Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile
SONO CINQUE, RECLUSE DA 30 ANNI A LATINA… RIFIUTANO OGNI RAPPORTO CON LO “STATO BORGHESE”
Irriducibili. Chiuse nel loro passato di sangue, si aggrappano con tutte le forze a ideali ormai frantumati,
usano il linguaggio degli anni di piombo, si chiamano “compagne” tra loro e rifiutano, con ostinazione incrollabile, qualsiasi rapporto con le istituzioni e con quello che continuano a definire “lo Stato borghese”.
Potrebbero uscire dal carcere, in semilibertà o ottenere facilmente benefici di legge o permessi temporanei con una semplice domanda ma nessuna di loro lo fa. Vagheggiano la lotta armata, inneggiano alla rivoluzione, si trincerano dietro slogan ormai sbiaditi dal tempo nonostante la stragrande maggioranza dei loro ex compagni, quelli che avevano imbracciato le armi come tanti altri di una generazione perduta, siano ormai liberi, tra pentiti, dissociati, graziati, collaboratori di giustizia.
È un mondo a parte, un mondo in bianco e nero quello della sezione di Alta Sicurezza del carcere di Latina, tetro istituto di pena costruito nel 1934, un rettangolo di mattoni color rosa spento, circondato da una barriera di metallo, dove, dalla fine degli anni 80, sono detenute le ultime cinque brigatiste ancora votate allo scontro senza quartiere.
Si chiamano Susanna Berardi, Maria Cappello, Barbara Fabrizi, Rossella Lupo e Vincenza Vaccaro, hanno tutte una condanna all’ergastolo sulle spalle e un curriculum fatto di arresti, sparatorie, omicidi e rivendicazioni.
Sono sulla sessantina, non parlano con nessuno che rappresenti, in qualche modo, un’istituzione e, a guardarle, sembrano tranquille signore che si avviano alla terza età e che, in qualche modo, cercano di curare aspetto e forma fisica (qualcuna non rinuncia a truccarsi). Per il resto, chiusura totale.
Negli ultimi mesi, al gruppo si sono unite altre due detenute politiche, Anna Beniamino e Valentina Speziale, provenienti dalle file del terrorismo anarchico.
La stessa sezione di Alta Sicurezza, una versione un po’ ammorbidita del carcere duro, è divisa in due piani: quella delle ex terroriste e quella delle donne condannate per mafia o narcotraffico. Nessun rapporto tra i due gruppi.
Una sorta di gineceo blindato all’interno di un carcere maschile dove tutto sembra immobile da anni, il computer (ovviamente non collegato in rete) è arrivato soltanto di recente e poche delle detenute hanno mai usato un bancomat o un telefono cellulare.
Su questa piccola isola, unica nel suo genere nell’arcipelago carcerario, gravano alcune ombre, specialmente in un periodo in cui l’incubo del terrorismo nazionale e internazionale torna ad affacciarsi.
Una sorveglianza a scartamento ridotto denunciata dal sindacato Ugl della polizia penitenziaria. “In tutta la sezione di alta sicurezza ci sono 35 detenute ma, per sorvegliarle, soltanto 13 agenti donne. Ne servirebbero almeno 4 o 5 per turno ma in servizio ce n’è soltanto una”, denuncia il segretario nazionale Alessandro De Pasquale, che si è rivolto al prefetto di Latina e al Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria. “In queste condizioni, garantire la vigilanza è praticamente impossibile”
Nadia Fontana, la direttrice del carcere, rifiuta educatamente, ma fermamente, qualunque colloquio con i cronisti.
Eppure le sette recluse “politiche”, almeno ideologicamente, non hanno mai deposto le armi e sono ancora un pericolo: nel corso delle indagini sull’omicidio di Massimo D’Antona, il giuslavorista assassinato a Roma, in via Salaria, il 20 maggio del 1999 (un omicidio che fu l’esordio di sangue delle Nuove Brigate Rosse), nelle celle delle irriducibili, a Latina, vennero trovate le bozze di un volantino di rivendicazione, scritte in parte a mano e in parte a macchina, nascoste tra le pagine di libri e riviste.
L’inchiesta si concentrò soprattutto su Maria Cappello, una figura emblematica del gruppo.
Coinvolta nell’assassinio del sindaco di Firenze, Lando Conti, ucciso con 17 colpi di pistola il 10 febbraio 1986, è rinchiusa nella sezione di Alta Sicurezza da quando aveva 34 anni. Oggi ne ha 63.
Ogni anno viene accompagnata con un mezzo blindato a Trani, per incontrare il marito, Fabio Ravalli, che sta scontando l’ergastolo per gli stessi reati, arrestato nell’88 in un covo di via della Marranella a Roma.
“Anna”, questo il suo nome di battaglia, aveva inventato una sorta di codice segreto, basato sul gioco degli scacchi, per sfuggire alla censura. A trovarla in carcere va, regolarmente, il figlio che abbandonò quando aveva 8 anni per entrare in clandestinità .
Costrette ad accettare i pochi incarichi remunerati disponibili, come la pulizia interna, le brigatiste, nel 2010, protestarono per la riduzione di queste opportunità : prima guadagnavano circa 400 euro e in seguito la paga si ridusse a 30.
Ultimamente, grazie all’associazione Solidarte, si sono dedicate a lavori di artigianato in cuoio creando un piccolo marchio, “Pig” che ha un doppio significato: la pelle del maiale che usano per creare alcuni oggetti e la sigla “Pellacce in gioco”.
Per far passare le interminabili giornate nelle celle singole e negli spazi riservati alla socialità , le ex terroriste hanno aderito per qualche tempo a un progetto dell’associazione “Centro Yoga e Shiatsu Shiayur”. “Si sono consultate tra di loro e hanno detto sì” spiega il direttore, Rosario Romano. “Le ricordo intelligenti, educate, collaborative. A un certo punto però decisero di smettere: continuare a seguire il corso voleva dire accettare le istituzioni che loro rifiutano”.
Irriducibili.
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile
“DESTRA E SINISTRA CONCEZIONI CHE APPARTENGONO AL PASSATO, INUTILE SBANDIERARE LA SOVRANITA’ QUANDO NON LA SI HA PIU’ ”
La crisi della sinistra è venuta a noia a Massimo Cacciari, che pure l’ha indagata come pochi. Ma, nella difficoltà di afferrare il nuovo ordine (o disordine) globale, il Novecento si prende la rivincita sulla Storia e torna a proporre le logiche politiche di ieri.
Cosa possiamo dedurre dal trionfo di Hamon, la sinistra della sinistra francese?
«Il problema, in Francia e nel resto d’Europa, non è quale sinistra vinca ma se la sinistra vince alle elezioni che contano. E la risposta è no. È già capitato che alle primarie, anche locali, prevalesse la sinistra sinistra. Come Hamon a Parigi, a Venezia passò Casson. Ma poi si perde regolarmente. Nessuna sinistra, socialdemocratica o meno, può vincere oggi in Europa».
Perchè non vince più?
«Ci sono ragioni storiche e strutturali. Da una parte è venuta meno la classe operaia, il suo blocco sociale di riferimento, dall’altra la sinistra non ha capito la crisi fiscale dello Stato. Non c’è più spazio per la sinistra tradizionale, certamente non per i D’Alema e i Bersani. Ma non ce ne sarebbe neppure per i grandi socialdemocratici del passato come Willy Brandt. Il mondo è cambiato e la sinistra appartiene al mondo di ieri. Come la destra».
E il presidente Trump?
«Trump non viene dalla destra tradizionale, che non lo voleva. E non vengono da lì i Grillo, i Salvini o i pro Brexit del Regno Unito, dove i Tory erano piuttosto europeisti. Anche Renzi non viene dalla sinistra tradizionale. O archiviamo i parametri del passato o sarà la catastrofe».
Per la sinistra o per il mondo?
«Per tutti. Lo Stato nazionale non ha più la sovranità politica sui flussi di capitale, il lavoro dipendente si è polverizzato, le diseguaglianze crescono a dismisura e i poteri politici non sanno per loro natura affrontare problemi di questo genere. L’unica cosa che potrebbero fare è smetterla di sbandierare la sovranità che non hanno più e dire la verità sul poco che possono fare».
Tipo il reddito di cittadinanza?
«Quella è la strada giusta. Se ci illudiamo che ci sarà di nuovo uno sviluppo capace di produrre più lavoro sbagliamo. È ancora il mondo di ieri, quello in cui si credeva che la rivoluzione tecnologica avrebbe aperto nuovi settori. È un fatto: sebbene in occidente la ricchezza continui a crescere si riducono le chance per il lavoro. Ma non per questo bisogna lasciare la gente senza le risorse minime. È una delle poche cose serie dette dal Movimento 5 Stelle: o ragioniamo per provare a evitare il disastro o siamo finiti. Credete che le misure imposte dalla Troika alla Grecia passerebbero in Italia senza sparare? Se cadi dal primo piano reggi, dal terzo crepi».
Francesca Paci
(da “La Stampa”)
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Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile
“NEI GESTI DEL SUO GOVERNO CI SONO I SEGNI DELL’ODIO”
Quando risponde al telefono, Art Spiegelman chiede un momento per riflettere, «altrimenti il mio
primo istinto sarebbe rovesciarle addosso una valanga di insulti, che non potrebbero essere pubblicati sul suo giornale».
Poi l’autore di «Maus» si ricompone, e attacca: «Steve Bannon, il consigliere di Trump autore dei suoi decreti, è uno xenofobo, antisemita e misogino, legato ai gruppi neonazisti di Alt Right. Trump non è abbastanza sofisticato per capirlo, ma tutto questo è parte di un piano preparato e annunciato pubblicamente da tempo dai suprematisti bianchi. Non a caso, il decreto sul bando dei musulmani è stato firmato proprio nel Giorno della Memoria dell’Olocausto».
Sta dicendo che lo hanno fatto apposta?
«Certo, sono antisemiti. Non vi siete accorti che nel comunicato per il Giorno della Memoria non c’era nemmeno la parola ebreo? Qualcuno lo ha fatto notare, pensando che si trattasse di una svista, ma la Casa Bianca ha confermato che non voleva citare di proposito gli ebrei, ricordando l’Olocausto».
Secondo lei perchè?
«Era un segnale lanciato ai gruppi neonazisti di Alt Right, che Trump ha sempre tollerato al suo fianco. America First è uno slogan razzista e suprematista».
Lei è nato in Svezia da una coppia di ebrei polacchi sopravvissuti all’Olocausto, e quando era bambino vi trasferiste negli Usa. Sta paragonando la sua esperienza a quella dei rifugiati di oggi?
«Esatto».
E sta dicendo che l’America ha perso il senso di solidarietà e accoglienza offerta a voi?
«La storia dell’accoglienza degli ebrei negli Stati Uniti dopo l’Olocausto è meno rosea di quanto si racconti, e ora quella stessa repulsione viene applicata ad altri esseri umani. Trump è molto peggio di quanto mi aspettassi, nel suo governo ci sono tutti i simbolismi iniziali del nazismo».
Lui dice che il bando non è contro i musulmani, ma contro i terroristi che minacciano di colpire l’America.
«È fuori dalla realtà . Primo, nella lista dei Paesi banditi non ci sono Egitto e Arabia, quelli da dove venivano gli attentatori dell’11 settembre, e anche quelli dove Trump ha interessi commerciali. Secondo, dal 2001 ad oggi gli Usa non sono stati più colpiti da terroristi venuti dall’estero: o siamo stati fortunati, oppure le misure di prevenzione adottate dalle amministrazioni repubblicane e democratiche hanno funzionato. Terzo, tutti gli esperti di sicurezza sostengono che per proteggere il Paese bisogna concentrarsi sugli individui che vogliono attaccarlo, non su interi Stati in maniera indiscriminata. Questo è un provvedimento che non ha alcun senso pratico, è solo un atto politico demagogico. Qualcuno ha detto che la Statua della Libertà piange: vogliono distruggere le fondamenta dell’America».
Però oltre 60 milioni di elettori hanno votato Trump, aspettandosi questo genere di provvedimenti. Perchè?
«Dicono che sia stata una risposta alla crisi economica. In parte è vero, ma io vedo soprattutto una reazione a dove sta andando l’America. Abbiamo avuto il primo presidente nero, i matrimoni gay, il dibattito sui bagni bisex, come peraltro sono in tutte le nostre case. Una parte della popolazione si è ribellata. Io devo dividere il bagno con un finocchio? Farmi ordinare da un nero come comportarmi, e poi da una donna? Le elezioni di novembre sono state il colpo di coda, l’ultimo conato della parte peggiore della mia generazione. Ma quando passerà , se Trump non farà troppi danni, torneremo sulla strada che stavamo percorrendo».
Come?
«Dobbiamo riscoprire la mentalità dei miei cari Anni Sessanta, quando la gente decise di organizzarsi e mobilitarsi contro un potere che violava i suoi diritti. Io sono stato alla marcia della donne, un esempio della resistenza permanente da costruire. Per fortuna, il sistema giudiziario sta già reagendo. Dobbiamo tornare al volontariato, l’organizzazione di base dell’origine. Poi è necessario riformare il Partito democratico, affinchè a guidarlo non sia solo un settantenne come Sanders. Bisogna fare in modo che l’America esca da questo disastro, usandolo per mettersi definitivamente alle spalle l’ideologia che lo ha provocato».
Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa”)
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Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile
RAZZISMO COME ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA
“Trump sta continuando ciò che ha iniziato durante la campagna elettorale: attinge dalla paura generata dalla xenofobia che rende la gente entusiasta di muri e divieti, e la distrae da tutte le promesse che non saranno mantenute”.
A scriverlo è Suad Abdul Khabeer, assistente professoressa alla Purdue University, in un articolo su Al Jazeera, emittente panaraba, commentando il decreto con cui il presidente degli Usa ha bloccato ingresso negli Stati Uniti a rifugiati e cittadini di 7 Paesi a maggioranza islamica.
Il tycoon, spiega l’accademica, “ha ottenuto il supporto alla sua improbabile candidatura fomentando la marea, già ribollente, del razzismo anti-musulmano negli Stati Uniti“.
Con la recente introduzione del Muslim Ban, Trump sta “dicendo semplicemente ai suoi sostenitori ‘ti ho detto che avrei fatto qualcosa per questo spauracchio — l’islam e i musulmani — e guarda, lo sto facendo’.
E questo qualcosa — conclude la Khabeer — “è doppiamente importante” per “quelle persone che credono” che bisogna fare l’america “great again“.
Dalle proteste contro la nuova amministrazione, sono emerse figure di richiamo. Come Munira Ahmed, 32 anni, freelance, diventata “il simbolo della resistenza a Trump” — scrive il Guardian — durante la “Women March” di sabato scorso.
Munira è infatti la protagonista di un celebre manifesto nato nel 2001, dopo l’11 settembre, in cui indossa come velo una bandiera americana. La foto è stata scattata dal fotografo Ridwan Adhami.
“Il messaggio che ho voluto trasmettere — racconta Ahmed a al Arabiya — è che un’americana non è meno musulmana di chiunque altro. Una musulmana non è neanche meno americana di qualcun altro. Queste cose non si escludono a vicenda”. Al giorno d’oggi però, prosegue la freelance, “affronto costantemente la discriminazione ogni volta che torno negli Usa, dopo un viaggio all’estero. Quando attraverso la dogana in aeroporto, sono sempre fermata per essere interrogata su questioni secondarie, anche se il mio passaporto americano afferma chiaramente che questo è il mio luogo di nascita. So certamente che tutto ciò ha definitivamente a che fare con il mio nome, Munira Ahmed“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile
SE TUO FRATELLO GUARDA IL MONDO E NOI NON GUARDIAMO NE’ IL FRATELLO NE’ IL MONDO, L’UNICO ORIZZONTE POSSIBILE E’ LA MORTE INTERIORE
L’arte ci ha già detto tutto, solo che non sappiamo guardarla e ascoltarla. O magari ascoltiamo quelli
sbagliati, perdiamo tempo coi Modà e non sappiamo nulla di Woody Guthrie. Appunto: Guthrie.
Una volta ha scritto: “Credo che il vecchio Trump sappia bene quanto odio razziale abbia fomentato in quella lattina di sangue che è il cuore degli uomini”.
Chi era quel Trump? Fred Jr, padre dell’attuale Presidente degli Stati Uniti. Evidentemente, e tra le altre cose, si eredita anche il razzismo.
La canzone si intitola Old Man Trump e ve la consiglio.
Come vi consiglio queste parole tratte da L’America, monologo del 1976 di Giorgio Gaber e Sandro Luporini: “Non c’è popolo più stupido degli americani. La cultura non li ha mai intaccati”.
Esageravano, consci e divertiti di esagerare, e sono sicuro che neanche loro credevano di essere così vicini al vero.
Gli americani ci hanno preso in giro per anni per Berlusconi, e hanno fatto bene. Ora però ne hanno uno parecchio peggio in casa: auguri.
Ancora arte, ancora musica.
Roger Waters — uso il nome che gli avete dato all’anagrafe e non quello, “Dio”, che gli appartiene per manifesti meriti artistico-esistenziali — immaginò nel 1983 una casa di riposo atta a ospitate gli ex dittatori, o presunti statisti, ormai definitivamente rincoglioniti.
La chiamò Fletcher Memorial Home, in onore del padre Eric Fletcher. Ecco: Trump ci starebbe benissimo. Cioè malissimo.
In pochi giorni, questa caricatura vivente ha garantito che costruirà un muro (e anche qui Dio Waters aveva già detto tutto) tra Stati Uniti e Messico.
Ha bloccato gli ingressi a cittadini di 7 Stati a maggioranza musulmana (ma l’Arabia Saudita no: con quella ci fa ancora affari).
Ha scambiato la Premier inglese per una pornostar.
Ha rivalutato la tortura, sfanculato l’Europa (tranne quel galantuomo di Putin) e promesso altri capolavori di tal sorta.
Manca solo che ci riveli di avere per secondo nome “Apocalisse”, o se preferite “Mefisto”, e poi siamo a posto.
In tutto questo, anche in Italia, l’Europa non dice quasi nulla, perchè questo è pur sempre il Capo. E chi nasce suddito resta tale, anche — e soprattutto? — se il Capo è uno stronzo da competizione.
C’è un aspetto filosofico, se volete schopenhaueriano in tutto questo: non c’è peggior specie di quella umana, che merita per questo ogni sfacelo, e Trump è lì a ricordarcelo in tutta la sua — e nostra — smisurata bruttezza morale.
Siam sempre lì: non è che gli alieni non esistono. Esistono eccome. Solo che gli facciamo così schifo che, pur di non venire sul Pianeta Terra, preferiscono passare il tempo a picchiare ET e leggere Dylan Dog. Li capisco.
Lasciato però da parte tutto ciò che è artistico e filosofico, della vicenda Trump — peraltro appena iniziata — non resta che lo sgomento. L’immane sgomento.
E’ come se la politica inseguisse la ciclica perversione di costringerci a rivalutare il passato.
In confronto a Trump, persino i Bush paiono quasi accettabili. Ci attendono tempi tremendi, perchè Trump non è il Presidente della Bocciofila di Poppi ma l’uomo più potente del mondo.
Non coltivo grandi speranze, se non forse due.
La prima è che questo disastro umano costringa i “democratici” americani a un drastico ripensamento: se proponi una come Hillary Clinton, poi i Donald Trump te li meriti.
La deriva xenofoba è certo figlia della povertà e dell’ignoranza, ma è anche frutto del fallimento arrogante e perdurante di questa cazzo di “quasi-sinistra” che ha fallito pressochè ovunque.
La seconda speranza è che, dalle nostre parti, e cioè nella cara e vecchia Europa, questo parossismo di inciviltà e insensibilità ci costringa a restare umani. Lo diceva Vittorio Arrigoni, che per questo è morto. E lo dovremmo dire anche noi, se solo non fossimo — troppo spesso — così mostruosamente stupidi, menefreghisti e pavidi.
Se tuo fratello guarda il mondo, e noi non guardiamo nè il fratello nè il mondo, l’unico orizzonte possibile è la morte: quella interiore, che è poi quella peggiore
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 31st, 2017 Riccardo Fucile
ANTIFEMMINISTA, ATTRATTO DAI SUPREMATISTI, PRO ISRAELE
Ammira Donald Trump, Marine Le Pen e le forze armate israeliane, ma anche il senatore McCain, George Bush, il New Democratic Party del Canada, e viene descritto dai compagni di classe come un «nerd» solitario ed emarginato.
Il profilo di Alexandre Bissonnette, lo studente di 27 anni incriminato per la strage nella moschea di Quebec City, corre lungo il confine tra l’estremismo xenofobo e l’instabilità caratteriale.
Bissonnette è un canadese francofono, nato a Cap-Rouge e iscritto alla Universitè Laval, dove seguiva i corsi di Scienze politiche.
La sua pagina su Facebook, cancellata dopo l’arresto, pubblicava foto personali non particolarmente significative, tranne quella che lo ritraeva come cadetto della Royal Canadian Army, ma anche alcune indicazioni delle sue opinioni.
I «like» erano dedicati al nuovo presidente degli Stati Uniti, alla candidata della destra francese all’Eliseo, e alle forze armate israeliane, ma anche al senatore McCain, che sta emergendo come uno degli oppositori repubblicani più determinati del capo della Casa Bianca, e al New Democratic Party del Canada, cioè una formazione di sinistra.
Davanti alla domanda se Bissonnette sia stato motivato dalle dichiarazioni di Trump sugli immigrati, dalle polemiche suscitate dal suo decreto che bandisce i cittadini di sette Paesi islamici, o dalla decisione del primo ministro Justin Trudeau di offrire ospitalità ai rifugiati rdagli Stati Uniti, il premier della regione del Quebec Phillippe Couillard ha risposto così: «Viviamo in un mondo dove le persone tendono a dividersi, invece di unirsi. Il nostro Paese, il Canada e il Quebec, deve rimanere un faro di tolleranza».
Per capire meglio la personalità di Alexandre, i media locali si sono rivolti a chi lo conosce, in particolare ai suoi compagni di studi.
Mikael Labrecque Berger ha detto a «Le Journal de Quebec» che Bissonnette ha un fratello gemello con cui passava quasi tutto il suo tempo: «A parte lui, non lo vedevo mai con altra gente».
Secondo Labrecque, il killer era «un nerd non popolare, e gli altri ragazzi non lo prendevano sul serio. Rispondeva agli insulti che riceveva, ma non usava mai la violenza fisica. Lui e il fratello non erano integrati con i compagni».
In altre parole un emarginato, con un profilo che ricorda quello dei giovani introversi e isolati, che in altre occasioni sono esplosi soprattutto nelle scuole americane, sfogando la loro frustrazione con stragi tipo quella avvenuta a Columbine.
Altri compagni, però, intravedono una forte motivazione politica nel suo attacco. Secondo Eric Debroise, che ha contattato la polizia per offrire informazioni, Alexandre «ha opinioni politiche molto a destra, vicine agli ultra nazionalisti e ai suprematisti bianchi».
Quindi ha aggiunto: «Amava molto Trump e aveva un malcontento permanente contro la sinistra».
Un altro studente citato dal «Journal de Quebec», Jean-Michel Allard-Prus, ha raccontato che era in contatto con Bissonnette e spesso discuteva con lui di politica: «Aveva idee di destra, pro Israele, e anti immigrazione. Ho avuto diversi dibattiti con lui riguardo Trump, era evidentemente in suo favore».
Il gruppo Bienvenue aux Rèfugiès ha scritto che il killer «era noto a diversi militanti del Quebec, per le sue prese di posizione identitarie pro Le Pen e antifemministe all’Universitè Laval».
L’inchiesta è appena cominciata, e il fatto che Alexandre è stato catturato vivo aiuterà a capire le sue motivazioni.
Nel frattempo il sindaco di New York de Blasio ha deciso di rafforzare la sicurezza davanti alle moschee della città , temendo il contagio delle violenze contro i musulmani.
Paolo Mastrolilli
(da “La Stampa”)
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Gennaio 30th, 2017 Riccardo Fucile
INVECE CHE PENSARE AI MORTI, DECIDE LUI CHI E’ IL COLPEVOLE, MA RIMEDIA LA SOLITA FIGURA DI MERDA
In una meravigliosa diretta su Facebook ieri si è potuto ammirare quel preveggente di Matteo Salvini
che parla dell’attentato alla moschea di Quebec City e dà un po’ di spettacolo accusando “gli arabi” dell’accaduto: “Quebec, attentato alla moschea, arrestati due attentatori, uno è arabo”, dice Salvini, e poi continua: “Mohamed Khadir, tipico nome notoriamente canadese… che avrebbe urlato ‘Allah Akbar’… quindi tutti i soloni che hanno detto ‘è colpa di Trump, è colpa di Salvini, è colpa dell’islamofobia’… spiegatelo a Mohamed Khadir”.
Purtroppo (per lui) proprio mentre Salvini parlava la polizia canadese confermava che Mohamed Khadir era sentito in qualità di testimone, mentre l’unica persona arrestata per la strage alla moschea di Quebec City era Alexandre Bissonnette, un uomo dal tipico (purtroppo per Salvini) cognome franco-canadese e che sul suo profilo Facebook aveva like alle pagine di Donald Trump e Marine Le Pen (non a quella di Salvini, forse perchè sconosciuto oltreoceano).
Salvini aveva scientemente omesso di citare che c’era un altro arrestato, un particolare che si conosceva da ore, per fare un po’ di campagna elettorale anche sulla pelle dei morti di Quebec.
Gli è andata male. Come sempre.
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 30th, 2017 Riccardo Fucile
PIROZZI: “CON IL SUO TOUR FA SOLO SPECULAZIONI POLITICHE”
“Io sono preoccupato. Primo, in questo momento forse si sta ragionando, non solo su Amatrice, solo sul possesso e sulla roba. Secondo, pure qui c’è un certo mondo che fa speculazioni politiche. E non va bene, soprattutto in un momento in cui una parte dell’Italia è in difficoltà “. Lo ha detto il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi.
“Ricordo – spiega – che i parlamentari sono venuti qui a vedere le difficoltà che viviamo e sono stati edotti sulle problematiche affinchè venissero superate. Ma oggi so di tour presso locali da parte di persone che sono venute qui e sapevano già un mese e mezzo fa quali erano le problematiche. Oggi che si sta partorendo un decreto, io penso che ci rappresenta in Parlamento ci debba dare una mano sia da destra sia da sinistra per dare un contributo e in particolare per non dare il messaggio che l’Italia è un Paese allo sbando”
Al cronista che gli chiede a chi faccia riferimento, Pirozzi risponde: “Io ce l’ho con chi venne qui. Faccio nome e cognome: il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, perchè oggi si sta facendo un tour ieri nelle località di mare dove sono alloggiate le persone negli alberghi perchè, dice, deve recepire le istanze dei cittadini per farle mettere nel decreto… Ma non prendiamoci in giro. Tutti rappresentiamo le istituzioni, poi ci possiamo dividere su Consultellum, Mattarellum e Porcellum, ma su questo tema dobbiamo restare uniti”.
“Io – rimarca Pirozzi – ho fatto venire qui tutti i parlamentari per migliorare la gestione dell’emergenza. Oggi scoprire di tour fatti per portare le istanze dei cittadini mi sembra una cosa che mette anche in cattiva luce il lavoro di tanti sindaci e di un’intera classe politica che per una volta ha votato il decreto terremoto”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 30th, 2017 Riccardo Fucile
E IL BOICOTTAGGIO DEI MESSICANI PORREBBE FINE ALLO SHOPPING OLTRE FRONTIERA CON DANNI MILIARDARI AI COMMERCIANTI DEL SUD
La petizione, intitolata “Impedire a Donald Trump di fare una visita di Stato nel Regno Unito”, recita
che al presidente americano “dovrebbe essere permesso di entrare nel Regno Unito in qualità di capo del governo degli Stati Uniti, ma non dovrebbe essere invitato a fare una visita di Stato ufficiale perchè “la sua ben documentata misoginia e volgarità metterebbero in imbarazzo la Regina nel caso dovesse riceverlo”. Finora le firme raccolte sono oltre 1,2 milioni, un numero straordinario per le abitudini inglesi
Come legge vuole, ogni petizione che supera le 100.000 firme verrà dibattuta in Parlamento.
I piani della visita di Stato sono stati annunciati in occasione della recente visita di May alla Casa Bianca
Il primo ministro si trova in mano una patata bollente: da una parte in ballo i futuri rapporti, soprattutto commerciali, tra Inghilterra e Stati Uniti, dall’altra i rapporti interni che il Governo inglese ha con quel milione e oltre di firmatari che rappresentano una fetta consistenza dell’intera popolazione, circa 65 milioni di persone.
“Boycott Donald J. Trump”.
Non sono più solo gli avversari politici, anche interni al Partito Repubblicano, le organizzazioni femministe o le comunità musulmane a rifiutare le scelte politiche della nuova amministrazione americana.
Dopo le marce di protesta e gli scontri post-elettorali, dopo i numerosi rifiuti degli artisti statunitensi e internazionali di esibirsi durante la cerimonia d’insediamento del nuovo inquilino della Casa Bianca e dopo le denunce di intellettuali e mondo del cinema, da Robert De Niro a Meryl Streep, le iniziative dell’esercito dei No-Trump continuano a nascere.
Alidoosti, star del cinema iraniano e protagonista de Il Cliente di Asghar Farhadi, candidato all’Oscar come miglior film straniero, ha annunciato che non sarà presente per protesta alla cerimonia di premiazione. “Il blocco dei visti per gli iraniani voluto da Trump è razzista. Che si riferisca o meno a un evento culturale, per protesta non parteciperò agli Academy Awards 2017”, ha annunciato con un tweet.
Messico, “Coca Cola, Starbucks e Kfc addio. Boicot a Estados Unidos”
Non solo il mondo musulmano, però. Anche oltre il confine meridionale degli States si è scatenata, soprattutto sui social, una vera e propria “guerra a Trump”.
La grande partecipazione registrata rischia di creare dei problemi alle multinazionali americane che investono in Messico. Da #AdiosCocaCola fino a #AdiosKentucky e #AdiosStarbucks, su Twitter e Facebook è partita la campagna messicana di boicottaggio dei prodotti made in Usa.
A rischio anche il cosiddetto shopping oltrefrontiera messicano, ovvero l’abitudine della classe media di passare il confine per fare acquisti negli Stati a stelle e strisce. Una pratica che, se abbandonata, potrebbe costare agli Usa miliardi di dollari all’anno. Per questo, se il boicottaggio dovesse effettivamente nascere e crescere, creerebbe non pochi problemi al nuovo presidente, con i commercianti degli Stati del sud e multinazionali potentissime come McDonald’s, Burger King e Walmart pronte a bussare alla porta della Casa Bianca.
(da agenzie)
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