Giugno 15th, 2018 Riccardo Fucile
E’ L’IMPRENDITRICE IMMIGRATA DELL’ANNO: FUGGITA DAL RUANDA 22 ANNI FA, OGGI GESTISCE UNA COOOPERATIVA
Marie Terese è partita senza valige, senza risparmi, con solo i figli piccoli in braccio. 
È fuggita dal Ruanda, ha attraversato un intero continente, ha dormito per mesi in un container ghiacciato alle porte di Roma, ha avuto il foglio di via, per due anni è stata “invisibile” e senza documenti. Ma non si è arresa.
Oggi Marie Terese dà lavoro a 159 persone, tra assistenti sociali, psicologi, mediatori culturali, di cui ben 147 italiani, accoglie nei suoi centri 800 richiedenti asilo e ha vinto il MoneyGram Award come imprenditrice immigrata dell’anno.
La storia di Marie Terese Mukamitsindo comincia nel 1996 quando atterra a Fiumicino con tre figli di 5, 8 e 17 anni.
La famiglia si è lasciata alle spalle la guerra civile in Ruanda, è arrivata in Tanzania e da lì è volata in Italia. I primi tempi sono difficili: Marie Terese e i sui figli finiscono in un centro d’accoglienza improvvisato vicino a Fregene: “Dormivamo in un container freddissimo, poggiato a terra. Le docce erano distanti dieci minuti a piedi e l’acqua sempre ghiacciata. Dopo qualche mese mi ragiunse anche il mio quarto figlio”.
La donna non ha il permesso di soggiorno e riceve il foglio di via: deve lasciare l’Italia. Ma non mancano i ricordi positivi: “Oggi la gente è impaurita, impoverita, ostile ai migranti. Un tempo era più accogliente. Quando mi è arrivato quel foglio di via ero a Sezze, in provincia di Latina. Molti cittadini, che avevano imparato a conoscermi, proposero di fare una sottoscrizione e andare in questura per farmi avere i documenti”.
Finalmente nel 1998 Marie Terese ottiene l’asilo.
Lavora coma badante, riesce a farsi riconoscere la laurea e si iscrive all’albo degli assistenti sociali.
Nel 2001 realizza il suo primo progetto di accoglienza per donne sole con bambini. Poi nel 2004, con l’aiuto dell’Unhcr e della Comunità europea, apre a Sezze la cooperativa Karibu, con lo scopo di offrire ai richiedenti asilo accoglienza e opportunità di lavoro. L’anno dopo festeggia la cittadinanza italiana.
“Oggi tutti i miei figli sono italiani e sarebbe giusto che chiunque nasca e cresca qui lo sia: per questo quella dello ius soli era una riforma necessaria”.
Oggi la cooperativa di Marie Terese tra case per minori e centri Sprar ospita oltre 800 migranti, con laboratori di lingua, corsi di cucina e di cucito, “perchè l’assistenzialismo senza educazione è inutile”.
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2018 Riccardo Fucile
SUI RICHIEDENTI ASILO PESA CHE NAZIONI COME DANIMARCA, POLONIA, UNGHERIA, SLOVACCHIA E REP. CECA NON HANNO PRESO IN CARICO NESSUN PROFUGO, MA NESSUNO LI HA MESSI IN MORA
Quanti sono i migranti che ogni giorno arrivano in Italia? Sono più o meno di quelli che arrivavano negli anni passati? Quanti sono quelli che restano nel nostro paese? Soprattutto, come si è tornato a dire dopo il “caso Aquarius” , stiamo davvero subendo un’invasione?
La risposta breve è “no”, ma l’argomento è talmente vasto, delicato e complesso che ovviamente ne merita una lunga, basata su poco interpretabili numeri.
Che scontenteranno i sostenitori del motto “l’Italia agli italiani” (lo è ancora) e daranno invece soddisfazioni a quelli di “l’Europa ci ha abbandonati” (che è più vero che falso).
Quanti migranti arrivano in Italia
Innanzi tutto, gli sbarchi. Quelli di persone in arrivo dall’Africa settentrionale sono al livello più basso da oltre 4 anni: nel periodo 2014-2017, nel nostro paese sono arrivati ben oltre 100mila migranti l’anno; nella prima metà del 2018 siamo poco sopra i 14mila (i dati sono dell’Onu) , e se il trend proseguisse si arriverebbe intorno a quota 30mila, dunque a meno di terzo rispetto agli anni precedenti.
Il merito non è chiaramente del neonato governo Lega-M5S, non è dell’Unione europea o degli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo: è opinione comune che l’inversione di tendenza si debba ai discussi accordi che l’ex ministro Minniti ha stretto con le milizie armate che in Libia si sono impegnate a (cercare di) bloccare le partenze dei barconi.
Dunque: non è vero che il numero di migranti extraeuropei è in aumento rispetto al passato, ma è oggettivamente vero che almeno sino a metà 2017 l’Italia ha subìto una “pressione” senza paragoni in Europa, eccezion fatta per quella sopportata nel biennio 2015-2016 dalla Grecia (di nuovo, dati dell’Onu ), che ha accolto circa 1 milione di persone (850mila nel solo 2015) ed è stata costretta all’apertura di alcuni campi per migranti.
Quanti migranti restano in Italia
Solo adesso, con molte difficoltà , la Grecia sta svuotando i campi allestiti 3 anni fa, mentre in Italia la situazione è decisamente più complessa: secondo le statistiche, gran parte dei migranti arrivati nel nostro Paese nel periodo 2014-2017 hanno proseguito il loro viaggio per altre destinazioni.
Secondo i dati dell’Eurostat , in Italia ci sono, fra richiedenti asilo e non, circa 4 milioni di stranieri extraeuropei (cui ne vanno aggiunti altri 600mila “irregolari”), pari a meno del 7% della popolazione totale.
Come molti hanno scritto negli ultimi giorni, è una percentuale inferiore a quella che c’è in Francia e Germania (fra 8 e 8,5%) e nemmeno paragonabile a quelle di Svezia (11,6%), Austria (quasi il 10%) o anche Estonia (13,3%).
Ce lo impone l’Europa?
E però, i problemi di integrazione non derivano solo da una percezione sbagliata della situazione (i migranti sono molti meno di quello che sembra) o da forze politiche che, più o meno consapevolmente, soffiano sul fuoco dell’intolleranza: ci sono anche colpe concrete, vere, ben attribuibili.
Una (o forse due) è nostra, dell’Italia. La burocrazia non è un male solo per gli italiani, ma anche per gli stranieri: secondo le stime, per “evadere” una domanda di asilo politico al nostro paese servono oltre 2 anni, e in questo arco di tempo il migrante viene ospitato nei cosiddetti Cas (i Centri di accoglienza Straordinaria) o in quelli indicati dallo Sprar (il Sistema di protezione per Richiedenti asilo e rifugiati). Entrambi funzionano male, per ragioni diverse:
– i Cas vengono aperti autonomamente dalle Prefetture e, pensati come “straordinari”, si trasformano in “parcheggi” di persone all’interno di comunità che difficilmente le tollereranno per gli anni necessari all’arrivo di una risposta sul loro futuro
– gli Sprar sono invece rarissimi, perchè vengono aperti d’accordo con i Comuni… che raramente sono d’accordo.
L’altra colpa è dell’Europa, e anche in questo caso i numeri non mentono: dopo i “picchi” di sbarchi in Italia e Grecia fra 2015 e 2016, la Commissione Europea ha pensato ad alcune “contromisure” per fare sì che parte dei richiedenti asilo venissero accolti da tutti i paesi dell’Ue.
L’Unione non ha però sufficienti armi legislative per imporsi e l’effetto è stato risibile: negli ultimi 3 anni, l’Estonia ha accolto 6 (sei) persone, la Bulgaria una decina e Danimarca, Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca addirittura nessuna.
Come si vede, senza un po’ di italica inefficienza (la burocrazia), senza avere provato per anni a usare come ordinarie soluzioni che sarebbero dovuto essere straordinarie (i Cas) e con una migliore collaborazione a livello europeo (con la riforma del Regolamento di Dublino , per esempio), la situazione potrebbe essere ricondotta alla dimensione più corretta.
Non quella di un’invasione dell’Italia da parte dei migranti, insomma.
Resta la terza “colpa”, anche quella solo nostra, un popolo storicamente poco incline ad accogliere e a convivere con il “diverso”.
Ma per capirlo e risolverlo, questo problema, i numeri purtroppo non bastano…
(da “il Secolo XIX”)
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