Maggio 8th, 2017 Riccardo Fucile
“IL GIORNALE” ATTACCA I SOVRANISTI, INIZIA LA RESA DEI CONTI…. LA MELONI SI AMMORBIDISCE, SALVINI TACE E PENSA A PARARSI IL CULO ALL’INTERNO DELLA LEGA
Il silenzio tombale con cui i populisti italiani hanno accolto la sconfitta di Marine Le Pen alle elezioni per la presidenza della Repubblica in Francia riflette le difficoltà dell’ala sovranista del centrodestra italiano.
Che ieri ha toccato con mano la difficoltà nell’ambire alla vittoria con la “sola destra”. Un concetto ribadito anche dal Giornale di Berlusconi (Paolo), che oggi apre proprio ricordando la “lezione di francese” ai sovranisti italiani.
E Sallusti rigira il coltello nella piaga:
Il dato politico, interessante anche per le vicende italiane, è proprio questo: i partiti radicali hanno un senso se completano un’offerta politica più ampia ma non possono, nè loro nè i loro leader, candidarsi ad esserne la guida. Per quanto ampio sia il malcontento, per quanto modesta e deludente sia la classe politica tradizionale, nell’elettorato prevale la paura del salto nel buio. Altrimenti in Francia i non pochi voti raccolti al primo turno da Fillon con i Repubblicani(partito equivalente alla nostra Forza Italia) sarebbero confluiti su Marine Le Pen.
Non è accaduto, come difficilmente la maggioranza dei voti di Berlusconi potrebbero finire a Matteo Salvini o a Giorgia Meloni. Il che non significa che i loro partiti debbano essere rottamati. Anzi, la loro funzione di costante pungolo, la loro capacità di intercettare senza pregiudizi i sentimenti e i bisogni più profondi può contribuire — come insegna la storia del centrodestra italiano— a non fare perdere alla coalizione il contatto con la realtà .
E la realtà è sempre la solita: la guida del centrodestra deve andare a un moderato.
E la formula deve essere quella che spiega oggi Giorgia Meloni al Corriere della Sera: «Divisi potrebbe essere conveniente, Ma io voglio governare, non sopravvivere. Siamo gli unici – Berlusconi, Salvini e io – che possiamo dare ai cittadini una proposta credibile”
Per il sovranismo di lotta è eloquente il silenzio di Salvini.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 8th, 2017 Riccardo Fucile
E ANCHE LUI DIVENTA EUROPEISTA: “NON VOGLIAMO USCIRE DALL’EUROPA, VOGLIAMO CAMBIARLA”
“Noi stiamo dalla parte dei francesi, prima di tutto: hanno scelto il loro Presidente della Repubblica e da parte nostra a lui vanno tutti i nostri auguri di buon lavoro. Detto questo, è chiaro che si continua a ragionare per destra e sinistra, si perde”.
Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e leader del MoVimento 5 Stelle, ai microfoni di RTL 102.5 è aperturista nei confronti di Emmanuel Macron dopo la vittoria alle elezioni.
“Il partito di Le Pen è considerato, ed è, una destra, e i partiti di sinistra francesi sono fuori dal ballottaggi; ricordo che il PD francese e la Forza Italia francese hanno perso al primo turno. Quanto alla questione dei poteri forti e le cose che si dicono su Macron è sempre la prova dei fatti che dimostra le cose, vediamolo all`opera e vediamo se veramente manterrà fede a quelli che sono i suoi impegni”, dice Di Maio. Che poi traccia una nuova linea di demarcazione nel rapporto tra i 5 Stelle e l’Europa: “Quando abbiamo un capo di Stato dobbiamo ragionare con la cultura delle relazioni internazionali, siamo uno Stato che deve avere relazioni e un interlocutore che è il Capo di Stato di un`altra nazione, e nel caso della Francia che è un Paese del Direttorio europeo, spero si possa fare squadra per cambiare un`Europa che se non cambia muore. Noi non vogliamo uscire dall`Unione Europea, la vogliamo cambiare, che significa prima di tutto un`Europa che inizi ad occuparsi della disoccupazione dei cittadini europei e della povertà in Europa”.
(da “NextQuotidiano“)
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Maggio 8th, 2017 Riccardo Fucile
“STANNO PER RISCRIVERSI I NUOVI EQUILIBRI EUROPEI LA FRANCIA HA PRESO UN GROSSO VANTAGGIO”
“Come ha ricordato l’ex ministro greco Yanis Varoufakis e come posso testimoniare in prima persona, a Macron si deve il fatto che la Grecia non sia finita fuori dall’euro, come voleva il ministro tedesco Schà¤uble”.
È l’ex premier Enrico Letta, in un’intervista a La Stampa, a parlare così del neo presidente francese, Emmanuel Macron.
“Una linea – aggiunge Letta – che definirei, di solidarietà responsabile, che dal 2015 si è fatta strada, consentendo a Paesi come Italia, Francia, Portogallo, Spagna di godere di più ampi spazi di flessibilità e a Draghi politiche espansionistiche che prima non aveva potuto svolgere. Tutto questo fa sperare in una svolta”.
“La sua linea – sottolinea l’ex premier – è quella di una Ue a più velocità . Germania e Francia daranno un forte impulso all’area-euro”.
Ecco come Letta legge ancora il successo di Macron
“Davanti al rilancio di Macron, l’Italia non può rispondere con la palude. O continuando a cullarsi nella speranza del ‘too big to fail’, troppo grandi per fallire. Ricordo che dopo la caduta del muro di Berlino si infilarono nella ‘nuova’ Europa paesi vitali e con forti leadership come la Spagna. Ora, per l’effetto congiunto di Trump e Brexit, della vittoria di Macron e quella degli europeisti in Germania, stanno per riscriversi gli equilibri europei. La Francia, europeizzandosi, ha preso un grosso vantaggio”.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 8th, 2017 Riccardo Fucile
LA STRATEGIA DI MAHJPUBI, CAPO DEL TEAM DIGITALE… E SUI SOCIAL VINCE UNA RESISTENZA INGEGNERIZZATA
à€ la guerre comme à la guerre. La vittoria elettorale di Emmanuel Macron si accompagna a un secondo successo, nella guerra segreta contro gli hacker.
La Francia li stava aspettando da marzo, hacker e leaker.
Come in una caccia in cui gli attaccati si spostano di lato, alle spalle degli attaccanti, e li combattono nello spazio cibernetico.
Sapevano di aver ricevuto un attacco (perchè l’hanno individuato per tempo): potrebbero aver marcato le mail sotto attacco, e averci inserito anche dati falsi. Mounir Mahjoubi, capo del team digitale di Macron, ha dichiarato al Daily Beast: «Puoi inondare le mail sotto attacco con password multiple e login veri, o anche falsi, così chi è dietro l’attacco perde tempo a capire».
Una guerriglia è certo contenuta nel botta e risposta con Wikileaks, cioè uno dei due principali amplificatori su twitter del dossier hackerato (il primo è stato Jack Posobiec, un militante pro Trump che risulta profondamente inserito, sui social, nel network ingegnerizzato della destra americana).
Quando gli strateghi di Macron hanno dichiarato ufficialmente che il materiale hackerato mescolava cose vere e falsi – un modo per smorzarne effetti e credibilità – Wikileaks ha subito twittato polemica: «Noi non abbiamo ancora scoperto falsi nei #Macronleaks, e siamo molto scettici che la campagna Macron sia più veloce di noi». E se, scrive il Daily Beast, quei falsi fossero stati impiantati, come autodifesa, dalla campagna Macron?
Sarebbe il primo caso in cui l’attaccato è due passi avanti agli hacker.
Noi in Italia non siamo abituati a ragionare così; eppure siamo ormai nello scenario di una cyberguerra globale.
Questa cyberguerra – secondo moltissimi analisti terzi, da DSFLab a TrendMicro – vede la Russia di Vladimir Putin schierata contro pezzi di mondo democratico occidentale (aiutata da altri pezzi, e da forze politiche dentro l’Occidente).
Il gruppo di hacker dei Macronleaks sarebbe lo stesso che ha operato l’hackeraggio al comitato dei democratici Usa, danneggiando la campagna di Hillary Clinton (le mail hackerate, in realtà , non contenevano scandali, solo manovre politiche dentro il partito democratico per non far prevalere la candidatura di Bernie Sanders).
Con la vittoria di Trump, a Mosca è andata bene; in Francia il copione è stato diverso. Per due eventi, soprattutto.
La prima reazione che ha scompaginato le carte russe è stata la caduta di Franà§ois Fillon: impallinato dallo scandalo rivelato da Le Canard Enchaà®nè, la moglie pagata otto anni con soldi pubblici per non lavorare. In quel momento si profilava persino un possibile ballottaggio tra Le Pen e, appunto, Fillon, due candidati graditissimi a Mosca.
Chi gira quei documenti al Canard? Il mondo socialista? I servizi? Lo stesso campo repubblicano, in cui non mancano profondi antipatizzanti di Fillon, a partire dall’ex ministro Rachida Dati?
Nessuno lo sa, ma è quello il primo passaggio di una guerra non convenzionale che in questo week end ha visto la sua ultima (per ora) tappa: la novità più incredibile della storia dei #Macronleaks è che il fronte Macron – primo in Occidente – ha reagito con tecniche cibernetiche. Come c’è riuscito? Intanto, conosceva i nemici; e aveva visto l’attacco.
Il 25 aprile TrendMicro, nota azienda di cybersecurity, produce un report in cui annuncia che la campagna Macron è stata vittima a marzo di un attacco hacker, condotto con le stesse modalità di quello a Hillary Clinton, dallo stesso gruppo di hacker (noto con vari nomi, Apt28/Pawn Storm/Fancy Bear/Sednit/Sofacy/STRONTIUM), legato strutturalmente al Gru, il direttorato del servizio segreto militare russo.
Il fronte Macron si limita a dire: «Li abbiamo scoperti in tempo».
Se ne ha eco anche nella controffensiva dei macroniani nel giorno di sabato sui social. Le analisi sono spettacolari: inizialmente (venerdì notte) otto dei dieci tweet più ritwittati sul Macronleaks vengono da hub della destra Usa, e tre da WikiLeaks. Lingua inglese.
Dalla mattina di sabato, nota Ben Nimmo, lo scenario cambia: sette dei dieci tweet più ritwittati sono in francese (mentre due da WikiLeaks, e uno da Posobiec): sorpresa, dei sette tweet francesi, cinque non supportano l’hashtag (#Macronleaks), anzi lo fanno a pezzi.
Chi attacca Wikileaks (@gblardone), chi la Le Pen (@Cyrilefevre), chi (@LibeDesintox) fa notare che i Macronleaks sono spinti dagli stessi account che avevano pompato la bufala sui soldi alle Bahamas di Macron (rilanciata da Le Pen in tv).
Un cluster di tweet molto forte, a forma di mezzaluna, insiste intanto sulla provenienza russa dell’hackeraggio. L’account @MalcolmNance ne è stato il campione.
In sostanza, l’hashtag #Macronleaks, con mezzo milione di tweet in un giorno, ha dominato: ma è stato preso e rivoltato da una valanga di account dentro una nuova cyber-Resistenza francese.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Maggio 8th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO IL TERREMOTO IL LOCALE E’ RIMASTO APERTO PER I SOCCORRITORI
Potrebbero essere costretti a chiudere. Non per il terremoto ma per le mancanze dello Stato.
È la storia dell’unico ristorante rimasto aperto in mezzo alle rovine delle montagne maceratesi, di una famiglia che voleva resistere e di circa 150mila euro di crediti con lo Stato che ora fanno paura più di tutto quello che ha dovuto sopportare in questi lunghi sei mesi.
Nè le scosse, nè le macerie, la neve o il paese-fantasma che la circonda erano riusciti a far andare via Silvia Fronzi da Pieve Torina, uno dei borghi delle Marche piegati dal sisma del 30 ottobre scorso.
Con la mamma e la sorella di 26 anni gestiscono il ristorante “Il Vecchio Mulino” e hanno continuato a farlo anche quando sembrava solo una follia. È stata invece una scelta naturale, sostiene lei: «Sono stata fortunata, la casa era agibile, anche il ristorante. Abbiamo scelto di tenere aperto e continuare a lavorare. Se non l’avessimo fatto dove avrebbero mangiato i soccorritori?».
Dopo i crolli del 30 ottobre, mentre il paese si svuota, anche Silvia è costretta ad andare via in attesa dei controlli di agibilità , ma nemmeno allora interrompe l’attività . Ha una convenzione con il Centro Operativo Avanzato di Macerata da cui dipendono funzionari e operatori addetti al soccorso.
Per settimane ogni giorno percorre 200 chilometri in auto. «Dovevamo servire 200 pasti al giorno e non siamo mai venuti meno al nostro impegno, nemmeno durante le feste».
Sono gli assegni a venir meno all’improvviso. «Da dicembre non riceviamo nulla. Siamo arrivati a circa 150 mila euro di credito con lo Stato. Abbiamo retto finora grazie ai un mutuo che devo restituire alla banca e alla buona volontà dei fornitori ma tra qualche giorno inizieranno a non portarmi più la merce, dovrò chiudere».
Silvia sottolinea che il problema non sono i vigili del fuoco o gli altri operatori che mangiano nel suo ristorante ma «lo Stato, che considera normale non pagare e mettere in difficoltà chi lavora con onestà malgrado le condizioni proibitive».
La vicenda, però, sta diventando un caso istituzionale e politico.
Il problema della burocrazia e dei pagamenti è un tema particolarmente sentito in queste zone dove già riuscire a aprire ogni giorno è un gesto eroico. Beatrice Brignone (Possibile) e Donatella Agostinelli (M5s), hanno presentato interrogazioni parlamentari per chiedere spiegazioni.
«Riteniamo sconcertante che ogni volta che si verificano catastrofi come quella delle Marche, la macchina della burocrazia sia tanto lenta e farraginosa e che sia indegno che le spese, anche nel caso di specie, siano state sostenute solo grazie alle donazioni ricevute», scrive la deputata Donatella Agostinelli che chiede « al Governo una risposta pronta per evitare che persista questa situazione».
Anche la deputata Beatrice Brignone si è rivolta al premier per chiedere «quante sono a oggi le attività con sede nelle zone colpite dal terremoto cui deve ancora erogare i rimborsi per le spese da esse sostenute nell’ambito delle Convenzione pasti tra Stato e Vigili del Fuoco.
Il caso di Pieve Torina non è isolato purtroppo e molte persone non hanno nemmeno più la forza di reclamare un proprio diritto. Il Governo deve dare concretezza agli impegni presi con le popolazioni terremotate, tanto più che con l’avvicinarsi della stagione estiva, molti sfollati sono stati mandati via dalle strutture alberghiere che li avevano ospitati in inverno».
Dopo le interrogazioni la polemica è salita di tono. A Silvia sono arrivate molte critiche e anche qualche telefonata: «Ma certo che lo Stato pagherà , di che ti lamenti?»
Flavia Amabile
(da “La Stampa”)
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Maggio 8th, 2017 Riccardo Fucile
QUANDO EMMANUEL NON SE LO FILAVA NESSUNO E NOI GLI DEDICAMMO DIVERSI ARTICOLI… NELLA SUA VITTORIA C’E L’INDICAZIONE DI UN MOVIMENTO “OLTRE LA DESTRA E LA SINISTRA” CHE RAPPRESENTA UN MODELLO A NOI AFFINE
I nostri lettori più assidui ricorderanno che, a differenza di molti “grandi intellettuali” della destra nostrana, abbiamo iniziato a seguire il neo-presidente francese quando era accreditato al massimo di un 5% e non se lo filava nessuno, liquidando “En marche” come un tentativo velleitario di “un ex ministro socialista”.
Con la mentalità tipica di chi è abituato a vivere di slogan e con l’unico obiettivo di raccattare voti piazzando filo spinato sul pianerottolo di casa, non è che da questi soloni ci aspettassimo molto di più.
Siamo riusciti a farci “scappare” le motivazioni di base che hanno originato il fenomeno grillino, figurarsi se qualcuno poteva “perdere tempo” a studiare Macron.
Più facile dipingerlo come “banchiere” e “uomo al servizio degli ebrei” che come innovatore con il suo “nè di destra, nè di sinistra”.
Abituati ai fancazzisti sovranisti che non hanno mai lavorato in vita loro, era diventato motivo di accusa a Macron persino di essersi laureato nell’università che forma i migliori cervelli di Francia nel campo dell’amministrazione dello Stato.
Se un giovane italiano andasse a lavorare in banca, qualcuno lo definirebbe forse banchiere?
Eppure Macron, di cui non condividiamo peraltro alcune parti del suo programma economico, qualcosa dovrebbe aver insegnato alla destra italiana.
1) Un movimento politico deve essere portatore di valori “coniugati” ai tempi e ai mutamenti della società civile. Fare politica non vuol dire fare testimonianza, ma innovare, in simbiosi con la comunità nazionale in cui si vive.
Macron, qualora qualcuno non l’avesse notato, è entrato nell’amministrazione statale francese per poi lasciarla ed entrare nello staff di una banca, ha lasciato la banca per entrare nello staff di un ministero statale, ha mollato il ministero e il partito per fondare un suo movimento e in un anno è riuscito a farlo diventare il primo partito in Francia.
Una capacità di “rimettersi in discussione” che dovrebbe essere alla base di una concezione della vita affine a certi nostri valori.
2) Ragionare in termini “oltre la destra e la sinistra” non è affatto un’eresia, è stato alla base del successo di tanti movimenti politici della nostra area all’inizio del Novecento, quando “certa destra” borghese e latifondista venne travolta da chi seppe portare, almeno nella fase iniziale, il vento “futurista” del cambiamento.
Anzi, semmai consente di recuperare certe origini che non sono contigue alla destra economica e speculativa, ma attenta ai bisogni sociali.
Adottare un programma che, coi criteri attuali, potrebbe essere definito liberale in economia e sociale nella protezione dei diritti dei lavoratori, è una sintesi perfettibile, ma non certo ostile a una destra moderna.
3) Il richiamo al patriottismo francese collegato a quello europeo è in perfetta linea con quello che dovrebbe essere il percorso ideologico di riferimento della destra post-fascista, quando per primi si rivendicava una Europa-Nazione a fronte degli imperialismi contrapposti Usa e Urss.
Macron ha fatto dell’Europa (da riformare, anche secondo lui) il suo cavallo di battaglia, mentre i sedidenti destri hanno rinnegato, in nome di un ridicolo nazionalismo protezionistico ottocentesco, decenni di battaglie.
Per la prima volta un candidato europeista (critico) batte i populisti che non hanno ancora neanche deciso se uscire dall’euro o meno.
Se i fenomeni politici venissero “analizzati” a tempo debito invece che pigramente cavalcare le fobie o mettersi sulla ruota di sgangherati gregari,, salvo perdere sempre la volata finale, certa sedicente destra avrebbe capito che il popolo non va sempre “assecondato” ma va guidato, che vanno sperimentate nuove forme di comunicazione (lo diciamo da dieci anni, quando ancora i Cinquestelle erano agli albori), che si cresce dicendo cose scomode e non confermando che Ruby fosse la nipote di Mubarak, che gli spazi per una destra reazionaria, razzista e bigotta, oltre a non essere conforme alla nostra tradizione, sono ormai inesistenti, perchè superati dal comune sentire della società civile.
Grazie a questa trasversalità avevamo scommesso da mesi che Macron sarebbe arrivato al ballottaggio, favorito indubbiamente anche dalla crisi di credibilità dei partiti tradizionali .
Emmanuelle ha saputo interpretare la “voglia di cambiamento” di fronte a vecchie cariatidi come Fillon, Hollande e Marine Le Pen.
Perchè nessuno potrà mai vincere per dinastia o intestandosi come madre di tutte le battaglie quelle di invocare il far west, di negare diritti civili agli altri o di affogare esseri umani, occorre metterselo bene in testa.
La deriva sovranista non va subita, va contrastata in nome dei valori di destra, la solidarietà non va lasciata alla sinistra perchè è rinunciare a un nostro valore etico, l’Europa si difende e si cambia, non la si vende a interessi stranieri, spacciando regimi indegni per punti di riferimento.
Quando l’elettore di destra deve scegliere tra una Le Pen e un Macron, sceglie in maggioranza Macron.
Ora forse qualcuno l’avrà capito.
argomento: destra | Commenta »