Gennaio 4th, 2017 Riccardo Fucile
IL DELIRIO DI ONNIPOTENZA DI GRILLO, LA TESTA AL BUSINESS DI CASALEGGIO E UNA CLASSE DIRIGENTE SUBALTERNA
Non hanno torto quanti sottolineano che la presenza Cinquestelle ha fatto da barriera al dilagare anche in Italia del lepenismo o (se è possibile) perfino di peggio.Questo non impedisce all’osservatore, non pregiudizialmente ostile, di rilevare il grave spreco di potenzialità rifondative della politica da parte del monopolista detentore dell’area indignata nel nostro Paese; più che il generico Movimento, il pool di controllo: Beppe Grillo e lo Staff.
Mentre avanzano segnali di ulteriore aggravamento dello spreco in atto, in larga misura determinato da tratti psicologici di sinergici destrismi autoritari: il delirio di onnipotenza che affligge Grillo, nella sua mutazione inarrestabile da tribuno a oracolo, la hubris manageriale afasica del giovane Casaleggio, intenzionato a difendere alla morte il business.
Cui fa da contraltare la palese subalternità dei giovani eletti alle cariche di rappresentanza pubblica, che rivelano precoci (e francamente impreviste) pulsioni dorotee alla tutela di poltrone e poltroncine, acquisite grazie alla benevolenza dei Capi.
E a questo si aggiunge l’inquietante sottomissione fideistica dei credenti al profetismo cinquestellare, rappresentato da quella sorta di pellegrinaggio al santuario, da parte del 91% su 41mila votanti, genuflesso al rito pagliaccesco del Codice Etico.
Ovvero l’atto di cieca devozione nei confronti di El Supremo Beppe.
A questo punto si potrebbe ritenere che operi una sorta di ripartizione di compiti nel duopolio di governo del Movimento: il “penombra” milanese presidia la funzione del controllo, attento a mantenere in funzione le rendite di posizione acquisite.
Opera il cui palese esempio è la messa in cantiere dell’operazione “Giovanna d’Arco” per la beatificazione (e quindi il salvataggio) di una Virginia Raggi avvinghiata alla sede capitolina come un mitile allo scoglio.
Quanto dimostrano i suoi movimenti sottotraccia per mettere fuori uso il contratto sottoscritto al momento della candidatura a sindaco e delle relative penali in caso di disobbedienza allo Staff.
Da qui la necessità di trasformare mediaticamente un’imbarazzante inadeguata nella pulzella avversata da ipotetici Poteri Forti, che vorrebbero trascinarla al rogo.
Nel frattempo, dalla collina Vip di Sant’Ilario, “l’inventore del mugugno gridato” si applica ad attizzare il parossismo dei fedeli con proclami terroristici contro qualche Male assoluto.
Tipo l’orrida quanto puerile pensata di proporre un nuovo tribunale del popolo inquisitore sull’informazione, che — probabilmente in tono caricaturale alla Napalm51, ma non si sa mai — riporta alla mente allucinanti esempi di eruzioni cieche del fanatismo assembleare: dal Terrore robespierriano alle Rivoluzioni Culturali maoiste.
Il modo migliore per offrire il destro — questa volta sì — all’establishment nel riproporre la truffa lessicale del “populismo” (ovvero la reazione alle politiche anti-popolari) come estrema degenerazione della democrazia; in effetti, virata dagli oligarchi in Postdemocrazia e oggi in Democratura.
Operazione a cui l’insipienza grillesca offre la migliore copertura immaginabile.
Con un ulteriore effetto, ancora più grave; che potrebbe far presagire la definitiva involuzione, e conseguente arresto di spinta propulsiva, di un soggetto politico da cui ci si attendeva ben altro: la perdita di contatto con l’elettorato di opinione; quello che, assommandosi al consenso di appartenenza, aveva dato vento alle vele della crescita M5S.
Chi scrive non vede proprio una nuova trasmigrazione della domanda di alternativa verso qualcosa che assomigli agli altri partiti in campo.
Semmai prevede dispersioni e astensionismi.
C’è un piccolo esempio delle mie parti su cui gli strateghi stellari dovrebbero riflettere: le amministrative dell’anno scorso a Savona.
Bastò che una lista civica di disturbo conquistasse l’8% dei suffragi per fare sì che il vincitore annunciato M5S non arrivasse neppure ai ballottaggi
Pierfranco Pellizzetti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 4th, 2017 Riccardo Fucile
IL TIMORE CHE ESCANO FRASI DELLA SINDACO LESIVE DEL MOVIMENTO
Da una parte c’è la Procura che sta esaminando le conversazioni via Whatsapp, ricavate dal cellulare sequestrato all’ex capo del personale capitolino Raffaele Marra, ex braccio destro di Virginia Raggi, ancora in carcere con l’accusa di corruzione. Dall’altra c’è il Movimento 5 Stelle che si prepara ad affrontare un ritorno dalle feste natalizie che si prospetta non certo sereno, con il timore di ciò che può venir fuori dalle chat.
Al contrario di quanto era trapelato ieri dalla Procura e riportato da alcuni quotidiani, oggi emerge invece che Marra, attraverso i suoi difensori, non avrebbe chiesto agli inquirenti di togliere il segreto dalle conversazioni avute per iscritto con il sindaco di Roma e con i due suoi più stretti collaboratori, Salvatore Romeo e Daniele Frongia. La richiesta riguarderebbe solo la conversazione con Sergio Scarpellini.
Tuttavia i carabinieri dovranno valutare l’eventuale rilevanza penale, dal momento che al vaglio della Procura ci sono anche le carte sulle nomine che Raggi ha firmato in questi mesi, tra cui quella di Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo del dipartimento Turismo.
Per questo nessuno tra i 5 Stelle esclude che già la prossima settimana il sindaco Raggi possa essere convocata in Procura.
Solo allora si capirà se ci sono gli estremi per un’indagine per abuso d’ufficio.
A quel punto i vertici del Movimento 5 Stelle, quindi il garante Beppe Grillo, il collegio dei probiviri e d’appello, decideranno cosa fare.
Il nuovo codice etico, votato da meno di un terzo degli iscritti al blog, non prevede provvedimenti automatici in caso di avviso di garanzia, piuttosto lascia ampio spazio ai vertici per decidere. Vertici che stanno valutando la condotta da tenere.
“Tutto dipenderà da cosa risulterà da un eventuale avviso di garanzia e soprattutto dalle chat” del ‘Raggio magico’ al vaglio degli inquirenti, spiegano i ben informati.
Il senso è che i vertici pentastellati, secondo il nuovo codice etico, possono prendere provvedimenti anche non in presenza di un avviso di garanzia, ma semplicemente se una condotta viene considerata lesiva nei confronti del Movimento.
E in questo caso a far tremare è il gruppo su whatsapp tra Raggi, Marra, Frongia e Romeo: “Quattro amici al bar”.
I più ortodossi tra i parlamentari pentastellati desiderano che a Roma venga rispettato, se è il caso, il contratto firmato dal sindaco Raggi e che quindi venga consultata la Rete se il primo cittadino dovesse ricevere un avviso di garanzia.
Per ora la tregua è data dall’attesa della pubblicazione delle carte della Procura, se verranno cioè desecretate le conversazioni.
Quando il rapporto, in fatto di nomine, tra il sindaco e il suo ex braccio destro Marra sarà più chiaro i vertici decideranno cosa fare e a seconda della gravità dei contenuti si prenderanno provvedimenti.
Per adesso i vertici stanno dalla parte della sindaca, più volte negli ultimi giorni Grillo ha dato spazio al primo cittadino sul suo blog.
Ma ciò che può venir fuori dalle chat non lascia tranquillo neanche lui.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 4th, 2017 Riccardo Fucile
COSTOSI, DISUMANI, INUTILI: A 18 ANI DALLA NASCITA L’ITALIA NON HA ANCORA TROVATO UNA SOLUZIONE PER IL PROBLEMA
Il Governo ha un’idea meravigliosa per risolvere il problema dell’accoglienza dei migranti: riaprire i CIE.
La proposta è stata avanzata dal Ministro dell’Interno Domenico Minniti che vorrebbe aprire un Centro di Identificazione ed Espulsione in ogni Regione. L’obiettivo è quello di velocizzare le procedure di allontanamento dal nostro Paese di tutti i migranti che non hanno diritto ad ottenere l’asilo politico o il riconoscimento dello status di rifugiato.
Il problema però è che i Cie non funzionano.
Cosa sono i Cie e perchè sono inutili
La proposta del Ministro Minniti, anticipata da una circolare urgente del Capo della Polizia Franco Gabrielli e giunta dopo i fatti di Cona dove una cinquantina di ospiti del Centro di Prima Accoglienza (Cpa) hanno protestato per diverse ore dopo la morte di Sandrine Bakayoko, piace molto a Forza Italia e alla Lega Nord, meno ad alcuni esponenti del Partito Democratico tra cui la vicepresidente Sandra Zampa che li ha definiti “posti disumani e inutili” e la Presidente di Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani che ha detto che i Cie “sono stati un fallimento“, sulla stessa linea anche il Presidente di Regione Toscana Enrico Rossi che in un’intervista a Repubblica ha detto che “non possiamo riproporre ciò che è già fallito“.
I Cie, che hanno sostituito i Centri di permanenza temporanea (Cpt) che sono stati istituiti nel 1998 dalla legge sull’immigrazione Turco Napolitano (art 12 legge 40/1998) sono i luoghi dove vengono detenuti gli stranieri non comunitari privi di permesso di soggiorno in attesa di essere espulsi dal nostro paese.
All’interno di queste strutture gli stranieri — che vengono chiamati “ospiti” anche se di fatto sono sottoposti a detenzione amministrativa — non dovrebbero rimanere per più di 90 giorni ma la detenzione può essere prorogata fino ad un massimo di 12 mesi per lo straniero che “costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” e per il quale “sussiste rischio di fuga”.
Ciononostante succede che alcuni ospiti vengano lasciati andare per decorrenza massima dei termini di detenzione.
A gestire materialmente i Cie sono delle società e delle cooperative private che hanno ricevuto l’appalto dall’amministrazione pubblica mentre a fornire il presidio di sicurezza esterno — per evitare la fuga degli “ospiti” — sono la Polizia e i Carabinieri. Attualmente in Italia sono operativi sei Centri di identificazione ed espulsione, si trovano a Bari, Brindisi-Restinco, Caltanissetta, Crotone, Roma-Ponte Galeria, Torino-Brunelleschi.
Inizialmente i Cie erano quindici ma alcuni sono stati chiusi nel corso degli anni (gli ultimi nel 2015) mentre altri — come quello di Trapani — sono stati convertiti in hotspot un tipo nuovo di strutture di identificazione creati nei luoghi di sbarco dei migranti.
La capienza teorica dei sei Cie ad oggi aperti è di 720 unità ma quella effettiva è molto ridotta .
Strutture disumane e costose che non garantiscono l’effettivo rimpatrio dei detenuti
Oltre a questo i Cie hanno un problema molto più grave. Non solo sono luoghi disumani dove spesso sono scoppiate rivolte che hanno provocato morti e feriti, dove i detenuti in alcuni casi si sono suicidati o sono stati riportati atti di autolesionismo.
I Cie semplicemente non assolvono allo scopo per cui sono stati creati, ovvero non sono in grado — da soli — di aumentare il numero delle espulsioni degli immigrati irregolari.
Come ricorda Annalisa Camilli su Internazionale se fin dalla loro istituzione i Cie sono stati molto criticati dalle organizzazioni che si occupano di tutela dei diritti umani i Cie non hanno contribuito in maniera rilevante ai rimpatri.
Questo perchè le operazioni di espulsione e rimpatrio non solo sono difficili a causa della mancanza di cooperazione e collaborazione dei paesi d’origine degli stranieri ma sono anche molto costose.
Scrive la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato nel suo Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione:-
Tuttavia, la politica sui rimpatri presenta alcuni elementi di criticità , in quanto non sempre di facile attuazione, considerati i costi altissimi, la necessità del “riconoscimento” dell’autorità consolare del paese di provenienza e i limiti ben precisi per l’uso coercitivo delle misure di rimpatrio fissati dalla direttiva 2008/115/CE1
Le espulsioni inoltre sono nella misura del 50% di coloro che transitano per i Cie, continua il rapporto della Commissione che sottolinea l’inefficacia dell’intero sistema di trattenimento ed espulsione degli stranieri irregolari:
Dal 1 gennaio al 20 dicembre 2015 sono transitati complessivamente nei Cie 5.242 persone di cui 2.746 sono state effettivamente rimpatriate.
Ciò significa che il 52% del totale dei trattenuti è stato riportato nel proprio paese.
Nel 2014 a fare ritorno a casa in maniera coatta attraverso i Cie era stato il 55%: ovvero 2.771 a fronte dei 4.986 stranieri trattenuti.
Nel 2013 ne erano transitati 6.016, dei quali 2.749 rimpatriati, con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) che si aggira intorno al 50%.
Nonostante gli impegni fissati in sede europea, i dati continuano a dimostrare che la media dei rimpatri effettuati rispetto alle persone trattenute continui ad essere intorno al 50%.
Il problema dei rimpatri è relativo anche al fatto che possono essere effettuati solo verso quei paesi con cui esiste un accordo di riammissione.
Al momento sono state formalizzate intese con l’Egitto nel 2007 e con la Tunisia nel 2011 e più recentemente con la Nigeria e il Marocco, la Commissione del Senato presieduta da Luigi Manconi però sottolinea come “risultano non significativi i risultati evidenziati dai dati sui voli di rimpatrio dell’agenzia Frontex in quanto da settembre a dicembre 2015, l’Italia ha rimpatriato 153 persone con voli organizzati in via bilaterale verso l’Egitto e la Tunisia, e 137 persone verso la Nigeria attraverso voli congiunti con gli altri Stati membri attraverso Frontex“.
In mancanza di accordi bilaterali con i paesi di provenienza dei migranti non sarà possibile “svuotare” i Cie, e anche in presenza di questi accordi è evidente che manca, da parte dei paesi d’origine, la volontà di farsi carico del problema (come è successo ad esempio con la Tunisia nel caso di Anis Amri).
(ds “NextQuotidiano”)
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Gennaio 4th, 2017 Riccardo Fucile
NIENTE BARACCHE MA CASE IN AFFITTO E SERVIZI GRATUITI
Case in affitto ai migranti e centri di prima accoglienza che funzionano per i disperati del Mediterraneo.
Quello di Drosi ormai è diventato un modello in Calabria, uno dei pochi esempi di come si può fare accoglienza e rimanere umani.
Drosi è una frazione di Rizziconi dove da sei anni i migranti e gli stagionali riescono ad affittare una casa e a pagare solo 50 euro al mese al proprietario.
A differenza di quello che succede a pochi chilometri di distanza (come nella tendopoli di Rosarno e San Ferdinando), nel piccolo comune della Piana di Gioia Tauro non ci sono ghetti o baracche, non ci sono situazioni esplosive con migranti abbandonati a se stessi.
Grazie alla Caritas diocesana, infatti, una ventina di persone vivono nel centro di prima accoglienza in attesa del permesso di soggiorno o dello status di rifugiati.
“Qui ci sono solo nuclei familiari — spiega una delle assistenti sociali del centro, Emanuela Vaperaria -. Gli prestiamo assistenza sanitaria e psicologica, i bambini vanno a scuola e abbiamo anche tre neonati. Per noi questo non è solo un lavoro, ma una missione. Li accogliamo come se fossero parte della nostra famiglia”.
“Quasi tutti — racconta la psicologa Domenica Gattuso — sono arrivati con disturbi post-traumatici da stress”.
“Ho chiesto il permesso di soggiorno e sto aspettando una risposta — racconta uno degli ospiti -. Quando arriva, spero di trovare un lavoro. Altrimenti più che rimanere qui, non so che fare”.
Altri 150 migranti, invece, ormai vivono stabilmente a Drosi dove molti cittadini hanno accettato l’invito della Caritas e della Chiesa e hanno affittato le loro case agli stagionali.
In cambio, ogni migrante paga una cifra simbolica per assicurarsi un tetto quando termina la giornata di lavoro in campagna.
“Abbiamo cominciato con quattro case, — spiega Francesco Ventrice della Caritas — adesso siamo a venti. Abbiamo iniziato con 30 persone, adesso siamo a 150. Le cose bisogna farle gradatamente. Queste case sono a costo zero per lo Stato perchè le pagano gli extracomunitari che, però, ricevono i servizi gratis. La Caritas li aiuta però poi ognuno si deve rialzare e fare il proprio cammino. Questo serbe anche per responsabilizzarli altrimenti vivono sulle spalle degli altri. Molti di loro, oggi, sono residenti a Drosi”.
Uno di loro ci porta a casa sua per farci vedere come vive assieme ad altri migranti. “Siamo arrivati in Italia nel 2010. — dice — Per un periodo abbiamo vissuto in campagna e poi la Caritas ci ha aiutato a trovare queste case e non vivere nelle tende. Adesso noi stiamo bene”.
“Preferisco pagare 50 euro — aggiunge il suo coinquilino — che andare a vivere in campagna. La salute viene prima di tutto e quando finisco di lavorare mi piace tornare a casa e trovare l’acqua calda. Gli abitanti di Drosi sono molto bravi con noi”.
“Loro ormai convivono con noi. — conclude Ventrice — Non sono immigrati. Non ci siamo occupati solo della casa, ma di tutto quello che hanno bisogno”.
Perchè questo modello non funziona in molti altri Comuni: “Tanta gente si approfitta di loro per fare dei soldi. Ma quella non è accoglienza, è sfruttamento”
Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 4th, 2017 Riccardo Fucile
IN REALTA’ IL SENATORE DI FORZA ITALIA RAPPRESENTA IL NOSTRO PAESE ALL’ASSEMBLEA DELLA NATO DAL 2013
Domenico Scilipoti da Barcellona Pozzo di Gotto alla NATO, proprio quella North Atlantic Treaty Organization che ha retto militarmente le sorti dell’emisfero occidentale durante la Guerra Fredda e che ancora oggi costituisce il baluardo contro i nemici dell’Occidente.
Scilipoti, senatore di Forza Italia noto alle cronache per le sue posizioni omofobe e per la difesa del Metodo Hamer andrà quindi a Bruxelles dove è stato nominato vicepresidente della sottocommissione Scienze, Tecnologia e Sicurezza della Nato.
Non so se essere preoccupato o divertito dal fatto che all’interno dell’organismo di difesa dei paesi del Patto Atlantica ora un personaggio politico come Scilipoti possa avere un ruolo di primo piano.
Ma le faccenda non è così grave perchè Scilipoti non andrà a far parte del Consiglio ma dell’Assemblea parlamentare e la cosa non è proprio una novità visto che è stato nominato ad inizio legislatura.
A dare notizia della nomina è il Corriere della Sera che ci fa sapere che Scilipoti farà anche parte della Commissione NATO che dovrà occuparsi dei rapporti con l’Ucraina. E tutti sanno quanto l’allargamento ad Est della NATO, proprio verso le ex repubbliche sovietiche sia un tema delicato sul quale la Russia non sembra essere assolutamente disposta a cedere di un millimetro dal momento che le considera ancora all’interno della sua area d’influenza.
Così Scilipoti ha accolto la notizia del conferimento dell’incarico:
Sono orgoglioso di rappresentare l’Italia in un così prestigioso palcoscenico istituzionale. La responsabilità di un incarico internazionale in un momento così delicato per gli equilibri geopolitici mi motiva molto e rende il mio impegno politico ancora più appassionato. Il nostro Paese ha già fatto tanto ma deve poter fare ancora di più nella lotta al terrorismo, portando anzi i valori cristiani a fondamento del dialogo con tutte le parti interessate. Porterò con me gli insegnamenti del popolo siciliano che ha fatto dell’accoglienza e dell’incontro tra culture, una ricetta vincente nella storia passata.
In realtà come pare di evincere da un post pubblicato da Scilipoti su Facebook più che una nomina si tratta di una riconferma, insomma Scilipoti alla NATO c’era già in quanto membro della delegazione del Parlamento italiano presso l’Assemblea parlamentare della Nato.
Come si legge sul sito del Senato l’Assemblea parlamentare Nato costituisce il punto di raccordo tra le istanze governative che operano in seno all’Alleanza atlantica ed i Parlamenti nazionali, per il nostro Paese ne fanno parte 9 deputati e 9 senatori nominati dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, su designazione dei rispettivi Gruppi parlamentari.
E quindi a nominare Scilipoti è stato il suo partito: Forza Italia.
Come si evince dal documento del Senato Scilipoti fa parte della Delegazione parlamentare italiana fin dal 15 marzo 2013, ovvero dall’inizio della XVII legislatura del Parlamento italiano.
Anche per quanto riguarda la vicepresidenza della sottocomissione sulla tecnologia e sicurezza (STC) Scilipoti risulta essere stato nominato a novembre del 2014
Mentre la nomina più recente è quella a componente del Ukraine-NATO Inter-parliamentary Council (UNIC) ovvero il forum interparlamentare sui rapporti tra NATO e Ucraina dove il senatore di Forza Italia è stato nominato in qualità di membro della STC durante la sessione annuale di Istanbul nel novembre 2016. Durante la stessa sessione è stato anche eletto il Presidente dell’Assemblea parlamentare della NATO che per due anni sarà Paolo Alli di Ncd.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 4th, 2017 Riccardo Fucile
LA TRISTE MORALE: GLI UNICI CHE SI RIBELLANO ALL’ILLEGALITA’ SONO GLI STRANIERI ?
E’ stata colpita da una pallottola mentre era a passeggio con il papà .
E’ successo nel centro storico di Napoli, in via Annunziata, zona Forcella.
Intorno a mezzogiorno sono stati sparati colpi d’arma da fuoco, nel mercato della Duchessa e della Maddalena vicino a piazza Garibaldi, dove è forte la presenza di ambulanti extracomunitari.
Tra le persone si è scatenato il panico e la piccola è stata ferita al piede destro. Oltre a lei sono stati colpiti tre venditori senegalesi, probabilmente uno di loro era il vero obiettivo di chi ha sparato. Secondo una prima ipotesi investigativa, infatti, si sarebbe trattato di un raid punitivo legato al pizzo.
In mattinata — come si apprende da fonti investigative — ci sarebbe stato un primo confronto tra un giovane esattore di un clan locale e il titolare di una bancarella che si sarebbe rifiuto di pagare.
A quel punto il ragazzo sarebbe tornato con un commando di quattro o cinque persone, sembra armate di bastoni. Ma in difesa dell’ambulante senegalese si sono schierati altri extracomunitari.
A quel punto qualcuno del clan ha estratto una pistola di piccolo calibro ha fatto fuoco.
Fortunatamente la bambina, che si trovava a passare per caso col papà commerciante, non è in pericolo di vita. E’ stata subito portata al pronto soccorso e da lì è stata ricoverata nel reparto di Chirurgia dell’ospedale Santobono, dove i medici l’hanno operata per toglierle il proiettile dal piede.
Le sue condizioni sono giudicate abbastanza buone. I tre cittadini senegalesi sono invece stati portati all’ospedale Loreto mare. Hanno 36, 38 e 32 anni.
I primi due sono stati feriti lievemente da alcune schegge. Il terzo, che comunque non è in pericolo di vita, è stato ferito in maniera più seria da un colpo d’arma da fuoco.
Sul luogo del raid, intanto, è arrivata la polizia scientifica, ma al momento non sono stati rinvenuti nè proiettili nè macchie di sangue. La polizia sta controllando le telecamere della zona (ammesso che siano attive).
La morale pare questa: gli unici che si rifiutano di pagare il pizzo alla camorra sono i non italiani. E’ triste, ma è così.
(da agenzie)
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Gennaio 4th, 2017 Riccardo Fucile
PRONTA L’OPERAZIONE MEDIATICA “GIOVANNA D’ARCO”… MA GLI ORTODOSSI ACCUSANO: BASTA NORME AD PERSONAM PER SALVARLA
Chi ha guardato attentamente sul blog di Beppe Grillo e sui profili Twitter del comico negli ultimi giorni a cavallo di Capodanno, avrà notato una certa insistenza nel risalto dato a Virginia Raggi.
Al punto che la Festa della notte del 31, quella che non faceva dormire i grillini gelati dalla paura di un ennesimo flop, è diventata «unica al mondo».
Roma e l’Italia non bastano all’immaginazione degli strateghi del M5S e della Casaleggio che confezionano post e comunicati, e che su Raggi hanno pronto un piano che in modo molto suggestivo tra di loro chiamano “Operazione Giovanna D’Arco”. L’eroina d’Orleans è ovviamente la sindaca di Borgata Ottavia, martire come la pulzella passata dal rogo prima di diventar santa.
Raggi ora va protetta, difesa, rilanciata, perchè è il biglietto da visita da portare agli elettori in vista del voto delle politiche.
La pesca grande è Palazzo Chigi, la data a cui arrivare, con i nervi saldi il più possibile, è giugno.
Fino ad allora Raggi non si tocca, e su di lei va cucita una narrazione mediatica che deve farla passare per «vittima» dei poteri forti e dell’accanimento dei media sempre pronti ad alimentare il rogo del martirio.
È stato davanti alle lacrime di Raggi nell’ostello della Caritas durante la messa di Natale che i vertici si sono convinti dell’esigenza di costruire un nuovo volto alla sindaca di Roma, lontano da quella rigidità mostrata durante la brevissima conferenza stampa improvvisata dopo l’arresto di Raffaele Marra.
Le parole e i toni usati in quell’occasione non sono piaciuti nè a Grillo nè ai parlamentari avversari di Raggi, soprattutto il passaggio in cui definiva Marra come «uno dei 23 mila dipendenti del Campidoglio».
Roberta Lombardi e Carla Ruocco, deputate protagoniste della faida romana, vogliono la sua testa e non hanno gradito i tempi e i modi in cui è stato partorito il nuovo codice che sdogana un garantismo considerato «ad personam».
«Fatto ora dopo quello che è successo e se è vero che le arriveranno gli avvisi di garanzia – sostengono nei ragionamenti con altri deputati – è evidente che è solo un regolamento salva-Raggi. Comunque se la veda lei, le responsabilità di quello che accadrà restano le sue».
La differenza di trattamento con altri casi, su tutti quello di Federico Pizzarotti, brucia, anche di fronte alle ragioni di realpolitik espresse da Grillo e da Davide Casaleggio.
Il comico però è stato chiaro: se dalle indagini dovesse uscire qualcosa di più compromettente della volontà di fare in autonomia le nomine in Campidoglio, che provocherà una campagna mediatica ingestibile per il M5S, Raggi verrà lasciata al proprio destino.
È scritto chiaramente nel punto del codice in cui viene ribadito e formalizzato il potere discrezionale di Grillo.
Su questa linea di confine che circoscrive il nuovo garantismo in salsa grillina si deve leggere il tumulto emotivo di Raggi, contenta dell’eliminazione dell’automatismo tra avvisi di garanzia e sanzioni, ma decisa a voler andare avanti comunque: «Sono soddisfatta per la svolta garantista perchè è chiaro che come i magistrati fanno il loro lavoro in pace, anche io devo essere messa in condizione di poterlo fare. Si sbagliano – ha ragionato Raggi con lo staff alcuni consiglieri – se pensano che quel codice viene prima del bene della città e dei romani».
Che Raggi abbia confessato l’intezione di voler «restare comunque», lo prova anche la memoria difensiva consegnata ai giudici romani chiamati a pronunciarsi sulla validità o meno del contratto firmato da Raggi che prevede come penale la multa da 150 mila euro per i consiglieri o la decadenza della sindaca in caso di violazione dei principi del M5S.
Svelato ieri da Il Messaggero, il testo degli avvocati di Raggi dice esplicitamente che l contratto può essere considerato nullo, una convinzione opposta a quella consegnata da Grillo alla sua difesa.
Una divergenza che potrebbe anche tradursi in un nuovo capitolo dell’epopea grillina a Roma: una guerra di carte tra la sindaca e il fondatore.
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Gennaio 4th, 2017 Riccardo Fucile
L’AVV. BORRE’ CHE HA GIA’ VINTO CONTRO I GRILLINI A ROMA E NAPOLI: “CODICE ETICO DA CONSIDERARSI NULLO, E’ STATO VOTATO SOLO DA UN TERZO DEGLI AVENTI DIRITTO, CI SONO 15 I MOTIVI DI ANNULLAMENTO”
Alcuni espulsi poi reintegrati nel MoVimento 5 Stelle stanno per depositare un ricorso al Tribunale Civile contro il regolamento approvato con voto alla fine di ottobre 2016 sul blog di Beppe Grillo dai grillini.
Un’impugnazione che mira a far cadere anche il codice etico votato ieri. A depositare l’atto l’avvocato Lorenzo Borrè, che ha già vinto in tribunale contro i grillini a Roma e a Napoli.
Tra i ricorrenti ci sono espulsi all’epoca delle Comunarie, alcuni cacciati dell’anno precedente, ex candidati e semplici attivisti.
“Impugneremo il nuovo regolamento e le modifiche al non statuto”, annuncia all’Adnkronos Borrè. “E’ chiaro — spiega Borrè — che fondandosi su Regolamento e non statuto, anche il codice etico è a nostro avviso da considerarsi nullo: si fonda su regole che vanno invalidate. E oltretutto la votazione di ieri non ha raggiunto nemmeno un terzo degli iscritti, perciò è da considerarsi nullo anche per la mancanza di quorum”.
Ma più in generale, guardando al Regolamento e al non statuto votati ad ottobre, “sono una quindicina i motivi di impugnazioni, ottimi e abbondanti”, si dice convinto Borrè.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 4th, 2017 Riccardo Fucile
CHI HA AFFRONTATO LA MORTE ALLA RICERCA DELLA VITA MERITA DI AVERE UNA POSSIBILITA’, NON BLINDATA, DI VIVERLA
Prima o poi doveva succedere. Se chiudi in gabbia delle persone libere, se le metti in un acquario come pesci rossi vinti al luna park, gli butti il mangime e pensi che questo basti per ottenere la loro sempiterna gratitudine e la loro rassegnazione, prima o poi scopri che i pesci rossi sanno essere squali e che l’acquario non è posto per loro.
È successo a Cona, poteva succedere ovunque.
Una ragazza di 25 anni muore dopo giorni in cui (dice il suo fidanzato) stava male e salta quell’equilibrio costruito sulla lama di un rasoio.
Salta perchè vivere in un Centro di Prima accoglienza non è esattamente come stare in un hotel stellato, nonostante le cialtronate qualunquiste che affiorano sulla bocca di troppa gente.
Vivere in un Centro di Prima accoglienza significa vivere dentro una polveriera dove la tensione è una costante, dove le regole sono dettate da qualcuno che non conosci e che non ti conosce, dove si finisce in gabbia, in fila come buoi da marchiare a fuoco, perchè per mantenere l’ordine di questo mondo disordinato servono marchi ed etichette: rifugiato, profugo, richiedente asilo, clandestino.
Vivere in un Centro di Prima accoglienza significa avere un letto, un pranzo e una cena, qualche spicciolo e una partita di pallone.
Significa dimenticare il principio della responsabilità in un meccanismo che ti riduce come un neonato a cui, si presuppone, basti mangiare e dormire per essere soddisfatto. Ma se non è così per un neonato (e non serve mica scomodare il Dottor Benjamin Spock) figurarsi se può esserlo per un adulto.
Corrispondere ai bisogni primari di una persona non è sufficiente, mi sembra chiaro. Non lo sarebbe per nessuno, nemmeno per chi sostiene che i migranti arrivino in Italia per vivere a sbafo.
Compiuto il ciclo evolutivo da Neanderthal a Sapiens tocca prendere atto della realtà : un pezzo di pane e un materasso non bastano per eliminare la frustrazione di chi, fino a poco tempo fa, aveva avuto una vita normale, un lavoro, una famiglia, una casa.
Non dovrebbe essere difficile da capire: chi arriva in Italia dopo un viaggio che è più simile a un incubo che a una crociera sul Mediterraneo aveva un passato prima di saltare su un gommone mezzo sgonfio in cerca di un futuro.
Ma che futuro è quello di un luogo in cui sei, di fatto, prigioniero e che, grazie alla tua fame, arricchisce molte pance già sufficientemente pingui?
Certo, si dirà , facciamo già tanto. Eppure non basta.
Non è mai bastato e mai basterà nutrire un essere umano per farne un uomo. La realtà è questa e per quanto sia poco piacevole è lampante.
Non occorre essere un avanzo di galera, un delinquente comune, un invasato o un tagliagole per dare di matto in una situazione estrema come quella che ci si trova a vivere in un Centro di Prima accoglienza dove le tue libertà sono limitate in cambio di pranzo cena e colazione.
Si può resistere un po’, il tempo di rimettersi in forze, ma nessuno arriva qua, in una terra non sua, per non fare niente della propria vita.
Chi attraversa, deserti, mare e, spesso, pallottole, lo fa in cerca di un futuro che contempli un lavoro, una casa e una famiglia.
La sospensione dei desideri non può non avere una data di fine, così come non può non averla la permanenza in un posto che, a guardarlo bene, assomiglia più a un ghetto che a un albergo.
Ed è nei ghetti che nascono le rivolte e si insinua facilmente la prospettiva facile della criminalità . Basta una morte (per cause naturali) ritenuta ingiusta per scatenare un inferno di ostaggi e paura.
Questa volta l’inferno si è placato e ha accettato di tornare a essere un purgatorio d’attesa. Non ha lasciato vittime sul selciato. È andata di lusso, ma non sono sicura che alla prossima scintilla, in qualche altro Cpa, non scoppi un incendio di morti e feriti.
È un’ipotesi agghiacciante, ma con la quale dobbiamo fare i conti, perchè la verità è che un Centro di Prima Accoglienza non è una soluzione a tempo indeterminato e quando lo diventa assomiglia troppo a una galera e i suoi ospiti a galeotti.
Disinnescare queste bombe a orologeria dovrebbe essere uno dei primi punti nell’agenda di chi governa questo Paese e, ancor più, in quelle dei Paesi membri dell’Unione Europea.
Perchè chi ha affrontato la morte alla ricerca della vita merita di avere una possibilità , libera, non blindata, di viverla.
Deborah Dirani
(da “Huffingtonpost”)
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