ha permesso di risparmiare i soldi per l’università », ha raccontato.
«I richiedenti asilo non sono criminali — ripete spesso -. Sono esseri umani che hanno bisogno di protezione e assistenza, sono meritevoli del nostro rispetto».
AVVISO A TRUMP
Il suo arrivo nel governo di Justin Trudeau potrebbe non essere una svolta solo di facciata.
Trudeau prende distanza dalla politica (per ora fatta di annunci, accusata di razzismo) di Trump e proprio ieri ha sferrato un attacco al presidente eletto, anche se non lo ha nominato direttamente.
Parlando dei rapporti tra Canada e Stati Uniti, il premier canadese ha assicurato che il suo Paese avrà un «rapporto costruttivo con la nuova amministrazione americana» ma, ha aggiunto secondo quanto riportato dalla Cnn, intervenendo al Comune di Belleville in Ontario, «ci sono questioni che ci stanno a cuore e che gli americani non hanno messo tra le loro priorità ».
Non mi tirerò mai indietro, ha spiegato Trudeau rispondendo ad una domanda su come l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca potrà influenzare i rapporti con Washington, «di fronte alla difese della cause in cui credo. Anche se dovrò urlare al mondo che l’immigrazione è una fonte di forza per il Canada e che i canadesi musulmani sono una parte essenziale del successo del nostro paese oggi e in futuro». Hussen sostituisce John McCallum, un veterano della politica che sta per diventare l’inviato del Canada in Cina, dopo il grande lavoro con il governo Trudeau, per portare nel Paese oltre 39.000 profughi siriani negli ultimi 13 mesi.
Letizia Tortello
(da “La Stampa”)
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Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile
“HA MANCATO AGLI IMPEGNI ASSUNTI”… ORLANDO: “DISPONIBILE AL DIALOGO”
È la prima volta che succede. Neanche quando era al governo Silvio Berlusconi l’Anm aveva disertato l’apertura dell’anno giudiziario.
Invece oggi l’associazione nazionale magistrati ha fatto sapere che non ci sarà nè alla cerimonia prevista il 26 gennaio, in Cassazione, quando invece terrà una conferenza stampa nella propri sede al Palazzaccio; nè parteciperà alle cerimonie, previste sabato 28, nelle corti d’Appello nel corso delle quali un rappresentante leggerà un documento.
Non c’entra la riforma penale, ma come stabilito il Comitato direttivo centrale il “mancato adempimento degli impegni politici assunti da parte del governo su pensioni e trasferimenti dei magistrati”.
Il cerimoniale dell’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione non prevede un intervento dei rappresentanti dell’Anm, ma i vertici dell’Associazione prendono posto nell’aula magna.
Negli anni passati, varie iniziative simboliche erano state prese invece nelle cerimonie nei distretti, ma non un’assenza.
Una decisione presa all’unanimità perchè “nel decreto milleproroghe approvato stamane il Governo non ha adottato alcun intervento correttivo al dl 168/2016 nè sul lato delle pensioni nè su quello del termine per la legittimazione ai trasferimenti, neanche per i magistrati più giovani”.
La prima conseguenza, fanno sapere da settimane le toghe che già il 29 dicembre avevano protestato, è che dal 31 dicembre “diversi colleghi saranno collocati a riposo, andando a peggiorare la drammatica carenza di organico, con la consapevolezza di essere stati discriminati e aver subito le conseguenze di un’inspiegabile norma che ha stabilito, in contrasto con la Costituzione e con la realtà dei vari Distretti, che alcuni uffici giudiziari sono più importanti di altri e che soffrono le difficoltà del sistema giudiziario più di altri. Non possiamo non sottolineare che la scelta di oggi dell’Esecutivo non ha tenuto per nulla in considerazione gli impegni politici assunti dal Governo e in modo ufficiale dal ministro della Giustizia”.
E Orlando due giorni dopo aveva risposto che sarebbero intervenuti sulla questione età pensionabile nel ddl penale.
Nodo del contendere, in particolare, la cosiddetta “norma Canzio”, voluta dall’ex governo Renzi nei mesi scorsi per ritardare i ritiro dal lavoro di 14 magistrati al vertice di Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti.
Un intervento giustificato dall’obiettivo di non creare a fine anno scoperture nei massimi uffici giudiziari del nostro ordinamento, ma che è stato letto dall’Anm come una discriminazione tra toghe. E che aveva provocato la reazione delle opposizioni in Parlamento e molti mal di pancia all’interno del Pd.
È stato anche già convocato un ulteriore comitato direttivo centrale per il 18 febbraio in cui valutare eventuali ulteriori iniziative prima della conversione in legge del Milleproroghe.
In mattinata quando il presidente dell’Anm Piercamillo Davigo aveva detto che il governo non aveva rispettato gli impegni e che l’associazione si preparava a reagire il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, aveva risposto: “Non posso che rispettare la discussione dell’Anm e ribadire la disponibilità al dialogo, il fatto che dal Milleproroghe non siano arrivate risposte non vuol dire che non devono arrivare: su alcune stiamo lavorando, su altre c’è una riflessione. Quando l’Anm vuole sono disponibile ad un confronto proprio per evitare che sull’inaugurazione degli anni giudiziari, che sono momenti importanti per tutta la giurisdizione e non per il governo, si scarichino tensioni che se è possibile vogliamo risolvere diversamente”.
Le trattative della giunta dell’Anm con ministro della Giustizia e presidente del Consiglio si erano tradotte in un impegno messo per iscritto di ricondurre l’età pensionabile, seppure in via transitoria, tutti i per magistrati a 72 anni e a riportare il vincolo di permanenza dei magistrati di prima nomina da quattro a tre anni.
Lo sciopero al momento non sembra una opzione. Davigo ha rivolto un appello all’unità : “Attenzione e non sacrificare in nome di un singolo gruppo l’interesse della magistratura. Voglio rivendicare i sacrifici che abbiamo fatto, io e il mio gruppo, in nome dell’unità ” ribadendo la contrarietà allo sciopero”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile
E LA RETE SE LA RIDE: “TE LI PAGO IO 20 EURO A SETTIMANA DI DOPOSCUOLA DI GRAMMATICA, MA TI PREGO BASTA !”
Un triplo flop da brividi. Luigi Di Maio, già protagonista di gaffe su “Pinochet in Venezuela” e sulla striscia di Gaza, cade tre volte in poche ore sul modo congiuntivo della lingua italiana.
Accade ieri sera, a breve distanza, due volte su Twitter e una su Facebook.
Tre tentativi, volenterosi, ma a vuoto, su una consecutio inerente il cyberspionaggio ai danni dei politici che sta tenendo banco in questi giorni.
Gli scivoloni non passano le forche caudine della rete.
In particolare, è @nonleggerlo su Twitter a enfatizzare gli errori del deputato M5s e a ironizzare sulla sua incauta grammatica.
Ecco allora, uno dietro l’altro, i due tweet e il post su Facebook in cui il vicepresidente della Camera solleva un interrogativo sul “livello di sicurezza” che si garantisce a imprese e cittadini.
“Spiano”, “venissero spiate” e “spiassero” sono i verbi usati da Di Maio.
Nessuno dei tre risulta corretto se inserito nella frase postata dall’onorevole. Prevedibile e quasi scontata nella sua portata la reazione del Web. Una valanga di commenti tra l’ironico e l’irritato che invade i social network.
“Non ci siamo ancora, ritenta e sarai più fortunato”, twitta â€@MariaElenaBozz1 al terzo tentativo dell’onorevole.
“Guarda, te li pago io 20 euro a settimana di doposcuola di grammatica. Ma ti prego basta!”, rincara @AnnaLeonardi1.
(da “Quotidiano.net”)
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Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile
I POST RAZZISTI FURONO SCOPERTI E DENUNCIATI DAGLI STUDENTI: “INCOMPATIBILE CON L’INSEGNAMENTO”… ERA GIA’ STATA SOSPESA PER AVER INSULTATO UN MERIDIONALE
È stata licenziata, infine, la professoressa Fiorenza Pontini.
L’insegnante d’inglese al liceo ‘Marco Polo’ di Venezia che sul proprio profilo Facebook pubblicava frasi di odio nei confronti dei migranti, “Speriamo che affoghino tutti… che non se ne salvi nessuno”.
Dei bambini dei miganti, “Bisogna eliminare i bambini dei mussulmani perchè tanto sono tutti delinquenti”. “Bruciateli vivi”. “Ammazzateli tutti”.
Erano stati i ragazzi delle sue classi e i nuovi colleghi a visitare la pagina virtuale a ottobre scorso.
A guardare i post sugli animali (“più buoni degli umani”), insulti a Matteo Renzi, alla moglie Agnese, al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. E soprattutto a Laura Boldrini (“Schifosa, puttana, troia”).
Questo le è costato il posto di lavoro. È stata licenziata dall’Ufficio scolastico regionale del Veneto prima di Natale. Ma Pontini, che ai tempi in cui i suoi studenti pubblicavano un video per discostarsi dal suo pensiero, non aveva commentato, “non prima di aver sentito il mio legale”, ha già presentato ricorso al Tar.
I suoi avvocati dovranno contestare l’incompatibilità tra il ruolo di educatrice e la gravità delle frasi razziste espresse, e il danno causato con questo comportamento al prestigio dell’istituzione scolastica.
Pontini, 59 anni, sposata, due figli, una lunga carriera d’insegnamento alle spalle, aveva pubblicato post feroci e xenofobi su Fb contro i migranti dei barconi che arrivavano sulle coste siciliane in estate.
Era arrivata al Marco Polo per il nuovo incarico a settembre. La segnalazione della preside all’Ufficio scolastico è stata poco dopo.
Così pochi giorni dopo il Miur ha reso noto che l’insegnante era già al centro di due procedimenti disciplinari avviati dall’Ufficio Scolastico regionale.
Non era la prima volta. In precedenza la stessa insegnante era stata sospesa due mesi quando, in un altra scuola veneziana, aveva insultato un meridionale.
A metà tra libertà di opinione, etica, social network e ruolo, la procura di Venezia aveva aperto un fascicolo nell’ipotesi di istigazione all’odio razziale.
Dal mondo politico, in modo trasversale, era partita la richiesta di linea dura nei confronti della prof veneziana.
I deputati Giulio Marcon e Celeste Costantino, di Sinistra Italiana, in un’interrogazione rivolta al ministro della Pubblica Istruzione, avevano chiesto se il ministro intendesse aprire un procedimento disciplinare.
Il ministro lo ha fatto e la conclusione è stata il licenziamento, valutando che quelle prese di posizione pubbliche non siano compatibili con i requisiti di base richiesti ad ogni educatore, qualsiasi materia insegni o qualsiasi idea personale egli abbia..
Ma oltre le reazioni generali, erano stati i suoi studenti a volersi esprimere. “Non ci riconosciamo in quelle affermazioni. Non ci rappresenta” avevano detto in un video .
(da agenzie)
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Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile
A GIUGNO LA SECONDA INCURSIONE DOPO L’ASSALTO AI SERVER DEL MINISTERO DELLA DIFESA … I MILITARI ITALIANI: “SIAMO RIUSCITI A RESPINGERLI”… SALVINI E MELONI, COME MAI STATE ZITTI?
A giugno dello scorso anno un collettivo di hacker, probabilmente russi, è entrato nei server dell’Aeronautica militare, gli stessi che conservano i segreti degli F35.
Dovrebbe trattarsi della stessa crew, Apt28, che dall’ottobre 2014 al maggio 2015, riuscì a rubare flussi di notizie riservate dai server del ministero della Difesa.
Gli stessi, probabilmente, che hanno hackerato il server del partito democratico durante le elezioni presidenziali americani e reso noti i nomi degli atleti occidentali che hanno gareggiato alle Olimpiadi di Rio con sostanze dopanti grazie a esenzioni terapeutiche.
“I vertici militari per fortuna – spiega il presidente della commissione Difesa al Senato, Nicola Latorre- ci assicurano che la parte più sensibile delle informazioni, quella classificata, non è stata toccata. Possiamo dire senza timore che il nostro livello di sicurezza ha tenuto impedendo un’offensiva che avrebbe potuto creare gravi conseguenze. Ma, proprio per questo, è evidente che i motivi di preoccupazione ci sono”.
Non a caso da mesi i migliori tecnici stanno lavorando per cercare di capire cosa è realmente accaduto. Qualcosa è possibile ricostruirlo.
Innanzitutto la mano: la modalità di attacco sembra proprio essere quella di Apt28, veloce, poche tracce lasciate, movimenti mirati.
Un tipo di professionalità che rende difficile prima individuare l’attacco e poi essere certi di cosa sia stato trafugato effettivamente dai server.
“Si sono fermati a un livello superficiale, quello della posta elettronica” assicura Latorre. E così diceva anche il 27 luglio Carmine Masiello, il consigliere militare del presidente del Consiglio dei ministri, in audizione alla commissione Difesa della Camera che ha condotto un’indagine sulla cybersicurezza.
A Masiello fu chiesto conto proprio della rivelazione di Repubblica del febbraio precedente, quando era stato raccontato dell’attacco ai server della Difesa. “Non è stato l’unico caso – mise a verbale il consigliere di Palazzo Chigi – Ce n’è stato un altro che ha interessato un’altra amministrazione. Ma sono state individuate le soluzioni per porre fine a questo attività : l’architettura funziona, quindi, perchè in due casi l’abbiamo testata e in entrambi i casi ha risposto come doveva”.
Dalle prime indagini sembrerebbe che l’attacco all’Aeronautica sia partito in realtà due anni prima, nel 2014 a Dubai, quando durante una fiera di settore furono presi di mira alcuni funzionari.
Furono cioè schedati, annotati i loro contatti e da quel momento creata una sorta di fidelizzazione: per un lungo periodo di tempo è stato loro inviato materiale informativo e pubblicitario di settore. Fin quando in una di quelle mail è stato nascosto lo spyware che ha consentito agli hacker di entrare nelle reti interne.
È chiaro che l’interesse sull’Italia nasce, principalmente, dal suo ruolo all’interno della Nato. Tant’è che attacchi simili, sempre probabilmente da Apt28, sono stati portati avanti in questi mesi parallelamente in più paesi (Francia, Belgio, Lussemburgo eccetera).
In più la nostra Aeronautica è parte del progetto americano di sviluppo degli F35, abbiamo cioè in casa parte dei segreti sull’aereo più avanzato del mondo.
L’Italia, in particolare, ospita l’unica catena di montaggio di questo tipo di aerei al di fuori degli Stati Uniti.
Un know how che fa gola a molti. “Ripetiamo: nessun dato sensibile è stato interessato” hanno continuato ad assicurare in queste ore dal ministero della Difesa.
Ma, in realtà , come sempre nei casi di cyber war è impossibile dire cosa è stato preso e cosa invece no. Un anno fa, al ministero della Difesa quando si prese contezza dell’attacco cibernetico spensero per qualche ore tutti i server, disattivarono l’intera rete informatica, proprio per evitare che dati sensibili potessero essere compromessi.
“Noi siamo tranquilli” ripete Latorre, finito tra l’altro nell’elenco dei possibili spiati da parte dei fratelli Occhionero. “L’Italia è solida ma servono investimenti importanti in materia di cybersicurezza. Non è un argomento che si può più rimandare. E soprattutto a questo punto, data anche l’inchiesta della procura di Roma, gli interventi non devono riguardare solo le infrastrutture della Difesa ma quelle dell’intero apparato istituzionale”.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile
I DUE CAMPIONI INSIEME A TORINO PER AIUTARE CHI VIVE AL FREDDO E IN POVERTA’… “MIA MADRE MI HA INSEGNATO AD AIUTARE I POVERI”… I POLITICI ITALIANI DEVONO AVER AVUTO MADRI DIVERSE
Cannelloni, lasagne, panini. Il tè caldo. La preghiera ai Santi Martiri e la cena nelle vaschette, cucinata prima di partire.
Alla Comunità di Sant’Egidio, tutto sommato, è una serata normale. I volontari restano concentrati: dai senzatetto bisogna arrivare presto, prima che vadano a dormire.
Sarà un giro come gli altri, come ogni settimana, come quelli che organizzano decine di associazioni in Italia. S
oltanto una foto ricordo alla fine: nel gruppo, stavolta, ci sono Paulo Dybala e Juan Manuel Iturbe.
La stella bianconera, l’ultimo colpo granata. Iturbe è appena sbarcato a Torino, ma si sa: quei due sono amici da un pezzo. E stavolta giocano insieme: contro il freddo, contro la povertà , contro l’imbarazzo di una fotografia.
Si presentano incappucciati, irriconoscibili: «Niente camera!».
Poi lentamente mollano i freni, si riesce a strappare uno scatto: «Può servire di esempio ai bambini e a tanti adulti che ci seguono — ammette Dybala – alla gente che passa sempre per strada e guarda queste persone ma non si ferma».
I calciatori portano le coperte, le borse con il cibo, salutano e offrono da mangiare ad una decina di senzatetto.
La Comunità sa dove trovarli: conoscono ogni barbone per nome, ogni storia. I giocatori guardano, ascoltano, chiedono.
Dybala sa come si mette una coperta a un anziano che dorme per terra. Iturbe sa avvicinarsi discreto a quella signora che ha fame. Certe cose non si improvvisano.
«Lo faccio spesso, quando non mi vede nessuno», racconta il granata.
«Mia madre mi ha insegnato ad aiutare i poveri — prosegue lo juventino — ho iniziato quando sono arrivato in Italia, a Palermo, quando non mi conosceva nessuno. Lo faccio anche adesso a Torino: esco e porto un pezzo di cioccolato, quello che ho in casa, vado con la mia fidanzata o con gli amici».
Per l’occasione è venuto con una bella squadra: «Noi argentini siamo così: dobbiamo sempre essere in compagnia».
I ragazzi sorridono, contenti: dopo il primo incontro — un signore allegro che abbraccia i “suoi” volontari — il clima si scioglie.
Fa freddo, un po’ meno: a Roma, Brescia, Genova, Milano e Torino la Croce Rossa e varie onlus locali stanno distribuendo migliaia di plaid donati da aziende e cittadini. Una campagna nata in sette giorni, dall’idea di un gruppo di amici diventata virale su Facebook: «Si gela, servono coperte, ci aiutate?».
È la solidarietà 2.0: fare in fretta, fare qualcosa (basta poco e ognuno può trovare la sua misura), fare e passare parola, a costo di rinunciare all’anonimato.
Perchè il bene è semplice: conta soltanto fare.
In più di un’ora nessun barbone riconosce la Joya e Iturbe. Tutti li ringraziano: per quella carezza, quel piatto caldo, quel tempo insieme.
Lucia Caretti
(da “La Stampa”)
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Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile
MANCA UNA TUTELA PER I DIRITTI DEGLI ADOLESCENTI, NEL 2016 NE SONO SBARCATI 25.000
Ragazzini soli che attraversano il mare, si presentano come minorenni, ma non hanno documenti per provarlo e devono essere sottoposti a esami medici per accertarne l’età . Avrebbero diritto a protezione e assistenza speciali, ma si ritrovano in un caos giuridico , in cui le norme mancano o, se ci sono, non proteggono tutti.
Molti, finiscono per errore tra gli adulti.
Accade tutti i giorni nei centri di accoglienza e nelle questure del nostro paese, dove i minori stranieri non accompagnati sbarcati nel 2016 sono stati 25mila, più del doppio rispetto all’anno precedente, il 14,2 per cento del totale.
Il problema è che un metodo scientifico sicuro per determinare l’età non c’è.
Quello più comune, basato sulla misura delle ossa del polso, ha un margine di errore di due anni. Una forbice spesso nemmeno indicata sui referti, che può cambiare il destino di ragazzini di 16 o 17 anni, destinati alle strutture per i maggiorenni.
Una situazione denunciata in un documento a firma di 27 organizzazioni in difesa dei migranti: in Italia, dicono, manca «una piena tutela dei diritti riconosciuti dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, dal diritto comunitario e dalla normativa interna».
Eppure, dal 6 gennaio 2017 è in vigore un regolamento, il n. 234/16, che definisce con precisione le pratiche per la determinazione dell’età dei minori vittime della tratta.
Per loro, si tratta in gran parte ragazzine sole e sfruttate, vengono introdotte fondamentali garanzie.
A partire dal fatto che l’esame di accertamento dell’età sia eseguito su disposizione di un giudice competente.
La visita deve essere condotta in una struttura sanitaria pubblica da un’equipe multidisciplinare, formata da pediatra, psicologo e mediatore culturale, tenendo conto di etnia e costumi.
Il margine di errore sarà sempre indicato e, in caso di dubbio, dovrà essere rispettata la presunzione della minore età .
Si tratta, per l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, di «un documento che disciplina finalmente in modo chiaro le procedure», ma che riguarda solo le vittime della tratta.
«In questa categoria rientrano molte bambine, ma quasi nessun maschio», denuncia Elena Rozza, consigliere di Asgi e consulente legale, «e restano gravi lacune per tutti coloro che non sono riconosciuti come vittime».
Questi rappresentano, in realtà , la quasi totalità dei ragazzini sbarcati. In molti casi perchè effettivamente non c’è stato alcun reato di tratta, ma solo un viaggio della disperazione in solitudine.
Un pasticcio che potrebbe essere risolto sbloccando la proposta di legge sulle “Disposizioni in materia di protezione dei minori stranieri non accompagnati”, che prevede regole per tutti, già approvata alla Camera, e ferma da ottobre in Commissione affari costituzionali al Senato. Il 9 gennaio le Onlus hanno scritto al presidente del Senato Pietro Grasso per chiederne l’approvazione in tempi brevi. Nell’attesa, le organizzazioni firmatarie dell’appello chiedono che le disposizioni previste del regolamento appena entrato in vigore siano applicate «in via analogica» a tutti i minori stranieri.
Simone Gorla
(da “La Stampa”)
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Gennaio 14th, 2017 Riccardo Fucile
UNDER 18 AMMASSATI IN 4 CENTRI DI ACCOGLIENZA…. DOVREBBERO RESTARE POCHI GIORNI, MA RIMANGONO PARCHEGGIATI PER MESI
Per centinaia di minori stranieri non accompagnati, lo Scatolone è la loro casa.
È una palestra di basket in lamiera, con gli spalti arrugginiti e i canestri, a pochi metri dallo stadio Oreste Granillo a Reggio Calabria.
I ragazzi l’hanno soprannominata Big Box. «Guardate con i vostri occhi come viviamo in questa scatola», dice Bengis, 16 anni, dal Senegal, «non è degno per un essere umano vivere così».
«Fa freddo, non c’è riscaldamento e ci sono solo tre docce per cento persone», lamenta un altro minore del Gambia.
Da fine luglio, i minorenni in fuga da Ghana, Senegal, Mali, Gambia, Nigeria, Bangladesh sono bloccati in questo centro di primissima accoglienza.
Dormono al freddo su brandine in tela marchiate ministero dell’Interno, con le poche coperte distribuite da alcuni volontari in pensione dell’Associazione Nazionale Carabinieri.
La Mamma, il Nonno e Carmelo — così come sono stati soprannominati — si recano tutti i giorni allo Scatolone dal 2 agosto scorso, per consegnare la colazione, il pranzo e la cena: un kit di pasti confezionati, uguale per tutti gli altri Msna (Minori Stranieri non accompagnati nel gergo legislativo) a Reggio Calabria, fornito dal bar Bart.
Non è prevista la scolarizzazione, nè altre attività per questi ragazzi, poichè si tratta di un centro temporaneo. Eppure, molti di loro vivono qui da sei mesi.
Negli ultimi due anni, Reggio Calabria è stata individuata come città di sbarco, ed esposta a un aumento dei minori affidati alla questura della città .
A questi, si aggiungono gli altri minori trasferiti dai centri siciliani nel capoluogo calabrese.
Tutti attendono di essere spostati in uno Sprar, in una casa famiglia o in affido. Nonostante numerosi cittadini, associazioni laiche e cattoliche si siano attivate, le strutture sono al collasso perchè la città è diventata un vero e proprio hub dei minori, ed è del tutto impreparata a gestire e accogliere questi giovani.
Mentre Bengis ci accompagna a visitare la struttura, alcuni ragazzi pregano in un angolo della palestra su teli e cartoni appoggiati sul pavimento, dove hanno improvvisato una moschea.
Per facilitare la convivenza ed evitare discussioni, i minori si sono organizzati, suddividendosi la palestra, secondo il Paese di provenienza; in fondo vicino ai bagni ci sono i bengalesi, accanto agli spalti i gambiani, più a destra, invece, i nigeriani di religione cristiana, mentre dall’altra parte vi è un gruppo di maliani.
Quattro ragazzi del Ghana giocano a carte su una stufetta recuperata chissà dove.
Altri riempiono dei secchi con l’acqua e lavano i pochi indumenti che custodiscono, con ordine, sotto le loro brande, all’interno di cassette per la frutta.
Qualcuno legge un libricino in italiano, un altro ragazzo stringe tra le mani un orsacchiotto rosa.
Si vedono minori entrare e uscire dal centro, senza nessun controllo. C’è chi recupera rottami nella spazzatura, chi biciclette scassate.
Altri sono in fila davanti alle docce e attendono il proprio turno per lavarsi. «Passiamo così il nostro tempo. Siamo parcheggiati qui, riceviamo solo il cibo tre volte al giorno e basta. Non studiamo l’italiano, non impariamo niente. Sinceramente non pensavo che fosse questa l’Europa», afferma Ibrahim, diciassette anni dal Gambia.
Un altro gruppo di ragazzi si avvicina. È la prima volta che parlano con delle giornaliste. «Abbiamo solo queste», indicando le ciabatte ai loro piedi, «Secondo te, queste sono scarpe sufficienti per il freddo?», domandano esasperati e rassegnati. «Quando ci sarà il primo morto per il freddo, di chi sarà la colpa?».
Lo Scatolone non è l’unico centro per minori stranieri non accompagnati.
A Reggio Calabria, ci sono circa 1800 minori nella stessa situazione. Sono pochi quelli che risiedono in appartamenti o strutture dignitose, ma la maggior parte vive in condizioni disumane e squallide, all’interno di palestre, edifici cadenti, ex università o teatri mai inaugurati, privi di elettricità e riscaldamento.
È il caso dell’ex sede di Giurisprudenza nel quartiere Archi di Reggio Calabria, posta sotto sequestro dalla Procura ma che, ancora oggi, ospita un centinaio di minori in attesa di trasferimento.
Nelle aule dell’Università , i ragazzi vivono ammassati, suddivisi, anche qui, in base al Paese di provenienza. Qualcuno suona la chitarra, altri ciondolano all’esterno della struttura, accanto a quelli che riscaldano l’acqua sul fuoco per lavarsi.
All’interno del teatro di Rosalì le condizioni non migliorano. Qui i minori – circa una settantina – dormono letteralmente uno sopra l’altro in un’unica stanza senza elettricità , nè riscaldamento. Non c’è neanche posto per camminare tra una branda e un’altra, e alcuni le hanno sistemate all’ingresso dell’unico bagno.
Anche vicino al porto, presso l’edificio della Capitaneria dovrebbero esserci circa settanta minori, ma in questa struttura ci è stato negato l’accesso. I centri — Archi, Rosalì e Capitaneria — sono gestiti dallo stesso ente: la cooperativa Cooperazione Sud per l’Europa.
Nelle strutture visitate, i minori stranieri non accompagnati hanno tra i quattordici e diciassette anni; arrivano principalmente dall’Africa Occidentale e un piccolo gruppo dal Bangladesh, ma tutti hanno attraversato il Mediterraneo, partendo dalla Libia, dopo essere stati esposti a numerosi tipi di violenze, abusi e traumi.
Sono ragazzi che avrebbero bisogno di un supporto psicologico, per ciò che hanno subito.
Come spiega Leonardo Cavaliere, esperto di Msna e curatore del blog minoristranierinonaccompagnati.blogspot.it, «i minori dovrebbero essere trasferiti dai centri di primissima accoglienza in strutture idonee nel più breve tempo possibile, 48-72 ore, ma spesso restano parcheggiati mesi, a volte senza potersi cambiare o chiamare i propri familiari».
È il caso delle strutture visitate a Reggio Calabria. Nella palestra chiamata lo Scatolone, i minori sono arrivati ad agosto, ma ancora vivono in un limbo.
La soluzione esiste, secondo Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato e docente di Diritto di Asilo e Statuto Costituzionale dello straniero: «Applicare la legge, seguire la circolare del ministero dell’Interno dello scorso agosto sulla ripartizione graduale e sostenibile in tutto il territorio nazionale dei migranti, ma soprattutto abbandonare l’approccio emergenziale».
Sara Manisera
(da “La Stampa”)
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