Gennaio 16th, 2017 Riccardo Fucile
BERLUSCONI FA FILTRARE IL MESSAGGIO PER RENZI: CON UNA RIFORMA PROPORZIONALE SI VOTA A GIUGNO, SENZA ASPETTARE LA SENTENZA DI STRASBURGO… E CON IL PROPORZIONALE NON C’E’ BISOGNO DI PRIMARIE O DI INDICARE UN CANDIDATO PREMIER
La notizia è che per Silvio Berlusconi è meglio l’uovo oggi che la gallina domani. Dove l’uovo è una legge proporzionale e la gallina è la famosa sentenza della Corte europea di Strasburgo, quella a cui è affidata la speranza della sua candidabilità .
Il che, tradotto in modo grezzo, significa che se da Renzi dovesse arrivare una proposta seria, sul proporzionale, allora il Cavaliere si direbbe d’accordo anche a votare a giugno, sia pur consapevole che non potrà rientrare in Parlamento.
Ed è proprio attorno a questo schema che Gianni Letta, il principe della diplomazia berlusconiana, ha cominciato a tessere la sua tela.
Gli spifferi di Arcore raccontano di una serie di contatti proprio con Matteo Renzi, tornato molto attivo e unico, vero, titolare del dossier dentro il Pd.
Contatti nel corso dei quali sarebbe stato recapitato il messaggio su cui intavolare la trattativa. Dice una fonte azzurra vicina al dossier: “Letta ha fatto capire che su una base proporzionale i tempi della legislatura si accorciano”.
E, al tempo stesso, si avvicinano i tempi della prossima legislatura, nella quale il Cavaliere si immagina di nuovo al governo socio di una grande coalizione “tra le forze responsabili” che affronti i problemi di una fase “drammatica” come l’attuale. Uno scenario che sa di riabilitazione quanto una sentenza.
Certo, ogni ricetta sulla legge elettorale dipende dalla cucina della Corte costituzionale, che si riunirà il 24 gennaio.
Ed è stato proprio in nome di questo che la famosa nomenklatura di Forza Italia, a partire dai capigruppo, ha già “frenato” Berlusconi.
Fosse stato per lui, sarebbe già passato dalla fase degli abboccamenti discreti a quella dei colloqui più spinti, senza aspettare la Corte.
Col desiderio, neanche tanto nascosto, di condurli in prima persona, come ai bei tempi del Nazareno, non con l’infatuazione di allora ma con l’aria di chi dice “sono ancora qui e tu hai bisogno di me”.
Diversamente dal suo stato maggiore e dal suo gruppo parlamentare pieno di gente con tante legislature sulle spalle, che vive le elezioni come il tacchino vive il “Natale”, il Cavaliere non si pone il problema di tirarla per le lunghe.
Gli ultimi sondaggi recapitati dall’infallibile Ghisleri fotografano un paese che vuole votare nella stragrande maggioranza, per nulla contento del governo, pronto a trasformare in bersaglio chiunque si arrocca nel Palazzo, a maggior ragione su un tema incomprensibile come la legge elettorale.
Tutti questi ragionamenti, mosse e spifferi raccontano non tanto di una quadra tra Pd e Forza Italia su un modello.
Pare infatti che Verdini, rispondendo a qualche parlamentare azzurro gli chiedeva lumi preoccupato dalle elezioni anticipate, abbia rassicurato sul fatto che è tutto in alto mare: “Matteo non vuole proporzionale puro e sbarramento alto, è ancora su un sistema maggioritario e poi pensa che lo sbarramento ci debba essere ma non altissimo, sennò aiuti Grillo”.
Ragionamenti, mosse e spifferi raccontano di un certo pragmatismo di Silvio Berlusconi. E di uno schema “nuovo”.
Non che abbia cambiato idea su giudici e giustizia, procure e sentenze “politicizzate”, colpi di Stato e persecuzione. Nè ha smesso di sperare nella battaglia alla Corte europea, per la quale ha speso una cifra sgangherata di avvocati.
Ma restare appesi a Strasburgo e subordinare tutto alla sentenza rischia di essere infruttuoso, perchè i tempi sono lunghi e l’esito chissà .
Lo scorso 21 dicembre il governo ha depositato sue determinazioni (ovviamente a difesa della Severino, sarebbe stato clamoroso il contrario); ora tocca agli avvocati di Berlusconi depositare le controdeduzioni.
Poi il governo ha un mese per controdedurre. A quel punto si può andare in camera di Consiglio o in udienza plenaria.
Quando Silvio Berlusconi ha chiesto una stima orientativa dei tempi, ha capito che se ne parla, se va bene tra l’estate e dicembre.
Quando ha visto la faccia di Niccolò Ghedini che ragionava sull’esito e sugli orientamenti del presidente della Corte, ha capito che tante speranze non ci sono. Anche i negoziatori più audaci sono consapevoli che è assai difficile che il governo possa lavorare e fare pressioni in questa direzione.
Meglio l’uovo, dunque. E lavorare sullo scambio possibile tra legge elettorale e data elezioni, più che tra legge elettorale e “riabilitazione”.
Anche perchè — e non è un dettaglio — in uno schema proporzionale non c’è bisogno di indicare il candidato premier.
E la data di giugno stroncherebbe, sul nascere, ogni dibattito su primarie, futuro del centrodestra, foto di gruppo con Salvini e Meloni, con cui i rapporti sono al minimo storico, dopo l’uscita sgraziata del leader della Lega su Mediaset e Vivendi, proprio mentre il governo si schierava a difesa del Biscione.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 16th, 2017 Riccardo Fucile
TAJANI FAVORITO NEI CONFRONTI DI PITTELLA, SI DECIDERA’ TUTTO DOMANI SERA AL QUARTO SCRUTINIO
Dire che sarà lei a decidere chi sarà il nuovo presidente del Parlamento Europeo è forse esagerato. Ma alla vigilia di un’elezione ‘al buio’, la prima nella storia senza un accordo tra i partiti, a Strasburgo la grande incognita è lei: cosa farà Marine Le Pen e i suoi 19 eurodeputati alla quarta votazione, cioè quella decisiva tra i candidati dei due gruppi più grandi, Pse e Ppe, Gianni Pittella e Antonio Tajani?
Ufficialmente la leader del Front National si tiene lontano dalla mischia. €
Con gli altri 21 del gruppo Enf, dove ci sono anche i cinque della Lega con Matteo Salvini, Le Pen voterà il rumeno LaurenÅ£iu Rebega ai primi tre scrutini, quelli per cui è necessaria la maggioranza assoluta che nessuno dei sette candidati raggiungerà .
Ma la votazione utile è la quarta, arriverà solo intorno alle 22 di domani, dopo una giornata di voti che serviranno solo a contare le forze in campo ma non ad eleggere il successore di Martin Schulz.
Fiato sospeso.
Sulla carta ha la meglio Tajani, che in quarta votazione potrebbe ottenere i voti di quasi tutto l’emiciclo di destra. Mentre Pittella finora è sicuro di avere solo i 189 voti socialisti, che sono pochi, rispetto anche ai soli voti dei Popolari (217).
Sul candidato socialista potrebbe confluire metà gruppo dell’Alde (68), i reduci del fallito accordo tra Guy Verhofstadt e il M5s; una parte del Gue, che ai primi tre voti hanno la loro candidata, l’italiana Eleonora Forenza; i Verdi, che per i primi tre scrutini schierano Jean Lambert.
La grande incognita resta la Le Pen con i suoi 19 voti: in tutto, il gruppo Enf ha 40 eurodeputati.
Cosa faranno le forze di destra anti-europee? Salvini lascia trapelare di non voler regalare i suoi 5 voti al candidato berlusconiano. La leader del Front National non si espone. Tajani continua a glissare sulle domande circa i voti che potrebbe avere dalle forze xenofobe.
Ma se Le Pen non dice, Nigel Farage invece si sbilancia a favore di Tajani pur specificando che la sua non è una dichiarazione di voto.
L’europarlamentare dell’Ukip dice: “Credo che Tajani vincerà , è il più pragmatico”. Farage e i suoi 20 eurodeputati sono nello stesso gruppo dei pentastellati, che erano 17, sono diventati 15 per l’addio di due eletti dopo l’affare Verhofstadt e ora sono rimasti nel gruppo ‘Europa della Libertà e della democrazia diretta’. In tutto 42 europarlamentari.
“Per gli euroscettici è una scelta molto difficile”, continua Farage: il suo gruppo non ha un candidato per i primi tre scrutinii, dopo il ritiro dell’italiano Piernicola Pedicini. “Ma credo che Tajani abbia dimostrato di essere un po’ più pragmatico. Anche se supporta l’Ue e noi no, il fatto è che il ruolo del presidente del Parlamento europeo sta diventando più importante”. A chi gli chiedeva se quindi avrebbe votato per Tajani, Farage risponde ridendo: “Non ho detto questo”.
Non è escluso che si riaprano i giochi tra il secondo e il terzo scrutinio.
A Strasburgo riscuote molta attenzione la candidatura di Helga Stevens, da parte del gruppo dei conservatori e riformisti: 74 eurodeputati. Sordomuta, fiamminga, di destra ma in prima fila nella campagna per il Remain contro la Brexit, Stevens farà confluire i suoi voti su Tajani in quarta votazione.
A meno che i socialisti non puntino su di lei per sfilare la poltrona al candidato berlusconiano. Se così fosse, sarebbe la terza presidente donna in tutta la storia del Parlamento europeo dopo le francesi Simone Veil e Nicole Fontaine.
Scenari che per ora non hanno riscontro. Nulla è detto in queste elezioni all’ultimo respiro.
Inizio domani alle 9. Verdetto solo intorno alle 22.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 16th, 2017 Riccardo Fucile
IN EUROPA NON ESISTE UN’AUTORITY COME LA EPA USA, I CONTROLLI SONO MATERIA DEI SINGOLI STATI CHE POSSONO COSI’ AIUTARE LE MARCHE NAZIONALI ANCHE SE PRODUCONO MODELLI INQUINANTI
Troppo peso ai singoli Stati, lobby invadenti e nessun reale potere all’Agenzia europea dell’ambiente.
E così l’Europa si trova sempre a inseguire gli Stati Uniti, persino su un tema caldo come quello dell’inquinamento. Solo così si spiega come mai il dieselgate di Volkswagen sia esploso sull’altra sponda dell’Atlantico e nel Vecchio continente sia quasi riuscito a passare sottotraccia.
Negli Usa, la casa tedesca ha pagato quasi 20 miliardi di dollari, in Europa le multe dei singoli stati ammontano a poche decine di milioni di euro e la Germania — nonostante le pressioni di Bruxelles — non ha neppure aperto un’indagine.
Peggio: gli stessi tedeschi che per la madre di tutte le truffe (Vw utilizzò un software illegale e nascosto per truccare i dati sui consumi reali delle sue auto) hanno girato la testa dall’altra parte, adesso vorrebbero che l’Italia usasse il pugno di ferro con il dispositivo usato alla luce del sole da Fca per controllare l’inquinamento dei suoi veicoli.
Il problema delle auto e delle loro emissioni nocive è quindi alla radice: in Europa non esiste un’autorità come l’americana Epa che possa controllare la conformità dei veicoli su strada.
Si tratta, infatti, di materia di competenza esclusiva dei singoli Stati e ad effettuare i controlli sono le stesse autorità che concedono le omologazioni ai modelli di auto.
“E così quando una casa automobilistica ha ottenuto l’omologazione dei suoi modelli in uno Stato membro, nessun altro può intervenire” spiega Eleonora Evi, eurodeputata del Movimento 5 Stelle e membro della commissione d’inchiesta sulle misurazioni delle emissioni nel settore automobilistico (Emis).
“In sostanza — continua Evi — se la Francia avesse problemi con un modello Fca omologato in Italia non potrebbe fare nulla”.
Ed è esattamente quello che sta accadendo in Germania con il governo di Berlino che preme sulla Commissione europea perchè intervenga sull’Italia: “Le autorità italiane sapevano da mesi che Fca, nell’opinione dei nostri esperti, usava dispositivi di spegnimento illegali” ha detto il ministro dei Trasporti tedesco, Alexander Dobrindt. Per questo a Bruxelles si sta pensando di aprire un tavolo tra Roma e Berlino sulla questione con la Commissione nel ruolo di mediatore, ma i rapporti tra le parti sono tesi.
Nel frattempo, sul tavolo delle riforme in Europa si discute di come cambiare la procedura per le omologazioni; quanto investire sull’agenzia unica europea e quanto potere lasciare ai singoli Stati, “ma le resistenze sono molte con tanti Paesi che temono di cedere la loro sovranità ” aggiunge Evi.
Dal punto di vista tecnico a decidere i limiti delle emissioni è già l’Unione europea, ma la vittoria delle lobby automobilistiche risale al 2007 quando riuscirono a ottenere test che gli esperti definivano vecchi già allora (dalle rilevazioni in una stanza di laboratorio asettica alla possibilità di ricorrere a piccoli trucchi come quello della pressione degli pneumatici per ridurre le emissioni).
Insomma le istituzioni europee sono a conoscenza da anni di aver dato il via libera alla circolazione di veicoli che non rispettano i limiti imposti: addirittura alcune Ong stimano che l’80% dei veicoli diesel in circolazione non siano conformi alla regole.
“Eppure — rilancia l’onorevole dei 5 Stelle — le tecnologie per avere motori puliti che rispettino i limiti esistono. Certo costano e l’impatto sarebbe soprattutto sulle utilitarie e le auto di piccola cilindrata, ma è un problema che dovrebbero risolvere le case produttrici”.
Le stesse che lo scorso anno hanno incassato da Bruxelles il via libera a inquinare di più. E sì perchè dal 2017 i test sulle auto non si faranno più in laboratorio, ma in strada e in cambio le emissioni potranno essere 2,1 volte superiori a quelle attuali fino al 2020 e 1,5 volte dopo.
In sostanza si sposta in avanti un problema, quello dell’inquinamento, che ogni anno causa in Europa 480mila morti premature.
Per gli addetti ai lavori, quindi, l’Unione europea cerca di mettersi in regola per il futuro, ma non sembra aver intenzione di intervenire sulle auto già in circolazione (il 60% circa dei veicoli europei sono alimentati a diesel).
“Le responsabilità sono molteplici — conclude Evi -. Ci sono gli Stati membri prigionieri del conflitto di interessi tra chi omologa e chi controlla; ci sono le lobby che sfruttando il tecnicismo della materia impediscono alla politica di intervenire e c’è la Commissione Ue. Quando Antonio Tajani era commissario all’industria procrastinò le decisioni sul dieselgate e ignorò le segnalazioni arrivate da Danimarca e Polonia. Probabilmente gli incentivi che aveva promesso per investire sulle tecnologie pulite soni stati utilizzato per aggirare i test in laboratorio”.
(da “Business Insider”)
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Gennaio 16th, 2017 Riccardo Fucile
QUOTAZIONE A PARIGI, MANAGER TRANSALPINI E PROPRIETA’ ITALIANA
Arriva finalmente l’operazione attesa da tempo su Luxottica: il gruppo dell’occhialeria, che venerdì in Borsa valeva 24 miliardi di euro, viene inglobato in quello francese specializzato in lenti Essilor (22 miliardi).
E il primo azionista, Leonardo Del Vecchio, risolve in un colpo solo le questioni di successione e di gestione dell’azienda.
In pratica, la sua finanziaria di famiglia, la lussemburghese Delfin, conferisce la propria intera partecipazione in Luxottica, pari a circa il 62%, ricevendo in cambio azioni Essilor di nuova emissione sulla base di un rapporto di scambio pari a 0,461 titoli francesi per ogni azione italiana.
Se poi i soci di Essilor daranno il via libera in assemblea, il gruppo francese promuoverà un’offerta pubblica di scambio obbligatoria sulla totalità delle rimanenti azioni Luxottica in circolazione, al medesimo rapporto di scambio, finalizzata all’uscita di Borsa (delisting) delle azioni del gruppo dell’occhialeria di Agordo.
In pratica, chi aderirà all’offerta francese si ritroverà in portafoglio 0,461 titoli Essilor per ogni azione italiana.
Ed Essilor si trasformerà in una unica finanziaria (holding) dal nome Essilor Luxottica, di cui la Delfin avrà in mano una quota tra il 31% e il 38%, con i diritti di voto però bloccati al 31%, meno di un terzo del capitale.
In altri termini, la famiglia Del Vecchio rappresenterà il primo socio singolo del nuovo gruppo, dal momento che Essilor è di fatto una società ad azionariato diffuso (public company).
Quanto ai poteri gestionali, per il momento resteranno equamente distribuiti tra Luxottica ed Essilor.
Se, infatti, da una parte, l’ottantunenne Leonardo Del Vecchio diventerà presidente esecutivo e amministratore delegato della nuova Essilor Luxottica, dall’altra, l’attuale numero uno del gruppo francese, Hubert Sagnières, 61 anni, sarà suo vice per entrambe le posizioni ma con medesimi poteri.
E’ altamente probabile, nota l’analista di Exane Bnp Paribas Luca Solca, che quando Del Vecchio deciderà di andare in pensione le redini del nuovo gruppo passeranno a Sagnières, senza contare che in Essilor lavorano diversi manager che possono essere utilizzati all’occorrenza.
Da notare che, in questo modo, Del Vecchio risolve innanzi tutto i problemi di gestione aziendale di Luxottica, emersi negli ultimi anni con il continuo ricambio degli amministratori delegati, a cominciare da Andrea Guerra.
Non solo: consegnando Luxottica a Essilor, l’imprenditore nato a Milano e cresciuto al collegio dei Martinitt, sei figli da tre diverse compagne di cui uno dalla moglie Nicoletta Zampillo, risolve così anche il nodo della complessa successione, perchè la sua finanziaria di famiglia, la Delfin appunto, diventa socia con poco più del 30% di un gruppo molto più grande, da oltre 15 miliardi di euro di ricavi complessivi, circa 140 mila dipendenti e presenza internazionale in oltre 150 paesi.
Inoltre, con l’uscita di Borsa di Luxottica, quotata non solo alla Borsa di Milano ma anche a quella di Wall Street, Del Vecchio risolve un ulteriore problema: evita eventuali nuove richieste da parte della Sec, il corrispettivo a stelle e strisce della Consob nostrana.
Di recente, infatti, la Sec aveva domandato a Luxottica chiarimenti sulla gestione e in particolare sulla suddivisione di ruoli tra Del Vecchio, attuale presidente della società dell’occhialeria, e Massimo Vian, amministratore delegato. Che nel nuovo gruppo appare destinato a cedere il testimone a Del Vecchio.
(da “BusinessInsider”)
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Gennaio 16th, 2017 Riccardo Fucile
PIU’ CHE PENE PIU’ SEVERE OCCORREREBBERO MAGGIORI CONTROLLI… UNA VOLTA CHE IL DANNO E’ FATTO SAI CHE CI FREGA DELLA CONDANNA DEL COLPEVOLE
Turisti ubriachi che di notte scavalcano la recinzione e graffiti su uno dei pilastri del monumento.
Il Colosseo torna teatro di atti vandalici, nonostante l’innalzamento delle misure di sicurezza in seguito agli attentati terroristici in Europa.
La Soprintendenza chiede un incontro urgente in Prefettura e contemporaneamente rispolvera l’idea di una zona rossa attorno al monumento simbolo di Roma, troppo spesso preso di mira da vandali e turisti su di giri.
La notte scorsa, intorno alle 2.30, due brasiliani di 31 e 33 anni hanno scavalcato le recinzioni attorno all’Anfiteatro Flavio e sono entrati all’interno del monumento eludendo i sistemi di sorveglianza nella piazza.
I due, che hanno poi ammesso di essere ubriachi, sono poi scivolati da un’altezza di 4 metri ed uno si è anche fratturato il bacino. “E’ stata una bravata, eravamo ubriachi”, si sono difesi davanti ai poliziotti del commissariato Celio che li hanno denunciati per invasione di edificio.
Poche ore dopo due scritte con vernice nera (“Balto” e “Morte”) sono state scoperte su un pilastro del monumento. Gli investigatori stanno passando al setaccio le immagini delle telecamere per risalire al responsabile dell’atto vandalico.
Nel frattempo, la Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma si è già mossa chiedendo un incontro in Prefettura “con il coordinamento delle forze che garantiscono la sorveglianza in piazza del Colosseo, esercito, polizia e carabinieri”, come spiega lo stesso soprintendente Francesco Prosperetti che annuncia anche il progetto di un nuovo sistema di sorveglianza supertecnologico anti-vandali.
Il nuovo sistema dovrebbe essere tarato per non scattare al passaggio di animali, come gatti o gabbiani, che ogni giorno si aggirano nell’ Anfiteatro Flavio.
“Stiamo valutando inoltre la possibilità di creare un’area per così dire di non libero accesso, una zona rossa – spiega Prosperetti – Un’area separata non da sistemi fisici o recinzioni, ma da dissuasori come catenelle sul perimetro di questa zona, all’interno della quale sarà installato un sistema di videocontrollo. La zona rossa avrà la dimensione originaria dell’area del Colosseo in epoca romana, in un raggio di una quindicina di metri”.
Ma non sarà questa l’unica novità per il Colosseo che presto potrebbe dotarsi anche di un sistema di videosorveglianza interno pari a quello installato dal comune attorno a tutta la piazza.
“Vogliamo che ci sia non solo un controllo dall’esterno, ma anche dall’interno – evidenzia il soprintendente -. Allo studio, inoltre, c’è un masterplan, commissionato alla Facoltà di Architettura di Roma 3 e coordinato dall’ex assessore all’Urbanistica Giovanni Caudo, per il riassetto di tutta l’area, da largo Corrado Ricci a via San Gregorio lungo i Fori Imperiali. L’intenzione è quella di ricostruire le ragioni storiche e urbanistiche di uno spazio pubblico che è tra i più frequentati di Roma”.
Franceschini: “Servono pene più severe”.
“Il gesto vandalico di oggi al Colosseo è un autentico sfregio a un monumento simbolo del patrimonio culturale mondiale”. Lo dice il ministro della cultura Franceschini, che sottolinea la necessità , insieme alla prevenzione, di “pene più severe” per i vandali, così come previsto dal ddl delega approvato il 23/12 dal Governo. “Auspico – dice il ministro – che il Parlamento concluda quanto prima l’esame del provvedimento per arrivare in tempi brevi alla sua definitiva approvazione”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 16th, 2017 Riccardo Fucile
ASSISTENTE DI PECORARO SCANIO, POI PASSATO AL CENTRODESTRA E ORA NEOGRILLINO
Mastella, Pecoraro Scanio, Rutelli, Balducci, Di Maio, Raggi.
Quale filo conduttore lega tutti questi nomi?
Lui, Vincenzo Spadafora da Afragola ma residente a Cardito, non laureato, eppure catapultato ai vertici della vita politica italiana a livello locale e nazionale, nonchè dell’Unicef e dell’Autorità Garante dell’infanzia, carica cucitagli addosso nel 2011 grazie agli auspici di Gianfranco Fini e Renato Schifani, all’epoca presidenti della Camera e del Senato.
Un’ascesa folgorante quella di Spadafora, “volenteroso ragazzetto campano” come lo definisce Dagospia, che inizia come volontario dell’Unicef per poi diventarne qualche anno dopo addirittura Presidente.
La sua carriera politica inizia a Cardito, un comune a nord di Napoli. Segretario particolare del mastelliano Andrea Losco ex sindaco DC di Cardito poi presidente della regione Campania, approda nell’area di Sinistra grazie al ribaltone che porta Losco nella Margherita e poi nel PD.
Dopo uno sventurato tentativo di capeggiare una lista civica cui non aderisce anima viva, Spadafora viene notato da Alfonso Pecoraro Scanio, di cui diventa segretario particolare, e quindi da Francesco Rutelli, che lo nomina Capo di Gabinetto al Ministero dei Beni Culturali.
Dall’area di Sinistra veleggia leggiadro verso Forza Italia, e — come ricorda Franco Bechis su “Libero” — tramite Mara Carfagna si lega al partito tanto da ottenere, grazie a Fini e Schifani, la poltrona di Garante per l’infanzia, che gli frutta — secondo Dagospia — circa 200mila euro l’anno.
Spadafora finisce anche coinvolto nelle intercettazioni di Angelo Balducci, della famigerata “cricca” degli appalti, che porta all’arresto di Diego Anemone e Angelo Balducci, il cui figlio Spadafora fa assumere all’Unicef.
Spadafora, scrive Bechis su Libero, “era più volte al telefono con Balducci, e gli inquirenti annotarono «numerose conversazioni, sintomatiche di un loro rapporto di amicizia»”.
Il passato e il presente
La presenza nei brogliacci delle intercettazioni di Balducci, gentiluomo del Papa e sposato con prole finito parallelamente in uno scandalo di prostituzione di seminaristi in Vaticano, tuttavia, non scalfisce nè la reputazione nè la carriera di Vincenzo Spadafora, ma la sua dichiarazione a favore delle adozioni gay, quale Garante per l’infanzia, scatena una bagarre nella Destra italiana che ne chiede la testa.
Personaggio di prestigio negli eventi mondani che contano, ritratto a fianco di star e celebrità , ultimamente, si è insediato alla corte di Luigi Di Maio, virgulto pentastellato e aspirante premier, diventandone il responsabile per le relazioni istituzionali. Spadafora è onnipresente accanto a Di Maio, che — dicono i bene informati — non fa un passo senza di lui.
Ma la longa manus dell’ex Presidente dell’Unicef sul m5s non si esaurisce con il vicepresidente della Camera. È di pochi giorni fa, infatti, la nomina di Trianda Loukarelis, giovane italo-greco ex collaboratore di Spadafora, a responsabile delle relazioni esterne della Sindaca Raggi.
Ma qual è il segreto di Vincenzo Spadafora?
Cos’è che gli ha permesso di bruciare le tappe di una carriera politica così folgorante? Sicuramente, qualcosa d’irresistibile, per aver conquistato i duri e puri pentastellati al punto da convincerli a reclutarlo come uomo di fiducia della promessa Di Maio, malgrado i trascorsi con tutta la vecchia politica italiana e la “piccola disavventura superata agevolmente” nel caso Balducci, come la definisce Franco Bechis.
E siamo sicuri che il “talento di mister Spadafora” ci riserverà moltissime sorprese nella galassia pentastellata.
Forse una candidatura, o — chissà — un importantissimo incarico in un possibile governo a guida Di Maio.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 16th, 2017 Riccardo Fucile
LA LETTERA AL “CORRIERE” DI ANDREA, 20 ANNI IN RISPOSTA AD ANTONIO POLITO… “C’E’ CHI STUDIA, LAVORA E AIUTA IN FAMIGLIA. UNA GIOVENTU’ CHE SI E’ INVENTATA NUOVE OCCUPAZIONI”
Sono Andrea Chimenti, studente dell’università di Firenze e figlio di questa cultura narcisista come l’ha
definita lei.
Sarà l’ultima volta che estrapolo un concetto dal contesto del suo articolo; odio quando viene fatto da giornalisti e politici, sarei incoerente a farlo anch’io.
Per questo vorrei focalizzarmi con lei sul totale.
Mi dispiace ma lei di questa società moderna, di questi giovani, di questi ragazzi del nuovo millennio ha analizzato soltanto quello che risalta di più, e quello che risalta di più, in televisione, sui giornali e molto spesso sui media «tradizionali» è quello che ha descritto lei.
Si è perso più di metà del mondo dei giovani italiani. Si è perso chi studia, chi lavora, chi aiuta in famiglia.
Si è perso tutte quelle storie che non fanno numeri in televisione e sui giornali. Si è perso tutta quella gioventù che non trovando più le possibilità e i lavori che facevano i padri, si è inventata nuove occupazioni; grazie a Internet, grazie alle start-up, grazie alla voglia di fare e alla fantasia. Youtubers innovativi, sviluppatori di app, giovani agricoltori e giovani imprenditori nati grazie ai fondi Ue, ragazzi che affrontano studi innovativi, tutte queste persone, uomini e donne, sono dimenticate dai suoi discorsi.
Quello che le voglio dire è che il mondo narcisista che ha analizzato lei è solo una parte, e nemmeno così vasta, che ha creato questo mondo.
Questo mondo ha creato anche molti che del narcisismo se ne fregano, e se ne fregano perchè cresciuti da genitori capaci di fare i genitori, insegnanti che fanno gli insegnanti; e non da genitori che si permettono di fare gli insegnanti.
Fare il genitore di un ragazzo di questo millennio è più difficile, perchè come ha scritto lei il benessere si è abbassato, ma anche perchè il mondo si evolve velocemente, il linguaggio, i media, la tecnologia.
Infine, però, i principi sono gli stessi e se un genitore è capace di farli vedere e di trasmetterli, non importa del linguaggio, della tecnologia e di tutto il resto.
Si ricordi di vedere anche chi non viene mai raccontato e prenda le loro storie così da poter far vedere a quelli che ha descritto lei che in questo mondo l’unica cosa che conta è la voglia e il sudore, soprattutto il secondo.
Non mi è piaciuto il suo articolo, troppo negativismo e nessuna propensione verso una soluzione o un riferimento da seguire.
Un consiglio spassionato da un ragazzo di vent’anni: giornalisti e media in generale, raccontateci storie da cui poter imparare, raccontateci anche quello che secondo voi non va ma dateci sempre la parte positiva.
Cercatela, c’ è sempre
Andrea Chimenti
(da “Il Corriere della Sera”)
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Gennaio 16th, 2017 Riccardo Fucile
IL DELITTO DEL FERRARESE: LA SANTA ALLEANZA PER L’EDUCAZIONE E’ VENUTA MENO… LA CULTURA DEL NARCISISMO
Forse dovremmo rassegnarci al fatto che non abbiamo un diritto all’amore dei nostri figli. Da quando si aggrappano a noi per tirarsi in piedi facendoci sentire onnipotenti, a quando noi ci aggrappiamo a loro per frenarne il delirio di onnipotenza, passa tanto tempo.
Ci sembrano sempre nati ieri; ma sedici, diciotto anni sono abbastanza per fare del nostro bambino un individuo dotato di libero arbitrio, di conseguenza diverso da noi. Talvolta estraneo. O addirittura nemico.
Riccardo e Manuel, i due complici del parricidio e matricidio di Pontelangorino di Codigoro, sono una storia a sè.
Il loro è un comportamento deviante, materia per giudici e psichiatri. Ma anche quei due adolescenti in fin dei conti sono millennials, come chiamiamo con enfasi anglofona i ragazzi di oggi.
E lo sappiamo, ce lo raccontiamo ogni giorno, che tra la generazione Y (ormai quasi Z) e quella dei genitori è aperto oggi un conflitto molto aspro. Ce l’hanno con noi. Sostanzialmente perchè stiamo lasciando loro meno benessere di quello che abbiamo trovato.
Insieme con il trasferimento del reddito, si è però interrotto il canale di trasmissione di molti altri beni dai padri ai figli. Di valori, per esempio; di conoscenza storica, di credi religiosi, di senso comune, perfino di lingua (si diffonde un italiano sempre più maccheronico).
Si è aperto un vuoto di tradizione, insomma; parola la cui etimologia viene per l’appunto dal latino «tradere», trasmettere.
I ragazzi vivono così in un mondo in cui le cose che contano sono diverse da quelle che contano per i genitori. Ma il guaio è che è il loro mondo a essere quello ufficiale e riconosciuto, vezzeggiato e corteggiato, perchè sono loro i nuovi consumatori.
Al centro di questo mondo c’è una cultura del narcisismo, per usare l’espressione resa celebre da Christopher Lasch.
Lo spirito del tempo ripete come un mantra slogan da tv del pomeriggio: «sii te stesso», «realizza tutti i tuoi sogni», «non farti condizionare da niente e nessuno», «puoi avere tutto, se solo lo vuoi».
Più di un’educazione sentimentale è un’educazione al sentimentalismo.
Al culto del sè, del successo facile, e del corpo come via al successo, sul modello dei calciatori e delle stelline. I genitori, anche i migliori, sono rimasti soli.
È finito il tempo in cui «i metodi educativi in famiglia non venivano smentiti o condannati dal contesto», protesta Massimo Ammaniti ne Il mestiere più difficile del mondo, il libro scritto con Paolo Conti e pubblicato dal Corriere.
Oggi invece la smentita è continua.
Nessun rifiuto, nessun limite, nessun «no» che venga detto in famiglia trova una sua legittimazione nel mondo di fuori.
Il fallimento educativo che ne consegue è una delle cause, non una conseguenza, della crisi italiana. Ne è una prova il fatto che a parlare del disagio giovanile oggi siano chiamati solo gli psicologi e gli psicanalisti, e non gli educatori: come se il problema fosse nella psiche dell’individuo e non nella cultura della nostra società , come se la risposta andasse cercata in Freud e non in Maria Montessori o in don Bosco.
È dunque perfino ovvio che l’epicentro di questo terremoto sia la scuola.
E che il conflitto più aspro con i nostri figli avvenga sul loro rendimento scolastico. A parte una minoranza di dotati e di appassionati, per la maggioranza dei nostri figli lo studio è inevitabilmente sacrificio, disciplina, impegno, costanza. Tutte cose che non c’entrano niente con il narcisismo del tempo.
Chiunque abbia figli sa quanto sia dolorosa questa tensione. I ragazzi fanno cose inaudite pur di sottrarsi. L’aneddotica è infinita.
C’è la giovane che riesce a ingannare i genitori per anni, fingendo di fare esami che non ha mai fatto ed esibendo libretti universitari contraffatti.
C’è il ragazzone che scoppia a piangere come un bambino ogni volta che il padre accenna al tema dello studio. C’è quello che dà in escandescenze. Quello che mette il cartello «keep out» sulla porta della cameretta. Quello che non toglie le cuffie dell’iPod.
Padri e madri non sanno che fare: fidarsi dei figli e del loro senso di responsabilità , rischiando di esserne traditi?
O trasformarsi in occhiuti sorveglianti, rischiando di esserne odiati?
Lo spaesamento è testimoniato dall’espressione che usiamo correntemente nelle nostre conversazioni: «Ciao, che fai?». «Sto facendo fare i compiti a mio figlio». «Far fare», un unicum della lingua italiana, una costruzione verbale che si applica solo alla lotta quotidiana con gli studi dei figli.
Bisognerebbe invece fare qualcosa. Ci vorrebbe una santa alleanza tra genitori, insegnanti, media, intellettuali, idoli rock, stelle dello sport, per riprendere come emergenza nazionale il tema dell’educazione, e sottoporre a una critica di massa la cultura del narcisismo.
Ma i miei figli cantano, insieme con Fedez: «E ancora un’altra estate arriverà / e compreremo un altro esame all’università / e poi un tuffo nel mare / nazional popolare/ La voglia di cantare non ci passerà ».
Antonio Polito
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 16th, 2017 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEI TRASPORTI TEDESCO CHIEDE L’INTERVENTO UE NEI CONFRONTI DELLA FIAT
Sono mesi che va avanti lo scontro tra Roma e Berlino sul caso emissioni. Oggi però la Germania, che aveva già inviato una lettera Bruxelles per sollecitare l’apertura di un tavolo di consultazioni per cercare di risolvere il disaccordo sull’esito dei test sulle auto Fca, arriva una richiesta ufficiale: il ministero dei Trasporti tedesco chiede che per i modelli Fiat 500, Doblò e Jeep Renegade sia garantito il richiamo, per le presunte violazioni sulle emissioni.
“I modelli testati sono Fiat 500, Fiat Doblò e Jeep Renegade”, ha detto il portavoce del ministro Alexander Dobrindt in conferenza stampa a Berlino rispondendo a una domanda.
Il presunto meccanismo illegale di spegnimento a bordo della auto Fiat-Chrysler è stato rilevato nell’ambito delle analisi degli esperti della commissione d’inchiesta tedesca, istituita all’indomani del Dieselgate per cui Volkswagen ha ammesso la truffa e patteggiato una multa da 4,3 miliardi negli Stati Uniti.
Il portavoce del ministero dei Trasportiha spiegato che dopo “la rivelazione delle manipolazioni Vw, nel 2015, il ministro Dobrindt ha istituito una commissione d’inchiesta, che ha lavorato fino a maggio, alla quale sono stati sottoposti moltissimi veicoli. Fra questi anche diversi della Fiat-Chrysler. E la risposta senza dubbi dei periti è stata che su questi veicoli fosse utilizzato un meccanismo illegale di spegnimento“.
“La Commissione ne avrebbe parlato volentieri con la Fiat, ma la Fiat ha rifiutato di collaborare. Alla fine di agosto, il nostro ministero ha inviato i nostri risultati al ministero dei Trasporti italiano e ha consultato la Commissione europea, e coloro che dovevano attivarsi”, ha spiegato il portavoce.
Ad ottobre c’è stata una nuova sollecitazione, ha aggiunto, e “la Commissione europea si è attivata ed ha avviato un procedimento di mediazione”.
“L’Ue ha presentato gli esiti delle proprie indagini che confermano gli esiti delle nostre. Ha chiesto all’Italia di prendere posizione. La seduta successiva — ha continuato — di questa procedura di mediazione era prevista per fine gennaio, inizi febbraio, ma dal lato italiano è stata disdetta. E fino a oggi non vi è nessuna posizione sugli esiti della nostra commissione e su quelli della commissione Ue”, ha concluso il portavoce, motivando così la decisione di Dobrindt di chiedere all’Ue di farsi garante del richiamo dei modelli coinvolti.
“Abbiamo ripetutamente chiesto all’Italia di presentarci risposte convincenti al più presto. Il tempo si sta esaurendo, perchè vogliamo concludere le discussioni sulla conformità della Fiat a breve” ha ribadito il portavoce della Commissione europea per l’Industria Lucia Caudet.
La Commissione europea sta cercando di fissare una data per un incontro con le due parti per gli inizi di febbraio, perchè è intenzionata a chiudere il dossier entro le prossime settimane”. In mancanza di una risposta dell’Italia Bruxelles potrebbe intraprendere azioni, che potenzialmente includono anche la procedura di infrazione.
Le prime accuse a Fca, infatti, erano arrivate quasi un anno fa, lo scorso febbraio dall’associazione ambientalista tedesca Deutsche Umwelthilfe, che in seguito a una serie di prove condotte in collaborazione con l’università di Berna sosteneva di avere riscontrato anomalie sulla Fiat 500X, che nel corso delle prove avrebbe superato i limiti di NOx da 11 a 22 volte nelle prove a caldo, in condizioni dunque diverse da quelle del test di omologazione europeo e più simili a quelle di guida reali su strada. Deutsche Umwelthilfe parlava di “chiara presenza di defeat devices”.
Cuore del contendere la riduzione del controllo delle emissioni dopo 22 minuti.
Il ministero tedesco aveva convocato per il 19 maggio i rappresentanti di Fca, che però non si erano presentati. E a difesa della casa automobilistica era sceso in campo il ministro dei Trasporti Graziano Delrio che aveva garantito “piena collaborazione” precisando che “il confronto sulle emissioni dei veicoli Fca deve avvenire tramite le due autorità di omologazione nazionali”.
Qualche giorno dopo, il 7 giugno, il ministro Graziano Delrio, in riferimento a una serie di test condotti in Italia su sette modelli di Fca, tra cui non c’era il modello identico a quello messo sotto accusa dai tedeschi, anticipa i risultati del report che verrà concluso solo a fine luglio, escludendo l’utilizzo di defeat devices sulle vetture testate.
I sospetti sull’utilizzo di defeat devices non riguardano più solo i motori diesel montati su modelli di Fiat 500 X, ma anche su Doblò e Jeep Renegade.
Intanto anche la commissione Emis si occupa della faccenda.
A ottobre vengono chiamati in audizione a rispondere delle accuse tedesche sia il dirigente del ministero Antonio Erario, che il responsabile tecnologico di Fca Harald Wester.
Entrambi ribadiscono quella che è sempre stata la linea: nessun sistema di controllo emissioni viene disattivato dopo 22 minuti, ma solo “modulato”. E il tutto serve a proteggere il motore da guasti. Altrimenti, ha sostenuto qualche giorno giorni fa Erario, il motore rischia di spegnersi all’improvviso.
Ieri la penultima puntata di questa diatriba. Berlino ha accusato Roma di essere consapevoli “da mesi” delle presunte “anomalie di Fca”.
Il ministro Dobrindt alla Bild am Sonntag aveva detto: “Da mesi le autorità italiane sapevano che secondo l’opinione dei nostri esperti Fca usava dispositivi di spegnimento illegali“.
La risposta italiana è arrivata per bocca del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda: “Berlino, se si occupa di Volkswagen, non fa un soldo di danno”.
(da “La Repubblica”)
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