Gennaio 30th, 2017 Riccardo Fucile
WORLD OF FIREFIGHTERS: ORGOGLIO ITALIANO NELLA CERIMONIA IN GERMANIA… L’ITALIA DEL CORAGGIO, DELLA SOLIDARIETA’ E DELL’ALTRUISMO ESEMPIO PER TUTTI… MA RESTANO I MENO PAGATI
I Vigili del fuoco italiani si sono classificati al primo posto del World of Firefighters – Conrad Dietrich
Magirus Award 2016.
Il concorso premia ogni anno a livello mondiale le squadre dei Vvf che si sono contraddistinte nel loro lavoro per efficienza e coraggio.
Il team italiano è stato scelto per l’attività svolta a seguito del sisma che ha colpito l’Italia centrale il 24 agosto 2016.
In rappresentanza di tutto il Corpo, a ritirare il premio durante la cerimonia tenuta a Ulm, in Germania, quattro membri dei Vigili del fuoco: Raimondo Montana Lampo, Antonio Di Malta, Oronzo Passabi e Giovanni Salzano .
E’ motivo di orgoglio che i nostri “eroi” del terremoto e della slavina di Rigopiano abbiano avuto un riconoscimento a livello mondiale. In un’epoca dove viene propagandato l’egoismo, l’indifferenza verso i più deboli e l’odio verso i diversi, è importante che chi si dedica con passione e coraggio a salvare vite umane non si senta solo nella sua opera umanitaria.
E’ anche l’occasione per ricordare che i nostri vigili del fuoco saranno sicuramente i più bravi, ma certamente i meno pagati, in confronto a tanti colleghi europei.
Facile, per i vari governi di destra e di sinistra che si sono succeduti, congratularsi per i risultati, ma quando si è trattato di adeguarne gli stipendi ai livelli europei, se ne sono fregati tutti.
Non ultima la polemica sugli 80 euro in meno nella busta paga di gennaio, una vergogna planetaria.
E’ ora di porvi rimedio, senza se e senza ma.
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2017 Riccardo Fucile
IL CURRICULUM NON E’ CERTO MIGLIORE DI CENTINAIA DI MIGLIAIA DI ALTRI GIOVANI…LA SELEZIONI DEI CANDIDATI DEL M5S
Non ho niente contro Luigi Di Maio. Parla bene, è disinvolto, ma non sappiamo esattamente chi sia davvero. Il problema è proprio questo: si può affidare un Paese di sessanta milioni di abitanti a una persona di cui si sa poco o niente?
Il curriculum dice che si è iscritto alle facoltà di Ingegneria e Giurisprudenza senza laurearsi, che è giornalista pubblicista.
Come centinaia di migliaia di giovani italiani che stentano a trovare lavoro oggi. Ancora: si ricorda che nel 2010 si era candidato come consigliere comunale nel suo paese ottenendo 59 preferenze e non risultando eletto. Poi nel 2013 ecco che si presenta alle parlamentarie grilline e ottiene 189 preferenze.
Così viene presentato alla Camera dove è eletto. Insomma, partendo da nemmeno duecento preferenze iniziali potrebbe diventare Primo Ministro.
Ripeto, niente contro il leader M5S, ma il dubbio resta: chi è Luigi Di Maio? Non è una critica, è una semplice domanda.
Ma intorno a questo interrogativo rischia di giocarsi la sorte di tutto il Movimento: rivoluzione o fallimento? Il momento decisivo è adesso.
La questione non riguarda soltanto Di Maio, ma anche i tanti candidati sindaci cui dovremmo affidare le nostre città , luoghi che ci stanno tanto a cuore. Che rappresentano la nostra identità e il nostro futuro.
Perchè dovremmo affidare Verona, Parma, la mia Genova a persona che non conosciamo?
Badate bene. Non intendo dire che si debba ricorrere a volti noti.
Ci sono migliaia di persone che hanno un’esperienza di lavoro e di vita che testimonia e garantisce per loro.
Mi è capitato giorni fa di partecipare in una grande scuola a un incontro di ex studenti: ho incontrato persone che lavorano in ong impegnate in processi di pace, medici che costruiscono ospedali in Africa, ragazzi che combattono davvero le mafie, ingegneri che inventano i computer del futuro, manager che guidano imprese con centinaia di dipendenti, avvocati impegnati nella difesa di minori abbandonati.
E mi è venuto istintivo chiedermi se i cinquestelle siano riusciti a intercettare queste forze che in Italia ci sono.
Ho confrontato l’esperienza e i curricula di questi ex studenti con quelli di alcuni candidati M5S che si candidano ad amministrare città da centinaia di migliaia di abitanti.
Vengono dei dubbi, soprattutto sui criteri di selezione: confronti online, graticole. Così si decide chi è un uomo degno di guidare una città o chi può diventare concorrente per un reality?
Era la grande scommessa del Movimento, creare una nuova classe dirigente. Ma questa sfida è stata vinta oppure sono state troppo spesso premiate persone senza un passato che, proprio per questo, sono più facilmente controllabili?
Le idee hanno bisogno di carne, sangue. Persone, insomma. E tanti candidati del Movimento non sappiamo chi sono. E nemmeno loro, mi verrebbe da dire, a volte si conoscono davvero.
Perchè quando ti trovi a contatto con il potere scopri aspetti di te stesso che non immaginavi. Di fronte a una prova tanto difficile emergono talvolta qualità inaspettate, ma spesso anche debolezze e miserie.
Questa è l’esperienza (che è cosa diversa dall’età ): essersi messi alla prova, conoscersi.
La selezione dei candidati sarà probabilmente la prova decisiva del Movimento che dovrà dimostrare se premia le capacità , se sa riconoscerle oppure se predilige fedeltà , obbedienze o ambizioni di bassa lega.
Non si può cominciare a fare politica dal potere. Per capire dove va una persona, bisogno sapere da dove viene. Non basta l’autocertificazione.
Altrimenti si rischia di premiare donne e uomini che non lo meritano. E soprattutto di lasciare in disparte — come purtroppo in Italia avviene da decenni — chi invece lo merita davvero.
Questo sarebbe il fallimento dei Cinque Stelle e il tradimento delle speranze che ha suscitato.
Ferruccio Sansa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2017 Riccardo Fucile
“L’ANIMA NERA” DEI POTERI FORTI E’ L’ISPIRATORE DEL MUSLIM BAN… ORA E’ ENTRATO NEL CONSIGLIO DI SICUREZZA …COORDINA L’INTERNAZIONALE RAZZISTA BREITBART CON UFFICI IN EUROPA E APPOGGIA I LEADER XENOFOBI EUROPEI
Ancor prima di una frettolosa nomina ad hoc per inserirlo nel tavolo delle decisioni, Steve Bannon
aveva già preso parte alle riunioni del Consiglio per la Sicurezza nazionale.
Con un peso non da poco: sarebbe stato lui, secondo fonti raccolte da Washington Post e altri giornali degli States, ha indicare la via maestra a Donald Trump sull’immigrazione, e prendere le tanto criticate decisioni sul “ban” ai paesi musulmani, in particolare quella relativa alla green card, scelta su cui è poi stato fatto un passo indietro.
Così, l’imprenditore delle news dei conservatori, l'”anima nera” dell’amministrazione Trump, è riuscito a spingere per una radicalizzazione dei sistemi di sicurezza interna.
Dopo aver messo in bocca a Donald Trump le parole del discorso dell’insediamento, Steve Bannon ha infatti scavalcato il ministero della Sicurezza Interna, che aveva sconsigliato di includere i possessori di ‘green card’ dall’ordine esecutivo sull’immigrazione dal Medio Oriente e l’Africa varato venerdì scorso.
Mossa sulla quale l’amministrazione ha poi dovuto fare come detto un passo indietro. Chiamato tra mille polemiche alla Casa Bianca come consigliere strategico dopo l’elezione del tycoon, lo stratega da ieri siede ora in permanenza nel nuovo Consiglio per la Sicurezza Nazionale, da cui sono stati invece esclusi il capo degli Stati Maggiore e il direttore dell’Intelligence Nazionale. Una scelta senza precedenti.
63 anni, ex Ceo della campagna elettorale di Trump, Bannon è la vera eminenza grigia della nuova presidenza Usa.
Nato in Virginia in una famiglia democratica, il ‘Richelieu’ di Donald Trump si fa le ossa nel mondo dell’alta finanza. Negli anni Ottanta, dopo aver fatto il servizio militare nella Navy, lavora a Goldman Sachs, la banca d’affari che in campagna elettorale era stata messa sul banco degli imputati da Trump come simbolo dell’avidità ‘ di Wall Street, poi passa a Hollywood.
Lì, nel 1990, si mette in affari con un compagno di studi a Harvard, Scot Vorse, e tra i clienti dello studio di consulenza Bannon & Co ci sono Silvio Berlusconi e il principe saudita Talal al Waleed.
Ma è a Breitbart, il giornale online di estrema destra creato nel 2007 durante una visita in Israele dal defunto commentatore conservatore Andrew Breitbart, che Bannon trova la sua identità .
Ne prende le redini nel 2012 alla morte del proprietario e fondatore, trasformandolo in un punto di incontro per la ‘alt-right’ e per i movimenti nazionalisti bianchi che includono l’antisemitismo e la xenofobia nella loro agenda.
Nemico della stampa mainstream, qualche giorno fa Bannon ha definito i media tradizionali “il vero partito di opposizione” e ha intimato loro di “tenere la bocca chiusa”. “Ci chiamiamo il Fight Club”, aveva detto nel 2016 al Washington Post l’allora stratega definendosi “viralmente anti-establishment”. Intanto, con lui al timone, Breitbart dilagava in Europa con uffici a Berlino, Londra e Parigi (dove erano e saranno in corso elezioni cruciali) a sostegno di leader populisti e di destra come Marine Le Pen.
Bannon ha aperto qualche anno fa anche un ufficio a Roma guidato da Thomas Williams, un ex sacerdote.
La decisione di inserirlo nella riorganizzazione del consiglio nazionale per la sicurezza (Nsc), arrivata tramite un ordine esecutivo, ha scatenato non poche polemiche. Ora Bannon parteciperà a tutte le discussioni di alto livello, mentre gli altri due dirigenti “allontanati”, a differenza del passato, saranno ammessi solo quando si tratteranno questioni legate alle loro aree di competenza.
Va ricordato che il National security Council, guidato dal generale Mike Flynn, è l’organo principale che consiglia il presidente sulla sicurezza nazionale e sugli affari esteri.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 30th, 2017 Riccardo Fucile
I BIG USA SI RIBELLANO E APRONO AI RIFUGIATI…IL FONDO DI GOOGLE, ALLOGGI GRATIS DA AIRBNB
I provvedimenti di Donald Trump che bandiscono dagli Stati Uniti i migranti da sette Paesi islamici e l’ingresso ai rifugiati provocano la reazione delle imprese: chi prende direttamente posizione è Starbucks, la famosa catena di caffetterie, che assumerà 10.000 rifugiati in tutto il mondo nei prossimi cinque anni in risposta al decreto anti-immigrazione del presidente americano.
Lo ha annunciato lo stesso fondatore della catena statunitense, Howard Schultz.
E’ solo uno dei gesti clamorosi che le grandi Corporation stanno mettendo in atto.
I dirigenti di Google, ad esempio, hanno dato vita a un fondo già dotato di 2 milioni di dollari, che con le donazioni dei dipendenti potrà raddoppiare, per rispondere alla crisi dei migranti attraverso quattro organizzazioni che si occupano del problema, tra le quali Unhcr.
Mai il motore di ricerca aveva realizzato uno stanziamento simile per rispondere a una crisi.
Ma Airbnb non è da meno: la società degli affitti brevi – molto nota ai vacanzieri – ha detto che metterà a disposizione gratuitamente alloggi per aiutare coloro che sono rimasti intrappolati nel bando di Trump.
Tornando a Schultz, il manager di Starbucks ha preso carta e penna (digitali): “Vi scrivo oggi con grande preoccupazione, il cuore pesante e una ferma promessa”, si legge nella lettera scritta ai dipendenti perchè sappiano che “noi non rimarremo a guardare, non rimarremo in silenzio mentre l’incertenza sulle iniziative della nuova amministrazione cresce ogni giorno che passa”.
Ricordando la “lunga storia” della sua azienda nell’assumere giovani in cerca di opportunità , Schultz ha quindi annunciato: “Ci sono più di 65 milioni di cittadini del mondo riconosciuti come rifugiati dalle Nazioni unite e noi stiamo definendo piani per assumerne 10.000 nei prossimi cinque anni nei 75 paesi del mondo dove è presente Starbucks. E inizieremo qui negli Stati Uniti, concentrandoci inizialmente su questi individui che hanno servito le truppe Usa come interpreti e personale di supporto nei diversi paesi dove il nostro esercito ha chiesto sostegno”.
Sabato scorso, infatti, tra le persone fermate all’aeroporto di New York a seguito della direttiva di Trump, che vieta l’ingresso alle persone provenienti da sette Paesi musulmani (Iraq, Iran, Yemen, Libia, Sudan, Somalia e Siria) c’erano anche iracheni che avevano lavorato come interpreti per i militari americani.
Schultz è anche intervenuto sulla questione del muro che Trump vuole costruire al confine con il Messico, paese dove Starbucks conta 600 caffetterie con 7.000 dipendenti, affermando che bisogna “costruire ponti, non muri con il Messico”.
Per ironia della sorte, le sparate di Trump contro il Paese confinante hanno provocato la reazione dei cittadini messicani, che hanno avviato il boicottaggio dei prodotti-simbolo degli Stati Uniti.
Tornando alla presa di posizione di Schultz, la sua compagnia si è detta in contatto diretto con i dipendenti interessati dal bando sull’immigrazione di Trump e ha garantito che farà “il possibile per aiutarli e permettere loro di districarsi in questo momento complicato”.
Il numero uno ha colto l’occasione per promettere che sia lui che il direttore operativo Kevin Johnson, che dovrebbe sostituirlo come amministratore delegato nel corso dell’anno, inizieranno a dialogare con il personale con maggior frequenza.
“I diritti civili che abbiamo dato per scontati per così tanto tempo sono sotto attacco, e vogliamo utilizzare una forma di comunicazione più immediata per capire e dialogare con voi sulle cose che ci stanno a cuore”.
(da agenzie)
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Gennaio 30th, 2017 Riccardo Fucile
COSI’ IL GIOVANE LIBERALE E’ DIVENTATO L’IDOLO ANTI-TRUMP… NEL 2013 HA PORTATO IL PARTITO DA 36 A 184 SEGGI, UN RISULTATO MAI VISTO
“Io e mia moglie Sophie siamo addolorati”, scrive il premier Justin Trudeau nei minuti che seguono
l’assalto al Centro culturale islamico del Quèbec.
Il premier condanna l’attentato e al contempo rinnova con forza il suo “inno alla tolleranza”. “I musulmani canadesi – sottolinea – rappresentano un elemento importante del nostro tessuto nazionale. La tolleranza religiosa è un valore a noi caro. La diversità è la nostra forza”.
“La diversità è la nostra forza”. Proprio con questo stesso slogan, il premier canadese si era opposto poche ore prima ai respingimenti statunitensi. “A tutti coloro che fuggono dalla persecuzione, dal terrore e dalla guerra – aveva twittato lui mentre all’aeroporto JFK di New York scoppiava il caos – voglio dire che il Canada offrirà sempre il suo benvenuto. Non importa quale sia la vostra religione, il vostro credo. La diversità è la nostra forza”. E con quel suo #WelcomeToCanada è diventato per molti “il presidente anti Trump”, il volto del multiculturalismo e dei diritti da opporre alla logica delle barriere
Dalle parole ai fatti. Poi l’annuncio: “Il Canada offrirà la residenza temporanea a tutti quelli bloccati negli Usa a seguito dell’ordine esecutivo di Trump sull’immigrazione”, come ha comunicato ieri il ministro dell’Immigrazione canadese Ahmed Hussen.
Sin dalla campagna elettorale tra le file del partito liberale, e poi come presidente dal 4 novembre 2015, Trudeau ha fatto dell’accoglienza ai rifugiati un elemento chiave della sua azione politica.
Sin da quando il liberale si è insediato, nel Paese sono già stati accolti quarantamila rifugiati – negli Usa, invece, quindicimila
Ma chi è Trudeau? Affascina ancora i suoi elettori? E perchè il mondo vede in lui un simbolo “anti Trump”?
La “dinastia” liberale. Justin è figlio di Pierre, volto storico dei liberali canadesi – ne fu il leader dal 1968, per più di sedici anni.
Fu anche lui primo ministro, governando il canada a più riprese per oltre quindici anni, per poi ritirarsi dal palco della politica nel 1984. Anche Pierre, come poi Justin, è stato un premier che ha raggiunto grande popolarità a livello internazionale, ma che non ha mancato di riscuotere critiche all’interno del Paese, soprattutto per la sua fervente opposizione all’indipendenza del francofono Quèbec.
Nel 2000, quando Justin ha 29 anni, suo padre muore ed è proprio il commosso discorso funebre del figlio a portarlo per la prima volta al centro delle attenzioni dei canadesi.
Un risultato mai visto. Il debutto vero e proprio nella vita politica risale al 2008; nel giro di un anno è il volto dei liberali per temi come il multiculturalismo e l’immigrazione, temi che sono rimasti tuttora al centro delle sue scelte politiche. Aprile 2013: Trudeau conquista la leadership del partito.
Nel giro di due anni riesce a riportarlo al governo e a fargli espugnare il parlamento con un risultato mai visto prima nel Paese: da 36 seggi a 184.
Un’ascesa da record, ottenuta al grido di “Cambiamento!”, in un Canada afflitto da recessione e disoccupazione.
Il progressista yogi. Giovane e bello, Trudeau viene presto acclamato come il volto simbolo del progressismo, anche fuori dai confini canadesi. E’ tra le 100 persone più influenti al mondo secondo “Time” e la sua “luna di miele” con l’elettorato dura più a lungo del solito, con due canadesi su tre che dopo un anno al governo ancora gli affidano il loro gradimento.
Le sue promesse, per molti, suonano allettanti: dalla riduzione del deficit alla legalizzazione della marijuana, dalla lotta al cambiamento climatico alla difesa dei diritti di gay e transgender.
Trudeau è anche un femminista dichiarato, il suo gabinetto è composto per metà di donne ed è il più multiculturale della storia del Canada. Rifugiati, immigrati, musulmani, aborigeni, disabili: “Eccovi un governo che è anche una fotografia del nostro Paese”, promette e mantiene Trudeau. E poi c’è la svolta annunciata in politica estera: pacifismo piuttosto che interventismo, politica della porta aperta.
Ma neppure il nuovo idolo liberale, fotogenico come pochi, si salva dagli inciampi. Nel corso dei mesi il bilancio del Paese non registra i progressi promessi, anche l’annunciato disimpegno in Iraq e Siria appare confuso. Pure tra i personaggi “pop” c’è chi si rivolta contro il premier “pop”: Jane Fonda, ad esempio, consiglia di “non fidarsi del premier di bell’aspetto”.
Il motivo della delusione sua e di altri vip di Hollywood come Leonardo Di Caprio è il via libera del canadese a un oleodotto lungo le Trans Mountains, a dispetto della vocazione ambientalista annunciata dal liberale in campagna elettorale.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 30th, 2017 Riccardo Fucile
“ATTACCO TERRORISTICO CONTRO I MUSULMANI”… DUE ARRESTATI…COME MAI LA FOGNA XENOFOBA ITALIANA NON CONDANNA?
Sei persone sono state uccise e altre otto sono rimaste ferite in una moschea di Quebec City quando alcuni uomini hanno aperto il fuoco su decine di fedeli riuniti per la preghiera della sera.
Un’azione che il primo ministro canadese Justin Trudeau ha definito “un attacco terroristico contro i musulmani”. La polizia, che indaga per terrorismo, ha reso noto che due persone sono state arrestate e che nulla porta a ritenere che ve ne siano altre in fuga.
L’attacco è avvenuto intorno alle 20 ora locale, nella sezione maschile della moschea, mentre una cinquantina di persone era raccolta nel luogo di culto.
Un testimone ha riferito a Radio Canada di aver visto due uomini coperti da maschera nera e che uno aveva un “marcato accento del Quebec”.
“Perchè sta accadendo qui? È una barbarie”, si è chiesto il presidente del centro culturale islamico, Mohamed Yangui, che al momento dell’attacco non era nella moschea.
Yagui ha quindi precisato che è stata attaccata la sezione maschile della moschea e che sono stati uccisi cinque uomini, ma ha anche detto di temere che tra le vittime vi siano dei bambini.
Dai racconti di chi era presente, ha aggiunto, all’interno del centro durante l’attacco c’erano tra le 60 e le 100 persone.
Nel giugno scorso, durante il ramadan, davanti all’ingresso del luogo di culto situato in via Sainte-Foy era stata lasciata una testa di maiale.
Negli ultimi anni in Quebec gli episodi di islamofobia si sono moltiplicati, intrecciandosi al dibattito politico sul bando al niqab.
Nel 2014 il Centro era stato oggetto di vandalismo e di messaggi di odio. Nel 2013 una moschea della regione di Sagueneay era stata imbrattata con sangue di maiale. Nella vicina provincia dell’Ontaria, il giorno dopo gli attentati di Parigi era stato dato alle fiamme un altro centro di preghiera islamico.
“Stasera i canadesi piangono le persone uccise in un vile attacco a una moschea di Quebec City. Il mio pensiero va alle vittime e ai loro familiari”, ha commentato su Twitter Trudeau
Il primo ministro canadese ha poi diffuso un comunicato in cui ha condannato “questo attentato terroristico contro musulmani che erano in un luogo di culto e rifugio”.
Nel manifestare il proprio cordoglio, il capo del governo del Quebec, Philippe Couillard, ha sottolineato che il suo esecutivo è “mobilitato per garantire la sicurezza della popolazione” e ha annunciato manifestazioni di solidarietà in tutta la provincia.
L’attacco di Quebec City ha avuto eco immediata a New York, dove è stata rafforzata la sorveglianza alle moschee e ad altri luoghi di culto. “La polizia garantisce ulteriore protezione alle moschee della città . Tutti i newyorkesi siano vigili. Se vedono qualcosa, lo dicano”, ha twittato il sindaco Bill de Blasio
(da agenzie)
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