Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
SORELLE D’ITALIA E LEGHISTE SIETE AVVISATE: CON 80 EURINI POTETE ESSERE MENATE IN CASA DAL VOSTRO PARTNER… IL CODICE PENALE RUSSO DECLASSA LE VIOLENZE DOMESTICHE A REATO AMMINISTRATIVO, UN ESEMPIO DI CIVILTA’ SOVRANISTA
La chiamano la “legge sugli schiaffi”, per le donne è invece un “incoraggiamento ai tiranni in casa”.
Dopo la scontata approvazione di stamattina in terza lettura, la legge che depenalizza le violenze domestiche in Russia passerà al Senato e poi sul tavolo del presidente russo Vladimir Putin e diventerà presto effettiva.
Picchiare mogli e figli non sarà più reato. Il testo rimuove dal Codice penale russo il reato di “percosse in famiglia” declassandolo a un illecito amministrativo punibile con un’ammenda tra i 5mila e i 30mila rubli (80-470 euro), l’arresto da 10 a 15 giorni o 60-120 ore di servizio civile.
La violenza domestica resterà un crimine punibile con due anni di carcere solo nel caso in cui venga ripetuta più volte nello stesso anno o sia motivata da odio o teppismo.
Il crimine ritorna inoltre nell’ambito delle “azioni giudiziarie private”, dove spetta alla vittima raccogliere le prove e denunciare l’abuso.
La tesi di fondo: non sono affari di Stato.
La tesi di fondo dei promotori del disegno di legge è che ciò che succede tra le pareti domestiche non sia affare dello Stato. Per gli oppositori invece legittimizza gli abusi. Il dibattito in seno al Paese è iniziato nel luglio scorso quando il governo ha recepito una sentenza della Corte suprema depenalizzando le percosse che non provocano danni fisici, ma non nel caso in cui siano inflitte a familiari.
La Russia infatti è uno dei tre Paesi in Europa e Centrasia che non ha leggi specifiche sulla violenza domestica, ma la considera una forma di “assalto”, ignorando così il fatto che mogli e figli sono le vittime più vulnerabili.
La mossa del governo allora piacque alla società civile, ma irritò Chiesa ortodossa e politici conservatori. Molti, in testa la senatrice Elena Mizulina, già autrice della legge contro la propaganda gay, obiettarono che così un genitore avrebbe rischiato il carcere solo per una sculacciata, “tradizionale mezzo di educazione russo”.
Putin: “Meglio non esagerare con le punizioni”.
Incalzato da un giornalista durante la conferenza annuale a fine dicembre, Putin era infine capitolato dicendo: “Così si distruggono le famiglie. Meglio non esagerare con la punizione. Non fa bene”.
Dopo questa dichiarazione il testo che depenalizza “le percosse che non causano danni duraturi” proposto da Mizulina ha avuto un iter tutto in discesa.
Soddisfatto Vyacheslav Volodin, il presidente della Duma: la legge — ha detto — aiuterà a costruire “famiglie forti”. E rassicurati i tanti genitori che temevano che la polizia potesse abusare del potere di intervenire nelle loro faccende domestiche o che lo Stato potesse controllare i loro metodi di educazione.
“La famiglia è un ambiente delicato dove bisogna risolvere le cose da sè”, sostiene Maria Mamikonian, a capo di un movimento di genitori che ha raccolto firme a sostegno della misura.
Le statistiche.
Non la pensa così Irina Matvienko, presidente della Fondazione “Anna Center”, l’unica linea amica contro le violenze domestiche aperta in Russia.
“Le percosse in famiglia non sono un valore tradizionale, sono un crimine”, sostiene. Nel 2016 la linea ha ricevuto oltre 5mila telefonate, benchè sia operativa solo dalle 7 del mattino alle 9 di sera.
Ma oltre il 70 percento delle donne che hanno chiamato non ha mai denunciato gli abusi alla polizia. “La legge esonera i tiranni in casa”, le fa eco Maria Mokhova, direttrice del centro per le vittime di abusi “Sorelle”.
“Il messaggio — prosegue — è: non puniamo chi pesta i familiari, solo perchè ha il diritto di farlo”.
Le statistiche ufficiali sono impietose: mostrano che il 40% di tutti i crimini violenti avviene tra le pareti domestiche. Ma, secondo le ricerche indipendenti, lo scenario è persino peggiore: per un rapporto delle Nazioni Unite del 2010, 40 donne al giorno e 14mila l’anno vengono uccise in Russia da mariti o compagni, mentre 600mila subiscono abusi domestici.
Del resto, un sondaggio di Vtsiom ha rivelato che il 19 percento dei russi pensa apertamente che picchiare moglie e figlio sia “accettabile”.
La mobilitazione.
Contro il progetto di legge si è mossa Human Rights Watch, una petizione in rete ha raccolto oltre 200mila firme ed è intervenuto persino il segretario del Consiglio d’Europa Thorbjorn Jagland inviando una lettera ai leader delle due Camere. Migliaia di persone erano attese sabato 28 in piazza Bolotnaya — già teatro delle oceaniche manifestazioni del 2011 — per protestare, ma il municipio ha però negato loro l’autorizzazione. Ora gli organizzatori sperano di riuscire a indire una nuova manifestazione per il 4 febbraio
(da agenzie)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
IL LEADER GRILLINO GENOVESE HA LASCIATO IL M5S: “I VERTICI ORMAI PENSANO SOLO AL MARKETING E ALLA COMUNICAZIONE”
“Adesso mi riprendo la libertà di realizzare il programma deciso con i cittadini che ci hanno eletto nel movimento e che, da dentro il M5S invece, non potevamo più portare avanti: noi pensiamo ancora al bene comune, dentro ormai pensano solo al controllo e al marketing”: Paolo Putti, candidato sindaco cinque anni fa per il M5S a Genova, uno dei pionieri del grillismo nella città di Beppe Grillo, anima di uno dei primi comitati anti-Gronda, capogruppo in consiglio comunale, se ne è andato.
Con altri due consiglieri, è uscito dal M5S e ha formato un nuovo gruppo in Comune, “Effetto Genova”.
In aula, a Palazzo Tursi, i grillini rimangono smozzati, in due, a quattro mesi dalle elezioni amministrative. Su Facebook ha postato il suo addio al M5S citando Guccini, e le cinque anatre.
Proprio quanti i consiglieri grillini in Comune “cinque anatre andavano a sud: forse una soltanto vedremo arrivare, ma quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare, bisognava volare, bisognava volare”.
Putti, perchè esce dal M5S alla vigilia della campagna elettorale?
“Perchè non ci riconosciamo più nel Movimento che voleva produrre un cambiamento radicale, invece pensa ad altro. Proprio perchè abbiamo ancora quattro mesi, e importanti delibere su cui batterci, contro la privatizzazione dell’azienda dei rifiuti ad esempio, era urgente poter agire liberamente, sennò avremmo tradito il mandato dei nostri elettori”.
Lei è stato uno dei primi grillini a Genova e in Italia: cosa le ha fatto decidere di lasciare definitivamente il M5S?
“Dopo il guaio in Europa, al Parlamento, non sopportavo più la raffica di comunicati diramati da Roma, dove si dice che si deve riferire a qualcuno, prima di dichiarare qualsiasi cosa. C’è chi invece fa passare Trump e Putin per due statisti senza però rendere conto di quel che dice. Non ci sto”.
Il Movimento è andato a destra?
“Non è più un movimento. Anzi, non siamo noi ad essere usciti dal Movimento è il movimento che è uscito dal tracciato e noi in quella direzione non vogliamo andare. Non siamo stati eletti per quello. Quando ci siamo candidati, nel M5S ci sgridavano perchè puntavamo al 51% e invece dicevano che l’obiettivo era fare crescere nelle persone la consapevolezza, non la performance elettorale. Adesso vale soltanto la comunicazione, l’obiettivo è solo convincere: come se volessimo vendere un prodotto. Noi invece rimaniamo a quell’origine: finiamo il mandato facendo l’interesse della comunità “.
La portavoce regionale, Alice Salvatore, dice che lei si sarebbe dovuto dimettere dal consiglio comunale. L’accusa di usare i voti M5S per salvarsi la poltrona. E magari lanciare una candidatura alle prossime amministrative con qualche altro partito della sinistra
“Non mi interessa. Abbiamo scelto di stare in consiglio proprio per finire il lavoro e onorare fino in fondo l’impegno preso con i cittadini. Il mio servizio in politica finisce qui, alla fine del mandato ritorno alla mia famiglia e al mio lavoro di educatore. Tutto il resto si commenta da sè”.
Si è scontrato duramente con Salvatore, l’ha accusata di “fare la politica dei selfie”. È anche per i rapporti con il regionale che ha deciso di uscire?
“Quella è una delle dimostrazioni del mutamento genetico del M5S. È la politica dei comunicati e dei selfie, del convincere, sempre più lontana dai territori e dalla gente. Senza più confronto, continuo, con i cittadini che invece chi ha fortuna di poter entrare nell’amministrazione deve fare”.
Il nuovo gruppo consiliare si chiama “Effetto Genova”, come “Effetto Parma”, il gruppo dei transfughi grillini che sosterranno la lista civica di Federico Pizzarotti contro il candidato M5S: lei è sicuro di non candidarsi?
“Nè io nè gli altri due consiglieri abbiamo intenzione di proseguire con la politica. Pizzarotti ha riunito una bella squadra e fa bene a candidarsi. Abbiamo chiamato il gruppo “Effetto Genova” perchè speriamo che il lavoro fatto in questi cinque anni, il sogno che avevamo, possa continuare: per noi, se un documento presentato in consiglio era giusto, lo votavamo, indipendentemente dal fatto che lo presentasse Forza Italia o la lista del sindaco arancione. Invece ora il M5S deve andare sempre contro tutti. Adesso parla alla pancia della gente, si fa i selfie, invece di fare l’interesse dei cittadini. Noi ci siamo tagliati il gettone, abbiamo versato l’intero contributo del gruppo consiliare al movimento: non mi risulta che questa sia più la preoccupazione di chi è rimasto nel M5S”.
Nel consiglio comunale della città di Beppe Grillo, rimangono due consiglieri invece di cinque, nel gruppo M5S: perchè sono rimasti?
“Sarebbe stato bello finire tutti e cinque il lavoro cominciato insieme, non se la sono sentita. È andata così: bisognava volare”.
Michela Bompani
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
CHIESTO UN FACCIA A FACCIA CON DI MAIO… SECONDO I MEDIA GLI INCONTRI FURONO TRE E NON UNO SOLO
In un attimo i 5Stelle sono ripiombati a qualche mese fa. Esattamente a quando, nel pieno del caso Muraro, si è scoperto che Luigi Di Maio sapeva che l’allora assessore all’Ambiente di Roma era stata iscritta nel registro degli indagati e non aveva detto nulla agli altri componenti del Direttorio.
Soprattutto aveva mentito dicendo che invece era all’oscuro di tutto salvo poi essere incastrato da una email e dalle chat.
Ecco, questa mattina, alla lettura dei giornali, nel mondo pentastellato è scoppiato di nuovo il panico.
Secondo alcuni quotidiani, infatti, il vicepresidente della Camera e leader in pectore del Movimento 5 Stelle avrebbe incontrato almeno tre volte Raffaele Marra, ora in carcere con l’accusa di corruzione, per concordare insieme a lui e a Virginia Raggi alcune nomine.
I più ortodossi del Movimento erano pronti a chiedere pubblicamente chiarimenti, ma Di Maio ha anticipato la mossa e con un post ha spiegato che si tratta di “informazioni false, nessuna prova documentale, solo chiacchiere da ubriachi.
“L’unica volta che ho incontrato Marra l’ho fatto nel mio ufficio della Camera in totale trasparenza (l’incontro è stato regolarmente registrato) e non avendo nulla da nascondere sono stato io stesso a darne notizia oltre un mese fa, raccontandone anche i contenuti. A parte questo incontro non ci ho mai parlato, non ho autorizzato nulla, tantomeno atti da spedire ad Anac”.
Gli animi della fronda grillina si sono calmati un po’ ma i dubbi sono rimasti.
Tanto che, secondo i ben informati, non è escluso che l’ala che fa capo a Roberto Fico possa chiedere un incontro, un faccia a faccia a Luigi Di Maio, anche per decidere cosa fare dopo che lunedì Virginia Raggi sarà interrogata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pubblico ministero Francesco Dall’Olio per la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, a capo del dipartimento turismo.
Ed è proprio per questa nomina che potrebbe profilarsi un danno erariale. Sono infatti all’attenzione anche dei giudici della Corte di Conti gli atti del procedimento penale che vede indagata la prima cittadina per abuso d’ufficio e falso.
Spetterà adesso ai magistrati contabili verificare se la promozione di Marra ‘senior’ possa avere rappresentato un danno alle casse dell’erario e procedere, eventualmente, a una contestazione.
Ormai da giorni sia in Campidoglio i consiglieri che hanno come punto di riferimento Marcello De Vito, sia a Montecitorio coloro che vorrebbero il passo indietro della Raggi anche in caso di rinvio a giudizio, chiedono al sindaco di pubblicare interamente le chat del gruppo “Quattro amici al bar” di cui facevano parte, oltre al sindaco e a Marra, anche Salvatore Romeo, ex capo della segreteria, e l’ex vicesindaco Daniele Frongia. “Solo così sarà possibile capire chi ha davvero responsabilità “, dicono alcuni parlamentari.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
SUI SOCIAL MESSICANI SI SCATENA IL BOICOTTAGGIO DELLE MULTINAZIONALI AMERICANE… GLI USA PAGHERANNO CARO LE FOLLIE DELL’EVASORE FISCALE
“E’ semplicemente non negoziabile” che il Messico paghi per il muro che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump vuole costruire al confine tra i due Paesi.
Lo ha ripetuto Luis Videgaray, nel corso di una conferenza stampa a Washington, dove si trovava insieme ad una delegazione ministeriale per incontri con la nuova amministrazione e per preparare la visita del presidente Enrique Pena Nieto il 31 gennaio, poi annullata per protesta.
“Ci sono delle cose che non sono negoziabili, delle cose che non possono nè saranno negoziate – ha detto Videgaray -. Dire che il Messico possa pagare per il muro è una cosa semplicemente non negoziabile”.
Mentre l’amministrazione Trump pensa di imporre un dazio del 20% su tutti prodotti importati dal Messico (il loro valore complessivo è di oltre 300 miliardi di dollari) per far pagare ai messicani le spese della costruzione del nuovo muro, l’economista Paul Krugman spiega che questa sarebbe una misura da “incompetenti e ignoranti”.
Se Trump mette una tassa sulle auto americane che importiamo dal Messico, saranno gli americani e non i messicani a pagare il muro.
Argomento sostenuto anche dal ministro Videgaray che precisa: “Mettere un dazio sulle merci importate dal Messico significa che il consumatore americano pagherà di più una automobile, una lavatrice o un avocado”.
Le ultime mosse del presidente Usa, e la cancellazione del summit con il presidente messicano, hanno scatenato in Messico una campagna antiamericana.
Sui social si invita al boicottaggio dei prodotti delle multinazionali statunitensi, da Starbucks alla Coca cola fino ai McDonald’s.
Mentre su Instagram c’è un nuovo hastag che promuove l’orgoglio messicano #AmorAMèxico dove vengono postate foto che esprimono amor proprio e dignità del Paese.
Un messaggio chiaro arriva anche dal Vaticano.
La Santa Sede è preoccupata per “il segnale che si dà al mondo” con la costruzione del muro tra Usa e Messico, voluto dal presidente statunitense Donald Trump per frenare le migrazioni. E si augura che gli altri Paesi, anche in Europa, “non seguano il suo esempio”.
Lo ha detto oggi al Sir il cardinale Peter Turkson, presidente del Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale, a margine di un convegno sulla “Laudato sì e gli investimenti cattolici” alla Pontificia Università Lateranense.
(da agenzie)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
GROTTESCA GAFFE DELL’UFFICIO STAMPA DI TRUMP… IL MAIL: “FORSE PER QUESTO TRUMP ERA COSI’ ECCITATO ALL’IDEA DI INCONTRARLA?”
Nuova gaffe dell’amministrazione Trump in politica estera.
Dopo aver confuso il ministro degli Esteri australiano Julie Bishop per il premier Malcolm Turnbull, l’ufficio stampa della Casa Bianca ha ‘dimenticato’ la ‘h’ nel nome della premier britannica Theresa May. Risultato: in due documenti l’inquilina di Downing Street è diventata la nota star del porno Teresa May.
L’errore è stato ripetuto due volte nel comunicato di ieri con il quale la Casa Bianca annunciava l’agenda odierna degli incontri Trump-May e una volta in un comunicato dell’ufficio del vice presidente.
“Nel pomeriggio il presidente parteciperà ad un incontro bilaterale con il primo ministro del Regno Unito, Teresa May”, recitava la nota dell’ufficio stampa della Casa Bianca.
E qualche riga dopo la ‘h’ era di nuovo sparita nel previsto “pranzo di lavoro con Teresa May…”.
Ancora una volta, nella nota dell’ufficio di Mike Pence il nome di battesimo di May è diventato quello della star di un video per la canzone Smack My Bitch Up del gruppo The Prodigy.
“È per questo che Donald Trump era eccitato di incontrarla?”, commenta ironico il tabloid britannico Mail online riferendosi al previsto colloquio di oggi tra il neo presidente e la premier britannica a Washington.
Sempre ieri, ricorda il Mail online, in un altro comunicato la Casa Bianca ha definito il ministro degli Esteri australiano Julie Bishop il ‘primo ministro degli Esteri’ del Paese.
(da agenzie)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
COME SI RIPARTIREBBERO I SEGGI CON IL SISTEMA ELETTORALE IMMAGINATO DALLA CONSULTA
Repubblica ha pubblicato i risultati di una simulazione dell’istituto Demopolis sulla ripartizione dei seggi alla Camera dei Deputati se si votasse con il nuovo Italicum.
Con il sistema elettorale designato dalla Consulta sulla base della legge elettorale proposta da Renzi ed “emendata” dalla Corte Costituzionale.
In mancanza di una lista che raggiunga il 4% l’ipotesi di balcanizzazione di un ramo del parlamento (per l’altro, con il Consultellum, la balcanizzazione è una certezza) diventa realtà : 192 seggi prenderebbe il Partito Democratico, 185 il MoVimento 5 Stelle, 84 la Lega, 30 Fratelli d’Italia e 76 Forza Italia mentre nel calcolo anche Sinistra Italiana e NCD-API riuscirebbero ad arrivare in Parlamento rispettivamente con 23 e 22 seggi.
Nell’articolo a firma di Goffredo De Marchis si fa un passo in più: si immaginano le possibili alleanze post-elettorali ma anche qui il senso non cambia: la maggioranza di 316 seggi non verrebbe raggiunta nè in caso di governo PD-SI-AP (che si fermerebbe a 243 seggi) nè in caso di alleanza tra Partito Democratico, alfaniani e Forza Italia, che arriverebbe a quota 296 seggi.
Nemmeno le alleanze tra coalizioni di destra arriverebbero a sfiorare la maggioranza necessaria alla Camera (316 seggi).
L’unico caso in cui si arriverebbe a superare i seggi necessari è un’alleanza (ipotesi fantapolitica) tra PD, Forza Italia, alfaniani e Sinistra Italiana oppure in caso di alleanza del MoVimento 5 Stelle con l’intero centrodestra (compresa Forza Italia) o con il Partito Democratico: ovvero altre ipotesi di fantapolitica, ad oggi.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
DA MANETTARO A SUPERGARANTISTA… QUALCUNO LO INFORMI CHE ROMA E’ IRREVOCABILMENTE CANCELLATA DALLE CANDIDATURE OLIMPICHE
Per quale motivo Virginia Raggi è indagata per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico?
I più ingenui potrebbero rispondervi che il procedimento d’indagine per il quale la sindaca di Roma ha ricevuto i giorni scorsi un avviso di garanzia è quello che fa riferimento alla nomina a capo dipartimento del Turismo di Renato Marra, fratello dell’ex capo del personale Raffaele.
Ma a quanto pare c’è un’altra versione dei fatti, ed è quella illustrata da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nel suo editoriale dal titolo Raggi lader: la sindaca è sotto attacco a causa del No alle Olimpiadi a Roma.
L’aver detto No alla candidatura della Capitale alle Olimpiadi del 2024 è il grande successo che la Raggi continua a sbandierare ovunque da quando è stata eletta.
Ma cosa c’entrano le Olimpiadi con le indagini a carico della Raggi?
Ce lo spiega l’avvocato d’ufficio della sindaca, che da manettaro convinto è diventato il più garantista tra tutti i giornalisti del Fatto Quotidiano:
in questa vicenda, garantismo e giustizialismo non c’entrano nulla. Le balle spaziali su riti immediati, autosospensioni e patteggiamenti preparano il terreno alla caduta della giunta che, se arrivasse entro il 1° marzo, consentirebbe ai nemici interni ed esterni della Raggi di riportare i romani al voto in giugno. Dopo, sarebbe tardi e Roma verrebbe ricommissariata per almeno un anno. Inutile dire che, via la Raggi, il commissario di governo annullerebbe subito il No alle Olimpiadi, restituendo i soliti noti alle solite greppie. Per chi non l’avesse capito: dimissioni fa rima con ladroni.
Che da qualche giorno Travaglio stia vivendo un profondo ed intimo dramma personale è cosa nota, che emersa in tutto il suo lancinante splendore durante la puntata di Otto e Mezzo del 24 gennaio.
Non riuscendo ad interpretare con il consueto piglio giustizialista la realtà dei fatti romani (oggi ad esempio scrive che ha chiesto le dimissioni della Muraro per “aver mentito al Fatto”, un nuovissimo reato del CPP), Travaglio si dà alle previsioni. Siamo di fronte all’ennesimo caso di giornalista onnisciente : è strano che uno così attento ai fatti e alla lettura delle carte come lo è senza dubbio Marco Travaglio ignori che per quanto Gianni Malagò (o chi per lui) sia dispiaciuto per non essere riuscito a far candidare la Città Eterna alle OIimpiadi del 2024 non sia in grado di mettere in atto un piano del genere.
Un piano che — sorpresa — si schianterebbe contro il processo di selezione delle città candidate.
Non serve vedere il futuro per scoprire che per le Olimpiadi del 2024 in lizza sono rimaste solo tre città : Los Angeles, Budapest e Parigi.
Basta andare sul sito dello CIO, il Comitato Olimpico Internazionale per “scoprire” i nomi delle città che hanno superato la Fase 2 della candidatura.
Roma ormai è ufficialmente, e irrimediabilmente, uscita dalla gara.
Il grande disegno identificato così chiaramente da Marco Travaglio inoltre non tiene conto di un altro fattore cruciale: il tempo.
A dicembre l’Executive Board del CIO ha confermato i nomi delle tre città che sono passati alla Fase 3 della selezione, a gennaio le tre città devono pagare il contributo da 150 mila dollari ed infine entro febbraio 2017 dovranno presentare la parte finale della documentazione di progetto per le Olimpiadi.
Anche ammesso che Malagò sia così potente da poter forzare le regole del CIO non ci sarebbero i tempi per far succedere quello che prevede il Mago Travaglio.
Anche perchè il processo di selezione si concluderà a giugno (l’elezione avverrà a settembre 2017), non abbastanza tardi per consentire l’elezione di un nuovo sindaco pro Olimpiadi che in ogni caso non potrebbe fare nulla per il semplice motivo che Roma è uscita dalla corsa per le Olimpiadi del 2024.
Nessun commissario di governo — per quanto non eletto dal popolo — quindi ha il potere annullare il No alle Olimpiadi come invece vuole far credere Travaglio ai suoi lettori.
Quindi, preso atto che in primo luogo l’uscita di Roma dalla corsa per l’assegnazione dei Giochi del 2024 è irrevocabile, perchè Travaglio scrive una cosa palesemente falsa, ovvero che qualcuno vuole far dimettere la Raggi per poter tornare a fare favori ai palazzinari delle Olimpiadi?
Lo fa per il motivo stesso che enuncia all’inizio del suo editoriale: “cari lettori, vi dobbiamo delle scuse. Siccome siamo “il giornale dei grillini” avremmo dovuto pubblicare gli scoop sensazionali che invece ci hanno soffiato i concorrenti“.
Ed infatti Marco Travaglio è in perfetta sintonia con il pensiero dellaggente che vede dietro l’avviso di garanzia nei confronti della Raggi la tremenda vendetta del CONI per essersi sentito dire di No.
Evidentemente prendersi la briga di andare a controllare che quei 35 giorni di tempo che rimangono riguardano solo le città (e soprattutto per quelle che entro gennaio ovvero entro tre giorni, pagano il Candidature Service Fee) che ancora sono in lizza per i Giochi era un lavoro troppo complicato.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
IN TRE ANNI HA RIDOTTO LA LEGA ALLO SFASCIO: HA CHIUSO RADIO, TV, GIORNALE, SEDE DI VIA BELLERIO, LICENZIATO 96 DIPENDENTI (14 SPERANO NELLA CASSA INTEGRAZIONE A SPESE DEGLI ITALIANI)… MA PAGA AL SUO AMICHETTO MORISI 300.000 EURO DI CONSULENZE PER VEICOLARE LE SUE CAZZATE SUL WEB
La Lega non ha i soldi per i dipendenti e così decide di mandarli a casa.
Eppure riesce a trovare i fondi per saldare le fatture dello spin doctor del segretario catodico, Matteo Salvini.
Fatture non da poco: oltre 300mila euro.
A beneficiare della ricca consulenza esterna è la società Sistema Intranet di Luca Morisi. Un 42enne di Mantova estraneo alla Lega e voluto da Salvini.
Per il segretario, Morisi segue per lo più i social network, gestisce il sito e consiglia strategie comunicative.
Lavoro che avrebbero potuto fare molti dei dipendenti del Carroccio visto che tra i 72 allontanati ci sono anche giornalisti e comunicatori.
Da quando è diventato segretario nel dicembre 2013, Salvini ha chiuso la radio, la tv, il quotidiano e persino la storica sede milanese di via Bellerio: in pratica ha azzerato tutto ciò che Umberto Bossi aveva realizzato in venti anni di politica.
Poche settimane fa anche gli ultimi 24 dipendenti superstiti sono stati messi in mobilità . Di questi 14 confidano nel rinnovo della cassa integrazione, quindi in un contributo statale.
Tutto perchè nelle casse del Carroccio, questa la motivazione ufficiale, non ci sono fondi. Ma sembra più appropriato dire che i fondi non ci sono per i dipendenti.
Mentre ci sono per le fatture di Morisi e per altro.
Leggendo la documentazione che il Fatto ha potuto visionare, nelle casse del Carroccio sono appena arrivati quasi due milioni di euro dallo Stato. Con esattezza un milione ottocentomila euro.
Soldi arrivati dal due per mille delle dichiarazioni dei redditi 2015. A cosa saranno destinati? Esclusivamente all’attività del segretario? Non è dato saperlo.
Certo è che i costi sono praticamente ridotti a zero: il movimento non ha più neanche una sede da mantenere.
Via Bellerio è chiusa da mesi, tanto che la notte del 5 dicembre per ospitare la stampa in attesa dei risultati del referendum Costituzionale è stato allestito una sorta di capannone da campo alle spalle della sede.
Il risparmio è massimo. E appena due giorni fa, l’ufficio stampa ha giustificato la decisione di mettere in mobilità gli ultimi dipendenti appellandosi alla carenza di fondi.
Un provvedimento, si legge nella nota della Lega, “che si è reso necessario a causa del costante andamento negativo della situazione economico-finanziaria del partito”.
Il tesoriere Giulio Centemero parla di riorganizzazione interna necessaria ancora da completare. Intanto oggi si riunisce la segreteria federale del partito. E forse qualcuno chiederà conto al segretario di come vengono usati i fondi.
Del resto la tutela dell’occupazione è uno dei temi che con frequenza Salvini affronta e sostiene nelle sue partecipazioni televisive.
Ma a prescindere dalle dichiarazioni pubbliche e dalle intemerate via etere, le domande si riducono a una, molto semplice: come è possibile che un movimento politico che riceve 1,8 milioni dallo Stato possa mettere in mobilità i propri dipendenti, addirittura ricorrendo alla Cigs (quindi allo Stato), lamentando di non avere fondi che invece ha e li utilizza per consulenze esterne?
Salvini, contattato telefonicamente dal Fatto, al momento non ha risposto.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 27th, 2017 Riccardo Fucile
“MI PIACEREBBE CONFRONTARMI CON GRILLO IN UNA PIAZZA, ANCHE DAVANTI AI SUOI FEDELISSIMI, SUL CARATTERE DEMOCRATICO DEL SUO MOVIMENTO”
“Lo statista forte, Grillo, ha impedito a Di Maio di venire in trasmissione. E’ bastata una telefonata del soliti Casalino, ieri sera attorno alle 22.30 . Un vicepresidente della Camera che agisce a comando come un soldatino, sono 30 anni che calco queste scene, non l’avevo mai incontrato”.
Così Michele Santoro, aprendo la puntata del suo nuovo programma Italia, ha commentato la marcia indietro di Luigi Di Maio che era atteso come ospite per la puntata di giovedì sera ma ha deciso di non partecipare.
Una vicenda imbarazzante che dimostra come la “libertà di espressione” all’interno del M5S sia soggetta sempre a una ratifica dalla Casaleggio e dal suo staff.
Il che ha indotto Santoro a lanciare una sfida che sa di provocazione politica, atta a stanare i censori.
“Mi piacerebbe confrontarmi con Grillo in una piazza, anche davanti a tutti i suoi fedelissimi, mi piacerebbe che desse risposta a qualche domanda sul carattere democratico del suo movimento”, ha aggiunto Santoro.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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