Gennaio 9th, 2017 Riccardo Fucile
L’ASSOCIAZIONE LOMBARDIA-RUSSIA, EMANAZIONE DELLA LEGA, CONSIGLIA GLI IMPRENDITORI ITALIANI A DELOCALIZZARE IN DONETSK E LUGANSK “DOVE UN OPERAIO COSTA SOLO 100 EURO”… SONO QUESTI I SOVRANISTI TRADITORI DEGLI INTERESSI ITALIANI
LombardiaRussia si definisce un’associazione culturale “apartitica” che “ha per scopo far conoscere la Russia e la sua attualità per quel che sono.”
La distanza dai partiti pare poco verosimile quando si verificano alcuni piccoli dettagli. L’associazione ha sede in Via Colombi 18 a Milano, all’angolo con via Bellerio, nello stesso stabile che ospita l’Associazione Umanitaria Padana Onlus e l’asilo nido “Orsetti Padani”.
Il Presidente, Gianluca Savoini, fu giornalista de “La Padania” ed è considerato il punto di contatto tra Salvini e Putin. Il suo vice, l’analista informatico Gianmatteo Ferrari, fu candidato leghista alle ultime comunali di Varese. Il Responsabile Sviluppo Progetti è l’ex Deputato della Lega Claudio D’Amico.
Negli scorsi giorni il sito web dell’associazione ha pubblicato una “dispensa”, scaricabile in PDF nonostante su ogni pagina reciti “documentazione riservata — personale — non divulgabile”, che invita gli imprenditori a investire nelle repubbliche “autoproclamate” di Donetsk e Lugansk.
All’interno del dispaccio si dichiara che il probabile riconoscimento della Russia alle Repubbliche nel 2017, comporterà “un aprirsi al mondo”, e si specifica che ogni prodotto ivi fabbricato “avrà la possibilità di essere esportato molto facilmente in Russia, bypassando l’embargo”.
Ma la considerazione più marcata è che “lo stipendio medio di un operaio specializzato è di circa 100 euro al mese più un 31 per cento a carico dell’imprenditore comprensivi di tutte le voci di spesa: previdenza, tasse sul reddito, ecc…”.
Non solo: la dispensa appare un chiaro invito a delocalizzare in un’area politicamente ed economicamente instabile, priva di qualsivoglia riconoscimento internazionale, ma soprattutto in virtù di una forza lavoro infinitamente più economica di quella italiana e dell’Unione Europea.
Chissà se ne hanno parlato con Salvini durante qualche volo verso Mosca, e se lui si è ricordato di quando tuonava contro le delocalizzazioni di Riello, Faac e Almaviva.
Stefano Basilico
(da “il Foglio”)
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Gennaio 9th, 2017 Riccardo Fucile
PSICODRAMMA A BRUXELLES: GRILLO E CASALEGGIO PRIMA SPACCANO MILITANTI E DEPUTATI PER ALLEARSI CON ALDE, POI I LIBERALI LASCIANO I DUE GRANDI STRATEGHI IN BRACHE DI TELA… LA BASE ORA ACCUSA MANIPOLAZIONI DEL VOTO ON LINE
È la Waterloo di Beppe Grillo. E in fondo il luogo dove è caduto Napoleone non è molto distante da Bruxelles, teatro invece dello schiaffo di Guy Verhofstadt al leader M5S, rimasto sconfitto e con un partito confuso e arrabbiato.
La mossa strategica di lasciare Nigel Farage per aderire al gruppo Alde e conquistare terreno nell’Europarlamento, in poche ore, si è rivelata un boomerang per i grillini. L’Alleanza dei Democratici e dei liberali per l’Europa ha infatti votato contro l’ingresso dei 5Stelle nel gruppo.
Il ‘no’ secco è arrivato in particolare dai francesi e dai tedeschi e il capogruppo Verhofstadt non ha potuto che prenderne atto e salutare Grillo: “Sono arrivato alla conclusione che non ci sono sufficienti garanzie per portare avanti un’agenda comune per riformare l’Europa. Non c’è abbastanza terreno comune per procedere con la richiesta del Movimento 5 Stelle di unirsi al gruppo Alde. Rimangono differenze fondamentali sulle questioni europee chiave”.
Parole sorprendenti che arrivano pochi giorni dopo che il leader pentastellato, in gran segreto grazie alla mediazione di David Borrelli, ha siglato un pre accordo proprio con Guy Verhofstadt.
Ma la sede dell’Europarlamento oggi è diventata un campo di battaglia e Grillo ha fatto il suo ingresso questa mattina presto con l’intento di sedare la protesta di alcuni europarlamentari che non hanno condiviso il cambio di rotta e l’adesione al gruppo più europeista che c’è in Ue, gruppo che fu di Romano Prodi e Mario Monti, per intendersi.
Intanto a mezzogiorno vengono pubblicati i risultati del sondaggio, annunciato domenica a sorpresa tra lo stupore di tutti: il 78,5% degli iscritti al blog ha scelto di aderire all’Alde.
Al di là del risultato quasi plebiscitario, la base, stando ai commenti, da domenica si è rivoltata contro Grillo.
Le bacheche Facebook dei parlamentari sia nazionali sia europei sono state prese di mira e si sono trasformate in un delirio di commenti.
Tutti presi alla sprovvista, in pochi hanno appoggiato la decisione del leader pentastellato. E c’è chi, come Nicola Morra e Carlo Sibilia, ha deciso di uscire allo scoperto. Non solo. Questa incongruenza, tra il voto della Rete e gli umori invece della Rete e dei parlamentari, ha prestato il fianco anche al sospetto che il voto web fosse stato manipolato.
Sta di fatto che a Luigi Di Maio è toccato l’ingrato compito di dover arrabattarsi e fornire giustificazioni parlando di una “mossa tecnica e non politica”.
Il candidato premier in pectore garantisce inoltre che il referendum sull’euro verrà fatto comunque e che l’adesione a un gruppo europeista serve soltanto a mantenere diritti all’interno dell’Europarlamento, tra cui i 700mila euro che ogni partito ha a disposizione ed entrare poi nella partita delle presidenze delle commissioni.
L’unico risultato che sortisce il post di Di Maio è una pioggia di commenti negativi e pochi “like”.
Passano poche ore ed ecco il colpo di grazia.
Le stanze dell’Europarlamento sono ormai un campo di battaglia.
In una, Beppe Grillo e Davide Casaleggio provano a sedare la protesta degli europarlamenti scontenti, in un’altra pochi passi più in là c’è Verhofstadt che prova a convincere i suoi, anche perchè si sta giocando la sua personalissima gara per la presidenza dell’Assemblea, e strappare il ‘sì’ all’ingresso dei grillini.
Ma dopo tanti tormenti e dichiarazioni al vetriolo, come quella della vicecapogruppo dell’Alde, la francese Marielle de Sarnez (“Farò di tutto per impedire che succeda. Sarebbe un’alleanza empia”), arriva la posizione ufficiale del gruppo: M5S è fuori.
Il danno d’immagine è enorme dopo che Grillo, in ventiquattro ore, ha mandato in tilt la base, ha mandato su tutte le furie i parlamentari nazionali ed europei, che si sono ritrovati con un accordo già firmato prima ancora che venisse ratificato dal blog, e per finire non ha ottenuto il risultato sperato.
Anzi, ha subito una vera e propria cacciata. La difesa del leader pentastellato è quella solita d’ufficio: “L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo. Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi”.
Ma la sconfitta politica, al di là del post sul blog, rimane e adesso i grillini confluiranno nel gruppo Misto, che – secondo Grillo – significa “occupare una poltrona con le mani legate: non poter lavorare”.
E con 680.000 euro in meno, cosa che pare fosse essenziale.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 9th, 2017 Riccardo Fucile
ISTITUTI SCOLASTICI AL GELO IN TUTTE LE ZONE DELLA CAPITALE, DIVERSE SCUOLE HANNO DOVUTO CHIUDERE E RIMANDARE I BAMBINI A CASA, TRA TERMOSIFONI SCASSATI, VALVOLE ROTTE E CALDAIE IN TILT
L’operazione “scuole calde” lanciata dal Campidoglio è stato l’ennesima Caporetto di Virginia Raggi.
Oggi, giorno di rientro dopo lo stop per le festività , molti studenti delle scuole romane sono dovuti tornare a casa a cause delle temperature rigide non solo fuori ma anche in classe.
Colpa del gelo ma anche di problemi strutturali e decennali degli istituti capitolini con impianti di riscaldamento e tubature vecchie che in alcuni casi si sono gelate e rotte.
E così neanche la circolare dei presidi diffusa ieri a i genitori che consigliava di abbigliare i figli per “il grande freddo” in alcuni casi è stata sufficiente.
Alcune scuole hanno addirittura chiuso e in altri casi i genitori hanno riportato i figli a casa.
Chiuso ad esempio il complesso che ospita il liceo Malpighi e l’istituto Ceccherelli. Aule fredde alla Cesare Battisti, alla principe di Principe di Piemonte, alla scuola Falcone e Borsellino e in alcune scuole materne e nidi come quello di Villa Ada o il Montessori, dove i genitori, considerata la tenera età dei figli, hanno preferito riportarli tra le calde pareti di casa.
Il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi del Lazio Mario Rusconi ha raccontato la situazione in altre scuole: “Al liceo Pascale di Roma e al liceo Foscolo di Albano laziale registriamo temperature polari questa mattina. Anche il Galilei vicino Piazza Vittorio ci risulta al freddo. In generale ci arrivano segnalazioni di disagio dalle scuole romane che dipendono dal fatto che i riscaldamenti sono rimasti spenti per 15 giorni durante le vacanze natalizie, senza considerare che all’interno delle scuole operassero bidelli e presidi. Il problema si trascina da più di dieci anni e noi abbiamo sempre sottolineato che non si può risparmiare su questo settore”.
E ancora: “Abbiamo come presidi offerto la nostra collaborazione al sindaco Raggi e all’assessore Baldassarre sin dall’epoca del terremoto ma per ora non abbiamo avuto nessuna risposta in merito. Fermo restando che non chiediamo prebende, nè tanto meno vogliamo fare carriera politica, vogliamo solo un confronto per prendere le decisioni migliori per le scuole e superare le difficoltà insieme”.
L’associazione aveva polemizzato con Virginia Raggi all’epoca dei controlli antisismici nelle scuole.
In alcuni casi, dopo l’intervento dei tecnici, nella tarda mattinata i termosifoni hanno ripreso a funzionare, in altri i guasti persistono.
E, sebbene le scuole siano aperte, alcuni genitori, di fronte alla situazione, hanno deciso di riportare i figli a casa.
Ad altri è stato consigliato di andare a riprendere i bimbi in anticipo, prima dell’ora del riposino per evitare che i piccoli dormano in aule ancora troppo fredde.
Nel primo municipio problemi, a quanto si apprende, si sono registrati soprattutto nella materna Trento e Trieste, che si trova in un palazzo storico di via dei Giubbonari a Campo de’ fiori che ospita anche il liceo Vittorio Colonna: i tecnici stanno cercando di risolvere il problema. Stesso copione nella scuola dell’infanzia Giardinieri, dove alcuni genitori hanno deciso di andare a prendere i figli prima della fine dell’orario.
Ma negli altri municipi non è andata molto diversamente. I tecnici sono dovuti intervenire per far ripartire le caldaie anche nella scuola materna L’Arancio Goloso, nel municipio 9 mentre nel municipio 8 disagi per il freddo, a quanto si apprende da alcuni genitori e come confermano dalle stesse scuole, sono stati registrati nell’asilo nido ‘L’Aquilone Colorato’ e nella scuola materna ‘Principe di Piemonte’ dove ci sono stati problemi anche alla rete elettrica.
“Accendere i termosifoni un giorno prima del rientro della scuola avrebbe evitato questo spiacevole disagio che evidenzia ancora una volta come quest’amministrazione sia poco attenta e sconfortante. Sto ricevendo numerose segnalazioni dai genitori e siamo solo alle 11”, spiega Lorenzo Marinone, consigliere dem del XII municipio. Qui anche la scuola Angelo Celli alla Pisana è senza riscaldamenti. Sono rimaste al freddo la Cesare Battisti, la Casa dei Bimbi dove i genitori hanno lasciato i piccoli con giacconi e guanti, il nido di via della Villa di Lucina e l’asilo Aquilone Colorato: qui le famiglie sono state richiamate per venirsi a riprendere i bambini.
Criticità anche nel II municipio. All’asilo nido di Villa Ada “abbiamo trovato le valvole dell’impianto che si erano rotte e l’acqua era fuoriuscita – spiega l’assessore municipale alla Scuola, Emanuele Gisci – La ditta e i tecnici sono già intervenuti e altre operazioni stanno intervenendo alla Montessori a causa di una perdita d’acqua. Non sono funzionanti i riscaldamenti alla Falcone e Borsellino di via Reggio Calabria. Nel complesso, anche laddove i termosifoni sono accesi, le scuole non sono calde come speravamo. Molti genitori si sono lamentati: queste criticità hanno causato grossi disservizi nei confronti delle nostre famiglie”.
Riscaldamenti spenti anche alla media Majorana nel III municipio. Nel IV municipio i bambini della scuola Aquilone Rosso non sono potuti entrare a causa degli ambienti gelati. Alla Gandhi, sempre nello stesso municipio, i termosifoni sono spenti e la preside ha deciso di non far rimanere i docenti nel pomeriggio a realizzare la programmazione dell’anno. Nel V municipio freddo e gelo nelle aule della Valente.
Alla Giardino d’Europa, nel municipio IX, i termosifoni non sono partiti ieri e anche oggi risultano non funzionanti: i genitori hanno preferito far rimanere i bambini a casa, così come per la materna Arancio Goloso. Si attende l’intervento dei tecnici. Stesso discorso alla Don Filippo Rinaldi e alla materna Centroni, entrambe nel VII municipio: nella prima i caloriferi risultano non funzionanti, nella seconda i termosifoni sarebbero partiti solo questa mattina a causa della caldaia andata in blocco durante il week-end.
Bimbi a casa anche in alcune scuole del X municipio, come la Francesco Cilea e la Doremidiverto, mentre in altre, come alla statale Leonori i riscaldamenti sarebbero stati accesi solo questa mattina e i piccoli alunni starebbero ancora con i giacchetti in classe. Nell’XI municipio caloriferi spenti alla Fratelli Cervi.
E nell’VIII municipio i genitori dell’asilo Aquilone Colorato sono stati chiamati dalla scuola per venirsi a riprendere i bambini: la scuola è troppo fredda ed è impossibile fare lezione. All’istituto Vespucci i termosifoni sono tiepidi ma si sono rotti alcune tubature, come quelle dei bagni dei professori. Personale e ragazzi dell’istituto Pascal hanno diffuso l’immagine del termometro: alle 10.30 segnalava solo 7 gradi.-
(da “NextQuotidiano e agenzie)
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Gennaio 9th, 2017 Riccardo Fucile
NON E’ TAGLIANDO DUE GRATTACIELI INUTILI DI QUALCHE PIANO CHE SI SALVA LA FACCIA
Abbiamo per anni sparato a zero sul cemento targato Pd. Se oggi a cementificare fossero i Cinque Stelle non sarebbe più bello. Più accettabile.
Anzi, forse sarebbe perfino peggio: la difesa dell’ambiente e la lotta al mattone selvaggio sono bandiere del M5S. Anche per questo gli elettori hanno scelto il movimento di Beppe Grillo.
I giornali parlano del progetto dello stadio di Roma (con annessi grattacieli).
E spunta un’idea che avrebbe il sostegno della giunta di Virginia Raggi: costruire lo stadio e i grattacieli. Ma “tagliati” di qualche piano. I signori del mattone ringrazierebbero.
È questa l’idea del futuro di Roma che hanno i Cinque Stelle?
Eppure modernità non significa per forza cemento. Ascolti i dibattiti sul progetto del nuovo stadio della Roma e dei grattacieli — questo è il problema, più che l’impianto sportivo — e sempre senti ripetere quella frase: c’è bisogno di modernità .
Come se dare un futuro alle nostre città fosse sinonimo di costruire. Sempre e comunque.
Affermazioni accompagnate dai rendering, le simulazioni al computer degli architetti, dove le nuove costruzioni appaiono sempre belle e scintillanti, con gente felice che si muove tra piazze e strade virtuali. Niente di più distante dalla realtà , quando poi il cemento arriva davvero a togliere la luce. Ma ahimè allora è troppo tardi per rendersene conto. Il danno è fatto, per sempre.
Basterebbe andare a vedere l’esito di tanti progetti che avrebbero dovuto portare la modernità nelle città : City Life a Milano, il Crescent di Savona e il suo gemello di Salerno, tanto caro all’allora sindaco Vincenzo De Luca. Speculazioni edilizie che hanno riempito di cemento gli spazi spezzando il tessuto urbano e sociale.
Ne sono fiorite ovunque in Italia: colpa di amministratori che puntavano prima di tutto a fare cassa.
Ma anche di archistar che hanno accettato di mettere le loro firme su progetti senza anima nè identità , che avrebbero potuto nascere a Milano come a Shangai.
Pensiamo proprio a City Life dove l’architetto Arata Isozaki ha realizzato una torre che pare la fotocopia di un’altra progettata in Giappone. Milano come Tokyo, sono la stessa cosa.
E anche qui troviamo l’architetto Daniel Libeskind, un progettista dalla firma facile: lo stesso dei grattacieli che cambierebbero l’orizzonte splendido e delicatissimo di Roma. Una città vale l’altra.
Tante archistar sono cadute in questo errore: vedi i ponti di Santiago Calatrava, così simili a Reggio Emilia e in Spagna. Gli architetti — geniali finchè volete — che pensano di imporre il proprio stile invece di rispettare lo spirito dei luoghi sedimentato in secoli di vita. Peccato di superbia, per non pensare che nella bulimia di certi progettisti c’entri piuttosto il portafogli.
Ci vorrebbe più umiltà , come chiede sempre Renzo Piano: “L’architettura è un’arte imposta. Non è come la letteratura e la musica che possiamo ignorare. Gli architetti progettano luoghi dove gli uomini sono costretti a vivere. Per questo ci vuole rispetto”.
E poi c’è Roma. Non è retorica dire che parliamo di una città unica al mondo.
Come diceva Carlo Levi nell’incipit dell’Orologio: “A Roma la notte par di sentir ruggire i leoni”. Già , a Roma c’è il tempo. Ci sono l’antichità , il barocco, l’architettura fascista, ma c’è soprattutto qualcosa — la vita? — che li unisce. La nostra Capitale pare nascondere anche ai romani il segreto della propria armonia: “Quando sarò grande anch’io tornerò a Roma. Troverò, se i mezzi me lo permetteranno, un appartamento su una collina da dove guarderò la città crogiolarsi al sole. Rassicurato dal saperla immortale. Anch’io sarò indifferente alla rovina che la circonda ma che continua a risparmiarla. E, chissà , forse rimarrà un po’ di eternità anche per me”, ha scritto Philippe Ridet, corrispondente di Le Monde, in un articolo d’addio che pare la lettera di un innamorato.
Vero, manca la modernità , pure se ci sono interventi riusciti come l’auditorium di Piano, il più discutibile Maxxi di Zaha Hadid e adesso la Nuvola di Fuksas.
Manca la modernità in tante città italiane, basta leggere la “Storia dell’architettura italiana dal 1985 al 2015” (Marco Biraghi e Silvia Micheli, Einaudi) per scoprire che gran parte del nostro Paese — soprattutto il Sud — è stata dimenticata dalla buona architettura.
Costruire bene si può: guardate Berlino, per restare in Europa. Ma interventi senza anima come le tre torri dello stadio di Roma non porteranno il futuro. Anzi, come tanti progetti concepiti soprattutto per interessi immobiliari, invecchieranno presto, come alberi che seccano perchè trapiantati in un terreno non loro.
Costruire si può, si deve. Ma è possibile farlo bene, portando bellezza, come ci ha insegnato Pier Luigi Nervi a Milano e anche a Roma.
Stiamo attenti, però, perchè gli edifici possono testimoniare il senso del futuro. Le idee. Ma anche la loro mancanza. La perdita della nostra identità .
Sbagliare, soprattutto a Roma, non si può più. Rovineremmo la nostra città più grande.
E, ancor di più, tradiremmo noi stessi.
Ferruccio Sansa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 9th, 2017 Riccardo Fucile
ERA STATO PROMOSSO CON UNA DELIBERA FIRMATA DAL FRATELLO E DALLA SINDACA… ORA CHE RISCHIA UN AVVISO DI GARANZIA IL PENOSO E DISPERATO DIETROFRONT
La sindaca Virginia Raggi ha chiesto agli uffici del Campidoglio di procedere all’annullamento in autotutela dell’affidamento dell’incarico di direttore del Dipartimento Turismo a Renato Marra, il fratello di Raffaele Marra.
La sua nomina era finita nelle scorse settimane sotto i riflettori dell’Autorità nazionale Anticorruzione: secondo l’authority presieduta da Raffaele Cantone, il provvedimento con cui il fratello maggiore dell’ex braccio destro di Raggi era stato promosso al nuovo incarico era stato emanato all’esito di un iter illegittimo, nel quale era “configurabile un conflitto di interessi”.
Il 21 dicembre scorso, il Consiglio dell’Anac aveva depositato la delibera con cui criticava l’atto, ravvisando la presenza, appunto, di un “conflitto di interessi” visto il rapporto di stretta parentela tra Renato e Raffaele Marra, quest’ultimo all’epoca dei fatti responsabile del Personale capitolino.
L’incompatibilità tra il legame familiare e l’espletamento delle funzioni di dirigente, secondo l’Anac, sussisterebbe sia nel caso in cui il dirigente stesso avesse svolto un mero ruolo formale nella procedura sia nell’eventualità di una sua partecipazione diretta all’attività istruttoria.
Nella delibera sono state riportate anche le parole della sindaca Raggi che, in ordine al ruolo svolto da Raffaele Marra nella procedura, aveva precisato che “è stato di mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali, peraltro affidate in via esclusiva dalla normativa vigente. Raffele Marra – spiegava ancora Raggi – si è limitato a compiti di mero carattere compilativo”.
Una presa di posizione che di fatto ha esposto Raggi al rischio di una responsabilità sia sotto il profilo amministrativo-contabile sia penale.
La delibera adottata dall’Autorità è stata infatti trasmessa anche alla Procura, che sta indagando proprio sulle nomine della sindaca di Roma.
Ora il penoso dietrofront per cercare di salvare la pelle.
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2017 Riccardo Fucile
LE MOTIVAZIONI DEL GUP: “EVENTUALI ERRORI NEI GIUSTIFICATIVI DOVUTI A UN SISTEMA ORGANIZZATIVO IMPRONTATO A IMPRECISIONE E SUPERFICIALITA’, MA SENZA RILEVANZA PENALE”
Il 7 ottobre 2016 arrivò l’assoluzione, oggi il giudice per l’udienza preliminare di Roma motiva la sua decisione: “Appare evidente che eventuali errori” nelle “dichiarazioni giustificative non sono suscettibili di rivestire alcuna rilevanza in questa sede penalistica potendo tutt’al più costituire indice di un sistema organizzativo improntato a imprecisione e superficialità “.
Marino era accusato di peculato e falso in relazione a 56 cene pagate con la carta di credito del Campidoglio.
Il gup Pierluigi Balestrieri scrive che “in altri termini, tenuto conto del modello ‘ricostruttivo’ adottato dallo staff del Marino in vista della predisposizione dei giustificativi relativi alle cene da questi offerte con la carta di credito, modello ispirato ad approssimazione, posto che le relative occorrenze erano state per lo più genericamente desunte dalla disamina dell’agenda istituzionale del primo cittadino, e intempestività , posto che, specialmente nel primo periodo, i giustificativi erano stati formati a distanza di mesi rispetto a tali occorrenze, non sembra — si legge nelle motivazioni — consentito attribuire a detti giustificativi alcuna valenza probatoria in funzione dell’accertamento della finalità eventualmente privatistica perseguita dal medesimo”.
Per il magistrato, inoltre “non sembra consentito desumere, da consimili dichiarazioni giustificative, l’evidenza di una spesa compiuta per fini non istituzionali, trattandosi, per l’appunto, di dichiarazioni approssimative e intempestive, e dunque connotate da inevitabili errori, imprecisioni e/o discrasie“.
Ma non solo. “Deve osservarsi che tutte le cene in questione (e quindi tutte le relative dichiarazioni giustificative) avevano superato il vaglio dell’Ufficio del Cerimoniale, della Ragioneria Generale e, indirettamente, quello della Corte dei Conti, la quale non aveva svolto in proposito rilievi di sorta”.
Di conseguenza per il gup, l’ex primo cittadino è da considerare “assolutamente estraneo” anche all’ipotesi di falso, sostenuta dalla Procura.
Secondo il giudice, infatti, “l’intero procedimento di contabilizzazione delle spese di rappresentanza è stato gestito allo staff di Marino, senza che questi ne avesse specifica contezza; potendo soltanto al riguardo formularsi l’ipotesi, penalmente irrilevante, anche se ‘amministrativamente’ non del tutto commendevole, che il medesimo si fosse, puramente e semplicemente disinteressato della problematica, di cui peraltro non poteva non avere generica conoscenza, ritenendola secondaria e affidandola, per l’appunto, alle cure del personale amministrativo”.
“La lettura delle motivazioni ha confermato quanto da noi sostenuto sin dall’inizio e cioè che il professor Marino non ha mai utilizzato risorse pubbliche per finalità private, ma semmai più volte si è verificato il contrario — commentano gli avvocati Enzo Musco e Franco Moretti — . La sentenza esclude altresì qualunque coinvolgimento e qualunque consapevolezza del professor Marino rispetto alla falsità delle firme apocrife a suo apparente nome apposte in calce a tutti i giustificativi di spesa. Esclude altresì in maniera altrettanto categorica la sussistenza del peculato con riferimento a tutte le cene contestate: sia rispetto alle sette di iniziale attenzione mediatica sia rispetto alle ulteriori quarantanove successivamente aggiunte nel corso delle indagini. Le motivazioni partono “dall’esame dell’imputazione di truffa (la vicenda della onlus Imagine, ndr) ed esclude categoricamente nel merito sia potuto venire a conoscenza di quei marchingegni che l’hanno determinata e della quale ha beneficiato il Pignatelli. L’onestà di Marino — concludono i difensori — è stata dimostrata con abbondanza di argomenti e siamo pertanto pienamente soddisfatti”
(da “il Fatto Quotidiano”).
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Gennaio 9th, 2017 Riccardo Fucile
STRAPPANO CINQUE BANDIERE, DUE GIOVANI TURISTI ITALIANI ARRESTATI IN THAILANDIA, RISCHIANO DUE ANNI DI CARCERE… IN POCHE ORE 700.000 TAILANDESI HANNO VISTO IL VIDEO DELLA LORO IMPRESA, UNA BELLA PUBBLICITA’ PER IL NOSTRO PAESE… COSTRETTI A SCUSARSI IN UN VIDEO MENTRE IL NOSTRO MINISTERO DEVE PURE PERDERE TEMPO A “TUTELARLI”
Due giovani turisti italiani di 20 e 18 anni sono stati arrestati oggi a Krabi, nel sud della Thailandia, per aver strappato e gettato a terra alcune bandiere thailandesi, un reato che potrebbe costare loro fino a due anni di carcere.
Lo hanno confermato all’ANSA fonti della polizia thailandese, senza rilasciare le generalità dei due e aggiungendo che compariranno davanti al tribunale militare di Surat Thani.
I due sono stati costretti a scusarsi in un video. Il caso è seguito con attenzione anche dalla nostra ambasciata a Bangkok, in contatto con le famiglie.
I due, identificati dai media thailandesi come Tobias (20 anni) e Ian (18), sono stati arrestati nella loro guesthouse dopo essere stati identificati nelle immagini di un video di una telecamera di sorveglianza, mentre strappavano cinque tricolori thailandesi dalle tende di alcuni negozi a Krabi lo scorso sabato sera.
I due italiani si sono giustificati dicendo di essere stati ubriachi dopo aver passato la serata in un pub.
In un video diffuso su YouTube e ripreso nella stazione di polizia di Krabi, i giovani si sono scusati con le mani giunte al petto (il «wai» thailandese) e ribadendo il loro amore per la Thailandia.
«Siamo davvero dispiaciuti, non sapevamo della legge che protegge la bandiera», dice uno di loro.
Il video è diventato virale in Thailandia, un Paese dove il patriottismo è inculcato dal sistema educativo e dai media, raccogliendo già 620mila visualizzazioni da questa mattina.
La stragrande maggioranza dei commenti sono profondamente negativi verso i due italiani.
(da agenzie)
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Gennaio 9th, 2017 Riccardo Fucile
LE PROVE DEGLI 007 USA SUGLI ATTACCHI HACKER DI MOSCA
Il rapporto dell’intelligence americana contiene «prove materiali» sugli attacchi degli hacker russi e potrebbe anche aprire la strada a inchieste capaci di minacciare la stessa amministrazione Trump. Lo rivelano fonti vicine all’indagine.
Come nasce il rapporto?
Questi dossier vengono prodotti mettendo insieme tutte le informazioni raccolte dalle agenzie. Poi, ognuna di esse ha la facoltà di rivederlo e togliere ciò che ritiene debba restare segreto.
Così, si arriva alle poche pagine pubblicate, che inevitabilmente non contengono prove materiali, per non compromettere fonti e metodi.
La catena di comando per rivelarle è molto selettiva e in sostanza solo il presidente può pretendere di sapere tutto. Perfino i parlamentari delle Commissioni intelligence ricevono solo le informazioni che le agenzie ritengono strettamente necessarie.
Le prove materiali
Secondo fonti molto vicine all’inchiesta il linguaggio pubblico utilizzato nel rapporto significa che Cia, Fbi e Nsa hanno pezze d’appoggio molto concrete, per sostenere le loro accuse.
Non si tratta solo delle tracce lasciate dagli hacker nella rete, ma di messaggi o intercettazioni registrate degli agenti segreti russi, mentre discutono, ordinano e coordinano gli attacchi agli archivi digitali del Partito democratico e oltre.
In alcuni casi è probabile che le agenzie possiedano anche le foto degli stessi operativi di Mosca, mentre conducono le loro attività .
Dunque prove concrete e inoppugnabili, non semplici speculazioni. Il motivo per cui non verranno mai pubblicate è che comprometterebbero per sempre il lavoro futuro delle agenzie, un po’ come le rivelazioni di Snowden.
Le prossime inchieste
Le rivelazioni dell’intelligence sono imbarazzanti per il presidente eletto Trump, ma finora non vanno oltre questo livello politico.
La vera minaccia per lui sta nel fatto che potrebbero portare ad un’inchiesta più ampia, per verificare se qualcuno nella sua campagna aveva avuto contatti con gli agenti russi e aveva collaborato con loro negli attacchi.
Il punto di partenza per andare in questa direzione è il concreto sospetto che sia stato commesso un reato, come quando gli operativi di Nixon violarono gli uffici democratici nel complesso Watergate.
L’attacco agli archivi digitali del partito e della campagna di Hillary Clinton è un reato, ma per perseguirlo è necessario che qualche cittadino americano lo abbia commesso.
Se si trattasse di un’inchiesta normale, i «field officer» dell’Fbi avrebbero l’autorità per procedere, informando solo il loro superiore diretto.
In questo caso però si parla prima di un candidato presidenziale, e poi del nuovo capo della Casa Bianca, e quindi l’autorizzazione a procedere va chiesta al ministero della Giustizia. Una soglia molto alta, dunque, ma non impossibile da superare, come aveva dimostrato appunto il Watergate.
L’Fbi nei mesi scorsi ha già indagato su Carter Page, consigliere di Trump della prima ora, che ha lavorato a lungo con la Russia.
Nel frattempo la campagna di Donald ha preso le distanze da Page, e l’inchiesta non ha portato a risultati pubblici.
Stesso discorso per i rapporti che l’ex manager Paul Manafort, costretto alle dimissioni in agosto dopo la Convention di Cleveland, aveva avuto lavorando per Mosca in Ucraina.
L’Fbi ha verificato anche le accuse contro Roger Stone, altro sostenitore di Trump, che invece aveva rivendicato un rapporto diretto col fondatore di WikiLeakes Julian Assange. Per ora queste indagini non hanno prodotto risultati concreti, almeno pubblici, ma potrebbero essere ancora in corso o venire affiancate da altre.
Scontro con l’intelligence
Fonti interne alle agenzie sostengono che dentro l’Fbi non c’è una crisi di morale: i suoi uomini sono abituati alle critiche e capiscono gli interessi politici di Trump. Molti pensano che il direttore Comey abbia sbagliato a rendere pubblica l’inchiesta su Hillary, ma credono che sia stato costretto a farlo dall’errore commesso dalla ministra della Giustizia Lynch, quando aveva incontrato Bill Clinton all’aeroporto di Phoenix. Le polemiche l’avevano costretta a ricusarsi dal caso, lasciando così Comey senza copertura politica.
Per difendere se stesso e l’agenzia, quindi, il direttore si era sentito obbligato a rivelare l’inchiesta in corso, pensando che tanto Hillary avrebbe vinto comunque. Questo aveva aiutato Trump, ma l’indagine sugli hacker lo danneggia.
Se però ora decidesse di sacrificare Comey, che avrebbe ancora sei anni di mandato fino al 2023, l’Fbi si sentirebbe sotto attacco diretto e potrebbe reagire.
Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa”)
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Gennaio 9th, 2017 Riccardo Fucile
MA IL FRONTE ANTI-DI MAIO ATTACCA: SE LA RAGGI HA MENTITO RISCHIA DAVVERO DI CADERE
Ieri Nigel Farage ha contattato Beppe Grillo. Un colloquio, ha poi raccontato, nel quale si è complimentato per le recenti prese di posizione del leader M5S iper euroscettiche e molto dure sui migranti.
Da quello che ha riferito – Farage ha detto di aver capito che «l’alleanza del M5S con l’Alde non durerà a lungo».
Il colloquio con «Beppe» è stato totalmente amichevole, il che appare bizzarro, nel giorno di uno dei più clamorosi, ma anche intelligenti cambi di idea politici della stagione recente: il gruppo grillino passa dall’alleanza con uno dei più feroci euroscettici, il leader della Brexit, all’alleanza con un «eurofanatico», come proprio Farage definisce Verhofstadt.
Ma perchè avviene proprio adesso, questa svolta a trecentossessanta gradi? E poi: chi l’ha decisa, e attuata?
Adesso perchè la Casaleggio ha bisogno di cambiare totalmente il frame dell’informazione, che da oggi sarà centrato sui guai di Virginia Raggi (da stamattina ogni giorno potrebbe essere quello buono perchè i pm interroghino la sindaca di Roma).
La tragedia politica che sarebbe stato un avviso di garanzia, che poteva essere dirompente nella logica forcaiola «indagine uguale dimissioni», è stata attutita col nuovo codice etico grillino: le dimissioni non ci saranno più, per un eventuale avviso di garanzia.
Senonchè, rivela una fonte che ha accesso alla discussioni importanti nel Movimento, è sorto un altro problema grosso nel quale Raggi s’è infilata da sola, e che spiega quanto sia necessario ancora – per Grillo e Davide Casaleggio – coprire mediaticamente questa vicenda:
Raggi potrebbe aver mentito.
«Il 16 dicembre, dopo l’arresto di Marra, la sindaca, nella famosa conferenza stampa con accanto Daniele Frongia, disse che “Marra era solo uno dei 23 mila dipendenti del Comune”. È stato un grave errore non comunicativo, politico».
Anche al grillino più impermeabile ai fatti risulterebbe difficile credere alla sincerità di questa affermazione della sindaca se – come sembra probabile – dalle chat tra lei e l’ex vicecapo di gabinetto venisse fuori un rapporto politico-amministrativo preferenziale tra i due. «Se Raggi avesse mentito che si fa?».
Il fronte Fico-Lombardi (personaggi diversissimi, ma gli unici – per antica militanza uno, per astuzia e, a modo suo, coraggio politico l’altra) potrebbe chiedere la testa della sindaca, a quel punto proprio usando il nuovo codice: che protegge dall’avviso di garanzia, ma spiega che le dimissioni possono esser decise (fu in sostanza il caso di Pizzarotti) quando l’eletto M5S non si comporta in maniera trasparente, o peggio, mente ai «cittadini». I suoi elettori. Ossia: al popolo cinque stelle.
In quest’ottica sollevare proprio oggi la questione europea è arma di distrazione di massa (dopo la storia del tribunale popolare sulle fake news).
Chi ha deciso, comunque, tempistica e contenuto della svolta sull’Alde?
Le impronte di Davide Casaleggio, attraverso il suo fedelissimo David Borrelli, sono ovunque.
Di Maio era di certo uno dei pochi a sapere. Come probabilmente il primo capogruppo M5S in Europa, Ignazio Corrao. Borrelli ha sondato le varie opzioni di alleanza; certo è uno non amato dagli ortodossi, perchè considerato troppo poco anti-europeista (in tv da Mentana disse «io ho 45 anni, sono nato e cresciuto con il sogno europeo. Il mio primo viaggio è stato un interrail in giro per l’Europa. Credo fortemente in quello che era l’Europa all’epoca»).
L’obiettivo di questa mossa di Casaleggio jr è rassicurare le cancellerie europee – a Milano hanno alfin notato che, per gli osservatori stranieri, il M5S sta finendo in un ghetto, quello dei partiti xenofobi, anti-euro e filorussi.
«Vogliono giocarsi il tutto per tutto alle prossime politiche, che per loro sono un “o la va o la spacca”».
Il Movimento è talmente diviso, e deve tenere insieme talmente tante cose disparate che, paradossalmente, ha una sola chance: vincere a breve, costi quel che costi. Pazienza per la base, il mito delle origini, le contraddizioni e le giravolte.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa“)
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