Gennaio 23rd, 2017 Riccardo Fucile
IPOCRISIA DEI SOVRANISTI DELLA POLTRONA: SMENTISCONO MA NON TROPPO…E ESPONENTE DI FDI: “SE NON CI SARA’ GOVERNABILITA’, NORMALE CHE SI CERCHINO ALLEANZE”
Le smentite non si fanno attendere, più o meno nette. M5s, Lega e Fratelli d’Italia: tutti a negare la possibilità che nel prossimo futuro ci si possa ritrovare a governare insieme in nome di un asse trumpista-lepenista.
Qualche significativa convergenza c’è, soprattutto in politica estera, e passa dal grande interesse con cui si guarda al neo presidente degli Stati Uniti da una parte e a Vladimir Putin dall’altra.
Più volte, peraltro, in passato il leader del Carroccio, Matteo Salvini, aveva teso una mano al movimento di Beppe Grillo (che ha sempre respinto al mittente). Ma qualcosa, secondo i rumors, sarebbe cambiato proprio nei progetti della Casaleggio associati, dove si sarebbe cominciato a ragionare di intese nel caso in cui la Consulta (o il Parlamento) dovesse dare vita a una legge elettorale di tipo proporzionale.
Ed è proprio dai pentastellati che arriva la smentita più netta, soprattutto nei toni.
Se ne incarica per primo il candidato premier in pectore, Luigi Di Maio: “Non so se la mattina qualcuno beve e si mette a scrivere queste cose: noi non facciamo alleanze nè con Salvini, nè con Meloni”.
Ancora più sprezzante un tweet dello stesso Grillo: “Salvini, Meloni, mangiate tranquilli. Il Movimento 5 Stelle non fa alleanze con quelli che da decenni sono complici della distruzione del Paese”.
Più sfumata la risposta del leader della Lega. “Io — argomenta – sto lavorando per una alternativa seria al Pd e ai Cinque Stelle” e poi i pentastellati “ormai dicono una cosa il lunedì e la smentiscono il martedì”.
La presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, si limita a definire l’ipotesi “molto difficile”.
Ma da che mondo e mondo, e in quello della politica soprattutto, la differenza tra “difficile” e “impossibile” nasconde un mare di opportunità .
Il fatto è che il solo trapelare di questi scenari ha mandato in fibrillazione il Movimento5stelle. Soprattutto quella ala ortodossa che più volte recentemente (vedi il caso Alde) si è trovata in conflitto con le direttive elaborate a Milano.
Un gruppo che ha tra i punti di riferimento Roberto Fico, che oggi avrebbe animato diversi conciliaboli e raccolto gli sfoghi di tanti scontenti.
La stessa perentorietà della smentita sarebbe stata fatta anche in chiave interna. Ma non soltanto.
Perchè nei vertici c’è anche molta preoccupazione per come tutto ciò possa finire per disorientare la base, che ha sì sancito con un voto tutte le recenti “giravolte” proposte da Grillo sul blog, ma difficilmente potrebbe accettare il venire meno del motto “mai alleati con nessuno”.
D’altra parte, è lo statuto del Movimento5stelle a prevedere che non si possano siglare alleanze. Ma la chiave di lettura dei recenti movimenti in corso sarebbe proprio in questa ambiguità : non di alleanza, infatti, si tratterebbe.
Quella che è stata ipotizzata dalla Casaleggio associati sarebbe al massimo un’intesa di tipo parlamentare da siglare dopo le elezioni, se il M5s sarà il primo partito sì, ma in un sistema di voto proporzionale. Qualcosa del tipo: “Questo è il nostro programma, vediamo chi ci sta”.
Ad ammettere che lo scenario non sia ideale ma possibile, è anche un dirigente di Fratelli d’Italia.
“Se dalla legge elettorale — spiega – emerge uno schema che dopo le elezioni porta a una sostanziale ingovernabilità , bisognerà capire che tipi di dialoghi andranno aperti. Se Berlusconi immagina di poter governare di nuovo con Renzi, per il bene dell’Italia l’unico modo per evitare che ciò accada è la nascita di un’alleanza uguale e contrapposta”.
Assomiglia più a una conferma che a una smentita.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 23rd, 2017 Riccardo Fucile
UNA GENIALE IDEA: PRIMA PUBBLICA LA BUFALA, 30.000 COGLIONI LA CONDIVIDONO, POI LUI MODIFICA IL POST E LI SPUTTANA: “MA IN GIRO C’E’ ANCORA GENTE CHE CREDE A QUESTE BUFALE?”
Per qualche strano motivo in questi giorni ci siamo risparmiati l’ondata di post indignati e preoccupati sul Governo che abbassa la magnitudo delle scosse di terremoto per non dover pagare i risarcimenti danni ai terremotati.
Non sappiamo se la cosa sia dovuta ad una distrazione o al fatto che finalmente la maggior parte di quelli che ci credevano abbia cambiato idea.
Questo non significa che il terremoto del 18 gennaio non sia al centro di un nuovo complotto che riguarda questa volta la patente di guida regalata agli immigrati.
La questione è abbastanza semplice: secondo ignoti il Senato avrebbe approvato delle modifiche all’articolo 126 ter. del Codice della Strada in modo da consentire agli immigrati, e solo a loro, di ottenere la patente di guida in modo gratuito.
Non solo: stando a chi ha redatto il comunicato ai neopatentati di origine straniera verranno dati 30 punti, dieci punti in più di quelli che invece costituiscono la base di partenza delle patenti a punti degli italiani.
Leggendo bene il testo si nota anche che il numero di senatori è spropositato: 419 (invece che 315 come tutti dovremmo sapere a memoria dopo il referendum del 4 dicembre).
Più che una bufala sembra quindi la “firma” che consente di identificare uno sfottò a certe pratiche gentiste assai xenofobe.
Come ha fatto notare David Puente siamo in un territorio diverso dalla bufala e siamo dalle parti degli “esperimenti sociali” come quello dell’inesistente Senatore Cirenga e della fantomatica legge che istituiva il “fondo per i parlamentari in crisi”.
A creare l’immagine è stato infatti un utente che successivamente ha modificato il testo del post da “BASTA” a “MA DAVVERO C’E’ ANCORA GENTE CHE CREDE A BUFALE COME QUESTA ???”.
In altri post l’utente si dice sconvolto per le decine di migliaia di condivisioni dirette dal suo profilo da parte degli ignoranti e spiega la sua strategia (davvero GENIALE): modificare il messaggio iniziale in modo che tutti quelli che hanno condiviso il post si trovino “sputtanati”.
Ma il nostro eroe non ha tenuto conto del fatto che nessuno legge tutto il testo ma solo alcune parti selezionate, ovvero quelle riguardanti i crimini degli immigrati, e soprattutto una volta condivisa non andrà a controllare se qualcosa è cambiato.
Una trollata riuscita a metà , anche perchè quasi tutti quelli che l’hanno condivisa l’hanno presa sul serio e difficilmente cambieranno idea, ammetteranno di aver detto una cosa sbagliata o di esserci cascati.
È interessante che molti articoli di “debunking” sulla questione non menzionino affatto come tutta la vicenda sia stata montata ad arte.
E la trollata di Gianluca così colpisce non solo bufalari e gentisti ma anche gli “investigatori della verità ” dell’Internet.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 23rd, 2017 Riccardo Fucile
E’ TUTTO GIA’ SCRITTO NELLA DECISIONE N.1 DEL 2014 EMESSA SUL PORCELLUM… E LA CORTE NON SI DISCOSTA MAI DAI PRECEDENTI
“Ecco perchè hanno vinto i pooh”: si era ancora alla vigilia di una nota edizione del festival di Sanremo e tra il serio e il faceto uscii il facile e vincente pronostico.
Ebbene oggi alla vigilia del verdetto della Consulta sull’Italicum il pronostico è ben più facile, non già per strani vaticini, ma per salde ragioni istituzionali.
Ed infatti, pur sempre ricordando Gianni Brera che ammoniva come i pronostici non li sbaglia solo chi non li fa, se c’è una cosa prevedibile sono le sentenze dei giudici costituzionali in materie su cui hanno già di recente statuito.
Perchè è proprio una caratteristica delle Corti quella di dare piena e ribadita continuità alle proprie decisioni.
È un imperativo enormemente più forte di qualsivoglia composizione del momento. Ciascuno dei giudici potrà pure avere le sue personali idee ma quando gli uffici gli sciorinano davanti i recentissimi precedenti, ogni velleità capitola salvi i rari casi in cui possa parlarsi di mutamenti di società , costumi, cultura, diritto internazionale.
E non è certo questo caso. La politica sempre se ne dimentica e così dà spazio a polemiche, falsi interrogativi, climi di attese nervose che in realtà non hanno ragione di essere.
Perchè tutto o quasi è sostanzialmente già scritto.
Un ultimo vistoso esempio? La legge Severino. La Consulta aveva più volte detto che è senz’altro legittima una norma di cautela che tiene lontani gli eletti dalle cariche pubbliche pure in presenza di pronunce di primo grado; sicchè non c’era nessuna ragione di dubitare delle legalità pure della Severino.
Si è voluto ugualmente imbastire un can can per più di due anni sino a quando la Consulta con poche lapidarie parole ha semplicemente detto: ma perchè vi agitate se è da tempo che ripeto che trattasi di norme sicuramente costituzionali.
E così, sia pur di segno opposto ma ugualmente scontata (salvo clamorosi quanto impossibili colpi di scena) è la decisione sulla legge elettorale, perchè sostanzialmente tutto è già scritto nella decisione n. 1 del 2014 emessa sul porcellum.
Quindi per sapere già oggi quel che domani dirà la Corte basta mettere in fila i sei interrogativi cui deve dare riscontro e prendere le risposte già scritte nella recentissima sua sentenza.
1. Dalle decisione di domani uscirà una legge applicabile? SI obbligatoriamente.
Gli interrogativi che sul punto si agitano in queste ore (Salvini su tutti) sono assolutamente oziosi. La Corte ha già più volte evidenziato (e da ultimo nella sentenza sul porcellum) che le leggi elettorali sono “costituzionalmente necessarie” nel senso che il paese non può stare nemmeno un giorno senza una legge elettorale applicabile sicchè dalle sue pronunce scaturisce sempre e comunque una norma di pronta applicazione.
2. La questione di costituzionalità su una legge elettorale prima della sua applicazione è ammissibile? SI ha già detto la Consulta occupandosi del porcellum; perchè hanno spiegato i giudici è ammissibile sollevare la questione nell’ambito di un giudizio volto ad accertare i connotati del diritto di voto messi in discussione da una legge sospettata di incostituzionalità
3. Il ballottaggio dell’Italicum è legittimo? NO ha già detto la Consulta perchè non si può dare un premio di maggioranza senza la garanzia del raggiungimento di una determinata soglia di voti; e siccome al ballottaggio si accede per il solo fatto di essere primo o secondo partito e poi uno dei due si prende il premio anche se vanno a votare solo in tre elettori, ecco che in piana e immediata applicazione di quanto già statuito sul porcellum la Consulta non può che bocciare quel ballottaggio.
In questo quadro la circostanza che il sistema sia ancora bicamerale (per il no referendario alla riforma costituzionale) è solo un elemento rafforzativo nell’inammissibilità di un premio senza soglia che non trova nemmeno la giustificazione di una governabilità non raggiungibile in presenza di un Senato eletto con sistema diverso.
4. Il premio al primo e unico turno è legittimo con la soglia del 40%? SI.
Nella sentenza sul porcellum la Consulta aveva censurato l’assenza di una soglia. Quella del 40 per cento appare quanto meno ragionevole e la Corte non dovrebbe avere voglia di apparire come il Cerbero censore di qualsivoglia correzione maggioritaria. In ogni caso il problema è relativo perchè al 40% da soli non arriva nessuno.
5. L’attribuzione alla lista e non alle coalizione è legittima? SI.
Già nella sentenza del porcellum la Corte ha dato atto di come spetti al legislatore la scelta se favorire coalizioni o liste senza apparentamenti, nessuna delle due essendo un’opzione costituzionalmente obbligata.
6. I capilista bloccati sono legittimi? NO sulla scorta della sentenza sul porcellum che esclude che il voto dell’elettore possa essere deformato e “rubato”.
L’inganno dell’Italicum è che da un lato prevede le preferenze ma se poi tutti gli elettori di un partito esprimono una scelta per un candidato, poi però viene eletto (se mai soltanto) quello voluto dal partito in barba alle preferenze espresse dagli elettori. Qui si può discutere di come i giudici civili abbiano sollevato la questione: ma se la Consulta la ritiene ammissibile senz’altro travolge anche i capilista insieme alla loro arbitraria opzione tra più collegi dopo il voto.
In definitiva potranno oscillare dettagli ma da domani come era ampiamente prevedibile avremo anche per la Camera una legge proporzionale con preferenze e possibile premio di maggioranza alla lista che (molto improbabile) da sola raggiunga il 40% dei voti.
Del ritorno al passato (proporzionale e appiccicose preferenze) non ha certo colpa la Corte che si limita a rattoppare i buchi più grossi ed evitare ferite al principio di democrazia.
La soluzione più rapida e di buon senso sarebbe quella di lasciare tale impianto ma riducendo i collegi ad ambito uninominale come era per il vecchio Senato; legge proporzionale ma uninominale garantendo così rappresentatività e rapporto elettori-eletti. Semplice buon senso.
Avrebbero già potuto farlo. Ma aspettano, aspettano, aspettano….
Gianluigi Pellegrino
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 23rd, 2017 Riccardo Fucile
IL CONTRASTO SI FA SOLO A PAROLE… NEL 2015 I CONTROLLI SONO DIMINUITI DEL 4%… PER I PAGAMENTI DELLE TASSE SIAMO AL 137° POSTO SU 189 PAESI
Neanche mezza parola. Nelle 123 righe delle dichiarazioni programmatiche lette martedì 13 dicembre davanti ai parlamentari il neo premier, Paolo Gentiloni, non ha fatto un solo riferimento alla questione fiscale.
E tanto meno al nodo dell’evasione, vero e proprio cancro del sistema economico italiano, in ciò dimostrandosi perfettamente in linea con il predecessore, Matteo Renzi, che in un intero anno (il 2015) di evasione aveva parlato in tutto otto volte.
Poi qualche volenteroso deve aver fatto notare a Gentiloni come quella che in partenza poteva apparire solo come una pur colpevole dimenticanza rischiasse di trasformarsi in una formidabile gaffe.
Così, il nuovo capo del governo ha cercato di metterci una toppa. E ha scelto come occasione la conferenza stampa di fine anno.
Solo che, giovedì 29 dicembre non ha fatto che completare la frittata. «Abbiamo diminuito le tasse», ha detto nel pistolotto introduttivo, «recuperando l’evasione».
E lesto ha aggiunto: «Non vi riempio di cifre».
Una mossa quasi obbligata per chi è consapevole di aver appena sparato una balla colossale e cerca di evitare di restarci inchiodato.
Già , perchè nel 2015 la somma che il fisco è riuscito a scovare e a farsi restituire dai ladri di tasse non è aumentata. Al contrario, è addirittura diminuita.
Il fatto è che ancora una volta Gentiloni si è accodato al suo predecessore.
Era stato infatti proprio Renzi, nelle settimane precedenti, a strombazzare di un presunto record ottenuto nei confronti dei furbetti della dichiarazione dei redditi, responsabili ogni anno di un ammanco nelle casse dello Stato stimato fino a 180 miliardi di euro dal britannico Richard Murphy, inserito da “International Tax Review” nell’elenco delle 50 persone più influenti al mondo in materia di fisco (la Confindustria parla invece di 122,2 miliardi).
«Il nostro governo è quello che ha ottenuto più risultati nella storia italiana nella lotta contro l’evasione: 14,9 miliardi di recupero», aveva scolpito il 17 ottobre l’allora premier Renzi.
Parole, e numeri, in libertà . Basta prendersi la briga di ficcare il naso nella relazione della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato per il 2015 per scoprire come stanno davvero le cose: «L’attività di controllo e accertamento sostanziale», scrivono i magistrati contabili, «ha comportato entrate per complessivi 7,753 miliardi».
Cioè la metà di quanto incautamente vantato da Renzi & Co.
Ma non basta: altro che record; la performance è addirittura inferiore a quella del precedente anno. Del 3,9 per cento, mette nero su bianco la Corte.
Come si spiega la differenza tra la realtà e i successi che i governi Renzi e Gentiloni si attribuiscono nella lotta all’evasione lo dice con chiarezza un documento di 150 pagine elaborato da una commissione di esperti guidata dall’ex presidente dell’Istat, Enrico Giovannini.
Il fatto è che sono state indebitamente sommati agli effettivi proventi da riscossione coattiva una serie di versamenti effettuati in seguito ad accertamenti e di pagamenti spontanei di semplici ritardatari, oltrechè qualcosa come 4 miliardi di incassi da voluntary disclosure.
Se si sottraggono queste cifre, si scende da 14,9 a 7,8 miliardi. Con buona pace di Renzi, di Gentiloni e del loro record farlocco.
A dicembre ha destato curiosità un’inchiesta di Federico Fubini sul Corriere della Sera, dove si documentava come in Italia ci siano più auto di lusso che persone ad alto reddito. In realtà non ci sarebbe stato da sorprendersi poi troppo, se solo si fosse pensato alla vicenda dell’interrogazione parlamentare con cui il 25 febbraio 2014 il parlamentare del Pd Ermete Realacci aveva chiesto all’allora premier Renzi se risultasse vero quanto sostenuto dall’Espresso, e cioè che il governo conosceva per nome e cognome 518 contribuenti che, pur dichiarando meno di 20 mila euro di reddito annuo, possiedono un jet privato.
L’allora capo del governo se ne era lavato le mani, delegando a rispondere il suo ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che aveva fatto, e continua a fare, orecchie da mercante: nonostante 29 solleciti ufficiali, l’ultimo il 14 dicembre scorso, non ha mai ritenuto di rispondere e, restando sulla stessa poltrona nel cambio di governo, si è trascinato appresso senza scomporsi l’imbarazzante pratica. Anche in questo caso, poco da meravigliarsi.
Padoan è lo stesso che il 30 ottobre 2014, in quel di Berlino, ha garantito, riuscendo anche a non arrossire: «L’Italia sta diventando nota per il suo sforzo nella lotta all’evasione fiscale».
Lo hanno trattato come l’orso del tiro a segno.
«L’accumulo dei debiti fiscali ha assunto proporzioni allarmanti… per il pagamento delle tasse l’Italia è al centotrentasettesimo posto su 189 Paesi», hanno picchiato duro gli esperti del Fmi al termine di una missione romana a ottobre 2015. «I livelli di osservanza della normativa fiscale sono bassi», hanno confermato quelli dell’Ocse solo quattro mesi più tardi.
Cosa farà ora Gentiloni? Dopo la vittoria alle europee del 2014, che gli aveva consentito la stretta su partito e governo, ottenuta grazie alla capacità del Pd di attrarre per la prima volta i voti della piccola borghesia urbana (commercianti, artigiani, liberi professionisti e imprenditori, accreditati dalla banca d’Italia di un tasso di evasione del 56,3 per cento), Renzi aveva stretto di fatto un patto informale con gli evasori.
L’innalzamento del tetto all’uso del contante, la cancellazione di Equitalia e la rottamazione delle cartelle sono solo gli esempi più eclatanti.
Nel frattempo i controlli sono crollati: secondo la Corte dei Conti quelli della sola Agenzia delle entrate nel 2015 si sono fermati a quota 621 mila (su circa 6 milioni di contribuenti a rischio), con un calo del 4 per cento sull’anno precedente e del 16 per cento sul 2012. E i risultati si vedono.
I dati 2014, aggiornati a maggio 2016, dicono che 2 milioni e 928 mila contribuenti (il 7 per cento) dichiarano meno di mille euro l’anno.
E solo 31 mila, (lo 0,08 per cento) oltre 300 mila euro.
Così, nei conti di Equitalia si è scavato un buco impressionante. Secondo le elaborazioni del Fmi gli arretrati, che al 30 giugno 2015 erano pari a 728 miliardi di euro, continuano a crescere (dai 55 miliardi del 2009 ai 79 del 2014), mentre il tasso di recupero non va oltre il 6 per cento, con il grosso delle pratiche intestato a soggetti falliti, deceduti, cessati, nullatenenti…
Secondo uno studio messo a punto dalla Confcommercio, se gli italiani fossero convinti di trovarsi di fronte un’amministrazione efficiente e severa come quella americana dichiarerebbero d’un colpo 56 miliardi all’anno in più.
Ma negli Stati Uniti a fine 2015 mister James Lee Cobb III s’è beccato una condanna a 27 anni di carcere per una frode fiscale da tre milioni di dollari.
Difficile immaginare che Gentiloni voglia incamminarsi su questa strada in un Paese dove la popolazione penitenziaria per reati economici e fiscali è pari a un decimo della media europea.
Soprattutto se la scelta del governo per il nuovo vertice di Agenzia delle Entrate-Riscossione, che incorporerà Equitalia, cadrà sul suo attuale amministratore delegato, Ernesto Maria Ruffini.
Pronipote di un ex cardinale (Ernesto), figlio di un ex ministro (Attilio), un passato nello studio Fantozzi, Ruffini è soprattutto un cocco di Renzi: ha conquistato il segretario del Pd alla Leopolda 2010, dove dal tavolo di lavoro numero 26 si è sbracciato a favore del fisco amico, venendo poi reclutato come consulente per la dichiarazione precompilata. Per sapere come la pensi è sufficiente sbirciare la prima pagina di un documento dell’ente che guida, datato 2016.
Riporta una frase di Adam Smith: «Ogni imposta deve essere riscossa nel tempo e nel modo in cui è probabile che sia comodo per il contribuente pagarla».
Ecco: soprattutto comodo.
Stefano Livadiotti
(da “L’Espresso”)
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Gennaio 23rd, 2017 Riccardo Fucile
SECONDO PAGNONCELLI IL 60% DEGLI ITALIANI E’ FAVOREVOLE AI LAVORI SOCIALMENTE UTILI DA PARTE DEI PROFUGHI, MA NON VOTA LO STESSO PD
Agli italiani piacciono i migranti ai lavori utili. Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera svela i risultati di un sondaggio sul piano di Minniti che prevede CIE e lavori socialmente utili per lo status di rifugiato.
E questo nonostante appaia evidente che i centri di identificazione ed espulsione non sono la soluzione al problema e il progetto dei lavori utili da affidare ai profughi sia piuttosto difficile da attuare.
Le due soluzioni sono molto apprezzate perchè hanno un carattere evidentemente “punitivo”, come è giusto che sia per tutti i capri espiatori che si rispettino:
La prima riguarda i Cie, con la creazione di piccoli centri in ogni regione, con al massimo cento persone, all’interno dei quali ci saranno poliziotti che procederanno alle pratiche e pianificheranno i rimpatri.
È una proposta che incontra un largo consenso: due su tre (68%) si dichiarano a favore, solo 17% contrari.
È un consenso indipendente dall’area politica di appartenenza. Solo tra i leghisti si registra un dissenso più elevato, sebbene minoritario (30%).
Il favore per questa proposta è dovuto soprattutto alla possibilità di accelerare i controlli e gli eventuali rimpatri ma anche alle dimensioni dei centri, più piccoli rispetto a quelli attuali, spesso stracolmi.
La seconda proposta avanzata da Minniti riguarda la possibilità di inserire i migranti che chiedono un permesso di asilo nei lavori socialmente utili e l’obbligo di frequentare corsi di italiano.
Anche qui il consenso è netto (63%) anche se i contrari sono un po’ più numerosi (24%) rispetto ai Cie, probabilmente per la preoccupazione che si tratti di posti di lavoro «sottratti» alla popolazione italiana.
Il consenso prevale nettamente tra tutti gli elettorati con l’eccezione dei leghisti (contrari per il 47%). Molti cittadini sono convinti che si tratti di una forma di restituzione da parte dei migranti per quanto ricevono dal nostro Paese.
In ogni caso Pagnoncelli fa notare che il ministro Minniti non ha aumentato in maniera significativa la sua popolarità anche se le sue proposte piacciono.
Anche questo è facilmente spiegabile: le soluzioni “di destra” piacciono, ma tra l’originale e la copia gli elettori preferiscono sempre l’originale.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 23rd, 2017 Riccardo Fucile
FUNZIONARI SOPRINTENDENZA AFFITTAVANO 130 MQ IN PIAZZA PITTI A 335 EURO AL MESE INVECE CHE AL VALORE DI MERCATO DI 1.700 EURO… BENEFICIARI PARENTI E ALTRI DIPENDENTI
I privilegiati del quartierino a Firenze adesso si preoccupano.
Per anni hanno beneficiato di appartamenti in ville medicee e di pregio, a Boboli e a Palazzo Pitti dati in affitto a prezzi molto bassi.
Così bassi, che nelle carte dell’inchiesta risultano in media cinque volte inferiori rispetto ai canoni del mercato. In media, significa che qualcuno supera anche quella soglia. Edifici all’interno del Giardino di Boboli, attigui alle ex scuderie reali, alle “pagliere” o dentro il parco dell’ex Villa Reale di Sesto.
E’ così che la Corte dei Conti ha formulato l’accusa di danno erariale.
Si ipotizza che le casse dello Stato ci abbiano rimesso fino a tre milioni di euro nel periodo che va dal gennaio 2012 al marzo 2016 e prima ancora, dal 2007, ma il danno è oramai prescritto, addirittura otto milioni di euro.
Nei giorni scorsi la Guardia di Finanza ha notificato due inviti a dedurre per altrettanti funzionari della sovrintendenza fiorentina.
Gli affitti valutati inferiori ai costi di mercato riguardano una settantina di appartamenti di proprietà dello Stato. Sarà interessante conoscere l’elenco dettagliato di chi ha usufruito di quei canoni di favore e capire come e perchè nascono certi privilegi.
Ad aggravere il quadro c’è anche il richiamo del ministero dei Beni culturali che già nel 2010 effettuando una ispezione in soprintendenza rilevarono “il mancato aggiornamento dei canoni nonchè l’irregolare assegnazione di alloggi demaniali a personale dell’amministrazione collocato a riposo, ovvero a loro eredi”. Carte che pure restano inascolate, chiuse in qualche cassetto e lasciate alla polvere.
I finanzieri hanno segnalato alla procura regionale toscana della Corte dei conti, come presunti responsabili del danno, due dipendenti della Soprintendenza Archeologica, belle arti e paesaggio per Firenze, Pistoia e Prato.
Gli immobili finiti sotto accusa sono in gestione alla Soprintendenza e situati tutti in luoghi di alto pregio come Palazzo Pitti-Giardino di Boboli, e nelle ville medicee della Petraia e di Poggio a Caiano (in provincia di Prato).
Gli appartamenti sono stati affittati dai due dipendenti per lo più ad altri dipendenti della soprintendenza e a loro familiari.
Tra i casi più clamorosi un appartamento in piazza Pitti di 130 metri quadrati affittato a 335 euro al mese contro un valore di mercato di 1.700, un altro caso nel piazzale di Porta Romana una residenza di 320 metri quadrati affittata a 800 euro al mese contro un valore di mercato di 2.400 euro.
E’ così che la soprintendenza alle belle arti di Firenze destinava il patrimonio che aveva in gestione: appartamenti e immobili in palazzi e luoghi di alto pregio del centro storico. Per questo la procura regionale della Corte dei Conti ha ‘invitato a dedurre’ due funzionari della stessa Soprintendenza rispetto a un danno erariale da circa 3 mln di euro.
Le verifiche della guardia di fiananza hanno riguardato 70 immobili, gli accertamenti sono iniziati nei primi mesi del 2016.
Le indagini, particolarmente laboriose, sono state svolte dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria su delega della procura regionale della Corte dei Conti della Toscana diretta da Andrea Lupi e hanno focalizzato l’attenzione sulle modalità di concessione e il conseguente utilizzo in locazione degli appartamenti di proprietà dello Stato e in consegna alla Soprintendenza.
Dalle attività ispettive, sviluppate anche con l’acquisizione di notizie e documenti nonchè con l’incrocio di dati presso l’Agenzia delle entrate di Firenze e Prato (per quantificare la determinazione dei canoni di locazione), è emerso che gli immobili sarebbero stati affittati a partire dal 2007 e sino agli inizi del 2016, dalla Soprintendenza a propri dipendenti – in servizio o in pensione – ed a loro familiari a prezzi di estremo favore.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 23rd, 2017 Riccardo Fucile
“TANTE MEDAGLIE, POI SI DIMENTICANO DI NOI”… UNA VICENDA VERGOGNOSA: INSERITI DA RENZI NELLA LEGGE DI STABILITA’ 2015 ORA NECESSITEREBBE UN DECRETO PERCHE’ SONO FINITI IN UN FONDO UNICO
“Il governo ci elogia sempre pubblicamente quando ci sono situazioni di calamità . Poi quando si spengono i riflettori, si dimentica di noi”. E degli 80 euro in busta paga. Nelle ore in cui si lavora alacremente per cercare di recuperare i dispersi sepolti dalla valanga che si è abbattuta sull’hotel Rigopiano, la classe politica non lesina omaggi e simboliche medaglie ai tanti vigili del fuoco che lavorano da giorni in condizioni di rischio elevato.
Parole che hanno però il sapore della beffa.
Perchè i vigili del fuoco, come anche carabinieri e polizia, hanno appena ricevuto la busta paga per il mese di gennaio senza i ben noti 80 euro, per la prima volta dal gennaio 2016.
Sono spariti. “Nonostante tutto il lavoro che stiamo facendo in questi giorni”, denuncia all’HuffPost Danilo Zuliani, responsabile nazionale Fp Cgil dei Vigili del Fuoco.
“Tutti sprecano parole di stima e affetto nei nostri confronti quando ci sono emergenze come quella del Rigopiano. Poi, quando si spengono i riflettori, la politica si dimentica abbastanza facilmente di noi”, prosegue Zuliani.
L’Huffington Post ha preso di visione della busta paga del mese di gennaio di un vigile del fuoco: gli 80 euro, che erano stati estesi al comparto difesa, sicurezza e soccorso con la legge di stabilità del governo Renzi a dicembre 2015, non ci sono più.
All’origine della sparizione, un pasticcio burocratico.
A differenza del settore privato che gode degli 80 euro in busta paga in maniera strutturale, per vigili del fuoco, carabinieri e polizia la misura non è automatica ma deve essere finanziata di volta in volta con la legge di stabilità .
Le risorse, circa 510 milioni di euro, vanno quindi trovate ogni anno e stanziate in un fondo apposito, come è accaduto nel 2016.
Non è finita: con la legge di stabilità 2016 che vale per il triennio successivo, non è stato creato un fondo ad hoc ma sono state inserite in un fondo unico di 1,5 miliardi da cui bisogna attingere per sopperire a diverse necessità : non solo i bonus ma anche per le assunzioni e per la riorganizzazione interna dei diversi comparti.
“Avevano detto che avrebbero risolto”, afferma Giorgio Saccoia della Fp Cgil. “E invece non l’hanno fatto”.
Un modus operandi, quello del governo, già criticato a suo tempo dai sindacati che chiedono, in sostanza, di essere trattati come i dipendenti privati.
Gli 80 euro “sono senza contribuzione nè tassazione, non compaiono quindi nel Cud”: si tratta di un’operazione “in nero”, continua Zuliani.
Che precisa: “La nostra denuncia non riguarda solo il salario, ma anche le assunzioni, i mezzi che hanno 25 anni e che non funzionano più, i dispositivi di protezione individuale che andrebbero aggiornati, le tutele in caso di infortuni”.
È tutta l’architettura del comparto che necessita di maggiori risorse e di attenzione da parte del Governo. Attenzione che però si concentra solo nelle occasioni di calamità naturale. “Siamo abituati a tutto questo, tanti elogi poi passato il santo passata la festa”, afferma Zuliani.
Da parte sua il ministero della Pubblica Amministrazione ha rassicurato nei giorni scorsi i sindacati spiegando che, trattandosi di un fondo unico per diverse esigenze, bisogna emanare un Dpcm (decreto della Presidenza del Consiglio) apposito per l’erogazione degli 80 euro.
Il ministero guidato da Marianna Madia prevede che entro marzo le cose torneranno al loro posto, i bonus verranno erogati e gli arretrati restituiti.
Ma visti i tanti annunci senza seguito, le organizzazioni sindacali non si fidano. Da tempo aspettano una maggiore attenzione da parte del governo. “Ci viene sempre detto di sì, ma poi come vede…”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 23rd, 2017 Riccardo Fucile
I DOCUMENTI DEL FORUM H20
L’hotel Rigopiano è stato costruito sopra colate e accumuli di detriti preesistenti compresi quelli da valanghe.
Lo testimonia la mappa Geomorfologica dei bacini idrografici della Regione Abruzzo sin dal 1991, ripresa e confermata nel 2007 dalla mappa del Piano di Assetto Idrogeologico della Giunta Regionale.
I documenti sono stati evidenziati dal Forum H2O Abruzzo, la rete che unisce i Movimenti per l’acqua della Regione.
In pratica il resort è sorto su resti di passati eventi di distacco provenienti dal canalone sovrastante la montagna. Secondo quanto documenta il Forum H2O la mappa evidenzia nel sito ‘conoidi di deiezione’, ossia “un’area rialzata formata proprio dai detriti che arrivano dal canalone a monte dell’albergo. Insomma, come stare proprio lungo la canna di un fucile che poi è stato caricato ed ha sparato”.
La mappa regionale, del Piano stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico del 2007 che conferma quella del 1991, è la 350 Ovest rintracciabile sul sito della Regione.
Si vedono tre segni grafici verdi a forma di cono che convergono verso l’area dell’albergo, e rappresentano il movimento di flussi di materiale che nel tempo si è accumulato alla base del canalone.
Già dagli anni 50 si ha memoria di una struttura di rifugio, ma l’hotel è costruito negli anni 70, ed ingrandito dopo il 2000.
“Il fatto che ci fosse prima una struttura più piccola non vuol dire granchè – spiega Augusto De Sanctis, del Forum – perchè i tempi di ritorno di questi fenomeni estremi possono essere più lunghi di qualche decina di anni. Un pò come avviene per le piene dei fiumi, ci sono gli eventi che mediamente avvengono ogni 50 anni, quelli più importanti che avvengono ogni 100 anni e poi quelli estremi che possono avvenire ogni 500 anni e che raggiungono aree inusitate. Le carte del rischio tengono appunto conto di questa periodicità perimetrando aree sempre più vaste al crescere del tempo di ritorno. I geologi identificano le aree di rischio non solo attraverso gli eventi già noti, riportati nel catasto di frane e valanghe, ma anche e soprattutto su alcune caratteristiche specifiche del terreno a cui ricollegano il tipo di eventi che può verificarsi. E lì questi segnali dovevano essere evidentissimi, come spiegano queste mappe ufficiali”.
L’esistenza di una mappa conoscitiva però, ad avviso di De Sanctis, non si è tradotta “per omissione della Regione in una mappa del rischio valanghe che era prevista dalla legge 47/92, cioè 25 anni fa. La legge prevede per le aree a rischio accertate o potenziali o l’inedificabilità o per strutture esistenti il divieto di uso invernale. Non è stato fatto un Piano Valanghe, ma comunque – continua l’esponente del Forum – nel percorso di ristrutturazione dell’hotel si doveva evidenziare il contesto di rischio e agire di conseguenza, come prevede il Decreto 11/03/1988 dal titolo evocativo ‘Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, i criteri generali e le prescrizioni per la progettazione, l’esecuzione e il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione. Istruzioni per l’applicazione”
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 23rd, 2017 Riccardo Fucile
COME DICIAMO DA TEMPO, CASALEGGIO TIRA LE FILA: ALTRO CHE “SEMPRE SOLI”: PUR DI ARRIVARE ALLA POLTRONA, AGENDA E ACCORDI CON I LEPENOSI
C’è una stanza della Casaleggio associati in cui si lavora da tempo allo scenario della svolta: un governo con la Lega.
“Se dalla Consulta uscirà davvero una legge proporzionale – è il ragionamento che Davide Casaleggio ha consegnato ai fedelissimi – allora dopo il voto vedremo quali forze saranno disponibili ad appoggiare un esecutivo cinquestelle”.
L’erede dell’azienda di famiglia pensa proprio alla destra di Salvini e Meloni.
Non a caso, costruisce da tempo nel “laboratorio” milanese un’agenda di governo sempre più compatibile con quella del Carroccio.
Il resto lo faranno i risultati elettorali. “Con un impianto proporzionale nessuno avrà la maggioranza – è l’analisi che Luigi Di Maio ripete in privato – Noi però abbiamo ottime chance di arrivare primi, ottenendo l’incarico per giocarci la partita”.
Quella, clamorosa, di un governo con i lepenisti d’Italia.
Ogni analisi dei big a cinquestelle parte da una premessa: senza ballottaggio, nessuno raccoglierà il 40% dei consensi, figurarsi il 50%.
Meglio allora costruire un ponte con gli unici partner possibili, “testati” con soddisfazione negli ultimi mesi dalla Casaleggio associati.
“Tra loro e il Pd – è d’altra parte il mantra di Salvini – io scelgo sempre l’alternativa al Pd”.
L’accordo parlamentare con la Lega è il vero asso nella manica di Beppe Grillo. Ufficialmente non se ne parla, anche perchè da statuto i grillini non possono siglare alleanze.
Se non fosse che poche settimane fa il “segreto” è sfuggito a un potente del Movimento come Max Bugani. Non è uno qualunque, perchè gestisce assieme a Casaleggio Jr. e David Borrelli la piattaforma Rousseau. “Al Senato – ha rivelato – con la legge attuale si può lavorare sul programma e vedere chi ci sta. Altre forze potrebbero darci un appoggio esterno. Ovviamente il governo sarebbe del M5S, però coinvolgendo altri partiti su punti programmatici chiari e condivisibili”.
Nulla è lasciato al caso, in questa fase. Ogni nuova svolta – come l’ultima trumpista e protezionista – è preceduta da un “sondaggio” della base, ma l’annuncio è delegato a Grillo, l’unico capace ancora di far digerire l’indigeribile ai militanti.
L’obiettivo è cucire nuovi e antichi punti programmatici su misura della Lega, dal referendum sull’euro al nazionalismo commerciale fino al pugno duro sull’immigrazione.
Il Carroccio, d’altra parte, non è materia sconosciuta dalle parti della Casaleggio associati. Il triumviro Borrelli, per dire, è un trevigiano cresciuto nel cuore pulsante del leghismo.
Ha gestito la fallimentare trattativa con l’Alde all’Europarlamento, ma è stato difeso dal leader. Un segnale in chiave interna, per dimostrare ai nemici che le eventuali intese con altri partiti passano comunque solo e soltanto da Milano.
A Di Maio va bene così, interessa la poltrona da premier.
Da pragmatico, il reggente si dedica alla rincorsa alla premiership e lavora per evitare una legge elettorale svantaggiosa: “È meglio votare con il sistema che uscirà dalla Consulta – è la sua linea – L’importante è evitare il Mattarellum, che per noi sarebbe un disastro”.
Con il proporzionale, invece, il pallino resterebbe nelle mani del Movimento. E arrivare primi garantirebbe il “piano Lega”.
Tra i parlamentari cinquestelle, naturalmente, c’è chi la pensa in un altro modo.
La corrente “di sinistra”, decimata da espulsioni e scissioni, conta pochissimo. Quella ortodossa, invece, continua a combattere lo strapotere della Casaleggio associati.
I malpancisti guardano soprattutto a Roberto Fico, l’unico in grado di gelare i piani di Milano senza temere troppo la reazione: “Siamo un Movimento che non fa alleanze”.
Salvini conosce i rischi di una concorrenza grillina sui temi a lui più cari, per questo urla sempre più forte contro l’euro e gli immigrati.
Eppure, è pronto a fare di necessità virtù, cavalcando l’onda. Gli basterà ribadire dopo le Politiche quanto sosteneva alla vigilia del secondo turno delle amministrative: “Dove la Lega non è al ballottaggio, votate contro il Pd”.
Stesso retroscena lracconta oggi Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera:
I due leader non annunceranno mai un’alleanza prima delle elezioni. Anzi, almeno a parole si combatteranno, visto che si contendono lo stesso elettorato. La loro implicita sintonia resterà sottotraccia ma, il giorno dopo il voto, i populisti potrebbero trovare un terreno d’intesa; a cominciare dalla battaglia contro la moneta unica.
(da “La Repubblica” e “Corriere della Sera”)
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