Gennaio 20th, 2017 Riccardo Fucile
IL PATTO DEL GABIBBO BIANCO CON SALVINI PER SCALARE PALAZZO CHIGI… BERLUSCONI LO FARA’ ACCOMPAGNARE ALLA PORTA… “UNO SI SERVE DELL’ALTRO PER RESTARE A GALLA”
Da delfino di Silvio Berlusconi a uomo sempre più emarginato.
La parabola politica di Giovanni Toti sta subendo una battuta d’arresto. O, come sostiene più di un dirigente azzurro, avrà come sbocco finale un unico scenario: «Alla fine Giovanni uscirà da Forza Italia».
Si è consumato tutto negli ultimi mesi da quando il Cavaliere, dopo l’intervento a cuore aperto, ha deciso di rilanciare il partito nato nel 1994, all’indomani di Tangentopoli.
Da Arcore il diktat è stato il seguente: «Siamo un grande movimento liberale e non possiamo allearci con i populisti».
Un messaggio chiaro e inconfutabile che tra le righe nascondeva un attacco al leader del Carroccio Matteo Salvini.
Ed è proprio quest’ultimo l’uomo che ha allontanato l’ex direttore del Tg4 dal Cavaliere. Perchè è stato proprio con Salvini che il governatore della Liguria avrebbe stipulato un patto: costruire un partito insieme per scalare Palazzo Chigi.
«Io farei il premier e tu il vice». Toti presidente del Consiglio e Salvini vice premier. Era questo l’accordo che avevano siglato i due.
Toti si sarebbe così avvicinato a Salvini al punto da «trascurare» il partito.
Chi lo conosce bene e parla con lui assicura che il presidente della Liguria in più circostanze avrebbe detto: «L’unico scenario possibile per Forza Italia è l’alleanza con Salvini ed è questo che sto cercando di garantire».
Non è un caso che Toti si sia battuto per un ritorno al Mattarellum; una legge che favorirebbe le ambizioni del Carroccio, che potrebbe sbaragliare e conquistare i collegi del nord.
E non a caso ha cercato sponde fra i dirigenti azzurri del Nord, su tutti Paolo Romani e Maria Stella Gelmini.
Ma il Cavaliere non avrebbe dimenticato le dichiarazioni di Toti e avrebbe pian piano ridimensionato le aspirazioni del suo ex delfino.
Prova ne è che nelle ultime riunioni, confidano gli uomini vicini all’ex Cavaliere, Toti avrebbe preferito restare in silenzio e non intervenire nella discussione politica.
«Dopo l’innamoramento iniziale il presidente non ha ascoltato più i suoi consigli».
Ma c’è di più. L’ex direttore del Tg4 non avrebbe digerito l’esclusione dalla commissione che dovrebbe negoziare con il Pd per una nuova legge elettorale e pure da quell’altra che dovrebbe decidere le candidature per le amministrative della primavera prossima.
Segnali che avvicinano sempre più Toti a Salvini. Fra i due corre buon sangue. «L’uno si serve dell’altro per restare a galla», malignano gli azzurri.
Raccontano che ormai ci sia una corrispondenza telefonica giornaliera fra Giovanni e Matteo.
E Toti il prossimo 28 gennaio sfilerà alla manifestazione di “Italia Sovranista” al fianco di Salvini e Meloni. Per continuare a rispettare il patto siglato con “Matteo”: «Io premier, tu vice premier».
Giuseppe Alberto Falci
(da “La Stampa”)
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Gennaio 20th, 2017 Riccardo Fucile
E IL VIMINALE “COMMISSARIA” CURCIO A FARINDOLA
La “riffa” ad Amatrice si è svolta stamattina, quando sono state sorteggiate le prime 25 “casette”, come era accaduto a Norcia qualche settimana fa.
Ci si affida al caso per gli alloggi, la lotteria della sventura che diventa metafora. Sergio Pirozzi, il sindaco, dice all’HuffPost: “È evidente che la macchina si intoppa, va a rilento. Vogliamo dire che tutto va male? Non è così. Vogliamo dire che siamo un popolo di cialtroni? Non è così. Per esempio i soldi sono stati stanziati, ma la lentezza c’è, e in un momento emotivo particolare, porta a dire tutto fa schifo. Il problema è la lentezza, che fa accumulare ritardi”.
All’Hotel Rigopiano il segnale di presenza, la faccia del governo è quella del viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, cui spetta il compito di tenere il conto del dolore e della speranza: “Le persone — dice nel primo pomeriggio — sono sei — coltiviamo la fiducia di trovarne altre”.
Se non fosse stato colpito da una febbre da cavallo sarebbe partito l’attivo Minniti, simbolo dell’efficientismo di questo governo.
Il quale, evidentemente, nel mandare il suo vice assieme al capo dei Vigili del fuoco ha ravvisato problemi di coordinamento e di guida nelle operazioni.
Un parlamentare vicino al dossier spiega: “Finora il centro di comando è sempre stato la Protezione civile, anche nell’era Gabrielli. Stavolta la mossa del governo certo attesta una sua presenza, ma suona inevitabilmente come un atto di sfiducia verso la Protezione civile”.
E se c’è un filo che unisce Amatrice e Farindola è proprio questo intoppo nella catena di comando. Intoppo che determina situazioni diverse.
La macchina dei soccorsi in difficoltà a Farindola, tale da rendere necessario il Viminale per il cambio di passo.
L’incredibile lentezza delle casette ad Amatrice: “Speriamo — prosegue — Pirozzi — che si possano finire il prima possibile le opere di urbanizzazione circostanti come marciapiedi e similari, così arrivano le altre casette. Il problema è la macchina burocratica. Ti faccio un esempio. La regione fa la gara per stalle e per l’urbanizzazione, un blocco unico per 52 cantieri. Dico io: fallo a blocchi da 5 e fai prima, così c’è chi fa l’urbanizzazione e chi monta”.
E allora partiamo dall’inizio in una vicenda che ha dell’incredibile.
La gara di appalto per le casette è stata avviata dalla Consip — la centrale d’acquisti che fa capo al Tesoro — nell’aprile 2014, ovvero ben due anni prima dei terremoti che hanno devastato il centro Italia.
Gara che si conclude ad agosto dell’anno successivo. Se l’aggiudica il Consorzio nazionale servizi di Bologna, colosso della Lega delle Cooperative.
L’appalto prevede la fornitura, in caso di calamità , fino a 18mila casette per un periodo di sei anni e per un costo totale di circa un miliardo e 200 milioni di euro. Sull’Espresso in una documentata inchiesta Filippo Gatti, numeri alla mano, come il costo sia, le casette, di 1075 euro al metro quadro.
Scrive Gatti: “Ciascuna casetta di legno che costruiranno ad Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto la pagheremo perfino più di quanto in Abruzzo ci era costata la Protezione civile di Guido Bertolaso, l’ex capo dipartimento che si avvia felicemente alla prescrizione dei processi penali che lo riguardano”.
Dunque il 24 agosto — giorno del terremoto — è già pronto il contratto per le casette. Cinque mesi dopo ne arriva qualcuna da estrarre a sorte e nulla più, perchè l’operazione si “intoppa” in un groviglio burocratico.
Si legge nel contratto, in relazione alle tempistiche: “Entro e non oltre 30 giorni dalla data di consegna delle aree approntate per l’installazione delle Sae (soluzioni abitative in emergenza, ndr) e dotate dei basamenti”.
Ecco, i basamenti, ovvero le piattaforme di cemento dove passano i servizi. All’Aquila, le realizzò tutte il Genio Militare, sotto le direttive della Protezione Civile, nella fase del “modello Bertolaso”, che in quel momento aveva il ruolo di capo della Protezione civile, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, commissario per la ricostruzione.
Più di un parlamentare dem dice, a microfoni spenti: “Siamo passati dalla monarchia in cui la protezione civile faceva piscine e giochi del Mediterraneo all’anarchia. Occorrerebbe una via di mezzo”.
Ad Amatrice i primi cinque basamenti li ha fatti il genio, gli altri la Regione. Attraverso gare e non più in affidamento diretto.
Il senatore del Pd, Stefano Esposito, è il relatore del nuovo codice degli appalti. All’HuffPost dice: “Il 31 gennaio, in commissione Ambiente e Lavori pubblici di Senato e Camera su mia richiesta saranno auditi Errani e Curcio e in quella sede si capirà con chiarezza che un meccanismo di burocrazia regionale scappa alle responsabilità ed eccede in cautele di fronte all’emergenza”.
Il meccanismo è questo: i sindaci non hanno forza e poteri per opporsi alla burocrazia e sopra di loro c’è Vasco Errani. Il quale in Emilia oltre a essere il commissario per ricostruzione era anche il presidente della Regione.
In questo caso, invece, la Protezione civile, con nell’ordinanza 0394 dello scorso settembre, ha indicato come “soggetti attuatori le Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, nei rispettivi ambiti territoriali”.
Si legge all’articolo 1: “Le regioni provvedono all’esecuzione delle attività connesse e delle opere di urbanizzazione”.
E le regioni preferiscono fare le gare piuttosto che gli affidamenti diretti.
Prosegue Stefano Esposito: “Non mi si venga a dire che le lentezze sono colpa del codice degli appalti. Noi abbiamo chiuso la stagione Bertolaso, dei poteri speciali e delle deroghe senza controllo, ma questo non significa lentezza. L’articolo 163 prevede che in caso di catastrofi ed emergenze consente di procedere in affidamento diretto alla protezione civile, Commissari, funzionari dello Stato”.
Il problema, parlando i sindaci del cratere, è che un conto è la norma un conto è quel che succede.
Per paura di sbagliare, per paura che con una firma ti becchi un abuso di ufficio come se nulla fosse, il grosso è nelle mani delle burocrazie regionali.
Si è cioè rotta la catena di comando. Sulla ricostruzione come sulla neve:
“Ma lo sai — dice Pirozzi — quante riunioni si devono fare per mandare uno spalaneve? Secondo te, io devo fare una riunione per mandare lo spalaneve? E lo stesso su terremoto. Errani fa il decreto per ricominciare a ricostruire. Il decreto c’è ma oggi non è pronto l’ufficio. E se io ho un progetto per casa dove lo porto?”.
Ecco, dalla Protezione civile delle inchieste e degli scandali su Bertolaso alla palude. Con la Riffa ad Amatrice e la guida del Viminale a Farindola.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 20th, 2017 Riccardo Fucile
IL POMPIERE CON BARBA E BAFFI CHE HA ESTRATTO MADRE E FIGLIO E’ PAOLO DEMONTIS DI CAIRO MONTENOTTE
E’ valbormidese uno degli eroi della tragedia del Gran Sasso.
Paolo Demontis, 39 anni, vigile del fuoco originario di Cairo, di stanza a Civitavecchia, è stato tra i primi ad arrivare sul luogo della tragedia dell’Hotel Rigopiano, distrutto da una slavina: sue le braccia che, come si è visto nel video e nelle foto che stanno facendo il giro del mondo dalle 12,30 di oggi, hanno raggiunto e portato in salvo il bambino e la mamma poi trasportati in elisoccorso all’ospedale di Pescara.
«Sentire una voce e vedere i loro occhi che escono da là sotto è una sensazione indimenticabile». Una sosta di pochi secondi e Paolo Demontis, il vigile del fuoco di Cairo di 39 anni che per primo ha teso la mano al bambino superstite dell’Hotel Rigopiano, travolto dalla slavina del Gran Sasso, torna subito al lavoro.
Riconosciuto da decine e decine di amici in tutta la Val Bormida, Paolo Demontis è divenuto il simbolo della speranza nella ultima e terribile sciagura che ha colpito l’Italia centrale.
«Non ci sono veramente parole – ha detto, commossa, la madre di Demontis, Maria Olga Pera, titolare di un noto negozio di frutta e verdura in via XXV Aprile a Cairo -. Paolo è un ragazzo buono, e qui tutti lo conoscono e lo apprezzano».
Per ore Demontis ha scavato tra ghiaccio e neve sperando che le macerie restituissero la vita ai dispersi.
Quando ha teso la mano a un bambino per guidarlo verso la salvezza istintivamente ha fatto partire l’applauso verso i superstiti.
«Questa mattina avevo un sacco di faccende da sbrigare — racconta mamma Olga —, ho saputo tutto grazie a mia nipote. E per poco non mi viene un colpo. Mi ha mandato un articolo: “Tragedia del Gran Sasso”, ma soltanto qualche riga più sotto si parlava di Paolo e di quanto era stato bravo».
«Stavolta mi sono commosso anche io — racconta il fratello, Stefano —. Paolo è un orgoglio di fratello maggiore, sono contentissimo per lui, per il bimbo e per la grande famiglia dei vigili del fuoco. Un’emozione incredibile. L’ho sentito poco in questi giorni. Mi ha raccontato della neve, un disastro. Gli ho scritto, ma non mi ha ancora risposto. Paolo è il mio esempio, anche perchè purtroppo abbiamo perso il papà quando ero piccolo e lui si è dovuto rimboccare le maniche. Lo aspetterò sul portone per abbracciarlo forte».
(da “il Secolo XIX”)
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Gennaio 20th, 2017 Riccardo Fucile
“UNA DELLE OPERAZIONI PIU’ DIFFICILI DELLA MIA VITA”
Una delle operazioni più incredibili e difficili della sua vita. Così Marco Bini, vice brigadiere del Soccorso alpino della Guardia di finanza, che ha recuperato le persone ritrovate ancora vive all’hotel Rigopiano, confermando quello che molti suoi colleghi spiegavano già ieri: mai perdere la speranza, continuare a cercare e “buttare il cuore oltre l’ostacolo”, come diceva il capo della Protezione civile.
I primi superstiti sono state ritrovate oggi nella tarda mattinata, nel vano cucina di un albergo che era stato completamente stravolto dalla slavina di mercoledì scorso: si faceva fatica a capire in quale settore e a quale altezza dell’edificio ci si trovava.
I sei “stanno bene, erano in buone condizioni – racconta Bini – non credevano ai loro occhi, ed è stato bellissimo: più che le parole, ha contato la gioia dei loro volti”.
Per trovarli, i soccorritori hanno provato e provato. Hanno urlato. Hanno sguinzagliato i cani, ma la risposta era il silenzio. La neve attutiva suoni e rumori.
Secondo Bini, i sopravvissuti sapevano che qualcuno li cercava, ma non riuscivano a farsi sentire.
E’ stato anche osservato del fumo, ma non è chiaro se avessero acceso un fuoco o se fosse un principio di incendio, osservato anche in altri settori del Rigopiano.
In ogni caso, il vice brigadiere spiega che con le fiamme si rischia di esaurire velocemente l’ossigeno, in una bolla d’aria simile.
Difficilmente, poi, questo fuoco avrebbe scaldato. Epperò, continua a spiegare Bini, paradossalmente la neve – con un effetto igloo – aiuta a mantenere un ambiente relativamente caldo, a patto di creare una “sacca d’aria”.
“In passato abbiamo salvato persone vittime di una slavina senza macerie, che erano all’interno di una sacca e vi erano rimasti per tre ore”, dice.
“Un disastro indescrivibile con due scenari diversi: la valanga, che affrontiamo sempre, e una catastrofe naturale come un terremoto”.
A descrivere l’orrore è Walter Milan, portavoce del Soccorso alpino e dalle prime ore sul campo per coordinare i soccorsi.
Sguardo preoccupato, racconta il tipo di delicato intervento sostenuto dal Cnsas: “Noi come Soccorso alpino interveniamo in questo contesto molto difficile in cui ci vogliono tante persone e tanto tempo per esaminare in maniera metodica la valanga – ha spiegato – Noi dobbiamo controllare centimetro per centimetro, dividiamo la valanga in porzioni molto piccole con spaghi e paletti e sondiamo per essere certi che in quel punto non c’è nessuno”.
Lo scenario trovato nei pressi del resort di lusso, d’altronde, era dal punto vista ‘fisico’ assai complesso: “La valanga è molto importante e ha un fronte di oltre 30 metri: scivolando verso valle ha creato degli accumuli, con ‘onde’ alte fino a 5 metri”.
Ovviamente è stato fondamentale il lavoro anche dei Vigili del fuoco e della Protezione civile, che ha operato con grossi autocarri e speciali sonde per captare segnali di vita sotto la spessa coltre di neve e ghiaccio.
Di grande importanza dal punto di vista tecnico l’apporto di maxi-turbine (alcune capaci di perforare il muro bianco ad una velocità di 700 metri l’ora) e delle frese.
Ma i tantissimi soccorritori (oggi tra tutti gli enti erano almeno in sessanta in quota) hanno scavato senza sosta da quasi 48 ore anche con la pala, sfidando temperature ben sotto lo zero.
Gli elicotteri ha svolto invece un duplice ruolo: da una lato hanno portato gradualmente le squadre in cima all’hotel Rigopiano, dall’altro hanno trasportato in sicurezza i sopravvissuti (quasi una decina al momento) nei centri ospedalieri, in primis quello di Pescara.
(da “La Stampa”)
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Gennaio 20th, 2017 Riccardo Fucile
28 MILIONI FINORA RACCOLTI E RIGIDE REGOLE
La polemica è montata sui social ma il caso è stato sollevato dai 5stelle che, dopo il nuovo sisma che ha scosso il Centro Italia flagellato dalla neve, hanno accusato il governo di aver messo in naftalina i fondi per i terremotati raccolti dalla Protezione civile con gli sms solidali invece di utilizzarli subito per fronteggiare l’emergenza.
Ma come funziona veramente il meccanismo delle collette di solidarietà per le popolazioni colpite dal terremoto? Quando e come si possono usare quei soldi?
Ecco le risposte della Protezione civile.
Dove vanno a finire i soldi raccolti con gli sms
Le donazioni raccolte tramite il numero solidale 45500, nonchè i versamenti sul conto corrente bancario attivato dal Dipartimento della protezione civile, confluiscono nella contabilità speciale intestata al commissario straordinario aperta presso la Tesoreria dello Stato.
A che cosa servono?
Le somme servono a finanziare gli interventi di ricostruzione nei territori. Quindi è esclusa ogni utilizzazione per scopi emergenziali. Alla fine della raccolta viene nominato un Comitato di garanti, che ha il compito di valutare e finanziare i progetti presentati dalle Regioni in accordo con i Comuni interessati.
Del progetto viene seguito anche tutto l’iter della realizzazione. Ad esempio in Emilia, dopo il terremoto del 2012, i fondi solidali sono stati usati per ricostruire scuole e palestre.
Quando si possono usare
Secondo un accordo siglato con le società di telefonia, che raccolgono gli sms solidali e versano i proventi senza alcun ricarico sul conto corrente della Protezione civile, la raccolta si chiuderà a meno di proroghe il 29 gennaio. Fino a che non si sa con esattezza quanti soldi siano stati raccolti (finora la cifra si aggira attorno ai 28 milioni di euro) non si può decidere quali progetti finanziare.
Gli operatori che hanno aderito all’iniziativa senza scopo di lucro sono Tim, Vodafone, Wind, 3, Postemobile, Coopvoce, Infostrada, Fastweb, Tiscali, Twt, Cloud Italia, Uno Communication e Convergenze Spa.
(da “la Stampa”)
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Gennaio 20th, 2017 Riccardo Fucile
LE RICERCHE PROSEGUIRANNO ANCHE STANOTTE
Ci sono almeno dieci sopravvissuti al disastro dell’Hotel Rigopiano di Farindola, travolto da una slavina di neve e detriti mercoledì.
Lo conferma quando cala il buio, dopo ore in cui le cifre sono state più volte annunciate e smentite, il Capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio: «Giornata complicata ma non priva di elementi positivi. Cinque persone estratte dall’Hotel Rigopiano, una donna e 4 bambini, 5 le altre persone individuate da estrarre».
Hanno resistito a freddo e paura per oltre due giorni, protetti da un solaio nella zona dove c’erano il bar e la sala biliardo.
La famiglia salva
Trasportati nel nosocomio, Adriana Vranceau e Gianfilippo Parete, moglie e figlio di Giampiero Parete, uno dei due sopravvissuti insieme al tecnico Fabio Salzetta che si trovata nel piazzale al momento del crollo e ha dato l’allarme.
Li ha riabbracciati fra le lacrime. Sono stati loro i primi due a essere tirati fuori dai soccorritori. Salva anche l’altra figlia di Parente, Ludovica: i vigili del fuoco hanno annunciato con un tweet di avere recuperato lei e gli altri due bambini che risultavano fra i dispersi, Samuele Di Michelangelo e Edoardo Di Carlo.
«Le condizioni fortunate che hanno permesso ai superstiti di restare vivi sono state l’avere a disposizione abbigliamento pesante e non essere stati a contatto con la neve perchè la struttura, seppur parzialmente crollata, li ha protetti» ha detto Tullio Spina, il primario della rianimazione dell’ospedale di Pescara.
Le due vittime accertate
Intanto sono state stato identificate le due vittime accertate del disastro: Alessandro Giancaterino, fratello dell’ex sindaco di Farindola, capo cameriere del resort, e Gabriele D’Angelo, cameriere.
Estratti vivi madre e figlio dall’hotel
«È stato bellissimo il momento in cui li abbiamo trovati. Erano contentissimi e ci hanno abbracciato». Così il vice brigadiere della Finanza, Marco Bini, ha raccontato l’emozione del primo contatto con i superstiti tirati fuori. Le ricerche procedono con la speranza di individuare ancora qualcuno, con l’aiuto dei cani, ma in condizioni estreme, per il timore di crolli o di nuove slavine: «Speranza ne abbiamo sempre avuta – ha detto Titti Postiglione, direttrice dell’Ufficio emergenze della Protezione Civile – è la speranza che però in ogni attività di soccorso si affievolisce man mano che passa il tempo».
Un buco nella neve, strada verso superstiti
Un buco profondo nella massa di neve, a monte dell’area piscina e Spa che è l’unica zona dell’albergo non sepolta completamente dalla valanga. Una sorta di tombino aperto nel ghiaccio è la «strada» che porta i soccorritori verso i superstiti dell’hotel Rigopiano, e che tuttora è la via seguita per portarli fuori, come hanno testimoniato le immagini del piccolo Parete abbracciato dai vigili del fuoco.
È stata individuata non a caso, hanno spiegato i soccorritori, ma studiando le mappe dell’hotel e cercando di capire, anche in base alle indicazioni di chi conosceva bene il resort, dove sarebbero potuti essere riuniti il maggior numero di clienti e di personale. Una scelta «soggettiva» che si è aggiunta all’utilizzo dei cani da valanga e degli altri strumenti tecnologici di indagine.
L’attività di ricerca procede senza sosta: i soccorritori stanno operando in una situazione particolarmente delicata per estrarre le persone individuate, evitando che le travi dei solai che hanno retto lo schianto della valanga possano ora cedere: dunque si lavora con estrema cautela. In prima fila stanno operando i vigili del fuoco, conducendo un’azione con personale esperto e specifici mezzi.
(da “La Stampa”)
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Gennaio 20th, 2017 Riccardo Fucile
LE FAVOLE SI COMPIONO QUANDO CI SONO MANI CONGELATE E SANGUINANTI A SCAVARE, ANCHE QUANDO TI DANNO DEL MATTO PERCHE’ “NON C’E’ PIU’ SPERANZA”: E’ QUESTO L’ORGOGLIO SOLIDALE DEL NOSTRO PAESE
Io credo alle favole. Credo che alla fine tutti vivranno felici e contenti. Credo che la fiducia nella vita possa più di qualunque sfiga, tragedia, collasso delle circostanze. Possa più delle montagne di neve che si rovesciano sulle mura di un albergo a trasformarlo in una bara di ghiaccio
Io credo che le favole si compiano perchè ci sono mani congelate e sanguinanti, con le unghie rotte a scavare con furia delicata tra la neve.
Perchè per farle avverare le favole dove tutti (o almeno tanti, è presto per dire quanti) vivranno felici e contenti ci vogliono mani coraggiose e ottimiste.
Che senza coraggio e ottimismo, senza la fiducia che quello che stai facendo, contro ogni logica e contro ogni previsione, servirà a salvare la vita a chi è già dato per morto, tanto vale sedersi e guardare la neve.
Oggi quelle mani dei vigili del fuoco che continuano a rovistare tra la neve, con la cura necessaria a non ferirla di nuovo, sono le mani di tutta l’Italia che vorrebbe essere lì a prestare le proprie per dare il cambio a quelle congelate che hanno scavato tutta la notte.
Oggi le mani di questi uomini che, a casa, hanno una famiglia che puntella di preghiere il fronte della valanga sono la vita che si aggrappa, ostinata, alla fiducia. Sono la speranza di tutti noi che stiamo facendo il tifo per chi scava e per chi attende, con quel poco di forze che gli restano dopo quasi due giorni sepolto vivo dalla neve, di essere riportato sotto i raggi del sole.
Che non scalda, questo no, ma che è quanto di più prossimo alla luce divina si possa immaginare.
“Dai, dai, forza”. Me lo ripeto in testa, come se il mio incoraggiamento potesse arrivare là a Rigopiano e si potesse unire a quello di chi, mentre io scrivo, sta incoraggiando con la propria voce quelli che resistono.
“Non mollate proprio adesso”: siamo milioni a fare il tifo per voi, neanche vi conoscessimo uno a uno.
Ma cosa importa conoscersi, essersi incontrati? Niente.
Oggi ogni italiano è lì tra i blocchi di ghiaccio e neve, c’è con il cuore e con quella voglia di lottare che, se esistesse un catalizzatore di emozioni, arriverebbe a sciogliere tutta la neve d’Abruzzo.
Perchè il punto è che questa tragedia devastante, che pare un incubo solidificato, ha unito tutti in un solo pensiero e in una sola preghiera.
E allora ho ragione io che le favole esistono e sono i bambini che sono sopravvissuti, e gli adulti che, sepolti con loro li hanno incoraggiati e non li hanno mollati, anche se non erano figli loro.
Ma ormai quei bambini sono figli di tutti, di tutti noi che a ogni aggiornamento sul numero dei superstiti facciamo un salto sulla sedia e aggiungiamo una pallina al pallottoliere della speranza.
Per ogni voce che arriva da sotto la neve, raccolta dal cuore di un Vigile del Fuoco, è un grido di felicità .
Perchè la verità è che oggi siamo tutti più felici e, magari per un giorno, possiamo lasciare da parte le polemiche, la ripartizione delle accuse e delle colpe, le recriminazioni e i rimpianti.
Non tutti quelli che la neve ha investito risponderanno alla voce dei soccorritori, ma qualcuno sì.
E oggi mi basta questo, mi basta sapere che qualcuno quella voce la sente e le risponde. Con la gola secca e le ciglia congelate che sbattono alla ricerca di quel primo raggio di luce che è la fine della notte.
Oggi però io voglio pensare al bello della vita, alle mani che se lo vanno a prendere anche quando è pericoloso farlo, quando ti danno del matto se lo fai.
Oggi voglio pensare che andrà tutto bene, che tornerà il sole e scioglierà il ghiaccio tra quelle mani ostinate e coraggiose.
Oggi voglio pensare che i miracoli esistono.
Deborah Dirani
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 20th, 2017 Riccardo Fucile
DOVE IMPARIAMO CHE L’ENI VUOLE COSTRUIRE UN GASDOTTO E QUINDI HA CHIESTO AI LABORATORI DEL GRAN SASSO DI CREARE UN TERREMOTO PER FAR SCAPPARE LA POPOLAZIONE E SOSTITUIRLA CON COPPIE OMOSESSUALI
Pensavate che dopo tutto quello che è accaduto in Centro Italia dal 24 agosto ad oggi i teorici del complotto del terremoto avessero finalmente deciso di tenere la bocca chiusa e di passare il loro tempo a parlare d’altro?
Niente di più sbagliato perchè anche il terremoto del 18 gennaio fa parte del grande complotto.
Come forse avrete intuito ci stiamo per addentrare all’interno di una realtà parallela, dove i terremoti possono essere provocati dall’uomo e dove la vera emergenza non è quella di chi vive in tenda o nei paesi isolati da metri di neve.
Indossate i vostri caschetti cappellini di stagnola e slacciate le cinture di sicurezza, si parte.
Il complotto del CNR e dell’ENI
A quanto pare ci sono persone che hanno notato una coincidenza inquietante: i terremoti del 2016 e del 2017 sono avvenuti “più o meno” nelle stesse zone del terremoto del 2009.
I ricercatori dell’INGV hanno più volte spiegato che si tratta di una delle zone a maggior rischio sismico del Paese, e hanno anche ipotizzato che siamo di fronte (per i terremoti di agosto, ottobre e di questa settimana) ad un caso di quello che viene definito “contagio sismico” dove l’energia liberata durante un terremoto mette in movimento faglie adiacenti causandone altri.
Una spiegazione ritenuta insufficiente dai geologi laureati presso l’Università dell’Internet che ci spiegano invece come invece le cause siano da ricercare nei laboratori di fisica nucleare del Gran Sasso che sono luoghi — ci fanno sapere — dove si studia la geoingegneria e i cui esperimenti sull’elettromagnetismo sono alla causa dei terremoti.
Ma non tutti gli “esperti” sono concordi su questa spiegazione: i terremoti sono sì indotti artificialmente tramite le antenne HAARP (che stanno in Alaska, per la cronaca, e che non servono a generare terremoti) ma l’obiettivo è quello di “sgomberare la zona” per ordine dell’ENI.
Ebbene sì, la compagnia petrolifera (ricordate quando ci “spiegarono” che le trivelle nell’Adriatico avevano causato il terremoto?) ha un interesse diretto in quelle aree. Infatti CNR e ENI stanno cospirando per poter far sgomberare tutta la popolazione (utilizzando sia i terremoti sia le nevicate) per poter finalmente procedere alla costruzione del nuovo tracciato del gasdotto.
Un piano che nemmeno la Spectre in 007 era riuscita a concepire e a portare a termine con tanta determinazione.
E anche se il terremoto non fosse stato causato direttamente dall’uomo (ma ovviamente tutte le prove fanno ritenere che invece sia andata proprio così) i nostri bravi scienziati si sono già accorti che è la neve il vero problema di questi giorni e di queste ore.
Tanta, tantissima forse pure troppa: rallenta i soccorsi e rende ulteriormente difficoltoso vivere nelle zone colpite dal sisma.
La tesi è sempre la stessa: al sud non nevica (ma sul Gran Sasso sì, ed è cosa abbastanza nota) e quindi la neve è stata creata ad arte proprio per spingere i terremotati ad abbandonare la propria terra e poter costruire il nuovo famoso maxi gasdotto.
Se solo i poteri forti avessero pensato ad una strategia analoga per il TAV a quest’ora sarebbe già stata ultimata.
Forse è per questo che il noto esperto di terremoti e previsioni a posteriori Giampaolo Giuliani non è riuscito a prevedere le forti scosse del 18 gennaio.
Anzi a dirla tutta sono più di dieci giorni che Giuliani non posta nulla e molti dei suoi seguaci sono sinceramente preoccupati e temono che “abbia scoperto qualcosa che non doveva scoprire”.
La Lobby LGBT satanista e massonica
C’è poi il filone di quelli che ritengono che il Governo invece che occuparsi di cose come migranti e diritti delle persone omosessuali avrebbe fatto meglio a prepararsi per meglio affrontare l’emergenza come se l’apparato statale non fosse in grado di poter fare più cose nello stesso momento sarebbe come dire che il giorno in cui vengono pagati gli stipendi degli statali gli ospedali smettono di funzionare perchè lo Stato non è in grado di gestire due operazioni così complesse.
Siamo qui tra coloro che sono alla ricerca del capro espiatorio, perchè non basta ormai dire che il Governo è inefficiente, bisogna anche dire che lo è per colpa di qualche categoria precisa.
La pagina Facebook “Il Gender” ha trovato anche chi (come già accaduto in passato) riconduce direttamente alle colpe degli omosessuali la punizione divina del terremoto.
E non c’è dubbio che analizzando i dati in nostro possesso si possa ricondurre tutta la tragedia ad un unico disegno intelligente satanico e massonico.
Tornano i numeri maledetti, l’11 (come l’11 settembre) il triangolo massonico, la G di Gran Sasso, la A la U (e talvolta la L!1) e il 666 che non deve mancare mai in questi casi.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 20th, 2017 Riccardo Fucile
IL SINDACO INFURIATO: “DOPO DUE GIORNI DI ATTESA, PER LIBERARE LE STRADE DALLA NEVE COME SI FA A MANDARE UN MEZZO SENZA CATENE?”
Nei paesi alle appendici del Gran Sasso la difficoltà principale per i soccorritori è riuscire a raggiungere i centri abitati, le persone e gli allevatori rimasti isolati a causa della neve.
Come si è detto più volte in questi giorni se il terremoto non poteva essere previsto e la messa in sicurezza gli edifici dopo il terremoto del 24 agosto è stata complicata dalle scosse del 26 ottobre alle forti nevicate invece ci si poteva preparare.
Ma non è nulla in confronto alla tragica inutilità di una turbina arrivata ad Ussita che non ha le catene da neve e quindi non può operare.
Succede a Ussita, uno dei paesi in provincia di Macerata colpito dal sisma del 26 ottobre che da allora è un’unica grande zona rossa.
La scossa di due giorni fa si è sentita anche lì ma il Paese di 450 abitanti a 1300 metri d’altezza sui Monti Sibillini è rimasto isolato soprattutto a causa della neve.
Da due giorni a Ussita aspettavano l’arrivo di una turbina in grado di sgombrare le strade d’accesso dalla neve. Oggi la turbina finalmente è arrivata ma è rimasta bloccata nella frazione di Calcara a causa della neve.
Come ha fatto sapere il sindaco di Ussita Marco Rinaldi il mezzo inviato dalla Protezione Civile era infatti privo delle catene da neve e quindi ad un certo punto non ha più potuto avanzare e pulire la strada.
È incomprensibile come un mezzo che è fatto per operare sulla neve sia potuto essere inviato sul posto senza le catene.
Certo, le catene si potranno recuperare, far arrivare in qualche modo si spera senza troppe difficoltà ma è una cosa che non sarebbe dovuta accadere visto il contesto e la situazione d’emergenza.
Una beffa per Massimo Valentini, vicesindaco di Ussita, che ha confermato che la Provincia di Macerata ha inviato una coppia di catene che hanno consentito alla turbina di riprendere a pulire la strada:
Ne abbiamo trovate 2 e le abbiamo subito montate alla turbina, che adesso ha cominciato ad aprire un varco verso Frontignano. Ma solo poche centinaia di metri, per ora. Mezzi del genere necessiterebbero di 4 catene, non di 2: ma in mancanza d’altro…
Un episodio del genere ha poco a che fare con la situazione d’emergenza, un mezzo per pulire le strade dalla neve non può essere sprovvisto di catene.
(da “NextQuotidiano”)
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