Gennaio 13th, 2017 Riccardo Fucile
IL NUOVO CORSO: POCA SCENA E MOLTI RETROSCENA
Gianrico Carofiglio responsabile Comunicazione e Maurizio Martina all’Organizzazione. La nuova segreteria di Matteo Renzi prende forma. La prossima settimana l’annuncio ufficiale, da parte del segretario Pd che oggi è tornato a Roma per rifinire il lavoro iniziato martedì scorso, primo ritorno in città da Pontassieve dopo la pausa natalizia.
Nel pomeriggio, Renzi si è anche recato al Gemelli a far visita al premier Paolo Gentiloni in convalescenza dopo l’operazione di martedì sera.
Rientro in sordina e a tappe per il segretario Dem, che dovrebbe parlare in un’intervista nei prossimi giorni, ma conta di tornare a tutti gli effetti alla vita politica a fine mese: con la due-giorni degli amministratori locali del Pd a Rimini il 28 e 29 gennaio.
Cioè subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum, il verdetto che darà una piega al dibattito politico confuso e sonnacchioso di questo inizio d’anno.
Stamane al Nazareno il segretario del Pd ha ricevuto il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda, Gianni Cuperlo e altri parlamentari che non aveva incontrato martedì scorso, lo stesso Carofiglio e anche Martina.
Scrittore, ex senatore Dem nella scorsa legislatura, ex magistrato, barese, Carofiglio è il prescelto per la nuova Comunicazione di un Pd che Renzi conta di rilanciare dopo la sconfitta al referendum costituzionale.
Non a caso la scelta cade su un esponente del sud, non a caso su un pugliese che viene dalla magistratura: proprio come il governatore Michele Emiliano, capofila dell’antirenzismo nel Pd, già in corsa per la segreteria al congresso d’autunno.
Se i perchè della scelta di Carofiglio stanno più o meno in questi termini, l’Organizzazione affidata a Maurizio Martina si spiega con la massima fiducia che l’ex premier ripone nel ministro dell’Agricoltura.
Martina non è renziano della prima ora, viene dai Ds, rappresenta un pezzo della sinistra che ha scelto di stare con Renzi. Dunque è risorsa politica preziosa per Renzi. A lui andrebbe l’Organizzazione del partito, incarico pesante, che richiede un impegno full-time, difficilmente conciliabile con l’attività di ministro.
Infatti è per questo che Martina avrebbe espresso dei dubbi, ma Renzi insiste a volerlo in una squadra dove vorrebbe siano rappresentate tutte le aree del partito, a parte la minoranza del no.
E’ anche per questo che oggi ha avuto un colloquio esplorativo con Cuperlo, parlamentare di minoranza ma schierato con il sì al referendum. Infatti, a dispetto delle intenzioni iniziali, Renzi non escluderà tutti i parlamentari dalla nuova squadra. Al momento, la segreteria è composta da 15 membri, tutti parlamentari a parte Filippo Taddei, che sarebbe confermato all’Economia e Lavoro, lo stesso Renzi, Debora Serracchiani, che verrebbe confermata vicesegretario con Guerini, e Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e responsabile Enti locali.
Ecco, non verranno eliminati tutti i parlamentari, perchè tagliare il cordone tra Nazareno e parlamento potrebbe risultare controproducente quando arriverà il momento di staccare la spina a Gentiloni e tornare alle urne: entro giugno, insiste Renzi.
E allora sì ad alcuni parlamentari in squadra. Anche se alcuni degli attuali dovranno far spazio ai sindaci. Oltre a Ricci, Renzi vorrebbe nella nuova segreteria anche il primo cittadino di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà , il sindaco di Ercolano Ciro Bonajuto e altri.
Nella nuova strategia ancora abbozzata infatti è centrale il ruolo degli amministratori locali del Pd.
Per questo Renzi programma il ritorno ufficiale sulla scena politica, dopo le dimissioni da premier e la pausa natalizia, con una full immersion tra sindaci, presidenti di regioni e province, consiglieri di tutte le amministrazioni locali Pd il 28 e 29 gennaio al centro congressi di Rimini, subito dopo la pronuncia della Corte Costituzionale sui ricorsi contro l’Italicum fissata per il 24 gennaio.
Prima di questa data infatti, il dibattito politico sulla legge elettorale continuerà a girare a vuoto. La sentenza dell’Alta Corte invece fornirà il canovaccio necessario per avviare “la discussione senza melina”, questa l’aspettativa di Renzi.
Ecco perchè la due-giorni di fine mese è centrale nella nuova vita di Renzi segretario del Pd alle prese con la sfida più difficile: tornare in sella da premier.
“A Rimini parleremo del buon governo del Pd a livello locale: cosa che finora abbiamo fatto troppo poco”, ci spiega Matteo Ricci che sta organizzando l’evento, cui sono invitati anche parlamentari e ministri.
“Parleremo di welfare, sicurezza, gli investimenti che sono stati maggiori con lo sblocco del patto di stabilità , emergenza profughi, ambiente, urbanistica, riforme perchè vogliamo mantenere l’elezione di secondo livello per le province. Siccome si parla solo di cosa fa il governo nazionale o del mal-governo del M5s a livello locale, noi vogliamo cominciare a parlare del buon governo del Pd…”, continua Ricci che vorrebbe fare della due-giorni di Rimini un “appuntamento annuale”.
Una Leopolda degli amministratori? “Stiamo ragionando sul titolo: per ora la parte certa è ‘buon governo’”.
Renzi tenta di riorganizzare la macchina Dem per le prossime amministrative: in primavera oltre mille comuni sono interessati al voto. Ma nel frattempo la sfida elettorale potrebbe diventare anche nazionale. Tanto che nella nuova squadra del Nazareno entrerà Tommaso Nannicini, economista, fedelissimo dell’ex premier, sarà lui a occuparsi del programma del Pd per le elezioni.
Il segretario infatti è quasi ossessionato dal ritorno alle urne al più presto: così lo descrive chi lo ha incontrato al Nazareno. E tutte le energie saranno finalizzate a questo scopo, una volta che la Corte Costituzionale avrà parlato, lasciando sul campo un sistema proporzionale oppure mezzo-maggioritario. Sono le due ipotesi su cui si ragiona, alternative tra loro: la prima presuppone un lavoro parlamentare con Forza Italia e naturalmente Ncd, la seconda presenta vie parlamentari più ostiche e magari tempi più lunghi (leggi qui).
Piccoli passi e niente fanfare, niente conferenze stampa e tweet ridotti al minimo, incontri al chiuso del Nazareno e nessuna comunicazione esterna ufficiale.
E’ questo il Renzi del 2017, che viene a Roma anche per cercare casa dopo lo ‘sfratto’ da Palazzo Chigi.
Poca scena, molto retroscena: da un mese è così, a parte le foto col carrello della spesa su ‘Chi’ e quelle sugli sci in Alto Adige a Capodanno.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 13th, 2017 Riccardo Fucile
IL FREGOLISMO PUO’ FUNZIONARE CON IL GUARDAROBA DI SCENA, MA VANIFICA LA POSSIBILITA’ DI TRASFORMARE L’INDIGNAZIONE IN FORZA DI GOVERNO
Vorrei sommessamente osservare come non stia in piedi la classificazione a “figuraccia” del recente pendolarismo grillesco, con andate e ritorno tra Farage e Verhofstadt, Alde e Ukip, perchè qui non sono in discussione leggerezze e pressapochismi.
La vicenda della conversione liberista di Grillo a Malindi e la successiva apostasia a Strasburgo è una spia definitiva del modo di ragionare proprio di chi regge le sorti del Movimento 5 Stelle; e della sottomissione dei seguaci.
Insomma, scandalosi non sono i tira-e-molla o gli appuntamenti mancati, quanto l’assoluta indifferenza a elementari principi di coerenza, per cui accasarsi significa scegliere un campo.
Ed è a dir poco spudorato pensare di riposizionarsi nell’area del mercatismo thatcheriano più intransigente e dell’europeismo acritico dopo aver proclamato per anni la propria totale avversione per quelle ideologie; e poi — in un batter d’occhi — passare a schierarsi con Giulietto Chiesa nel fronte di un anti-atlantismo che nemmeno Armando Cossutta…
Fregolismo che può funzionare con il guardaroba da scena, ma che in politica suona a spudorata irrisione dell’intelligenza dei destinatari di tale messaggio.
Un fatto configurabile come truffaldino, non uno scivolone comico (magari pure spassoso).
E francamente non convince almanaccare di altrettante “bidonismi” imputabili agli avversari — da parte dei minimizzatori, impegnati a turare le falle di coerenza applicando pezze a freddo ai fatti — visto che si aveva la pretesa di bonificare il campo politico proprio dalle malefatte di siffatti avversari.
E ridursi a misurare il tasso reciproco di rogna non è certamente in linea con le promesse di partenza.
Soprattutto considerando la vorticosità con cui si è svolta la vicenda: nello spazio di pochi giorni passare dal tentativo di farsi cooptare dalle tecnostrutture e dagli establishment di Bruxelles e subito dopo andare a bussare alle porte del Cremlino putiniano.
Si direbbe, con Grillo di volta in volta influenzato dall’ultimo interlocutore sentito in ordine di tempo: Flavio Briatore ai bordi della piscina keniota, poi l’antico concittadino Giulietto Chiesa. Magari ricercato — con la mediazione di un redivivo Paolo Becchi — come canale per i petrol-rubli post-sovietici?
Mosse rivelatrici di attitudini affaristiche, che il manager Casaleggio junior ostenta palesemente nel gestire i business di famiglia (di cui il Movimento 5 Stelle è asset primario), ma che vanno registrate anche come spia di un congenito cinismo opportunistico riscontrabile già nel giovane Grillo, quando frequentava gli amici genovesi di piazza Martinez, nel quartiere semi-popolare di San Fruttuoso, e si appropriava delle battute di Orlando Portento; cabarettista anch’esso ma meno carrierista del vicino di casa (il tormentone grillesco “hai mangiato pane e volpe” in effetti è suo).
Quando rombava con la Ferrari appena acquistata nel paesino di Savignone, volendo far schiattare gli altri villeggianti (tra cui Fabrizio de Andrè), che avevano sempre snobbato quei tamarri dei due fratelli Grillo. Pure un po’ destrorsi.
Una sorta di menefreghismo reso possibile dall’acquiescenza di chi gli sta attorno.
Per cui Luigi Di Maio, interrotta (pro tempore?) la frequentazione dei professorini renziano-blairisti della Luiss, inarca il petto e tuona di “uscite dall’Europa” (ma non era lui uno degli sherpa con David Borrelli della conversione NeoLib?).
Alessandro Di Battista si esibisce dalla Gruber in acrobazie pompieristiche dicendo che è più importante parlare di sanità .
Indubbiamente, basta che non sia un modo per eludere argomenti spinosi. Come quello di una perdita di credibilità politica, che vanifica il tentativo di trasformare l’indignazione in forza costituente.
Pierfranco Pellizzetti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 13th, 2017 Riccardo Fucile
SI RITIRA ANCHE L’ATTIVISTA D’AGOSTINO … SOLO NOVE LE DONNE IN CORSA (DEVONO ESSERE UN TERZO) … APPENA DUE I CANDIDATI SINDACO (TRE HANNO RINUNCIATO)
Ancora un ritiro, ancora un’ennesima defezione dalla lista 5 Stelle per le amministrative di Palermo.
E adesso le comunarie, la votazione online dello scorso dicembre per formare la lista, rischia di trasformarsi in un flop completo.
Perchè adesso le donne in lista sono solo 9 e visto l’obbligo di avere un terzo di “quote rosa”, in lista si potranno inserire non più di 27 candidati su 40.
Oggi con un post su Facebook ha annunciato il suo ritiro Giovanna D’Agostino, giovane attivista: “Ho deciso di ritirare la mia candidatura perchè al momento non esistono le condizioni per portare avanti un progetto comune legato al movimento” scrive D’Agostino.
Nei giorni scorsi aveva lasciato Ivana Cimo’ dicendo che “il Movimento non è pronto”, e prima ancora si erano ritirate Tiziana Di Pasquale e Daniela Tomasino. Tutte in polemica per come sono state gestite le comunarie che hanno registrato defezioni pure per i candidati sindaco: in corsa sono rimasti soli l’avvocato e fondatore di Addiopizzo Ugo Forello e il poliziotto Igor Gelarda, dopo i ritiri di Giancarlo Caparrotta e Giulia Argiroffi, che però rimangono in lista come consiglieri.
Ritiri, rinunce, passi indietro, alcuni dettati da motivi personali, altri frutto dei veleni e delle spaccature interne al Movimento tra l’area dei deputati regionali e quella dei nazionali, da Riccardo Nuti a Claudia Mannino e Giulia Di Vita.
Dietro le quinte si sussurra, di un tentativo dei “nazionali” e di pezzi della base di sabotare la lista per bloccare la scalata del Movimento da parte dei “regionali” e di Forello.
Certo è che adesso con i ritiri delle donne la lista rischia di saltare perchè non ci sono più donne da ripescare nelle comunarie per inserirle in lista.
Sarà adesso compito di Beppe Grillo e del vertice del Movimento affrontare l’ennesima grana palermitana, dopo il caso firme false.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 13th, 2017 Riccardo Fucile
TERMINI PROROGATI FINO AL 28 FEBBRAIO, GUERINI MINIMIZZA
A parte le duemila tessere nel catanese, e qualche rinnovo con il contagocce a Enna e Messina, in Sicilia il Pd è paralizzato. Iscritti addio. E stiamo parlando del tesseramento del 2016. Idem in Calabria.
Tanto che Lorenzo Guerini, il vice di Renzi, ha deciso la proroga dei termini fino al 28 febbraio.
L’allarme cresce nel Pd. Tra disaffezione e caos.
Prendiamo Torino: il calo provinciale vede gli iscritti scendere in un anno da 7.800 a 4.900 e, solo in città , si è passati a mille da 2.400. Tutta in salita la strada per tentare di recuperare.
Nella roccaforte dell’Emilia Romagna in tre anni gli iscritti dem si sono dimezzati: sono scesi dai 76 mila del 2013 ai 37mila del dicembre 2016.
E il 2013 fu l’anno orribile dei 101 che impallinarono Prodi per il Quirinale.
I militanti non la perdonarono, però ancora reggevano. Il dato è parziale, non ancora definitivo. Ma il trend era evidente dal 2014 quando nel fortino emiliano si passò da 76mila a 57mila; nel 2015 si ridussero a 48mila.
Nel 2016, appunto, il contatore online del Pd regionale è per ora fermo a 37mila.
Il segretario Paolo Calvano rassicura tuttavia: “Siamo comunque circa all’80% del tesseramento a metà dicembre, a circa tre mesi dalla chiusura. Aspetto la fine della campagna per commentare”.
Guerini sostiene che alla fine si arriverà a un meno 10% rispetto ai 370 mila iscritti del 2015.
E segnala le situazioni virtuose: la Toscana con oltre 40 mila iscritti, in linea con l’andamento tradizionale. A Milano il segretario provinciale dem Pietro Bussolati è piuttosto soddisfatto: “Apriremo 4 nuovi circoli. E dopo la sconfitta al referendum costituzionale sono arrivati iscritti, non un gran numero – 250 persone – ma vale il segnale. Comunque le tessere sono oltre 9 mila, come l’anno precedente”.
L’esempio milanese piace a Renzi, il quale subito dopo la sconfitta del 4 dicembre sottolineò che qualcosa di positivo stava pur accadendo, con i cittadini del Si che stavano provocando “un boom di iscritti”. Luci e ombre.
In allarme sul tesseramento è la minoranza dem. Che sospetta un ritardo e un blocco organizzato per meglio controllare il prossimo congresso da parte dei renziani.
Nel Lazio e soprattutto a Roma, dove a marzo si dovrebbe fare il congresso, il timore è che prevalgano le truppe cammellate dei capibastone.
Per ora comunque il rinnovo delle tessere 2016 è in alto mare.
La sezione Trastevere chiama a raccolta gli iscritti martedì “per l’apertura del tesseramento in vista del congresso romano”. Con un avvertimento: “C’è la possibilità di accogliere nuovi iscritti per il 2016 ma in misura limitata”.
A proposito del congresso nazionale, Bersani, l’ex segretario, dice che “va fatto nel 2017, poi se si va a votare prima allora ci vorrà una cosa d’emergenza, più accorciata ma sarebbe bene una discussione”.
Dal Nazareno fanno sapere che il 2 per mille è andato meglio del previsto: oltre 6 milioni raccolti
(da agenzie)
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Gennaio 13th, 2017 Riccardo Fucile
APERTA INDAGINE SU INTERFERENZE… CHE SIA IL NUOVO CORSO DI TRUMP?
La trasmissione Usa si interrompe all’improvviso e subentrano le immagini di Russia Today.
Un episodio che farà discutere quello del live stream di C-Span, canale televisivo Usa di politica, che è stato interrotto da 10 minuti di programmazione della tv di Mosca in lingua inglese, Russia Today (Rt)
L’interruzione è avvenuta durante la trasmissione di una seduta del Congresso statunitense mentre la deputata Maxine Waters parlava della Security Exchange Commission (Sec), intorno alle 14 ora locale.
C-Span, in una nota, ha annunciato l’apertura di un’indagine. “Stiamo attualmente analizzando l’accaduto e lavorando alla sua risoluzione. Poichè Rt è uno dei network che monitoriamo regolarmente, lavoriamo partendo dal presupposto che si sia trattato di un problema interno di ‘routing'”, cioè di indirizzamento, ha spiegato C-Span. L’interruzione era stata segnalata via Twitter dalla stessa Rt, ironizzando sulle teorie cospirazioniste che avrebbe scatenato.
(da agenzie)
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Gennaio 13th, 2017 Riccardo Fucile
TRE ANNI DI LIBERTA’ VIGILATA …LA DONNA, DOPO AVER FATTO CADERE I FUGGITIVI, AVEVA TIRATO UN CALCIO AL BAMBINO
È stata condannata a tre anni di libertà vigilata per comportamento scorretto Petra Laszlo, la videoperatrice della tv ungherese N1TV filmata mentre faceva deliberatamente lo sgambetto ad un migrante non giovane con in braccio un bambino in fuga dalla polizia vicino al confine tra Ungheria e Serbia.
Non paga, la donna, dopo aver fatto cadere a terra i fuggitivi ha tirato un calcio al bambino.
Petra Laszlo – all’epoca dei fatti licenziata dalla N1TV dopo la diffusione del filmato di un altro operatore televisivo tedesco che la mostrava in azione – non si è presentata in tribunale a Szeged, ma è intervenuta da una località sconosciuta tentando di difendersi, in lacrime.
Quindi, annunciando l’intenzione di fare ricorso in appello.
Il suo legale, Ferenc Sipsos, ha riferito che la donna non è apparsa al cospetto dei giudici perchè ha ricevuto minacce di morte.
Il giudice Illes Nanasi, da parte sua, ha detto che il comportamento di Laszlo «è andato contro le norme sociali» e che i fatti contrastano con la pretesa di auto-difesa dell’imputata.
(da agenzie)
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Gennaio 13th, 2017 Riccardo Fucile
AVEVA QUERELATO LA KYENGE CHE AVEVA DETTO CHE LA LEGA E’ UN PARTITO RAZZISTA DOPO GLI INSULTI RICEVUTI… RESTA UNA DOMANDA: MA QUESTE CAUSE CHI LE PAGA?
Matteo Salvini è il leader politico che ormai detiene un record: continua a querelare chi gli dà del razzista, dello sfaccendato, dell’assenteista e continua a perdere in tribunale.
A vincere stavolta è Cècile Kyenge, che aveva detto “La Lega è un partito razzista” e per questo era stata portata in tribunale dal leader del Carroccio.
Ma il gip di Roma Maria Vicidomini nel decreto con il quale ha archiviato la querela per diffamazione (che quindi non è arrivata nemmeno al rinvio a giudizio, sintomo che era completamente fuori contesto) l’ex ministra dell’Integrazione, ex deputata e ora europarlamentare del Pd, Cècile Kashetu Kyenge.
In questo modo, il giudice ammette indirettamente che le affermazioni degli esponenti leghisti contro Kyenge avevano un contenuto razzista.
“Con quelle parole fomentano l’odio razziale”, commenta l’ex ministra, costretta (anche in seguito alla campagna leghista contro di lei) a vivere sotto scorta. L’europarlamentare, a fronte degli attacchi di esponenti del Carroccio, aveva reagito dichiarando (nei due articoli oggetto della querela di Salvini) che “la Lega è un partito razzista”.
Ma la sua frase era stata argomentata, con riferimenti specifici alle offese ricevute. Fatto, questo, sottolineato dal gip nella sua ordinanza di archiviazione.
In un articolo pubblicato sul quotidiano online Affari italiani “Kyenge si limitò a rimarcare la necessità di sanzioni per i partiti o gruppi politici che si facessero portavoce di discorsi a contenuto razzista chiarendo espressamente che intendeva riferirsi non solo alla Lega Nord ma a tutti i i partiti”.
“Si trattava dunque di affermazioni che nel loro complesso inerivano alla problematica dello stato di attuazione della legge-Mancino”.
Anche oggi Salvini vince in tribunale domani.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 13th, 2017 Riccardo Fucile
“CI STATE OCCUPANDO COME NEL 1911″…EVACUATI I FUNZIONARI ITALIANI CHE COLLABORANO CON IL GOVERNO… ALTRO CHE “INTESA SUL CONTROLLO DEI BARCONI”, L’ESIBIZIONE MUSCOLARE DEL MINISTRO SERVE SOLO A ILLUDERE I PIRLA INTERNI CHE I PROBLEMI SI RISOLVANO A CHIACCHIERE
Nubi nere si addensano sul governo di Fayez Sarraj.
Durante la notte l’ex premier Khalifa Ghwell, legato al fronte dei movimenti islamici, ha confermato in una conferenza stampa di avere il pieno controllo di almeno cinque ministeri, compreso quello della Difesa.
Ieri sera lo stesso direttore dell’intelligence italiana che si occupa di Esteri (Aise) Alberto Manenti assieme a Paolo Serra, il generale italiano che lavora per la missione Onu in assistenza a Sarraj, hanno dovuto essere evacuati dal Ministero in fretta e furia a causa dell’arrivo in forze dei miliziani di Ghwell.
La notizia è riportata anche dal sito libico Al Marsad, segnalata da Il Foglio e confermata al Corriere da giornalisti tripolini.
«Gli italiani interferiscono»
In Libia le forze contrarie a Sarraj, dalla Cirenaica alla Tripolitania, accusano gli italiani di «interferire pesantemente» nei loro affari interni.
Le milizie legate al Mufti di Tripoli, Sadiq al Ghariani (la massima autorità religiosa e schierata con i Fratelli Musulmani), minacciano di attaccare le truppe speciali italiane, che ora agiscono come guardia del corpo personale di Sarraj e sono tra l’altro asserragliate nella base navale di Abu Sitta, diventata quartier generale del premier.
La gravità di queste notizie era stata ieri largamente annacquata dal nuovo ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Perrone, che ha descritto una situazione di normalità e negato vi fosse stato alcun golpe. Ma fonti locali libiche, pur confermando che in città nelle ultime ore non sono registrate violenze particolari (anche per il fatto che le deboli milizie al servizio di Serraj non reagiscono), continuano a confermare i movimenti di uomini armati agli ordini di Ghwell.
Il ruolo della Russia
Un ruolo crescente nel Paese lo sta avendo tra l’altro la Russia, che continua a sostenere il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica che non nasconde la sua aspirazione a controllare anche Tripoli.
Questi in un’intervista al Corriere pochi giorni fa aveva ripetuto che a suo parere l’Italia «dovrebbe evitare di interferire negli affari interni della Libia».
Alla stesso tempo ancora Haftar si è augurato una maggior collaborazione con Roma e ha espresso il desiderio di poter incontrare i «massimi dirigenti dell’Eni».
I maggiori media a Bengasi accusano ora i soldati italiani di avere «invaso» la Tripolitania «come nel 1911». E le milizie di Zintan (alleate di Haftar) dalle alture a sud della capitale ribadiscono la minaccia di attaccare le strutture Eni che fanno capo al terminale di Mellitah non lontano dal confine con la Tunisia.
Tutto ciò non può che favorire l’intervento russo nella regione. Negli ultimi giorni Haftar ha incontrato numerosi militari russi. E adesso Mosca vorrebbe organizzare un incontro tra lui e Sarraj al Cairo. Non a caso Sarraj si trova proprio in questo momento nella capitale egiziana.
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 13th, 2017 Riccardo Fucile
NESSUN ACCORDO SULLE PRIMARIE… SILVIO SU SALVINI: “FATELO PARLARE, TANTO DA SOLO NON VA DA NESSUNA PARTE”… “LUI E LA MELONI NON SAPREBBERO NEANCHE AMMINISTRARE UN CONDOMINIO”
Il centrodestra in via di estinzione come un mammut. Forse potrà sopravvivere a livello locale: Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia dovrebbero presentarsi in coalizione alle elezioni amministrative di primavera dove si voterà in quattro Comuni capoluogo e ventidue capoluogo di Provincia.
Alle politiche si preannuncia un disastro.
Se non ci saranno le primarie per decidere chi guiderà la locomotiva o se non sarà Matteo Salvini a fare il capo macchinista, i «sovranisti» che guardano alla Le Pen andranno per conto loro.
E a loro si accoderanno gli ex Msi-An Alemanno e Storace.
Lo scontro Salvini-Berlusconi
La situazione interna al centrodestra è andata ben oltre le sole questioni politiche. E finchè le divergenze riguardavano la legge elettorale e perfino la leadership del centrodestra, Silvio Berlusconi ha fatto quasi finta di niente.
«Fatelo parlare, non polemizzate con Salvini, da solo non va da nessuna parte», è l’indicazione che dà ai suoi colonnelli.
Il Cavaliere invece serra nervosamente la mascella e socchiude gli occhi come un alligatore quando il rumoroso capo della Lega tocca i fili dell’altra tensione, quelli della scalata a Mediaset da parte di Vivandi.
Ed è proprio quello che ha fatto Salvini. «Non sarebbe uno scandalo se i francesi dovessero comprare Mediaset che non è un’azienda strategica per il Paese».
Tra l’altro, sostiene Matteo, i quattrini di Bollorè potrebbero far comodo a Berlusconi che così risolverebbe i suoi problemi con i figli. Apriti cielo! Problemi tra il patriarca e i cinque figli?
La strana alleanza tra i due Matteo
«Come si permette, come osa mettere il becco nelle nostre cose di famiglia», hanno gridato all’unisono Marina e Piersilvio, mettendo il padre ancora di più di cattivo umore.
Sembra che il Cavaliere abbia perso le staffe e usato nei confronti di Matteo alcuni epiteti irriferibili.
Ma intanto Salvini continua a lavorare alla sua Opa del centrodestra e spinge in tutti i modi per elezioni anticipate, facendo da sponda a Matteo Renzi. I due Matteo si sono sentiti al telefono un paio di volte tra durante le festività natalizie e sembra che il loro cellulari siano squillati pure ieri.
Entrambi puntano a un Mattarellum reso più proporzionale e ad accelerare verso le urne. «Io e Renzi abbiamo un interesse comune, anche generazionale: se non si vota entro giugno saremo rosolati», è il ragionamento di Salvini che attribuisce a Berlusconi, Mattarella e la sinistra Dc guidata da Franceschini l’obiettivo di mantenere lo staus quo.
Le bordate della Lega a Forza Italia
Al Cavaliere che attende la sentenza di Strasburgo (tra luglio e settembre) per essere riabilitato e ricandidarsi, Salvini non risparmia più nulla. Non perde occasione per bombardare Arcore da tutti i lati. Dice che il Cavaliere «inciucia», che parla bene di Gentiloni e Mattarella, vota il salva-banche («20 miliardi regalati»). «Oggi siamo lontanissimo, non è il Berlusconi che ricordavo». Tajani, in pole position per la presidenza dell’Europarlamento. è «un servo di Bruxelles». «Se Berlusconi non condivide il nostro programma per uscire dall’euro e controllare i confini, un’alleanza è impossibile».
Silvio alla ricerca di un leader
Il centrodestra è in coma e solo un miracolo potrà farlo tornare a vivere come una volta. Solo che Berlusconi vorrebbe il sistema proporzionale per tenersi le mani libere e fare la grande coalizione dopo il voto politico.
Cambio generazionale? Candidatura alla premiership del centrodestra? Il Cavaliere non ha mai cambiato idea su Salvini e Meloni e ripete quello che aveva detto in occasione della rottura nelle comunali di Roma: «Quei due non sarebbero in grado di amministrare un condominio».
Tagliente il giudizio di Salvini su Berlusconi: «Ormai inciucia per avere protezioni molto in alto, non solo al Quirinale, ma anche da Mario Draghi. È lui ormai il nuovo punto di riferimento in Europa per tenere in piedi il governo oggi e per evitare che in futuro a Palazzo Chigi vadano i 5 Stelle o un centrodestra rinnovato dalle fondamenta, con un programma che non fa sconti all’Europa».
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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