Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
CAFFE DA 900 LIRE A 90 CENTESIMI, PIZZA AUMENTATA DEL 123%
Il caffè al banco da 900 lire a 90 centesimi, il Big Mac da 4.900 lire a 4,20 euro, la pizza
margherita da 6.500 lire (3,36 a euro) agli attuali 7,5 euro.
Andando a cercare i prezzi di fine 2001, si scopre quanto sia cambiato il costo di beni e servizi negli ultimi 15 anni.
Da quando cioè, il primo gennaio 2002, gli italiani abbandonavano la lira e nel nostro Paese entrava in vigore l’euro (quotato al cambio fisso di 1936,27 lire).
Non solo cibo e bibite: dalle bollette alla benzina, è lunga la lista dei rialzi, in certi casi molto elevati. Certo ben più dell’inflazione.
Ci sono anche casi inversi, soprattutto nel comparto elettronico dove è aumentata la concorrenza e sono diminuiti i prezzi, ma in questo caso più del passaggio dalla lira all’euro hanno contato i passi da gigante della tecnologia.
Qualcosa è rimasto immobile nel tempo, come la giocata minima del Lotto, passata dalle 1.500 lire del 31 dicembre 2001 all’euro del primo gennaio 2002 e da lì mai più cambiata.
Sono i dati del Nens (Nuova Economia Nuova Società , la fondazione che fa capo a Pierluigi Bersani e Vincenzo Visco) a fornire un termine di paragone fra i prezzi attuali e quelli di 15 anni fa.
Tra i grandi classici, quella che ha subito l’aumento maggiore è la pizza margherita: pur con le dovute distinzione territoriali, si passa dai 3,36 euro della media Nens del 2001 agli attuali 7,5 euro, con un rialzo pari al 123%.
Sono vicini al raddoppio invece sia il caffè al banco (da 900 lire a 90 centesimi) che il Big Mac (da 4.900 lire a 4,20 euro), come anche i quotidiani in edicola: nel 2001 leggere il giornale costava 1.500 lire, oggi 1,50 euro.
Sono i simboli della perdita di potere d’acquisto degli italiani, peggiorata ulteriormente dopo la crisi economica.
La lista è lunga: nel 2002 per l’elettricità , spiegava il Nens, si spendevano 647mila lire (circa 334 euro), mentre i dati pubblicati il 31 dicembre dall’Autorità dell’Energia parlano di una spesa fissata a 498 euro (+50% circa).
Andamento più contenuto per il gas, con la spesa annua passata da 1 milione e 700mila lire a 1.022 euro (+16%).
È salita anche la benzina, per la verità con un percorso decisamente altalenante che l’ha portata a toccare il massimo storico con punte oltre i 2 euro nel 2012. Per un litro di carburante si è passati da circa 2mila lire agli 1,5 euro attuali (+45%).
L’unico comparto in controtendenza è quello dell’elettronica, complice lo sviluppo tecnologico e il boom delle vendite online che hanno ulteriormente alzato la concorrenza e abbassato i prezzi.
Fare paragoni tra i prodotti di allora e quelli odierni diventa difficile. Ma basti pensare che all’inizio del nuovo millennio una Tv 46 pollici, la migliore sul mercato, costava circa 6,5 milioni di lire, mentre oggi una Tv smart Full Hd 49 pollici costa meno di 500 euro.
Nel 2001 per comprare una fotocamera digitale da 1,9 megapixel di risoluzione ci volevano 890mila lire mentre oggi con circa 100 euro si trovano macchine da 20 megapixel.
Infine, il Motorola Startac 130, vanto per l’epoca, costava oltre 2 milioni di lire, ben più di qualsiasi ultimo modello di smartphone.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
MA DELUDE IL MANCATO CALO DELLA SPAZZATURA PRODOTTA
L’Italia potrebbe toccare nel 2016 il 50% di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani, o almeno sfiorare tale quota simbolica.
I dati arrivano a rilento e vengono vagliati e rielaborati con lenta meticolosità dall’Ispra che solo in questi giorni ha pubblicato i consuntivi del 2015.
Dai quali emerge che “nel 2015, la percentuale di raccolta differenziata raggiunge il 47,5% della produzione nazionale, facendo rilevare una crescita di + 2,3 punti rispetto al 2014 (45,2%).
” E’ un dato ancora abbondantemente al di sotto del 65% previsto dalla direttiva europea, ma comunque del tutto rispettabile a livello europeo dove solo Germania, Svezia e Belgio fanno nettamente meglio, mentre anche Francia e Gran Bretagna, per non parlare della Spagna, sono ancora indietro nel cammino verso la “economia circolare”.
Ma andiamo con ordine, cominciando da un dato che solo per i più preparati addetti ai lavori è ovvio: il leggerissimo, millimetrico calo della produzione complessiva dei rifiuti solidi urbani.
Nel 2015 abbiamo prodotto complessivamente 29 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti, con una media di circa 487 kilogrammi pro/capite.
Il calo della produzione complessiva è stato dello 0,4% ma in realtà , secondo le statistiche incrociate utilizzate da Ispra, c’è stato anche un calo della popolazione residente e quindi i rifiuti sono scesi solo dello 0,2% procapite. In pratica un kilo in meno a testa.
Le differenze notevoli di produzione procapite per regione o per area geografica dipendono da vari fattori, per esempio dalla quantità di turisti, che fa sballare le proporzioni con la popolazione residente, o dalla tipologia di rifiuti che dal circuito del commercio e dell’artigianato confluisce o meno nei rifiuti solidi urbani.
In Emilia si calcola che la produzione media per abitante/anno sia superiore ai 600 kili, in varie zone del Sud è sotto i 400.
Ma non necessariamente a maggiore sviluppo corrispondono più rifiuti e viceversa.
Il “disaccoppiamento” tra produzione di rifiuti e trend degli indicatori socioeconomici è l’obiettivo principale del Programma nazionale di prevenzione dei Rifiuti varato nel 2013 dal Governo e sconosciuto ai più, anche se dovrebbe essere oggetto di educazione civica generalizzata.
Ad attirare lo sguardo degli ambientalisti sono i risultati della provincia di Treviso, non certo una delle più povere province italiane, ma una di quelle, tra Enna e Ogliastra, con più bassa produzione procapite di rifiuti.
I kili nel Trevigiano tra il 2014 e il 2015 sono passati da 361 a 351 a testa (e contemporaneamente la differenziata è balzata all’84%, uno dei migliori risultati al mondo).
Tornando ai dati nazionali hanno deluso, con il modesto calo dello 0,2 procapite, chi si aspettava una riduzione significativa dovuta o a politiche antispreco o semplicemente alla congiuntura economica.
Secondo Ispra — che è venuta dopo Istat e altre rilevazioni — non c’è da stupirsi, anzi ci si poteva persino aspettare un piccolo aumento.
“Infatti, a fronte del calo di produzione degli Ru (rifiuti urbani), si osserva un aumento sia del prodotto interno lordo (+1,4% a valori correnti e +0,7% a valori concatenati), sia delle spese per consumi finali sul territorio economico delle famiglie residenti e non residenti (+1,6 a valori correnti e +1,7% a valori concatenati.)” dice il rapporto. Ecco che guardando i rifiuti finalmente sciogliamo i dubbi su come realmente sono andate le cose l’anno scorso?
Dal canto loro gli attivisti di Rete Rifiuti Zero fanno notare che comunque sono ormai stabilmente smentite le previsioni di chi ipotizzava una crescita costante e quasi metafisica dei rifiuti. In base a quelle previsioni si mettevano in cantiere sempre nuovi impianti di incenerimento ai quali si farebbe meglio a rinunciare per sempre.
Per quanto riguarda le raccolte differenziate in Italia sono arrivate al 58,6% per le regioni settentrionali, al 43,8% per quelle del Centro e al 33,6% per le regioni del Mezzogiorno.
Alla regione Veneto va la palma della raccolta differenziata nel 2015 grazie al 68,8%, seguita dal Trentino-Alto Adige con il 67,4%.
Entrambe le regioni sono già dal 2014 al di sopra dell’obiettivo del 65% fissato dalla normativa per il 2012.
Seguono, tra le regioni più virtuose, il Friuli-Venezia Giulia (62,9%), seguita da Lombardia, Marche, Emilia-Romagna, Sardegna e Piemonte, queste ultime cinque con tassi superiori al 55%.
Tra 45% e 50% si collocano Abruzzo, Umbria, Campania, Valle d’Aosta e Toscana. Liguria e Lazio sono di poco al di sopra del 35%, mentre superano il 30% la Basilicata e la Puglia.
La Calabria è la regione che fa segnare la maggiore crescita della percentuale di raccolta differenziata, +6 punti rispetto al 2014, anche se il 25% la colloca ancora al penultimo posto tra le regioni, seguita solo dalla Sicilia (12,8%).
Sfiorano i 5 punti di crescita Valle d’Aosta e Lazio.
Quanto alle province, i livelli più elevati di raccolta differenziata si rilevano, analogamente ai precedenti anni, per Treviso, che nel 2015 si attesta all’84,1%. Prossimo all’80% è il tasso della provincia di Mantova (79,9%) e pari al 78,4% quello di Pordenone.
Al di sopra del 70% si collocano anche Belluno, Trento, Macerata, Parma e Vicenza. Le peggiori province italiane per la raccolta differenziata sono, invece, tutte in Sicilia: con valori inferiori o di poco superiori al 10%: Palermo (7,8%) Siracusa (7,9%), Messina (10,1%) e Enna (10,8%).
La tipologia di rifiuto che si raccoglie di più è sicuramente quella organica (umido e verde), che da sola rappresenta il 43,3% della raccolta differenziata in Italia.
L’ ‘umido’ continua nel trend di crescita degli ultimi 5 anni: nel 2015 ha superato i 6 milioni di tonnellate ed è aumentato del 6,1% rispetto al 2014.
A livello nazionale ogni abitante raccoglie in media oltre 100 kg di frazione organica a testa. Seconda tipologia più raccolta in modo differenziato è la carta e il cartone (22,5% del totale), con una leggera contrazione rispetto al 2014, — 0,1%.
Dopo frazione umida e carta, è il vetro la terza tipologia di rifiuti più differenziata: pari a 1,7 milioni di tonnellate, va su del 3,3% rispetto al 2014.
Seguono poi plastica (1,2 milioni di tonnellate), legno (695mila tonnellate), metallo (260mila tonnellate) e rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche Raee (223mila tonnellate).
Per quest’ultima frazione, dopo l’andamento in calo rilevato tra il 2010 e il 2013, si rileva una crescita del +2,1% tra il 2013 e il 2014 del +4,3% nell’ultimo anno.
Infine un cenno alle grandi città dove il successo di Milano è superato da quello di Venezia e dove Roma sta cercando di superare Torino, ferma da anni poco sopra il 41%
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
OGGI SUCCESSO PER IL GIOVANE DUDAMEL… PER IL GRANDE MAESTRO NAPOLETANO SARA’ LA QUINTA VOLTA: CHE SIA L’OCCASIONE PER LA RAI DI TRASMETTERE IL CONCERTO IN DIRETTA?
Dopo il successo all’esordio del giovane Gustavo Dudamel, il ritorno del veterano, il più grande
degli italiani, Riccardo Muti.
Sarà lui infatti il direttore d’orchestra del concerto di Capodanno di Vienna nel 2018. L’annuncio è stato fatto dalla Wiener Philarmoniker.
Muti, 75 anni, direttore della Chicago Symphony Orchestra, ha già diretto quattro volte il concerto di Capodanno.
Il rapporto tra Muti e i Wiener è d’altra parte di lunga data e molto forte. L’ultima collaborazione è solo di alcuni mesi fa quando insieme hanno portato le Nozze di Figaro di Mozart in tour in Giappone, con ovazioni e osanna.
“Sono 46 anni consecutivi che lavoriamo assieme — aveva detto Muti in quell’occasione in un’intervista al Messaggero — Ho visto tre generazioni: nel ’71 c’erano gli anziani che avevano suonato con Toscanini e Furtwà¤ngler. Dai Wiener ho imparato molto: il senso del fraseggio soprattutto nel loro repertorio, il timbro, il colore, la cultura mitteleuropea. Questo tipo di suono unito al mio concetto e alla mia cultura italiana, questa combinazione, è ciò che ho sempre inteso portare alle altre orchestre. I Wiener sono gelosi della loro tradizione e amano quei direttori in grado, in un modo che cambia, di riportarli al loro suono originario. Sono una delle poche orchestre riconoscibili per la particolarità del loro suono e colore”.
Quest’anno alla Musikverein di Vienna il pubblico come sempre selezionatissimo — per le prenotazioni impossibili e per i prezzi stellari — ha apprezzato la prima conduzione del giovane venezuelano Gustavo Dudamel, 36 anni da compiere, una scelta che ha “rinfrescato” l’albo dei maestri che hanno salito il podio della sala da concerto di Bà¶sendorferstrasse.
Dudamel ha puntato su un approccio rispettoso anche nelle parti più “scherzose” del concerto, in cui da tradizione i direttori d’orchestra “giocano” con i musicisti e con il pubblico.
Peraltro il giovane direttore sudamericano ha diretto la famosissima An der schà¶nen blauen Donau, Sul bel Danubio blu, proprio a 150 anni dalla prima esecuzione.
“Ora posso morire felice — ha detto Dudamel dopo la prima prova del valzer — Ho diretto l’orchestra con il più bel valzer del mondo”.
Come si sa il Danubio blu — il più noto valzer di Johann Strauss jr — è insieme alla Marcia di Radetzky uno dei bis del concerto di Capodanno di Vienna, all’inizio del quale il maestro augura il buon anno alla platea.
E il venezuelano se l’è cavata anche con il tedesco.
Anche quest’anno la Rai ha trasmesso il Concerto di Capodanno di Vienna in differita su Rai2 per lasciare spazio alla diretta del concerto del teatro La Fenice di Venezia. Circostanza che ha provocato la protesta del senatore di Forza Italia Francesco Giro, ex sottosegretario alla Cultura: “Il prossimo anno sarà Riccardo Muti a dirigere il concerto di Capodanno dei Wiener da Vienna. Speriamo che la Rai se ne accorga perchè anche quest’anno, come gli anni precedenti, si è consumata a viale Mazzini la vergogna del celebre concerto da Vienna trasmesso non in diretta su Rai Uno ma in differita su un canale minore. Vergogna! Con Muti su podio non dovrà accadere”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
L’ANNO NUOVO INIZIA CON LA CULTURA: GRANDE SUCCESSO PER L’INIZIATIVA DEL MIBACT
Dopo il veglione di San Silvestro, un Capodanno con l’arte: sono tanti gli italiani e i turisti che hanno inaugurato il 2017 visitando i numerosi musei statali aperti gratis, una iniziativa del Mibact in occasione della prima domenica del mese.
Ben 25.050 ingressi fra Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma.
Oltre all’Anfiteatro Flavio, hanno spopolato i Fori Uniti: secondo le stime del Campidoglio, 35 mila persone hanno visitato le due parti di competenza statale e comunale.
Alla Galleria nazionale di arte moderna sono 3.140 gli appassionati che hanno ammirato il nuovo allestimento del museo.
Successo anche a Pompei, dove è stata appena restituita al pubblico la bellissima Domus dei Vettii (6.793 ingressi), alla Reggia di Caserta (6.727 i visitatori di oggi, dopo un 2016 boom con +37% di ingressi sull’anno precedente), agli scavi di Paestum (2.803). Bene i Musei Reali di Torino (5.897).
Piazzale gremito a Firenze fino all’apertura degli Uffizi, dove sono entrate 3.489 persone.
Pienone anche alle Gallerie dell’Accademia a Venezia (1.940 ingressi) e a Villa Pisani di Stra, con oltre 1200 ingressi e biglietti presto esauriti (per motivi di sicurezza) per l’accesso alle stanze della villa: la gente si è così riversata nel bellissimo parco settecentesco, con il famoso giardino-labirinto, dove qualcuno ha approfittato per fare nordic walking, complice anche la temperatura rigida.
Nell’ideale classifica meritano una citazione il Castello di Miramare a Trieste (2.558 ingressi), Villa d’Este a Tivoli, alle porte di Roma, (2.340).
E ancora gli scavi di Ostia Antica (visitati a Capodanno da 1.086 persone), Villa Adriana (1.010), il Museo Archeologico di Venezia (876) e il Museo etrusco di villa Giulia (710), sempre nella capitale.
In centinaia si sono messi in coda per ammirare i Bronzi di Riace nel Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria.
Apertura straordinaria anche per il Museo Tattile Omero di Ancona, nel pomeriggio, con una visita bendata alla collezione e iniziative ad hoc per i più piccoli.
A Milano ha spopolato la Madonna della Misericordia, capolavoro di Piero della Francesca allestito per le feste natalizie nella Sala Alessi di Palazzo Marino, con più di 3.000 ingressi.
Grande affluenza anche ai Musei Civici, aperti gratis dalle 14.30 alle 19.30: in 17.000 sono entrati al Castello Sforzesco, Museo di Storia Naturale, Acquario Civico, Galleria d’Arte Moderna e Museo delle Culture.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
TRE DEPUTATI RENZIANI PRESENTANO UNA LEGGE AD HOC
«Il governo se ne terrà fuori in ogni modo, statene sicuri», garantisce un ministro con voce in
capitolo, ripetendo quanto detto dal premier sulla legge elettorale.
Un tema che sembra essere l’unico ad appassionare peones e big di ogni partito: ovvero il sistema con cui si andrà al voto in giugno (come vorrebbe Renzi) o più in là (come vorrebbe la maggioranza dei parlamentari).
E si capisce il perchè di tanta passione, visto che molto prosaicamente si tratta della modalità , più o meno ostica, con cui ognuno dovrà provare a conquistarsi un posto alla Camera o al Senato.
Per questo, mentre Guerini e i capigruppo dal 9 gennaio avvieranno una girandola di incontri con tutti, il governo se ne terrà fuori, il nodo accende troppo gli animi: come ha ammesso il premier Gentiloni, «la maggioranza non è unita su questo tema» e neanche il Pd, visto che ad esempio già il ministro
Orlando si è espresso per il proporzionale corretto, in controtendenza con Renzi. Dunque il governo lascerà che sia il Parlamento ad occuparsene, non farà in nessun caso una sua proposta, neanche se i partiti fossero impantanati.
E che già lo siano è evidente: a favore del Mattarellum e del maggioritario Pd, Lega e Fdi, a spingere per il proporzionale Forza Italia, Ncd e ora anche Sinistra Italiana.
Dal Pd l’offensiva è partita nero su bianco: trenta deputati di tutte le correnti che contano del gruppo Pd alla Camera, renziani doc del «giglio magico», come Parrini e Fanucci, prodiani come Sandra Zampa e franceschiniani come Marina Sereni, hanno depositato un progetto di legge a firma Nicoletti per un ritorno al Mattarellum: abolendo con un tratto di penna le due leggi varate successivamente, ovvero il famigerato Porcellum e il deprecato (anche se mai testato) Italicum.
Una sfida a chi vuole tergiversare, che nell’ottica di Renzi e i suoi altri non è che Berlusconi. Il quale stenta a digerire un sistema con cui pure riuscì a vincere due volte, nel ’94 e nel 2001.
A riprova della voglia di Forza Italia di attendere il verbo della Consulta il 24 gennaio, sperando che imprima una virata verso il proporzionale, c’è lo stop alle «fughe in avanti» del forzista Renato Schifani.
Ma se pure in un clima in cui molti nel palazzo e fuori danno per scontato che il Mattarellum sia ormai finito in soffitta, perchè a difenderlo rimarranno solo Renzi e Salvini, ciò che va registrato, anche se solo a titolo di rumors, sono le voci secondo cui la Consulta potrebbe invece procedere in un senso differente: non è così scontato che venga abbattuto il ballottaggio, come tutti prevedono, è possibile che la Corte si eserciti in un’opera di ingegneria istituzionale che renda il ballottaggio compatibile con i criteri della Costituzione.
Il che cambierebbe tutte le carte sul piatto, costringendo tutti a fare i conti con una possibile legge maggioritaria, e non ad un ritorno forzato alla Prima Repubblica.
«Noi andiamo avanti sul Mattarellum – conferma il capogruppo Pd Ettore Rosato – e vogliamo vedere in fondo le carte, comprese quelle dei partiti avvantaggiati da questo sistema».
Tradotto, poichè dalle proiezioni anche il centrodestra ne uscirebbe bene, il Pd vuole costringere gli altri a dire di no al sistema maggioritario, capace ben più del proporzionale di sancire la sera del voto chi ha vinto le elezioni.
In modo da farne argomento di una campagna elettorale, che di fatto è già partita
Carlo Bertini
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
UNICA NOTA LIETA: MENO FERITI RISPETTO ALL’ANNO SCORSO
Il Tar ha bocciato l’ordinanza con cui la sindaca di Roma Virginia Raggi aveva vietato i botti e i fuochi d’artificio a Capodanno. E ieri gli effetti dell’ordinanza annullata, si fa per dire, si sono sentiti per tutta la città che dalla mezzanotte fino all’una è stata investita dai colori e dal rumore dei fuochi.
Unica notizia lieta: sono in diminuzione gli incidenti: sedici feriti quest’anno a Roma medicati negli ospedali della Capitale, l’anno scorso erano 23 e l’anno prima 33.
Virginia Raggi ha dato il benvenuto al nuovo anno sul palco del Circo Massimo, dove la sindaca di Roma ha brindato insieme a turisti e romani che si sono dati appuntamento nel cuore della Capitale per festeggiare il Capodanno.
La prima cittadina, insieme con il vicesindaco Luca Bergamo, è arrivata in piazza intorno alle 23:30 per assistere agli spettacoli insieme con la platea giunta al Circo Massimo.
Successivamente è salita sul palco per il tradizionale brindisi di buon anno. In un breve discorso ha voluto anche ricordare Debora e Aurora, mamma e figlia di 8 anni morte in seguito al crollo della loro casa ad Acilia.
Giancarlo Magalli ha pubblicato sul suo profilo Facebook una fotografia con Virginia Raggi:
Per quanto riguarda i feriti, a San Basilio un uomo ha riportato l’amputazione di una mano ed un altro ha perso un dito della mano destra.
Anche in zona Monteverde un cittadino italiano di 51 anni ha riportato l’amputazione di un dito ed altra ferita alla mano.
Sono stati 674 gli interventi effettuati nella notte di Capodanno dai Vigili del fuoco, praticamente invariati rispetto a quelli dello scorso anno quando furono 660.
Il numero maggiore di interventi si è registrato nel Lazio 110, in Campania 95, in Puglia 68 e in Lombardia 67: nessun intervento invece in Sardegna.
(da agenzie)
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Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
CHI SONO LE VITTIME DI ISTANBUL
La strage di Istanbul ha provocato 39 morti tra cui 24 stranieri. 
I morti accertati di nazionalità turca sono 11 mentre non si conosce ancora la nazionalità di quattro vittime.
Delle 39 vittime, 25 sono uomini e 14 donne. Secondo quanto riferito dalla deputata, sette vittime sono saudite, 3 irachene, 2 libanesi, una tunisina, una kuwaitiana, una siriana e una israeliana. Ci sono poi un belga originario della Turchia e un canadese-iracheno.
La 18enne arabo-israeliana
Una ragazza araba israeliana è fra le vittime dell’attentato di Istanbul. Lo ha confermato il ministero degli esteri israeliano. Nella notte la diciottenne Lian Zahr Nasser era stata data per dispersa e ora i suoi congiunti affermano che nel frattempo il suo corpo è stato identificato. La ragazza era partita venerdì per Istanbul per festeggiare il Capodanno assieme con alcune amiche, una delle quali è rimasta ferita alle gambe.
L’uomo scampato alla strage di Besiktas
Tra le vittime dell’attentato al Reina di Istanbul c’è un uomo che era scampato all’attentato del 10 dicembre all’esterno dello stadio del Besiktas, che causò 45 morti. Lo riferisce il quotidiano Daily Sabah. La vittima è Fatih Cakmak, e in entrambe le circostanze stava lavorando. Ieri era in servizio nel night club.
Una franco-tunisina
C’è anche una donna di nazionalità franco-tunisina tra le vittime dell’attentato alla discoteca «La Reina» di Istanbul. La donna si trovava nel locale con il marito, tunisino, morto anche lui nell’attacco. Lo ha annunciato Jean-Marc Ayrault, ministro degli Esteri francese, in un comunicato. Al momento risultano tre i francesi feriti. Tra le vittime straniere accertate, ci sono sette cittadini sauditi, tre giordani, tre libanesi, una ragazza palestinese di cittadinanza israeliana, due indiani, un cittadino turco-belga, per un totale di 15 persone.
Il poliziotto di 21 anni
Aveva 21 anni e lavorava come poliziotto. C’è anche Burak Yildiz tra le vittime dell’attacco al Reina Club.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
KILLER ASSALTA LA DISCOTECA “REINA” E SPARA SULLA FOLLA, ALMENO 39 MORTI
Il terrorismo colpisce la Turchia nella notte di Capodanno: è di almeno 39 morti e una settantina di feriti l’ultimo bilancio ufficiale dell’attacco avvenuto in una famosa e affollatissima discoteca di Istanbul, non ancora rivendicato ma le cui caratteristiche fanno pensare a un attentato a firma Isis.
Tra le vittime straniere (almeno 15) non ci sono italiani, secondo quanto ha riferito il ministro dell’Interno Angelino Alfano.
Secondo un testimone kuwaitiano citato dal Guardian, mentre sparava all’impazzata sulla folla l’attentatore di Istanbul avrebbe gridato “Allahu Akbar”, “Dio è grande” in arabo.
Attorno all’attentato – avvenuto verso l’1:30 ora locale, le 23:30 in Italia – c’è ancora molta confusione: non si sa con certezza se il terrorista abbia agito effettivamente da solo.
Il premier turco Binali Yildirim ha smentito notizie di stampa secondo cui il killer avrebbe indossato un costume da Babbo Natale.
Prima di fuggire – ha riferito il premier – l’assalitore ha abbandonato l’arma.
Le poche certezze sono quelle suggerite dalle immagini catturate dalle telecamere di sicurezza, ma alcuni testimoni sopravvissuti alla strage hanno raccontato di aver sentito sparare più di una persona, forse due o tre terroristi.
Attualmente il terrorista è ancora a piede libero, malgrado la gigantesca caccia all’uomo ordinata dal presidente Erdogan alla quale partecipano oltre 17 mila agenti in tutto il Paese.
Il bilancio della strage, reso noto dal ministro dell’Interno turco, Suleyman Soylu, è di 39 morti, fra i quali vi sono 15 stranieri.
Fra questi cittadini sauditi, marocchini, libanesi e libici e di sicuro c’è una ragazza israeliana di 18 anni, che risultava dispersa e della cui morte ha dato conferma il ministero degli Esteri dello Stato ebraico.
Certa è anche la morte di un agente di sicurezza, forse di polizia, che era sopravvissuto il 10 dicembre scorso al duplice attentato dinamitardo al vicino stadio di calcio del Besiktas, nel quale restarono uccise 38 persone.
Il governo del Belgio conferma inoltre la morte di un ventenne belga di origini turche. Ventuno vittime del Reina sono state già identificate. Vi sono inoltre almeno 69 feriti, fra i quali vi sono stranieri (anche tre francesi, riferiscono da Parigi), dei quali tre versano in gravi condizioni e uno in condizioni critiche.
La dinamica della strage è ancora incerta: i media non sono concordi nemmeno sul numero di persone presenti nel locale all’1.30 (le 23.30 di ieri in Italia), l’ora della strage, che varia dai 500 agli 800 presenti.
Il terrorista avrebbe ucciso l’agente all’ingresso prima di entrare e iniziare a sparare sui clienti. Per sfuggire alla strage, alcuni dei clienti si sono lanciati nelle acque gelide del Bosforo e sono poi stati tratti in salvo, anche se non c’è certezza che tutti siano stati salvati.
I testimoni sopravvissuti sono concordi su una cosa: i terroristi “sparavano a casaccio”, sparavano su tutti, sulla folla. “Sparavano ovunque, come dei pazzi”, ha raccontato alla Cnn turca una donna, ferita a una gamba da un proiettile.
Un altro testimone afferma che le forze speciali sono intervenute portando via i sopravissuti. “Ero di spalle e mio marito ha urlato: ‘Buttati giù!’. Eravamo vicino a una finestra e ho sentito due o tre persone che sparavano. Poi sono svenuta”, ha raccontato una donna
“Stanno cercando di creare caos, demoralizzare il nostro popolo, destabilizzare il nostro Paese con attacchi abominevoli che prendono di mira i civili – ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan -. Ma manterremo il sangue freddo come nazione e resteremo più uniti che mai e non cederemo mai a questi sporchi giochi”.
Durante la notte c’è stata la condanna della Casa Bianca, che per bocca del portavoce Eric Schultz ha parlato di “attacco terroristico orribile” e ha offerto aiuto ad Ankara.
Il Dipartimento di Stato ha quindi aggiunto che gli Usa sono “solidali con il loro alleato Nato, la Turchia, nella lotta contro la costante minaccia del terrorismo”.
“Il nostro dovere comune è combattere il terrorismo”, ha scritto il presidente russo Vladimir Putin al presidente turco
“La tragedia di Istanbul ci ricorda che la lotta contro il terrore non conosce pause nè feste o Paesi o continenti. Serve unità . Ad ogni costo”, ha twittato Alfano.
Il locale preso di mira è il ‘Reina’: un rinomato nightclub sulle rive del Bosforo posto nel quartiere di Ortakoy nel distretto di Besiktas, parte europea di Istanbul.
Al momento dell’attacco, nel night ci sarebbero state tra le 500 e le 600 persone. L’attentatore avrebbe prima ucciso un poliziotto e una guardia giurata all’ingresso, per poi entrare nel locale e iniziare a sparare a caso sulla folla.
Molti si sarebbero perfino gettati nelle acque gelide dello stretto per sfuggire alla morte. Circa 60 le ambulanze accorse sul posto.
(da agenzie)
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Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
SI AVVICINANO LE ELEZIONI E INVECE CHE DIRE LA VERITA’ SUL PROBLEMA IRREGOLARI SI PREFERISCE RACCONTARE BALLE… AGLI SPECIALISTI SALVINI E MELONI, ORA SI ACCODANO GRILLO E GENTILONI
Chi ha buona memoria non si può stupire della scelta di Marco Minniti come neoministro
“muscolare” degli Interni.
Politico calabrese vicino a Massimo D’Alema, vice-ministro degli Interni del governo Prodi, presidente dell’ ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis), un centro di analisi ed elaborazione culturale sui temi della sicurezza, della difesa e dell’intelligence di cui era presidente onorario Francesco Cossiga, Marco Minniti è “l’uomo del Pd” esperto in sicurezza per antonomasia, personaggio con ottimi agganci e di indubbio livello mediatico.
Per capirci, tutt’altra cosa da Alfano che coniugava la sicurezza con la politica, lui sembra soffrire di non aver scelto la carriera in polizia.
Non c’è da stupirsi quindi che, con la prospettiva di elezioni a giugno, il Pd metta in campo il “duro” Minniti, personaggio adatto a far recuperare voti.
Ma non a sinistra, come auspicava il suo maestro D’Alema, ma nell’elettorato reazionario ormai trasversale, sulla scia renziana, insomma.
Ma proprio perchè Marco è mentalmente un “funzionario di polizia” gli sfugge che il problema profughi non può essere trattato come un mero fatto di ordine pubblico per venire incontro ad una fantasiosa “percezione di sicurezza”, ma rappresenta un fenomeno complesso dalle mille sfaccettature che necessita di un approccio tecnico ma soprattutto politico.
Vediamo di sintetizzare, partendo dai dati.
Nel 2016 gli stranieri irregolari rintracciati sono stati 38.284: 16.776 sono stati allontanati, 21.508 non sono stati rimpatriati.
Solo 5.066 sono stati rimpatriati nei paesi di origine: Minniti dice che sono pochi e che vanno raddoppiati quest’anno.
Quello che non dice è che per rimpatriarli occorre che il Paese di origine li accetti in base ad accordi e trattati. Ma si da il caso che esistano solo 4 Stati con cui l’Italia ha un accordo in tal senso: Egitto, Tunisia, Marocco e Nigeria.
Sapete quali sono i primi cinque Stati di origine dei profughi? Nigeria (10.135, il 16 per cento), Mali (9.790, il 15 per cento), Gambia (8.575, il 13 per cento), Pakistan (7191, 11 per cento) e Senegal (4.700, 7 per cento).
Quindi 4 Paesi su 5 non hanno accordi per il rimpatrio, tanto per capirci, cosa ben chiara peraltro anche a chi vende fumo.
E si badi bene, qua evitiamo di ragionare su altri aspetti come il fatto che nel 2016 dei profughi arrivati che hanno fatto richiesta di asilo, il 37% ha visto accolta la richiesta di protezione, nelle sue tre forme previste, mentre il 63% no, ma con un sistema originale: quello di negarlo a seconda dei Paesi di origine.
Ma la valutazione delle storie personali è imprescindibile, è il fondamento stesso del diritto d’asilo, l’analisi deve essere fatta sulla base della vita e della storia delle persone. Non si può assolutamente escludere che tra le persone che vengono dal Pakistan, dal Gambia, dal Ghana ci sia chi è meritevole di protezione. Non è pensabile tener conto solo del paese d’origine, perchè si deve sempre valutare anche il livello di vulnerabilità delle persone e della situazione di rischio che si lasciano alle spalle.
Ma con questo sistema “allegro” l’Italia ha pensato bene di stringere i cordoni, negando l’asilo persino a profughi di nazionalità nigeriana che fuggivano da Boko Haram, tanto per capirci.
Piccolo dettaglio: chi si vede negare il diritto di asilo puo’ fare ricorso, è risaputo. Quello che non si sa è il 70% dei ricorsi è favorevole al richiedente asilo, segno evidente che qualcosa non è stato valutato nel modo giusto in prima istanza.
Perchè Minniti non dice nulla su questo?
Perchè vorrebbe rimpatriare anche questi “irregolari” che poi tali non sono?
La legalità è tale se sa coniugare rigore e certezza del diritto, non deve rispondere emotivamente alle mode e ale paure, o peggio alle speculazioni elettorali.
Per non parlare dei centri di identificazione ed espulsione (CIE) che Minniti vorebbe ripristinare.
Questi centri hanno senso se hanno una durata brevissima, altro che un anno di attesa, e se vengono rispettate le condizioni di umanità : se sono stati chiusi è per le denunce documentate degli organismi internazionali su condizioni igieniche vergognose in cui erano costretti a vivere gli immigrati.
Ma Minniti anche su questo tace, non ricorda la vergogna, non parla di di tempi ristretti.
Come tace su un altro aspetto del fenomeno: perchè non chiede al governo per quale motivo la Ue, a fronte di un impegno ad accogliere 35.000 profughi nel 2016 ne ha accettati solo 1.500?
Che ha fatto l’Italia e il partito di Minniti di fronte a questa ignobile procedura?
Perchè il governo non ha almeno trattenuto i costi del mantenimento degli altri 33.500 profughi che avrebbero dovuto essere ripartiti tra gli altri Stati europei?
Ma ritorniamo a chi dovrebbe esere rimpatriato: se è così semplice, secondo Minniti perchè non rimpatria i circa 20.000 detenuti stranieri nelle nostre carceri visto che quelli non possono certo scappare?
Forse perchè non ci sono convenzioni internazionali sull’espiazione della pena nei Paesi di origine?
E allora perchè dovrebbe essere semplice rimpatriare gli altri, suvvia…
Minniti dedichi il suo tempo piuttosto a ripartite i profughi in tutti gli 8.000 comuni italiani, senza se e senza ma, è assurdo che solo un quarto dei comuni italiani debba farsi carico dell’accoglienza mentre gli altri fanno i furbi.
Un ministro è pagato per questo, non per cavalcare elettoralmente le fobie degli egosimi nazionali.
Per quelle basta uno pschiatra.
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