Gennaio 15th, 2017 Riccardo Fucile
NON SOLO USA: LA DIATRIBA TRA BERLINO E ROMA VA AVANTI DA UN ANNO CON IL GOVERNO ITALIANO CHE REGGE LA CODA A MARCHIONNE
“Se le valvole Egr si bloccano (…) il motore si può bloccare. E il problema è che può accadere all’improvviso, senza dare segnali. Questo significa che si può bloccare in autostrada, durante un sorpasso, in una curva. E questo è molto pericoloso”.
Sono le parole con cui Antonio Erario, dirigente del ministero dei Trasporti, ha risposto giovedì scorso a una domanda sul presunto utilizzo di dispositivi di manipolazione delle emissioni (defeat devices) da parte di Fiat Chrysler, nel corso di un’audizione della commissione Emis, la commissione d’inchiesta del parlamento europeo sul comportamento emissivo delle auto in circolazione nel nostro continente. Solo il caso ha voluto che quella risposta sia stata pronunciata appena un’ora prima della notizia dell’atto di accusa che l’Agenzia per la protezione ambientale americana (Epa) ha mosso contro Fca sul presunto utilizzo di defeat devices.
Erario era di supporto al viceministro dei Trasporti Riccardo Nencini, chiamato a rispondere a Bruxelles delle lacune del report preparato lo scorso luglio dal suo dicastero, dopo i test eseguiti su 14 modelli di diesel euro 5, tra cui sette Fca.
E a rispondere delle accuse mosse contro Fca da parte delle autorità tedesche, che hanno scoperto in alcuni modelli omologati in Italia la presenza di un software che riduce il funzionamento dei sistemi di controllo delle emissioni (le valvole Egr citate da Erario) dopo 22 minuti di marcia, appena due minuti in più della durata del test di omologazione europea.
Così, nel corso del test le emissioni di ossidi di azoto (NOx) restano entro i limiti di legge.
Ma, secondo le accuse, questo non è più vero in condizioni di utilizzo normale della vettura. Una prova evidente della presenza di defeat devices, secondo le autorità tedesche.
Una strategia per evitare guasti alle valvole Egr, e di conseguenza al motore, secondo la versione più volte ribadita da Fca e che trova d’accordo il ministero italiano, l’ente responsabile dell’omologazione dei modelli sotto accusa.
Se non venisse a un certo punto limitato il funzionamento del sistema di riduzione delle emissioni, il motore rischierebbe di bloccarsi all’improvviso.
Questo ha detto Erario, facendo leva su una sorta di deroga al divieto di dispositivi di manipolazione prevista dalle norme europee, qualora questi siano giustificati dalla “necessità di proteggere il motore da danni o avarie e di un funzionamento sicuro dei veicoli”.
Ma la risposta di Erario non ha convinto diversi membri della commissione Emis, come Eleonora Evi del M5S: “Secondo il ministero, che ripete a pappagallo le ragioni di Fca, per non avere auto pericolose in circolazione che potrebbero spegnersi da un momento all’altro è necessario ‘modulare’ il funzionamento dei sistemi di riduzione delle emissioni. Insomma, per le auto diesel della Fiat devi scegliere tra un’auto sicura che non si spegne improvvisamente mentre guidi in autostrada e un’auto pulita. Assurdo. Se accettiamo questa ipotesi, dobbiamo dedurre logicamente che tutti gli altri costruttori di auto sono degli irresponsabili che non hanno a cuore la sicurezza dei loro clienti?”.
Commissione Ue: “Quasi esaurito il tempo per le spiegazioni dall’Italia”
La linea portata avanti sinora da Fca e dal nostro ministero, non ha mai convinto sinora nemmeno il governo tedesco, che da mesi chiede chiarimenti.
E non deve essere apparsa troppo valida nemmeno alla Commissione europea, se all’indomani del coinvolgimento di Fca nel dieselgate in Usa, la sua portavoce Lucia Caudet ha detto: “Abbiamo ripetutamente chiesto alle autorità italiane di presentare spiegazioni convincenti e stiamo esaurendo il tempo, perchè vogliamo concludere molto presto il negoziato sulla compatibilità della Fiat con la legge Ue”.
Parole pronunciate in riferimento al processo di mediazione in atto tra Roma e Berlino, con la commissione a fare da mediatore, dopo che le autorità tedesche hanno formalmente messo in discussione le omologazioni di alcuni modelli Fca di cui è responsabile il nostro governo.
Berlino vs Roma, una diatriba che va avanti da un anno. Ecco la cronistoria
Le autorità tedesche accusano dunque Fca. Quelle nostrane difendono a spada tratta l’operato della casa italo-americana. Uno schema che va avanti da mesi.
Le prime accuse a Fca arrivano lo scorso febbraio dall’associazione ambientalista tedesca Deutsche Umwelthilfe, che in seguito a una serie di prove condotte in collaborazione con l’università di Berna sostiene di avere riscontrato anomalie sulla Fiat 500X, che nel corso delle prove avrebbe superato i limiti di NOx da 11 a 22 volte nelle prove a caldo, in condizioni dunque diverse da quelle del test di omologazione europeo e più simili a quelle di guida reali su strada.
Deutsche Umwelthilfe parla di “chiara presenza di defeat devices”.
Intanto anche le autorità tedesche stanno conducendo test sui modelli di diversi marchi. E a maggio iniziano a presentare il conto alla Fiat, scoprendo la presenza del dispositivo che riduce il controllo delle emissioni dopo 22 minuti, quello ancora oggi al centro della contesa.
Il ministero tedesco convoca per il 19 maggio i rappresentanti di Fca, che però non si presentano. E a difesa della casa automobilistica scende in campo il ministro dei Trasporti Graziano Delrio che garantisce “piena collaborazione”, ma precisa che “il confronto sulle emissioni dei veicoli Fca deve avvenire tramite le due autorità di omologazione nazionali”.
Qualche giorno dopo, il 7 giugno, il ministro Graziano Delrio, in riferimento a una serie di test condotti in Italia su sette modelli di Fca, tra cui non c’è il modello identico a quello messo sotto accusa dai tedeschi, anticipa i risultati del discutibile report che verrà concluso solo a fine luglio, escludendo l’utilizzo di defeat devices sulle vetture testate.
Un’affermazione che nei giorni scorsi è stata in parte smentita da Maria Vittoria Prati, responsabile dei test dell’Istituto dei motori del Cnr che ha contribuito al rapporto ministeriale.
A inizio settembre Berlino torna all’attacco: in una lettera inviata a Bruxelles, il governo tedesco sollecita l’apertura di un tavolo di consultazioni per cercare di risolvere il disaccordo sull’esito dei test sulle auto Fca.
I sospetti sull’utilizzo di defeat devices non riguardano più solo i motori diesel montati su modelli di Fiat 500 X, ma anche su Doblò e Jeep Renegade.
Il governo tedesco chiede la mediazione della commissione europea sulla disputa per la possibile violazione da parte dei veicoli Fca delle regole sulle emissioni, procedura di mediazione su cui ora la portavoce della commissione Lucia Caudet dichiara il tempo quasi scaduto.
Intanto anche la commissione Emis si occupa della faccenda.
A ottobre vengono chiamati in audizione a rispondere delle accuse tedesche sia il dirigente del ministero Antonio Erario, che il responsabile tecnologico di Fca Harald Wester. Entrambi ribadiscono quella che è sempre stata la linea: nessun sistema di controllo emissioni viene disattivato dopo 22 minuti, ma solo “modulato”.
E il tutto serve a proteggere il motore da guasti.
Altrimenti, ha sostenuto due giorni fa Erario, il motore rischia di spegnersi all’improvviso.
Luigi Franco
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 15th, 2017 Riccardo Fucile
RENZI VORREBBE ELEZIONI A GIUGNO, SI APRONO I GIOCHI
“Non ho fretta” di andare a votare subito, ha detto Matteo Renzi in un’intervista a La Repubblica, aggiungendo però una postilla: “Faremo ciò che serve al Paese senza replicare il 2013 dove abbiamo pagato un tributo elettorale al senso di responsabilità “. Questa è la versione ufficiale in cui l’ex premier dice di preferire, come sistema elettorale, “il ballottaggio o se no il Mattarellum”.
Parole che lasciano comunque ampi spazi di interpretazione e che soprattutto aprono la trattativa su come e quando votare.
Nello stesso giorno infatti, sul Corriere della Sera, Silvio Berlusconi dice di essere pronto a una grosse koalition alla tedesca e a un ritorno al proporzionale.
La questione dunque è più che mai sul tavolo della politica.
Chi ha parlato con l’ex premier in queste ore non ha ricavato l’impressione di un “Renzi dai tempi lunghi”. Piuttosto l’ex premier pensa sempre, come opzione principale, alle elezioni a giugno, che significherebbe lo scioglimento delle Camere ad aprile.
Il “Gentiloni stai sereno”, che Pierluigi Bersani attribuisce a Renzi, avrebbe questa spiegazione alla sua base.
Dunque la roadmap di Renzi prevede due mesi, febbraio e marzo, per modificare la legge elettorale, dopo che il 24 gennaio la Consulta si esprimerà , e poi elezioni.
Per questo, secondo alcuni parlamentari molto vicini al segretario dem, la risposta dell’ex premier su quando si andrà a votare (“Non ho fretta”) sembra più una clausola di stile, nei riguardi del presidente del consiglio Paolo Gentiloni e del Capo dello Stato Sergio Mattarella, che una volontà effettiva.
Di certo il Pd, come Forza Italia, attende il giudizio sull’Italicum da parte della Corte costituzionale, solo allora “capiremo qual è la base da cui si parte e per trattare”.
Il punto è questo, spiegano le stesse fonti ai vertici del Nazareno: se c’è solo da correggere qualcosa è un conto, ma se la Consulta dovesse dire “no” al ballottaggio è un altro.
In quest’ultimo caso “si lavorerà su un proporzionale con premio di maggioranza”. Sistema proporzionale che piace a Silvio Berlusconi e infatti, secondo i rumors, i pontieri di Pd e di Forza Italia sarebbero già al lavoro.
Ma anche piace al Nuovo centrodestra con Angelino Alfano che, ospite a In mezz’ora, ha detto di essere per un “proporzionale corretto. Ora ci sono due modi di correzione possibile: lo sbarramento o il premio a chi vince. Noi siamo per questo secondo modello”.
Con il proporzionale con premio di maggioranza si tornerebbe così in un’ottica di coalizione.
Renzi dice ancora ai suoi interlocutori più stretti, alcuni dei quali però sono anche un po’ perplessi sulle forzature e sull’ottimismo, che il Pd è ancora il primo partito.
“A dare le carte sarò io”, avrebbe detto in sintesi l’ex premier.
Ciò in cosa si tradurrebbe, secondo Renzi? Nel fatto che il leader del partito più votato diventerebbe, senza passare dalle primarie, il candidato premier.
Dopodichè, nel caso il Pd fosse il partito più votato spetterebbe a Renzi formare il governo trovando gli alleati che vogliono condividere il programma dell’esecutivo. Tuttavia, qualcuno gli fa notare che il partito più votato potrebbe essere quello dei 5Stelle che però, almeno fino a questo momento e secondo le loro regole, non stringono alleanze.
Ma anche il centrodestra potrebbe arrivare primo, soprattutto se trova il candidato giusto. Chiudendo il cerchio si torna al punto di partenza, ovvero andare al voto il primo possibile, già a giugno, così da non dare il tempo agli avversari per organizzarsi.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 15th, 2017 Riccardo Fucile
I MEDIA DEVONO CHIEDERE SCUSA PER LE BUFALE, MA I GRILLINI SONO ESENTATI… IL POST DELLA CHIMIENTI FATTO SPARIRE
“Nella vita di errori se ne fanno tanti, e chiedere scusa è doveroso per chi svolge un ruolo di servizio.Quando ho sbagliato mi sono sempre scusato, e non mi formalizzo se a segnalarmi un errore è una parte politica. Quindi fallo pure senza problemi. Aspetto con pazienza. E però — già che ci sono — ricambio in anticipo e ti segnalo un caso in cui a chieder scusa dovrebbero essere sia alcuni media sia il tuo movimento. È il caso di Ilaria Capua, una signora che illustra il nostro paese e che è stata infamata ingiustamente da giornalisti e da parlamentari suoi colleghi, e segnatamente dagli eletti m5s. Chiunque voglia può trovare sul web tutta la sua storia, se interessato. Che ne dici, Beppe, vuoi dare il buon esempio, senza bisogno di tweet, post e hashtag #ChiedeteleScusa?
Di cosa sta parlando Mentana?
Della vicenda di Ilaria Capua, scienziata e all’epoca parlamentare di Scelta Civica e presidente della Commissione Cultura coinvolta dapprima e poi scagionata nella vicenda di un’indagine per traffico di virus.
Quando la Capua venne scagionata si dimise .
Paolo Mieli sul Corriere della Sera scrisse che Silvia Chimienti del M5S, che aveva chiesto le dimissioni, aveva poi telefonato alla Capua per “esprimerle il proprio rammarico” per la posizione espressa due anni prima:
Un ultimo elemento di questa vicenda può offrire uno spunto di riflessione al mondo della politica. Ieri all’alba la parlamentare del Movimento Cinque Stelle di cui si è detto poc’anzi, Silvia Chimienti (quella che aveva chiesto le dimissioni immediate) ha telefonato oltreoceano alla Capua per esprimerle il proprio rammarico per la sua presa di posizione di oltre due anni fa. Lei lo ha fatto. Altri no.
Ma sulla bacheca della pagina Facebook di Silvia Chimienti e sul sito del MoVimento 5 Stelle c’era un comunicato in cui si diceva tutt’altro:
Ci rallegra la notizia del proscioglimento della deputata e collega e in commissione Cultura Ilaria Capua dall’accusa di essere coinvolta in un presunto traffico illegale di virus. Umanamente non potevamo che sperare che la vicenda si concludesse con un esito positivo e così è stato, per cui auguriamo a Capua di superare quanto prima le difficoltà e le angosce che le sono derivate a causa di questa vicenda.
Al contempo però non possiamo condividere alcuni giudizi espressi da Capua nei nostri confronti e rispedire al mittente le accuse che ci sono state rivolte da alcuni suoi colleghi di partito.
Quando, nel 2014, la deputata di Scelta Civica venne iscritta nel registro degli indagati dalla Procura di Roma noi chiedemmo soltanto una cosa: che Capua lasciasse il ruolo di vice presidente della commissione Cultura. Questo per due ragioni: il primo di opportunità politica, il secondo perchè eravamo già privi della presidenza, a causa delle note vicende che avevano coinvolto Giancarlo Galan e, dunque, la situazione rispetto alle cariche di commissione presentava una situazione critica.
Dunque, nessun giustizialismo, attacco violento o ostracismo da parte nostra nei confronti della collega. Un fatto comprovato anche dall’atteggiamento tenuto nei suoi confronti negli ultimi due anni: più di una volta in commissione c’è stato infatti modo di confrontarci positivamente e di collaborare con la collega.
Ovvero ci si rallegrava per il proscioglimento ma contemporaneamente si precisa che si respingono le accuse “rivolte da colleghi di partito” della Capua, ribadendo che all’epoca il M5S chiese “soltanto” le dimissioni da vicepresidente della Commissione cultura.
Il che pare leggermente diverso dall’”esprimere il proprio rammarico per la presa di posizione” dell’epoca.
Curioso, no?
E altrettanto curioso è chela Chimienti abbia cancellato dal suo sito il post (ancora per qualche giorno raggiungibile via cache di google) in cui chiedeva le dimissioni della Capua dalla commissione cultura.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 15th, 2017 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI DE MAGISTRIS FECE DIMETTERE MASTELLA E IL GOVERNO PRODI… I CASI LUPI, ERRANI E CAPUA
È ricominciata com’era finita: una richiesta d’archiviazione ora, una condanna cancellata in Cassazione a dicembre, e cioè scandali uno dopo l’altro dispersi nelle nebbie delle campagne di moralizzazione.
A dicembre era toccato a Ottaviano Del Turco, condannato in primo grado a 9 anni e mezzo, in appello a 4 anni e 2 mesi, l’accusa di associazione per delinquere restituita alla procura perchè così non regge.
Tre giorni fa ci sono piovuti addosso gli aggiornamenti su Gianluca Gemelli, nome sconosciuto al mondo se non associato all’ex ministro Federica Guidi, che s’è dimessa a marzo per un’inchiesta di Potenza così riassunta in prima pagina da un quotidiano d’opposizione: «Il regalo del governo al fidanzato del ministro».
L’inchiesta si chiama(va) Tempa Rossa e, a proposito di sintesi, grillini e leghisti levarono le picche in aula all’urlo «governo dei petrolieri», mentre Forza Italia scopriva il concetto di «conflitto d’interessi».
E poi le amiche intercettazioni, con Guidi che al telefono dice al fidanzato Gemelli di non essere la sua «sguattera del Guatemala», gli interrogatori ai ministri Graziano Delrio e Maria Elena Boschi (indimenticabile il titolo «trivellata dal pm»), e alla fine? Niente: la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione, il processo non è da fare.
Il 2017 è cominciato così, ma è il 2016 a essere interessante.
A gennaio decede Why Not, l’inchiesta che ha portato celebrità a Luigi De Magistris, oggi sindaco di Napoli.
Assolti tutti i politici come saranno prosciolti tutti i politici di Mafia capitale, musa di fiction e film dove politici e malavitosi si mischiano e si sparano sotto cieli piovosi alla Blade Runner; prosciolto Gianni Alemanno, che sarà il sindaco che è stato, ma non era mafioso e, nonostante l’uscita di scena della casta, il processo continua a chiamarsi come all’inizio: Mafia Capitale.
Ma dobbiamo tornare un attimo a gennaio: la Cassazione cancella il rinvio a giudizio per Clemente Mastella.
Vicenda inspiegabile, specialmente in poche righe: risale al 2008, con l’arresto della moglie di Mastella e che determina la caduta del governo Prodi, di cui Mastella era ministro.
Siamo a metà pezzo e abbiamo già un governo caduto e un ministro obliterato.
E manca Maurizio Lupi, che si dimette nel 2015 ma è l’anno dopo, a marzo, che Ercole Incalza, il grande dirigente del ministero, la mente dell’Alta velocità italiana, viene prosciolto da nove capi di imputazione: anche qui, non c’è bisogno che le carte vadano a processo, basta il cestino.
Ma intanto proseguono le ole parlamentari, l’aula ridonda di colli dalle vene gonfie, vergogna, dimissioni (ottenute, come si vede), ladri, eccetera, e intanto passano i mesi, e le inchieste sbiadiscono, e le assoluzioni se le porta via il vento.
Non è finita. Vincenzo De Luca – l’impresentabile, secondo la commissione antimafia di Rosi Bindi – è assolto in febbraio da una fiacca accusa di abuso d’ufficio perchè «i fatti non sono mai sussistiti e non sussistono» e il pm d’appello gratifica così i colleghi: le intercettazioni «o non si facevano, o si facevano secondo legge».
Passa una settimana e bacio in fronte a Salvatore Margiotta, senatore pd per cui la solita procura di Potenza nel 2008 aveva chiesto l’arresto per la solita indagine sull’estrazione del petrolio; ci vogliono 8 anni, un’assoluzione in primo grado, una condanna (a 18 mesi) in appello, e una definitiva assoluzione in terzo grado.
È un 2016 fantastico.
Assolto in appello il generale Mario Mori dall’accusa di favoreggiamento per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, base del leggendario processo Trattativa. Assolto in appello Vasco Errani dall’accusa di falso ideologico per cui nel 2014 si era dimesso da governatore dell’Emilia Romagna.
Prosciolta Ilaria Capua, accusata di traffico illecito di virus, dopo di che ha lasciato il Parlamento italiano alle sue pochezze per dirigere un dipartimento dell’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida.
Assolto Ignazio Marino dalle accuse di truffa e peculato, al secolo reato di scontrino che però non sussiste.
Assolto Sandro Frisullo, vicepresidente pugliese ai tempi di Nichi Vendola, dopo essere finito in galera per turbativa d’asta.
Assolto in primo grado Ludovico Gay, funzionario dell’Agricoltura, quattro mesi in carcere per la spartizione dei fondi pubblici: ora non ha un lavoro.
Archiviata l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per Stefano Graziano, che si era dimesso da presidente del Pd Campania.
Assolto Luigi Cesaro, assolto Antonio D’Alì, assolto Maurizio Gasparri…
Buon 2017.
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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Gennaio 15th, 2017 Riccardo Fucile
SI SPRECANO I GIUDIZI SUL “QUASI LAUREATO” IN GIURISPRUDENZA
Ieri la triplice gaffe sui congiuntivi del leader del MoVimento 5 Stelle ha fatto ridere mezza internet.
Oggi persino il Fatto Quotidiano si accanisce sul povero vicepresidente della Camera quasi laureato in Giurisprudenza:
Di Maio è uomo portato alla riflessione, all’ozio, al riposo post-prandiale. E invece le diavolerie del web sono elettriche, velocissime, istantanee: non fai in tempo a dire una cazzata che già la sanno tutti.
In principio fu la dittatura di Pinochet in Venezuela, poi correttamente riportata in Cile.Tra giovedì e venerdì, invece,è stata la volta del congiuntivo: una strage in tre mosse.
La prima, su Twitter: “Se c’è rischio che soggetti spiano massime istituzioni dello Stato qual è livello di sicurezza che si garantisce a imprese e cittadini?”.
Sarebbe “spiino”, congiuntivo, ma l’uso ormai è invalso.
Luigino, però, è preciso e quindi prova a correggere.
Ancora su Twitter: “Se c’è rischio che massime istituzioni Stato venissero spiate . . .”.
Sarebbe “vengano”, ma Di Maio stavolta individua il problema: Twitter.
E allora passa a Facebook: “Se c’è il rischio che due soggetti spiassero…”. V
abbè, “spiino” non gli è noto.
Quel che non sapete è che “non bisogna farne un dramma”. Lo ha detto di recente il presidente dell’Accademia della Crusca Sabatini: “È l’uso. In inglese, spagnolo e francese il congiuntivo non c’è più”.
Capito? Di Maio è un leader europeo.
Il vicepresidente della Camera è stato pizzicato ieri: ha aggiornato tre volte il suo stato (due sul profilo Twitter e una su Facebook) cambiando la coniugazione del verbo usato ma scrivendolo sempre sbagliato.
E la perculata è partita poderosa: c’è chi ha proposto un referendum abrogativo del congiuntivo, molti hanno citato Paolo Villaggio e i problemi del ragionier Fantozzi con la lingua italiana.
Tra gli sberleffi – numerosi – nei confronti dell’esponente pentastellato c’è anche spazio per qualche detrattore politico.
Come Alessia Morani, che punge: «Essenziale continuare ad investire sulla scuola altrimenti rischiamo di avere altri vicepresidenti della Camera così #Terminator #DiMaio».
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 15th, 2017 Riccardo Fucile
IL CARCERE O LA MORTE, NON C’E’ VIA DI SCAMPO PER I GIOVANI DI CAMORRA… LA STORIA DI DUE FRATELLI
Dietro una sparatoria, una strage sfiorata come quella al Mercato della Duchesca del 4 gennaio scorso, ci sono storie di famiglie che vivono una quotidianità di guerra.
Si può scegliere di ignorare queste vicende o, invece, avere il coraggio di fissare l’abisso.
Valerio Lambiase, 28 anni, è uno dei ragazzi arrestati per la sparatoria in cui è rimasta ferita una bambina di 10 anni oltre ad alcuni ambulanti senegalesi.
Gennaro Cozzolino, 39 anni, il suo socio, sarebbe colui che ha effettivamente sparato mentre Valerio durante l’aggressione era armato di una mazza da baseball.
Valerio è fratello maggiore di Gianmarco, la storia di questi due fratelli è emblematica.Hanno voglia di fare, di migliorare la loro condizione, hanno fretta di crescere.Sono di Forcella e qui il modo più veloce di affermarsi è mettersi a disposizione dei clan.
Gianmarco inizia a sorvegliare le piazze per conto della famiglia Del Prete, che è il braccio operativo dei Mazzarella nel quartiere.
I Mazzarella sono uno dei clan più antichi della città : nascono in periferia, a San Giovanni a Teduccio, e arrivano a comandare fino al centro.
Entrano a Forcella per la via del sangue nel 1996: Michele Mazzarella (figlio di Vincenzo detto “o pazz”) sposa Marianna Giuliano (figlia di “Lovigino” Giuliano, uno dei massimi dirigenti della camorra, divenuto noto ai media per la foto con Maradona in una vasca a forma di conchiglia. La famiglia Giuliano collassa nei pentimenti: i Mazzarella diventano sempre più i legittimi sovrani di Forcella.
I fratelli Lambiase crescono in questo contesto di decadenza. Le grandi piazze di spaccio sono spostate a Secondigliano, la ricchezza criminale di Forcella si depaupera, ma proprio quando stanno per diventare maggiorenni, intuiscono che tutta l’attenzione mediatica concentrata su Scampia sta permettendo a Forcella di tornare un’importante piazza di spaccio. A Forcella si formano le paranze.
L’idea di Emanuele Sibillo, capo del gruppo più feroce, la “paranza dei bambini”, è di togliere il potere nel quartiere ai Mazzarella, considerati forestieri, e di darlo ai forcellani.
Gianmarco viene avvicinato dalla paranza dei bambini: l’obiettivo è farlo passare dalla loro parte contro i clan “stranieri” di San Giovanni a Teduccio, ma Gianmarco non vuole, ha una specie di istinto di fedeltà verso il suo clan d’origine.
Inizia una vera e propria guerra tra i Mazzarella-Del Prete e la paranza dei bambini di Sibillo. La famiglia di Gianmarco capisce che la situazione sta diventando gravissima. Lo spinge ad allontanarsi dal centro di Napoli, finchè la situazione non si sarà calmata.
Nelle telefonate intercettate nell’inchiesta della Dda di Napoli, il padre dice a Gianmarco: “Qua non devi venire proprio! Non la devi fare proprio la pazzaria! (…) non sai chi ti vuole male”.
L’altro figlio, Valerio, è al sicuro, perchè è finito in galera. Ed è proprio per questa ragione che la compagna del padre ha un’idea per salvare anche Gianmarco: “Dobbiamo chiamare un carabiniere (…) gli dobbiamo far pigliare un paio di anni di carcere… questi qua vanno tutti quanti in galera, quando lui esce non c’è più nessuno (…) almeno il padre lo va a trovare ogni settimana al carcere e non va sopra al cimitero”.
È proprio come appare da queste parole: l’idea è di far arrestare Gianmarco per far sì che non venga ucciso. Ma lui continua a frequentare la zona, ad andare e venire da Forcella.
Sente che è il momento in cui poter avere un ruolo più importante e quindi più soldi, perchè molti del clan sono in carcere e altri stanno tradendo passando con i rivali.
Ma nel 2013 arriva l’imprevisto: nasce sua figlia e la sua compagna Anita, che ha 21 anni, non vuole far vivere la sua bambina in una famiglia di camorra.
Litigano e lei riesce a convincere la propria madre ad attivarsi per trovargli un lavoro: e lo trova. A un bar calabrese serve un barista, ma Gianmarco non ne vuole sapere. Qui è riportata l’intercettazione tra Anita e Gianmarco, in cui quest’ultimo le confessa che non ce la fa a vivere come un barista, un normale lavoratore, seguendo la classica logica del giovane di paranza, secondo cui a lavorare sono solo i fessi, gli uomini che non contano:
Gianmarco: “Embè me ne vado là [a Forcella, ndr ] Anita…”.
Anita: “E che fai Gianmarco là …”.
Gianmarco: “Io … e poi si vede quello che faccio, Anita …”.
Anita: “Eh… Gianmarco e che fai perdi questo lavoro qua per andartene là …”.
Gianmarco: “Ed io poi vado sempre a lavorare…?”
Anita: “Embè che vuoi fare…?”.
Gianmarco: “Sempre quello che ho in testa Anita… tu lo sai bene (…)”.
Anita: “Eh Gianmarco e perchè tu vuoi fare sempre… perchè tu vuoi fare sempre questa vita qua…? Fammi capire (…) ho parlato con tua mamma, ho parlato con tuo padre, ho parlato con…, ho parlato con tutti quanti, tutti quanti… perchè devi fare per forza quella vita, allora è come dico io…”.
Gianmarco: “Ma per forza, ma è una cosa obbligatoria…”
Anita, per convincere Gianmarco ha parlato con la sua famiglia e i suoi migliori amici, ha cercato di mostrare a tutti che Gianmarco è diverso dagli altri ragazzi di paranza.
Anita vuole far capire a lui e a chi gli vuole bene che non è scritto che il suo destino sia per forza quello di camorrista. Ma per Gianmarco, invece, è obbligatorio, di fronte alla possibilità di guadagnare di più, lavorare nel narcotraffico e per i Mazzarella.
E così risponde alla richiesta di Anita di emigrare e cercare un’altra vita
Anita: “Andiamo per altre parti, e non ti preoccupare”.
Gianmarco: “Eh, non ti preoccupare, con 100-150 euro alla settimana voglio vedere come facciamo… Anita ma per piacere, ma stai un poco zitta, sì…”.
Gianmarco rimane a Napoli, quindi.
L’unica precauzione che prende è quella di andare a vivere a casa dei suoceri a Ponticelli, territorio controllato dai Mazzarella.
Ma la paranza ci mette poco a scoprire dove si trova. Il 1° marzo 2015 Gianmarco non ce la fa più a stare chiuso in casa.
Ha 21 anni e nemmeno la paura lo fa rinunciare a vedere la partita della sua squadra. Quella sera si gioca Torino-Napoli. Gianmarco va a vederla in un circolo ricreativo di Ponticelli. Intorno alle 21.30 due killer arrivano e gli sparano addosso. Muore poche ore dopo in ospedale.
Questa storia ha un sapore amaro, perchè vede una famiglia sperare che i propri figli vadano in carcere come unica salvezza da morte certa.
E il lavoro per pochi spiccioli, senza diritti e soprattutto senza possibilità di crescita viene visto come una condanna assai peggiore di quella di morire o essere arrestati.
Il padre dei Lambiase in un’intercettazione, parlando dei figli, dice: “Gianmarco è un uomo perso (…) Valerio però rimane là uno lo va a trovare, lo vede, hai capito… Ma quello vuole fare proprio quello, fare quello che lo vuole fare hai capito? Non capisce che io domani sono più forte di te, domani mi sveglio io quello è più forte di te non capisce mo’ sta proprio rischiando la vita di quello che sta in mezzo alla via sta monnezza…”.
Era consapevole che il destino di Gianmarco fosse segnato e che il carcere fosse la protezione di Valerio.
Una volta uscito dal carcere quest’ultimo, infatti, è tornato per strada. Questa è una storia svelata dalle indagini dei pm Woodcock e De Falco e dalla squadra mobile di Napoli comandata da Fausto Lamparelli (che avevano già indagato l’ascesa e la caduta della paranza dei bambini).
Ora queste indagini che raccontano di Valerio con una mazza da baseball, a riprendersi il territorio dalle mani degli assassini di suo fratello, pronto a spaccare teste e gambe e a costringere i disperati venditori ambulanti africani a tornare a pagare il pizzo al suo clan.
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 15th, 2017 Riccardo Fucile
UNO DEI PROFESSORI CHE NEL ’94 STAVA A FIANCO DI BERLUSCONI POTREBBE DIRE SI’ A CANDIDARSI NELLA SUA CITTA’
Da presidente del Senato a primo cittadino di Lucca.
Fra qualche giorno Marcello Pera, uno dei professori che nel ’94 stava al fianco di Silvio Berlusconi, potrebbe sciogliere la riserva e dire sì a chi gli ha proposto di scendere in campo come candidato sindaco della sua città .
Una ridiscesa in campo dalla porta di ingresso della sua cittadina toscana.
Chi conosce Pera e lo sente ogni giorno rivela alla Stampa che il «professore» avrebbe preso in «seria» considerazione l’ipotesi della candidatura perchè «ogniqualvolta faccio due passi per le vie del centro in tanti mi chiedono di candidarmi come sindaco».
La sua popolarità , è il ragionamento che in queste ore si sta facendo fra i partiti del centrodestra, «supera il perimetro dei moderati e potrebbe investire anche fette di elettorato di sinistra».
L’idea
Ecco su quali basi starebbe nascendo l’ipotesi di puntare sull’ex presidente di Palazzo Madama. Il ritorno di Pera passa da un lungo letargo iniziato nel gennaio del 2013.
A pochi giorni dalla chiusure delle liste Pera decide di congedarsi dalla politica: «Mi faccio da parte senza mendicare e senza rivendicare».
In una intervista ad Ugo Magri sulla Stampa mette a verbale che era la fine di una stagione politica: «Esce di scena la prima generazione di Forza Italia, quella che aveva creduto di poter realizzare insieme a Berlusconi la rivoluzione liberale in questo paese».
Un passo indietro definitivo che lo allontana dai palazzi della politica e dall’entourage del Cavaliere per più di due anni.
Nel febbraio del 2016 al letargo si aggiunge l’addio alla Capitale e il ritorno nella sua casa di Lucca: «A Roma ho già dato, sono io che torno con le mie carabattole a Lucca».
Gli studi di filosofia restano la grande passione, ma Pera non perde di vista la politica e, in particolare, «quel ragazzotto di Firenze che guida Palazzo Chigi».
Sottovoce l’ex presidente del Senato inizia a pensare che «Renzi è il nuovo Berlusconi, l’unico in grado di realizzare la rivoluzione liberale».
Il sostegno al Sì
Ad agosto scorso Pera decide di scendere in campo per il Si al referendum costituzionale al fianco di un altro professore della prima stagione di Forza Italia, Giuliano Urbani: «Abbiamo fatto una riflessione: perchè perdere questa occasione? Questa riforma non è peggiore da quella firma da Calderoli».
È attivissimo in tutto lo stivale, si reca a Londra al Carlton Club per sponsorizzare le modifiche della costituzionali «perchè la riforma sulla quale voteremo ha il pregio di eliminare il bicameralismo paritario».
Il suo è un tour de force fino al 4 dicembre. Nelle settimane della campagna referendaria Pera partecipa ad alcune iniziative organizzate dal leader di Ala Denis Verdini a favore della riforma costituzionale.
L’intenzione è quella di far nascere un polo dei liberali all’indomani della vittoria del Si. Padre nobile dell’operazione, appunto, lo stesso Pera.
La debacle del 4 dicembre non impedisce Verdini, che stima l’intelligenza e la preparazione di Pera, di puntare sul professore per un ruolo di ministro nel governo Gentiloni.
Nessun commento
In quei giorni frenetici Pera non si scompone. I cronisti lo rincorrono, ma lui non proferisce verbo.
Alla fine però il partito di Verdini resta fuori dell’esecutivo e Pera non rilascia alcuna dichiarazione, nonostante per un attimo si sia visto al ministero dell’istruzione. Eppure Palazzo Orsetti non è il dicastero di viale Trastevere.
A Lucca in tanti puntano le fiches sull’ex presidente del Senato. Da Fi a Fratelli d’Italia, lo stato maggiore del centrodestra locale sarebbe pronto a convergere sul nome di Pera.
Dubbioso soltanto il Carroccio «per il suo Si al referendum renziano».
Mentre da Arcore il Cavaliere avrebbe fatto filtrare un messaggio per gli alleati: «Lì Marcello è stimatissimo, sarebbe la nostra carta vincente».
Giuseppe Alberto Falci
(da “La Stampa”)
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Gennaio 15th, 2017 Riccardo Fucile
COMANDA, NON ELETTO, SU UN ELETTORATO TETRAGONO
Aldo Grasso sul Corriere della Sera parla oggi di Davide Casaleggio, dipinto come “guru dinastico” che comanda non eletto su un elettorato “tetragono” (come era stato definito da Pagnoncelli ieri):
Già , ma a quale titolo Davide C. impone ai pentastellati strutture (la piattaforma Rousseau che gestisce tutte le votazioni), strategie di rete e obiettivi politici?
A uno solo, quello dinastico.
Il partito della democrazia diretta, della trasparenza, dell’onestà si fonda semplicemente su una struttura feudale e su un’azienda privata.
Davide C. viene descritto come un solitario, un sospettoso, un abitudinario (a pranzo solo brioche e succo di pera), un mezzo guru (il guru dimezzato).
Comunque, per farla breve, nel M5S comanda lui, il non eletto, il figlio di.
Nonostante questi travisamenti, l’elettorato pentastellato appare tetragono, integralista, insensibile alle vicende che riguardano il Movimento.
Non è più solo il partito del vaffa, del populismo, della cultura del No. È anche l’italianissimo partito del Nonostante.
(da agenzie)
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Gennaio 15th, 2017 Riccardo Fucile
A PALERMO CONTINUA LA GUERRA DEGLI INQUISITI PER LE FIRME FALSE CONTRO LE COMUNARIE
I giornali sono cattivi, dicono bugie, inventano storie sulle firme false per screditarci. Anzi no. I giornali sono buoni e giusti e il MoVimento 5 Stelle di Palermo è un disastro.
A spiegarci che quello che raccontano i media è vero nella misura in cui conviene che lo sia è l’onorevole Chiara Di Benedetto, che sulla sua pagina Facebook un paio di giorni fa ha continuato la guerra ingaggiata dagli inquisiti per le firme false contro le comunarie del M5S dopo la morìa di candidati che sta mettendo in difficoltà la lista di candidati per la corsa a sindaco della cittadina, dove rimangono in corsa il poliziotto e sindacalista Igor Gelarda e l’odiatissimo (dai nutiani) fondatore di Addiopizzo Ugo Forello, accusato anche di un non meglio precisato complotto sulle firme false insieme ad altri portavoce regionali che hanno deciso di non avvalersi della facoltà di non rispondere e di rilasciare il saggio grafico alla procura di Palermo.
La Di Benedetto, che non si è per nulla scandalizzata per il silenzio dei suoi colleghi di militanza davanti ai magistrati, si scandalizza oggi per i ritiri e sostiene che le comunarie costituiscano oggi “una grossa presa in giro nei confronti dei cittadini palermitani”, forse dimenticando che fino a qualche tempo fa il M5S espelleva chi osava mettere in dubbio la regolarità delle votazioni:
Sono molti gli articoli di stampa in questi giorni che definiscono a rischio la presentazione della lista del Movimento 5 Stelle a Palermo in seguito alle defezioni e ritiri dalla competizione di alcune donne candidate al consiglio comunale. Ciò che viene prospettato dai giornali, e finora mai smentito dai Portavoce regionali che stanno gestendo questa fase di creazione della lista palermitana, ovvero di richiedere a Casaleggio e a Beppe Grillo una deroga per inserire in lista delle candidate dell’ultimo minuto, delle riempi-lista insomma, sarebbe gravissima oltre a costituire un precedente nella storia del Movimento 5 Stelle.
A questo si aggiunge che, sempre secondo articoli di stampa, l’Arch. Giulia Argiroffi e l’Ing. Giancarlo Caparotta, avevano già comunicato allo Staff di Beppe Grillo l’intenzione di ritirarsi dalla corsa per il candidato sindaco alcuni giorni prima della graticola, ma che è stato chiesto loro di partecipare ugualmente al confronto pubblico per evitare che l’evento venisse annullato. Inoltre, è stato riportato da diversi giornali, anche qui senza alcuna smentita, che le rinunce dell’Argiroffi e di Caparotta siano finalizzate a convogliare i voti verso il candidato Ugo Salvatore Forello.
Non sono solita dare credito ai giornali e a notizie come questa, anche perchè il Movimento non ha mai portato avanti, finora, comportamenti simili ma è evidente che il risultato ultimo di tutto questo sia una clamorosa presa in giro per i cittadini palermitani, sia quelli che hanno seguito la graticola dal vivo, sia quelli che l’hanno seguita on line e ne hanno letto sui giornali, sia quelli che credono nel M5S, e che questi atteggiamenti e giochetti non appartengano in nessun modo al Movimento 5 Stelle per come l’ ho conosciuto, quando le elezioni erano un momento marginale, una piccola parentesi di un lavoro e un progetto grande e bellissimo di rivoluzione sociale e culturale
Come mai tutto questo astio?
Il problema, come spesso succede in questi casi, è politico: dopo i ritiri dei tanti candidati infatti Cancelleri ha ricevuto il mandato di risolvere la grana “quote rosa”, ovvero delle sole nove donne in lizza (devono essere un terzo dei candidati) che potrebbe costringere i 5 Stelle a presentare una lista con soli 27 nomi.
Si ipotizzano, scrive oggi Repubblica Palermo, due soluzioni: riaprire le “comunarie” soltanto per le donne oppure lasciare al candidato sindaco la possibilità di rimpinguare la lista con altre candidature. E infatti anche Riccardo Nuti ha parlato di “presa in giro” in riferimento alla graticola andata in scena a inizio settimana:
Intanto probabilmente lunedì si aprirà il voto.
Poi sarà il momento della Notte dei Lunghi Coltelli.
(da “NextQuotidiano”)
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