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IL CLAMOROSO FLOP DELLA REUNION XENOFOBA IN PIAZZA DUOMO E’ IL SEGNALE CHE IL VENTO E’ CAMBIATO

Maggio 18th, 2019 Riccardo Fucile

NONOSTANTE LE TRUPPE CAMMELLATE, IN PIAZZA POCHE MIGLIAIA DI PERSONE , UN DECIMO DEL PREVISTO… UN SALVINI INSICURO RISPOLVERA IL ROSARIO E INVOCA “L’IMMACOLATO CUORE DI MARIA”, FORSE PENSAVA A REGINA COELI, IL CARCERE ROMANO

Avrebbero dovuto essere in centomila, e invece erano di meno, molti di meno, appena alcune migliaia, a differenza di quanto aveva annunciato (e sperato) Salvini.
Nonostante le truppe cammellate da molte regioni (basti vedere gli striscioni che indicavano la provenienza) qualcosa non ha funzionato e non certo nell’organizzazione.
Gli ospiti erano di sicuro richiamo per i sovranisti ex padani: da Marine Le Pen all’olandese ossigenato Geert Wilders ai tedeschi dell’Afd, per non parlare dei leader estremisti del gruppo di Visegrad (ma senza Orban), fino ai leader dell’estrema destra austriaca beccati con le mani nella marmellata dei finanziamenti russi da Der Spiegel.
Eppure Salvini, rispetto alla partecipazione popolare nella stessa piazza di un anno fa, ha perso 4 presenze su 5.
Al di là  delle corbellerie che ha detto in tono peraltro dimesso e insicuro (non è andato a braccio ma ha letto) come si spiega il flop?
Proviamo a individuare alcune sicure cause:
1) La gente si   sta accorgendo che molte sue promesse non sono state mantenute e comincia ad accostarlo a Di Maio.
2) Gli italiani sono stanchi delle continue liti del governo e molti leghisti del Nord non vedono di buon occhio la scelta di Salvini di continuare l’alleanza con il M5S
3) Gli scandali stanno travolgendo il partito (i 49 milioni, i casi Siri e Rixi, il sindaco di Legnano, ecc)
4) La vicinanza di Salvini a gruppi di fascisti da avanspettacolo allontana i moderati e quegli elettori provenienti da sinistra presi in prestito dai grillini
5) La protesta contro Salvini sta prendendo campo e si sta organizzando in modo spontaneo in tutte le città . Lui non è un oratore (ripete sempre le stesse cose): essere contestato ovunque fa venire meno la balla del “60 milioni di italiani sono con me” e reagisce polemizzando in modo ridicolo con i contestatori nelle piazze. Ma così trasmette il messaggio che una grossa parte di italiani lo giudica per quello che è.
6) L’elettore borghese leghista che pensa ai quattrini se sente odore che possono volare sprangate si defila, non è certo uno che si espone per difendere un’ideale che non ha.
Se c’e’ in giro un   clima di contestazione, la maggioranza se ne sta a casa e tanti saluti al Capitone, meglio passare il tempo a contare i soldi nel materasso.
Va bene essere razzisti, ma se poi finisci denunciato o rischi di prendere due schiaffoni meglio limitarsi a fare il leone da tastiera, questa è la filosofia di base.

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REPORTAGE DALL’UNGHERIA: COME MUORE LA LIBERTA’ DI STAMPA IN UN PAESE SOVRANISTA

Maggio 18th, 2019 Riccardo Fucile

SILENZIATI I MEDIA A COLPI DI LEGGI, INTIMIDAZIONI E OPERAZIONI FINANZIARIE… ECCO COSA POTREBBE ACCADERE ANCHE IN ITALIA

Budapest. I tram qui arrivano in orario. Il capolinea del tram 17 è nel quartiere Obuda, che dall’isola Margherita si estende fino alla periferia della città . A pochi minuti dal capolinea c’è la sede della televisione e della radio nazionale, la Mtva.
È una grande struttura moderna, composta da più palazzi, ci sono grandi vetrate riflettenti che la rendono luminosa nonostante il sole stia già  tramontando.
Di fronte a questa struttura, la notte tra il 16 e 17 dicembre 2018 e poi nei giorni a seguire, si è svolta un’imponente manifestazione contro la Tv di Stato, accusata di travisare la realtà  e non informare i cittadini.
“Eravamo diverse migliaia, la lunga strada di fronte alla sede della televisione era gremita. Urlavamo: ‘Non saremo schiavi! Non saremo schiavi! E ‘Non siamo invisibili!’”, racconta a TPI Lili, una giovane ragazza di Budapest.
Le ultime due settimane del dicembre 2018 sono un momento caldo per l’Ungheria. Quasi un milione di persone si riversa in strada per protestare contro l’imminente approvazione della cosiddetta “legge schiavitù”, che aumenta le ore di straordinario per il lavoratori dipendenti e ne ritarda i pagamenti fino a tre anni.
I manifestanti si accorgono che la televisione pubblica sta sottostimando la portata della manifestazione e così, quella notte tra il 16 e il 17 dicembre, le strade intorno alla sede della Tv di Stato vengono invase.
“La televisione parlava delle proteste concentrandosi su due cose: la violenza dei manifestanti e la sporcizia che stavano lasciando in strada, nient’altro. Era assurdo”.
Lili ha 28 anni, è nata e cresciuta a Budapest e lavora per un’agenzia pubblicitaria. È una ragazza dai modi molto gentili e ha i capelli dai riflessi azzurri. Tra qualche mese partirà  per l’Inghilterra e non pensa di tornare più.
“La mattina del 17 dicembre mi sono svegliata presto, stavo bevendo un caffè, sul cellulare ho iniziato a leggere quello che stava succedendo di fronte alla Mtva. Dopo poco ho aperto un live streaming: il personale della sicurezza stava buttando fuori alcuni parlamentari che erano entrati nell’edificio la notte prima. Mi sono detta: non è possibile”.
Durante la manifestazione alcuni deputati dell’opposizione, che per loro diritto possono entrare in tutti i gli edifici pubblici, attraversano le diverse file di poliziotti in assetto antisommossa e, una volta entrati nell’edificio, aspettano per ore un rappresentante della Tv, che però non si presenta.
Vogliono leggere alcune rivendicazioni, ma non gli viene consentito. Verso le prime ore della mattina vengono sbattuti fuori dall’edificio dalla security.
Lili continua: “In quel momento, guardando quelle immagini, ho capito che nulla di buono sarebbe potuto venire da questo paese. Mentre mi preparavo per andare a manifestare, ho detto a me stessa: o queste proteste porteranno a qualcosa di grande, qualcosa che cambierà  la situazione, o me ne andrò. Oggi so che me ne andrò. Io non sono la prima e non sarò l’ultima”.
“In Ungheria — prosegue — abbiamo un detto: ‘L’ultimo che se ne va, sbatterà  la porta’”. Secondo Reporter Without Borders, un’organizzazione non governativa che promuove e difende la libertà  di stampa, la situazione dell’Ungheria è preoccupante per via della crescente concentrazione dei media in mano ad oligarchi vicini al Primo Ministro Viktor Orban.
Il World Press Freedom Index, pubblicato nel 2019 dall’organizzazione, colloca l’Ungheria all’ultima posizione tra i paesi dell’Unione europea e all’87esima su 180 paesi nel mondo, dopo Perù e Sierra Leone.
“La proprietà  dei media ungheresi, in modo crescente, sta continuando a concentrarsi nelle mani di oligarchi alleati con il Primo Ministro ultra nazionalista Viktor Orban”. E ancora: “Il più importante organo di stampa — la Nèpszabadsà¡g — ha dovuto chiudere”.
Nel 2010 Viktor Orban sale al potere e da allora, con il suo partito Fidesz, domina la politica del paese. Dal 2013 al 2019 l’indice di libertà  di stampa dello Stato ha perso 31 posizioni, passando dalla 56esima all’87esima.
Il 12 settembre 2018 il Parlamento Europeo ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria, accusata di violare lo stato di diritto. Il timore è che il paese stia mettendo a rischio l’indipendenza della giustizia e la libertà  di stampa.
Cosa sta succedendo in Ungheria? Prova a spiegarlo a TPI Richard Stock, amministratore delegato di Klubradio, una delle più ascoltate a Budapest.
“Quando abbiamo iniziato, nel 2001, Klubradio esisteva già . Noi l’abbiamo comprata e trasformato lo stile in un talk- news, l’80 per cento del nostro palinsesto era dedicato a cronaca e politica. Era una cosa unica in Ungheria e questo ci ha dato molta popolarità ”.
Klubradio diventa rapidamente una delle più ascoltate. Nel 2010 contava più di 500mila ascoltatori su una popolazione di 10 milioni di abitanti.
“Poi nel 2010, quando Fidesz ha vinto le elezioni, le cose sono cambiate. Prima di tutto a cambiare sono state le regole. Il controllo delle autorità  che vigilano sui media è passato dall’essere parlamentare, all’essere di fatto governativo”.
A luglio del 2010, uno dei primi interventi del nuovo governo è l’istituzione della National Media and Infocommunications Authority (Nmhh), con il compito di supervisionare il settore delle telecomunicazioni.
Nel dicembre dello stesso anno viene emanata una legge con la quale si stabilisce che il diritto di determinare il vincitore di gare d’appalto per frequenze radiofoniche e televisive spetta al Media Council, l’organo direttivo della Nmhh.
La legge stabilisce che i membri del Media Council siano nominati dal Parlamento, con una maggioranza di almeno due terzi. Fidesz ha più dei due terzi dei parlamentari e quindi il diritto di controllare l’intero consiglio direttivo dell’autorità  che regola e vigila i media.
“Nel 2011 scadeva la nostra licenza e quindi abbiamo fatto richiesta per continuare a trasmettere sulla nostra frequenza. Le nuove regole però non ci favorivano. Obbligavano a dedicare tre quarti della programmazione all’intrattenimento e solo un quarto all’informazione. Per una radio come la nostra che ospitava dibattiti politici era impossibile. A concorrere per la nostra frequenza spuntò poi una compagnia sconosciuta, fondata nel 2011, con un capitale di soli tremila euro e una programmazione quasi inesistente. Vinsero loro e presero la nostra frequenza”.
Stock non ha dubbi: “Era solo uno strumento per farci fuori”. Dopo aver perso la gara Klubradio denuncia il caso in tribunale. Lo scandalo è troppo evidente e la battaglia di Klubradio rimbalza per le testate di tutta Europa.
Dopo questa prima causa, vinta, Klubradio ne vince altre due, sempre con l’autorità  nazionale delle telecomunicazioni. “Il sistema giudiziario funziona e le nostre battaglie vinte ne sono la dimostrazione, ma purtroppo dal gennaio 2020 le cose non andranno più così”.
Stock fa una lunga pausa, poi continua: “Da pochi mesi è stata approvata una nuova riforma costituzionale che cambierà  anche il sistema giudiziario. Verrà  istituita una corte di giustizia per casi speciali, in cui i giudici saranno nominati direttamente dal ministro della Giustizia e quindi dal governo. Questa corte sarà  titolata a trattare tutti i casi giudiziari contro la Media and Infocommunications Authority” .
Stock accenna un sorriso amaro. “La nostra licenza scadrà  nel febbraio 2021 e dovremo procedere al rinnovo. Se l’Autorità  delle comunicazioni deciderà  di ostacolarci noi ci appelleremo nuovamente alla corte di giustizia, ma questa volta sarà  una corte diversa, anch’essa in mano governativa. Il 2021 forse è l’anno in cui Klubradio chiuderà ”.
Nel 2021 una delle più importanti radio del paese rischierà  di chiudere, ma non è una novità . La Nèpszabadsà¡g, letteralmente “Voce del popolo” ha chiuso l’8 ottobre del 2016.
“Non potevo crederci, non era possibile! Non puoi immaginarti che in un paese europeo il principale giornale di opposizione possa chiudere!” dice a TPI Pèter PetÅ’, uno dei più importanti giornalisti che lavoravano alla Nèpszabadsà¡g.
“Ci dissero che ci avrebbero trasferito in un altro ufficio e per questo avevamo preparato le nostre cose. La mattina dell’8 ottobre, mentre ci stavamo recando negli uffici della nuova redazione, ci hanno comunicato che il giornale chiudeva per problemi finanziari e di non presentarci alla nuova sede della redazione”.
Quella mattina i giornalisti scoprono che improvvisamente il giornale chiudeva. Le loro e-mail aziendali vengono bloccate. Il sito internet del giornale viene oscurato.
“Nel 2014 il gruppo editoriale che possedeva la Nèpszabadsà¡g, la Mediaworks, è stato comprato da un imprenditore, Heinrich Pecina, un austriaco che in Ungheria non aveva mai avuto a che fare con il settore dei media. Quell’uomo aveva una missione per conto di Fidesz, comprare il giornale per poi chiuderlo in cambio di favori commerciali, ma noi questo lo capimmo solo troppo tardi” dice PetÅ’.
A 19 giorni dalla chiusura del giornale, la Mediaworks nomina il nuovo amministratore delegato, Gà¡bor Liszkay, un uomo vicinissimo al primo ministro Victor Orbà¡n.
“È lui che poi ha ‘finito’ il lavoro, che ha chiuso le ultime pratiche, e sappiamo che è lui ad aver pianificato le modalità  per la chiusura del giornale. Adesso la Mediawork nelle sue mani sta attraendo a sè sempre più testate ed è il fulcro della neonata Central European press and Media Foundation”.
L’istituto a cui PetÅ’ fa riferimento viene fondato nel settembre 2018 e include quasi 500 organi di informazione, tra giornali, televisioni, radio e compagnie pubblicitarie in mano agli oligarchi più vicini a Fidesz.
Le motivazioni ufficiali sono “promuovere quelle attività  dei media ungheresi che servono a rafforzare la coscienza nazionale ungherese”.
“Un’istituzione del genere, secondo le nostre leggi sulla concorrenza non potrebbe essere legale, perchè è una concentrazione di media troppo grande che copre quasi il 24 per cento dell’intero mercato, ma il governo l’ha dichiarata un’istituzione di “importanza strategica nazionale” e da allora è praticamente intoccabile”.
A parlare a TPI è Attila Bà¡torfy, un giornalista investigativo che lavora per Atlatszo, giornale specializzato in inchieste. Bà¡torfy ha studiato a fondo il sistema che in Ungheria permette al governo di controllare il settore dei media.
“La Media Authority — dice — si avvale di un metodo che noi chiamiamo ‘regolamentazione fluida’. Produce dei regolamenti poco stringenti, che per essere applicati richiedono un’interpretazione che è la stessa Autorità  a fornire, di volta in volta, e sempre a favore del governo. Qualche mese fa ad esempio l’Ungheria è stata invasa da poster raffiguranti le facce ghignanti di Juncker e Soros su cui era scritto: ‘Anche tu hai il diritto di sapere cosa Bruxelles si sta preparando a fare!’”.
I poster si riferivano alla procedura di infrazione aperta da Bruxelles. “L’autorità  dei media ha catalogato quei poster come semplice ‘informazione di interesse pubblico’, ti rendi conto? Juncker e Soros ghignanti sono informazione di interesse pubblico in Ungheria”.
Non è finita qui. Bà¡torfy prende il computer e inizia a mostrare delle infografiche sull’incremento dei finanziamenti governativi ai media. Finanziamenti indiretti per comprare spazi pubblicitari per “informazioni pubbliche”.
Informazione pubblica qui equivale a propaganda, sostiene Bà¡torfy. Secondo i dati di Atlatszo nel 2006 tra i primi 25 gruppi editoriali che ricevevano questo tipo di finanziamento solo 8 erano considerati vicini al governo.
Nel 2018 tra i primi 25 gruppi finanziati 22 sono alleati con Fidesz e solo 3 sono gli indipendenti. “Qui lo Stato agisce sul mercato dei media in modo del tutto arbitrario” dice Bà¡torfy “ma la strategia di Fidesz prevede che questo tipo di finanziamenti, in modo minore, arrivi anche ad alcuni media indipendenti. Se una di queste compagnie ‘si comporta male’ può bloccare i fondi e metterli in crisi. È un’altra forma di controllo”.
L’Hvg, il principale settimanale del Paese, autorevole come un Economist dell’Est, il 25 aprile esce con una copertina in cui denuncia: “Messi al bando dai cartelloni pubblicitari. La censura è tra noi”. La compagnia pubblicitaria che da quarant’anni lavorava con Hvg ha interrotto i rapporti con la rivista.
Solo una settimana prima Hvg usciva con una copertina in cui veniva ritratta la moglie di Antal Rogan, capo del gabinetto di Orban, coinvolta in uno scandalo della pubblica amministrazione. Tutti i manifesti che annunciavano la nuova copertina sono scomparsi dalle colonnine della pubblicità  nel giro di pochi giorni.
In Ungheria tutto accade dalla sera alla mattina, come per la Nèpszabadsà¡g.

(da TPI)

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AUSTRIA, GLI AMICI DI SALVINI TRAVOLTI DALLO SCANDALO SULLE MAZZETTE DALLA RUSSIA, IL CANCELLIERE KURZ ANNUNCIA ELEZIONI ANTICIPATE: “QUANDO E’ TROPPO E’ TROPPO, LA FPOE DANNEGGIA IL PAESE”

Maggio 18th, 2019 Riccardo Fucile

VOTO A META’ SETTEMBRE, SOVRANISTI FUORI DAL GOVERNO

Alla vigilia delle elezioni europee, l’Austria precipita nella crisi di governo.
Dopo una giornata convulsa, il cancelliere Sebastian Kurz (Oevp) ha chiesto “elezioni anticipate il prima possibilke”. Il presidente della Repubblica Alexander Van der Bellen ha confermato che si andrà  al voto; secondo la maggior parte degli osservatori a metà  settembre.
La pietra dello scandalo è il vicecancelliere Heinz-Christian Strache (Fpà¶). Che ha annunciato le sue dimissioni sia dal governo sia dalla leadership del partito di ultradestra dopo la pubblicazione di un video in cui promette favori a una presunta ereditiera russa vicina a Putin.
Anche l’altro esponente del partito che compare nel video svelato da Spiegel e Sà¼ddeutsche Zeitung, il capogruppo Johannes Gudenius ha annunciato il passo indietro.
In serata il cancelliere Sebastian Kurz, in una conferenza stampa, annuncia: “Ho chiesto al presidente della Repubblica di convocare il prima possibile elezioni anticipate. Quando è troppo, è troppo. Non ci sono alternative – ha aggiunto – con la Fpoe una collaborazione è impossibile, i socialdemocratici non condividono le nostre posizioni e gli altri partiti sono troppo piccoli”.
E il presidente austriaco Alexander Van der Bellen, stigmatizzando “l’intollerabile mancanza di rispetto ai cittadini” nella vicenda che ha portato in modo traumatico il Paese alla crisi di governo, ha annunciato elezioni anticipate, senza però indicare una data.
“Voglio lavorare per l’Austria senza scandali”, ha spiegato prima Kurz. “In questi due anni – ha proseguito – ho dovuto mandare giù molto, anche se non ho sempre preso pubblicamente parola, per portare avanti le riforme”.
Kurz ha citato gli sconfinamenti di alcuni esponenti del suo partner di coalizione Fpoe verso l’estrema destra e gli ambiente xenofobi.
Nel video di sette ore Strache e Gudenius promettevano alla presunta nipote di un oligarca vicino al Cremlino giganteschi favori – anche illegali come appalti truccati – in cambio della promessa di centinaia di milioni di euro per la campagna elettorale.
Tra l’altro nel video incriminato l’ex vice-cancelliere Strache dice anche di voler boicottare l’imprenditore austriaco e bolzanino d’adozione Hans Peter Haselsteiner. Alla presunta oligarca russa con cui parla a Ibiza, Strache consiglia “di fondare una società  come la Strabag”, ovvero l’azienda di Haselsteiner, gigante dell’asfalto a livello europeo. “Quando sarò al governo – aggiunge Strache – non voglio più avere a che fare con Haselsteiner e voi avrete i suoi appalti”.

(da agenzie)

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SPEZIA, PRESENTAZIONE LIBRO CASAPOUND, IL PARROCO SUONA LE CAMPANE A MORTO

Maggio 18th, 2019 Riccardo Fucile

CINQUECENTO PERSONE IN PIAZZA A CONTESTARE… IL SACERDOTE: “IL MIO E’ UN GESTO DI PROTESTA, INIZIATIVA CONTRO I VALORI DI QUESTA CITTA'”

Le campane della chiesa di Nostra Signora della Salute alla Spezia hanno suonato “a morto” durante la presentazione di un libro edito da AltaForte, la casa editrice “espulsa” dal Salone del Libro di Torino perchè vicino a CasaPound, che si sta svolgendo a pochi metri in una sala pubblica intitolata a un antifascista.
Il parroco don Francesco Vannini ha confermato che si è trattato di “un gesto di protesta.
“Oggi è morto quello spirito che ha pervaso questa città  per moltissimi anni. Ho partecipato a diversi incontri di quartiere per l’utilizzo di quella sala, non era questo l’uso che tutti i partecipanti avevano in mente. E poi, non vedo il senso di spostare da una sala pubblica a un’altra la presentazione”.
In questa chiesa, ha detto il prete, “c’è uno spazio che durante la guerra serviva per salvare le persone in difficoltà : soldati inglesi, partigiani e famiglie, ma anche famiglie fasciste che rischiavano il linciaggio dopo la Liberazione.,”.
Inoltre la chiesa di Nostra Signora della Salute è un luogo simbolo anche perchè “al suo interno – ha detto don Francesco – vive la memoria di don Antonio Mori, parroco dell’epoca che nel 1944 fu arrestato perchè contrario al regime fascista”.
Non è stato l’unico, don Vannini, a protestare. Oltre cinquecento persone sono scese in piazza alla Spezia per manifestare contro l’autorizzazione concessa dal Comune alla presentazione del libro.

(da agenzie)

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MIGRANTE UCCISO A MALTA “PERCHE’ NERO”: DUE SOLDATI ARRESTATI PER OMICIDIO RAZZIALE

Maggio 18th, 2019 Riccardo Fucile

“LI ABBIAMO COLPITI A CASO PERCHE’ ERANO NERI” … IL PREMIER: “CANAGLIE, NON RAPPRESENTANO I VALORI DEL NOSTRO PAESE”… E’ IL FRUTTO DI CHI HA FOMENTATO LA FOGNA RAZZISTA

Malta è sotto shock. Sono due militari gli autori del primo omicidio a sfondo razziale sull’isola che peraltro fa dell’accoglienza una delle sue prime risorse economiche e si fa vanto di essere da 4 anni in testa alla classifica europea per il rispetto dei diritti umani verso la comunità  Lgbti.
L’episodio risale al 6 aprile quando tre rifugiati vennero presi di mira a colpi di arma da fuoco da un’ auto in corsa in Triq tal-Gebel, una strada di campagna che collega il centro aperto di raccolta di Hal Far e la località  di Birzebbuga, nel sud dell’isola di Malta.
Una striscia di asfalto che i migranti percorrono a piedi per raggiungere negozi e servizi e che già  in passato era stato teatro di episodi di intolleranza.
Una delle tre vittime, l’ivoriano Lassana Cisse Soulaymane, 42 anni, fu uccisa sul colpo. Le altre due, un 22enne della Guinea ed un 28enne del Gambia, rimasero ferite. Un raid che a molti ha ricordato i fatti di Macerata. Il 27 aprile migranti e attivisti diedero vita a una manifestazione cui prese parte anche la ex presidente della repubblica maltese Marie Louise Coleiro Preca per chiedere verità  e giustizia per l’omicidio.
“Li abbiamo colpiti a caso, perchè erano neri”, avrebbe confessato di uno degli arrestati. Secondo fonti citate dai media maltesi, i due arrestati sarebbero anche collegati al ferimento di un minorenne del Ciad che nel febbraio scorso fu volontariamente travolto da un’auto il cui conducente si dette alla fuga sulla stessa strada.
I due soldati “non rappresentano i valori delle forze armate maltesi”, ha commentato il premier Joseph Muscat, annunciando che “è in corso un’inchiesta interna, condotta con gli altri servizi di sicurezza, per stabilire se sono isolati, canaglie individuali, o facciano parte di qualcosa di più ampio”.
Mentre il presidente della repubblica, George Vella, ha presentato le sue condoglianze alla folta comunità  di migranti affermando che “questo atto non riflette i sentimenti del popolo di Malta e Gozo” e invitando ad una profonda riflessione collettiva sul futuro di quella che dovrà  inevitabilmente essere una società  “multietnica, multiculturale e tollerante”.

(da agenzie)

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CLAMOROSO, L’ONU CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO DI RITIRARE IL DECRETO SICUREZZA BIS DI SALVINI: “GRAVE VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI, FOMENTA IL RAZZISMO”

Maggio 18th, 2019 Riccardo Fucile

LETTERA AL NOSTRO MINISTRO DEGLI ESTERI: “RITIRATE LE CIRCOLARI DI SALVINI CONTRO LA MARE IONIO E BLOCCATE LE ASSURDE MULTE ALLE ONG”… ORMAI SALVINI E’ UN CADAVERE CHE CAMMINA

Con una lettera di undici pagine, l’Onu chiede all’Italia di ritirare le direttive del Viminale sul salvataggio in mare e di interrompere immediatamente l’iter di approvazione del decreto sicurezza bis, che Matteo Salvini potrebbe portare già  nel Consiglio dei ministri di lunedì.
Insomma, di arginare la politica anti-immigrazione del ministro dell’Interno italiano.
E le motivazioni sono tanto chiare quanto allarmanti: “Mette a rischio i diritti umani dei migranti, inclusi i richiedenti asilo”; “fomenta il clima di ostilità  e xenofobia”, “viola le convenzioni internazionali”.
“SALVINI FOMENTA LA XENOFOBIA”
L’atto di accusa è contenuto in un testo che Beatriz Balbin, capo delle Special procedures dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani, ha inviato il 15 maggio all’ambasciatore italiano all’Onu Gian Lorenzo Cornado, perchè lo trasmetta al ministro italiano degli Esteri Enzo Moavero Milanesi.
E segue due richiami arrivati a Roma nel 2018 ma del tutto snobbati dal governo italiano.
L’oggetto di quest’ultimo richiamo sono le due direttive che Salvini ha emesso tra marzo e aprile, sostanzialmente per ostacolare le attività  delle ong e della Mare Jonio, la nave della piattaforma Mediterranea impegnata nel salvataggio in zona Search and Rescue libica.
“La direttiva di marzo – si legge nella lettera di Balbin – è una seria minaccia ai diritti dei migranti, inclusi i richiedenti asilo e le persone vittime di tortura, sequestri, detenzioni illegali. Ci sono ragionevoli elementi per ritenere che sia stata emanata per colpire direttamente la Mare Jonio, vietandole l’accesso alle acque e ai porti italiani. Nella direttiva del 15 aprile la si accusa esplicitamente di favorire l’immigrazione clandestina. Siamo profondamente preoccupati per queste direttive, che non sono basate su alcuna sentenza della competente autorità  giuridica”.
Non solo. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite osserva anche che tali direttive non sono altro che “l’ennesimo tentativo di criminalizzare le operazioni Search and rescue delle organizzazioni civili”, e che finiscono per “intensificare il clima di ostilità  e xenofobia nei confronti dei migranti”.
VIOLATO IL PRINCIPIO DI NON-REFOULEMENT
Oltre a richiamare il governo italiano al dovere della tutela delle vite umane in mare, l’Onu osserva come le direttive Salvini e l’esplicito trasferimento alla guardia costiera libica delle responsabilità  del salvataggio in realtà  possano provocare la violazione del non-refoulement, il principio – stabilito dalla Convenzione di Ginevra – secondo cui a un rifugiato non può essere impedito l’ingresso sul territorio nè può esso essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà  sarebbero minacciate.
“E’ stato ampiamente documentato in diversi report dell’Onu che i migranti in Libia sono soggetti ad abusi, torture, omicidi e stupri – scrive l’Alto Commissariato – quindi la Libia non può essere considerata un ‘place of safety’ (porto sicuro, ndr) per lo sbarco”.
“BLOCCATE IL DECRETO SICUREZZA BIS”
Infine, dopo aver espresso apprezzamento sia per il lavoro della Marina militare italiana sia per l’impegno umanitario delle ong, il documento si conclude con una duplice richiesta al governo italiano.
La prima: “Ritirate la direttiva del Viminale del 15 aprile, che colpisce specificatamente la Mare Jonio”.
La seconda: “Fermate immediatamente il processo di approvazione del Decreto sicurezza bis”. Quello, per capirsi, che vorrebbe introdurre maxi multe per le ong che salvano i migranti.

(da agenzie)

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SEA WATCH PUNTA SU LAMPEDUSA: “SITUAZIONE A BORDO INSOSTENIBILE, MINACCE DI SUICIDIO”

Maggio 18th, 2019 Riccardo Fucile

ORA VEDIAMO SE SALVINI FA SPARARE ALLA NAVE E CHI SI ASSUME IL RISCHIO DI FINIRE ALL’ERGASTOLO SE CI SCAPPA IL MORTO… E’ ORA DI FINIRLA CON POLITICHE DELINQUENZIALI CHE NON RISPETTANO LE LEGGI INTERNAZONALI E IL CODICE DELLA NAVIGAZIONE

La Sea Watch con a bordo 47 migranti al largo di Lampedusa ha oltrepassato il limite delle acque territoriali italiani infrangendo il divieto di Salvini ed entrare in acque italiane.
La comunicazione era giunta poche ore prima via radio dal comandante alle autorità  portuali dal comandante della Sea Watch3. La diffida a superare questo limite gli era stata formalmente notificata ieri dalla Guardia di finanza.
“Il comandante della Sea Watch – aveva dichiarato in tarda mattinata Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch –   è stato in costante contatto con la guardia costiera e ha annunciato la volonta di entrare in acque territoriali italiani e dirigersi verso il porto di Lampedusa, ha anche chiesto la revoca del diniego di ingresso impostogli ieri mattina e questo per via delle reagione umanitarie a bordo che, stando alle valutazioni, supererebbero le valutazioni addotte nel diniego”.
A stretto giro è arrivata la risposta del ministro dell’Interno Salvini: “Abbiamo fatto sbarcare malati e bambini, ma resta il divieto assoluto alla Sea Watch3 di entrare nelle nostre acque territoriali.
Poi la nave ha oltrepassato il limite delle acque territoriali italiane.
“Abbiamo deciso di entrare nelle acque territoriali e fatto rotta verso Lampedusa in considerazione dell’aggravamento delle condizioni a bordo, dove alcuni migranti hanno manifestato anche l’intenzione di suicidarsi”, ha spiegato la portavoce di Sea Watch. “Prima di procedere siamo stati in contatto con la Guardia costiera informandoli della condizioni umanitaria e delle nostre intenzioni – prosegue – e abbiamo contestualmente inviato una richiesta di revoca del diniego di entrare nelle acque territoriali. Nessuna intenzione di violare le regole che abbiamo rispettato, ma le condizioni sono mutate e la nostra scelta è diventata obbligata: a giudizio anche del comandante la situazione venutasi a creare supera le motivazioni del diniego”.
Ieri dalla nave dell’Ong tedesca erano state sbarcate 18 persone, i bimbi con le loro famiglie e una donna ustionata, sbarco autorizzato dalll’Italia. “Diciotto persone sono a terra, siamo felici per loro”, ha twittato l’Ong, “a bordo restano 47 persone senza un porto sicuro. Persone, tra cui una donna incinta e un uomo disabile, i cui diritti sono negati”.
Intanto a bordo della nave la tensione aumenta. Alcuni migranti avrebbero minacciato di suicidarsi se non verrà  consentito loro di sbarcare in un porto sicuro.
Ne parla uno dei membri del team medico a bordo dell’imbarcazione della Ong tedesca da più di 36 ore bloccata al largo di Lampedusa:   “Siamo molto preoccupati perchè alcune delle persone a bordo della nave parlano di suicidio”, scrive la Ong su Twitter postando il video di Karol, uno dei medici sulla nave.
Lo sbarco di 18 dei 65 migranti salvati, dice la donna, ha prodotto nei 47 rimasti a bordo “una condizione psicologica negativa: si sentono privi di valore, come se a nessuno importasse di loro. Una situazione che, assieme al mal di mare e all’assenza di speranza e prospettive sta rendendo le persone davvero vulnerabili”.
“Alcuni di loro dicono di voler autoinfliggere delle ferite o addirittura suicidarsi – spiega il sanitario – pur di far finire questa situazione. Dal punto di vista medico la situazione non è affatto buona, stiamo mantenendo un equilibrio molto fragile e precario in questo momento”

(da agenzie)

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INDAGATO L’EX CANDIDATO SINDACO DI VARESE DELLA LEGA: “PAGO’ TANGENTE DI 50.000 EURO PER OTTENERE UN PERMESSO”

Maggio 18th, 2019 Riccardo Fucile

PROPRIETARIO DI SUPERMERCATI, HA PAGATO LA MAZZETTA PER OTTENERE UNA VARIANTE URBANISTICA

L’interrogatorio di giovedì scorso dell’imprenditore Piero Enrico Tonetti, finito ai domiciliari nell’inchiesta della procura di Milano su tangenti e nomine pilotate in Lombardia, ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Paolo Orrigoni, amministratore delegato della catena di supermercati Tigros ma anche candidato leghista – sconfitto – di tutto il centrodestra alle Comunali di Varese del 2016, quando si andò a votare per designare proprio l’erede dell’attuale governatore lombardo, Attilio Fontana, indagato per abuso d’ufficio.
Orrigoni deve invece rispondere di corruzione, dopo le dichiarazioni in interrogatorio di Tonetti.
Accusato dai pm Luigi Furno, Silvia Bonardi e Adriano Scudieri di aver pagato 50mila euro di tangente – mascherata con un progetto affidato a uno studio di ingegneria – al coordinatore di Forza Italia a Gallarate e consigliere della partecipata Accam, Alberto Bilardo, già  in carcere.
Secondo la procura i 50mila euro sarebbero il prezzo pagato per ottenere una variante urbanistica al piano regolatore di Gallarate. La modifica interessava un’area di proprietà  di un società  di Tonetti, che però era già  stata ceduta con un preliminare a Orrigoni, interessato a costruirvi un supermercato. La tangente sarebbe stata pagata da Tonetti, ma come anticipo di quanto avrebbe ricevuto da Orrigoni, d’intesa con quest’ultimo, beneficiario finale della modifica al piano urbanistico di Gallarate.

(da agenzie)

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LA DECINA DI PARLAMENTARI GAY DELLA LEGA

Maggio 18th, 2019 Riccardo Fucile

QUELLI CHE SUI DIRITTI CIVILI PARLANO IN MANIERA OPPOSTA DI PILLON, MA HANNO PAURA DI ESPORSI

Alberto Ribolla, 34 anni di Bergamo, deputato leghista, rilascia oggi un’intervista al Messaggero in cui parla di diritti civili in maniera che potremmo tranquillamente definire opposta rispetto al collega Pillon.
Ribolla dice che la battaglia contro l’omofobia non appartiene soltanto al M5S (che ha cacciato il candidato sindaco grillino per dichiarazioni omofobe di recente) e che anche la Lega dice no alle discriminazioni, anche se loro non sono d’accordo sulle adozioni (il che, in punta di logica, è una discriminazione).
Poi continua:
I parlamentari gay nella Lega sono una decina.
«Sì, l’importante è fare bene il proprio lavoro».
C’è paura nel Carroccio a far coming out?
«Ma no, ciascuno vive la propria sensibilità  come meglio crede. Anche tra i nostri elettori ci sono molti gay».
Dunque nessun timore a dichiararsi?
«No, in passato c’erano anche associazioni all’interno della Lega, è una questione personale e non politica».
Certo
«Ci sono tante voci che girano sulle persone. Io? Ognuno nel privato fa quello che vuole. C’è a chi piace l’ amatriciana e a chi piace la cacio e pepe».
Prego?
«Sì, sono gusti personali»
E il congresso della famiglia di Verona?
«Ormai è una cosa passata. Sui contenuti ognuno ha la propria idea».
Altro che Lega, lei è democristiano.
«Vale la linea di Salvini».

(da “NextQuotidiano”)

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