Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
FINO ALL’ULTIMO HANNO SPERATO CON IL CAPPELLO IN MANO, ORA HANNO CAPITO CHE NON CONTANO UNA MAZZA: SALVINI SCONFITTO… E UN POSTO POTREBBERO DARLO ALL’EUROPEISTA MOAVERO TRATTANDO PERO’ CON CONTE
Alla fine Ursula von der Leyen diventa presidente della Commissione europea per un pugno di voti. Solo 9 in più rispetto alla maggioranza di 374 nell’aula del Parlamento di Strasburgo. Determinanti quindi i 14 voti degli eletti del Movimento cinquestelle, inizialmente non scontati nel computo dei sì. Ma la maggioranza della presidente tedesca è comunque europeista, sebbene con tante defezioni tra i socialisti. Ma i sovranisti del gruppo ‘Identità e democrazia’, da Salvini a Le Pen, sono fuori.
Dopo infinite trattative e altalene, la Lega vota no. Maggioranza risicata ed europeista: non c’è cornice migliore per impedire l’ingresso di commissari sovranisti in squadra con von der Leyen.
Lei lascia chiaramente intendere che non li vuole: “Voglio commissari che lavorino per una Europa più forte — dice in conferenza stampa – sono convinta che lavoriamo meglio insieme e non da soli questo è il segreto per l’Europa”. Il cammino del leghista Giancarlo Giorgetti come commissario europeo è in salita. E a Roma si accende ancor di più lo scontro tra i due partner di governo.
“Il nostro voto è coerente col nostro programma. Invece è gravissimo l’asse Renzi-Cinquestelle in Europa!”, fanno sapere dalla Lega. E sottolineano che il punto non è il commissario. “Abbiamo deciso in base al programma, quello della von der Leyen è stato un discorso di sinistra”, dice a fine giornata il capogruppo dei sovranisti di ‘Identità e democrazia” Marco Zanni.
Eppure proprio lui aveva ipotizzato il sì a von der Leyen in cambio del sostegno dei Popolari ad un commissario leghista. E sempre Zanni nel pomeriggio ci diceva della necessità di ottenere garanzie dalla presidente sul programma ma anche sul commissario, con portafoglio pesante “alla Concorrenza, commercio o industria”. Evidentemente queste garanzie non sono arrivate.
Per tutta la giornata la Lega ha trattato, cercato rassicurazioni dalla presidente tedesca. Anche dopo che il resto dei sovranisti aveva annunciato il no in aula: lo ha fatto il tedesco dell’Adf Jorge Meuthen a nome di tutti, tranne i leghisti.
Gli eurodeputati di Matteo Salvini hanno tenuto la porta aperta fino all’ultimo. In prima battuta, risulta all’Huffpost, il discorso in aula della nuova presidente era anche piaciuto in casa Lega, pieno di riferimenti alla necessità di aiutare i paesi periferici come l’Italia sull’immigrazione.
Certo, ci sono stati anche i richiami al dovere di soccorrere la gente in mare e lì i leghisti hanno cominciato ad aggrottare la fronte. Alla fine nemmeno nei contatti informali è arrivato il via libera che cercavano per dare i loro 28 sì.
Hanno cominciato a perdere forza nel momento in cui questi voti non si sono rivelati determinanti
Ce l’ha fatta, per un pelo. E questo non depone a favore di un leghista commissario.
Lo fa capire la nuova presidente. Ma è la stessa cornice del voto a parlare. Con una maggioranza così ristretta — sono mancati 48 voti alla somma di Ppe, socialisti e liberali, dovevano essere 444 — ma europeista, la stessa von der Leyen non può permettersi di rischiare di mandare in audizione in Parlamento un commissario non in linea con i principi europeisti (audizioni fissate per la prima settimana di ottobre). Rischierebbe di non passare e lei stessa non rafforzerebbe la sua presidenza. Invece ne ha bisogno.
E comunque il commissario lo tratterà con Giuseppe Conte, il premier che fa sapere subito di “apprezzare” il discorso della presidente in aula, i cinquestelle votano a favore. E’ possibile che il governo italiano debba proporre il nome di un commissario dal profilo più europeista (Moavero?) per passare il test a Bruxelles.
Salvini ha perso, potrebbe aver perso tutto con un no.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
IN UN’AGENDA POLITICA FATTA DI SELFIE, PANINI E SALSICCE, IL SUO AUDIO RIMETTE AL CENTRO LA PAROLA MAFIA
L’ultima volta che incontrai Paolo Borsellino fu il 24 maggio 1992. Erano le otto di sera. Giovanni
Falcone e sua moglie Francesca Morvillo erano morti da poco più di ventiquattro ore a Capaci, insieme a Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro, tre uomini della scorta.
Borsellino entrava e usciva dagli uffici della Procura al secondo piano del Palazzo di Giustizia con le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti, la sigaretta tra le labbra e gli occhi rossi e gonfi.
Lo osservavo, seduto nell’anticamera, in quell’andirivieni convulso. Non riusciva nemmeno più a piangere, stordito da quella strage impensabile e orrenda che aveva sventrato l’autostrada che collega l’aeroporto a Palermo portandogli via l’amico più caro, e schiacciato dall’incombenza di coordinare un’indagine che però gli serviva prima di tutto per non pensare a ciò che sarebbe venuto dopo.
Mi fece entrare nella sua stanza invasa dal fumo. Si sedette alla scrivania, spalle alla finestra, e in quel momento realizzai che per farlo fuori sarebbe bastato un cecchino piazzato sulla terrazza di uno dei palazzi sul lato opposto della piazza. Glielo dissi.
Gli dissi anche: possibile che nemmeno il vetro sia blindato? Lui mi guardò facendo un cenno molto siciliano con la mano, un’altra sigaretta accesa tra le dita, e bofonchiò qualcosa come: “Fosse solo questo…”.
Poi cominciammo a parlare. E credo che anche quell’intervista, che uscì il giorno dopo sul Corriere della Sera, gli servisse per tenere la mente occupata, e tuttavia gli sono ancora grato di quell’ora che riuscii a rubargli in un momento in cui sembrava che quel Palazzo di Giustizia tormentato dai morti e dai veleni dovesse sprofondare sotto il colpo più feroce messo a segno da Cosa Nostra.
Il primo vero atto di guerra contro lo Stato. O almeno il più eclatante, seguendo la logica del procuratore Nino Di Matteo, che invece retrodata l’inizio dell’attacco armato alle istituzioni del nostro Paese all’uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nel 1982.
Oggi, trentasei anni dopo quell’incontro, quelle due battute scambiate sul vetro della finestra alle sue spalle, mi sembrano la continuazione coerente dell’audio dell’audizione che Borsellino fece davanti alla Commissione antimafia nel 1984.
Quattro minuti in cui fu costretto a spiegare che l’unico computer assegnato al pool di magistrati che doveva combattere Cosa Nostra giaceva privo di collaudo da due mesi. Quattro minuti per spiegare con pacatezza che avere la scorta solo di mattina, con un’unica auto blindata per quattro procuratori, significava da parte dello Stato mettere nel conto di consegnarlo alle pallottole della mafia la sera.
Quattro minuti per confessare ai parlamentari, allo Stato, che il pomeriggio tornava a lavorare a Palazzo di Giustizia con la propria macchina.
Per sentirsi dire da qualcuno, in sottofondo, che quello era un segno di libertà . La libertà di farsi ammazzare.
Come poi sarebbe accaduto domenica 19 luglio 1992, sotto casa di sua madre. Con un’autobomba in tutto e per tutto simile a quella che nel 1983 aveva sventrato la macchina del capo dell’ufficio istruzione Rocco Chinnici.
Ecco, ascoltare quegli audio desecretati, riascoltare la voce di Paolo Borsellino, è una esperienza da brividi che accende nuova rabbia.
Almeno quanto sapere che per un’intervista in cui ha semplicemente messo in fila gli interrogativi ancora aperti sulla strage di Capaci (per non parlare di quella di via D’Amelio che fece a pezzi Borsellino e la sua scorta di cinque persone, della sua agenda rossa sparita e i depistaggi che seguirono), il procuratore Nino Di Matteo è stato estromesso dal pool d’indagine sulle stragi della Direzione Nazionale Antimafia. In attesa che il Consiglio Superiore della Magistratura decida se ratificare quella decisione o reintegrarlo nelle funzioni.
Questo Csm, di cui da settimane abbiamo scoperto intrallazzi e collusioni impensabili con la politica. Con intercettazioni nelle quali, guarda caso, si accenna proprio all’auspicio che Di Matteo venga messo fuori gioco dal coordinamento sulle inchieste che permetterebbero di non consegnare solo alla storia e alle commemorazioni quelle stragi, senza che sia fatta piena luce sulla possibile complicità tra Cosa Nostra a pezzi deviati dello Stato.
Uno Stato senza memoria, distratto, a cui farebbe bene ascoltare quegli audio per recuperare nell’agenda quotidiana, tra selfie, panini e salsicce, anche una parola che quando raramente viene pronunciata sembra sia quasi per caso: Mafia.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
“ORA SCELGA DEI COMMISSARI IN SINTONIA CON I VALORI EUROPEI”… SOVRANISTI AI MARGINI
“Oggi abbiamo capito questo: chi è fuori dal gioco europeista, gioca in serie B. Per giocare in serie A, invece, devi stare nello schema europeista”.
Nel suo studio al 15esimo piano del Parlamento europeo con vista mozzafiato su Strasburgo, David Sassoli è soddisfatto della giornata di oggi, cruciale per l’inizio della nuova legislatura.
Il Parlamento ha votato Ursula von der Leyen presidente della Commissione europea, seppure con soli 9 voti di scarto (383 sì su una maggioranza di 374). Non era scontato. Ma soprattutto non era scontato che l’aula si esprimesse con una maggioranza composta da forze europeiste, scongiurando il rischio, reale fino a due giorni fa, che la nuova guida di Palazzo Berlaymont ricevesse l’ok dei sovranisti.
E’ da questo dato che il presidente del Parlamento europeo parte, in questa intervista in cui ci spiega che lo stesso gioco europeista regolerà il voto del Parlamento sui commissari della squadra von der Leyen.
Difficile insomma che passi un commissario sovranista, per esempio un leghista. Sassoli non lo dice esplicitamente, ma il suo ragionamento è questo: la nuova presidente dovrà “presentare dei commissari che tengano fede agli impegni che lei ha assunto in Parlamento. Il suo collegio dovrà avere un’omogeneità al suo interno sui punti programmatici su cui lei ha assunto degli impegni. Se i commissari vanno in ordine sparso l’iniziativa della commissione sarebbe più debole”. Consiglio per l’Italia? “Rientrare nella dinamica europeista, questa è la sua vocazione”.
Presidente Sassoli, solo fino a qualche giorno fa sembrava che von der Leyen attraesse più i voti dei sovranisti che quelli degli europeisti. Come si è arrivati al risultato di oggi?
Ascoltare il Parlamento fa bene. Le proposte sono state precisate in questa settimana. Il discorso di von der Leyen stamane in aula ha raccolto tanti umori del Parlamento: dall’immigrazione, ai temi della solidarietà , della stabilità e flessiblità fino alla grande proposta di riconciliarsi con il metodo degli Spitzenkandidaten (i capolista dei partiti che alle elezioni erano candidati per la guida della Commissione, von der Leyen non era candidata, ndr.) che è stato tradito, avviando una conferenza interistituzionale che possa precisare gli strumenti della democrazia. E poi ha accolto una grande richiesta del Parlamento di rafforzare il suo potere di iniziativa. Von der Leyen lo ha detto chiaramente: quando il Parlamento proporrà a larga maggioranza, io darò seguito alle sue iniziative. Ecco, questo cambia molto la scena e rafforza il Parlamento.
Solo la scorsa settimana la presidente designata faceva trattative con tutti, senza badare ai colori politici nè al tasso di europeismo dei partiti. Cosa le ha fatto cambiare idea?
Diciamo che si è guardata intorno, ha ascoltato, ha capito e ha precisato le sue proposte. C’è stata una vera negoziazione col Parlamento. Ha incontrato tutti i gruppi, ha messo in chiaro le proposte, le ha scritte, ha ricevuto le priorità dei gruppi europeisti e ha precisato anche quale è il punto di caduta in Parlamento degli interlocutori che in qualche modo hanno deciso di sostenerla: sono le forze che hanno vinto le elezioni, le forze europeiste. E’ stato un percorso trasparente, fatto di interventi pubblici, assemblee, incontri, twitter, post su facebook, interviste; un percorso in cui di segreto e riservato non c’è stato nulla
Alla fine von der Leyen ha scelto il campo europeista. Si può dire che il ‘cordone sanitario’ anti-sovranista ha funzionato?
Il Parlamento ha fatto delle scelte politiche. Quella di ‘cordone sanitario’ è una bruttissima espressione. Non si tratta di escludere nessuno, ma si è trattato di un percorso democratico e trasparente, come avviene in tutti i Parlamenti d’Europa. Non mi risulta che a Montecitorio si faccia in maniera diversa e che la maggioranza italiana abbia fatto in maniera diversa. Si fa il presidente se si ha il consenso per farlo. Credo che stamane lei sia stata molto chiara in aula: voglio lavorare con le forze che vogliono un’Europa più forte. E poi ha rifiutato i voti sovranisti con una battuta al leader dell’Afd, l’eurodeputato Meuthen…
Il metodo europeista dunque bloccherà la nomina di candidati sovranisti per la squadra dei Commissari guidata da von der Leyen?
Il voto di oggi non è un voto sulla Commissione ma per iniziare il percorso sulla Commissione. A settembre ci aspettiamo che ci siano nomi e cognomi per fare le audizioni dei commissari e formare il collegio. Poi il Parlamento darà il suo giudizio finale sulla Commissione. Oggi abbiamo capito che chi è fuori dal gioco europeista, gioca in serie B. Per giocare in serie A, devi stare nello schema europeista che in questo caso viene fuori dal risultato elettorale perchè i cittadini non hanno premiato le forze che vogliono meno Europa, ma le forze che vogliono un’Europa più forte, protagonista sulla scena internazionale, che affronti i nodi strutturali della democrazia europea ma per renderla più forte e non più debole. Chi partecipa a questo gioco, gioca in Champions. Gli altri giocano in serie B.
Nel governo italiano i cinquestelle l’hanno capito: hanno votato sì a von der Leyen…
Io penso che l’Italia debba rientrare nella dinamica europeista, questa è la sua vocazione. Ogni volta che l’Italia gioca in Europa può anche vincere e far valere le sue idee. Se naturalmente si sottrae, abbiamo visto che può diventare un problema. Tra l’altro questo vale per tutti i governi e per tutti i commissari che arriveranno qui. Devono essere all’altezza di una legislatura che deve iniziare per rendere più forte l’Europa. E mi auguro anche il mio paese lo possa fare. Del resto è un bene se più gruppi si aggiungono con chiarezza a chi vuole un’Europa più forte. Von der Leyen ha detto una cosa precisa: il punto di caduta della sua iniziativa in Parlamento saranno le forze che vogliono un’Europa più forte.
Come sono state queste prime settimane alla presidenza?
Sono stato subissato da messaggi di tutto il mondo. Mi sono trovato in un frullatore acceso ad altissima velocità e in una fase complicata di avvio della legislatura, ma con un Parlamento molto orgoglioso e con tanti parlamentari nuovi, tanti presidenti di gruppo nuovi, molti non si conoscono nemmeno tra loro. C’è una dinamica anche inedita, spesso difficile da interpretare se uno non è dentro il gioco parlamentare. Mi sono trovato buttato nella mischia. Io ho una funzione di garanzia in difesa delle prerogative del Parlamento, però non sono stato votato da tutti. Penso che un Parlamento europeo forte sia quello che serve per un’Europa più forte.
Abbiamo parlato dei lati positivi di von der Leyen, ne avrà di negativi. Quali? In fondo lei ha ricevuto il placet dei paesi di Visegrad, che tanti problemi creano all’Europa unita.
Dovrà presentare dei commissari che tengano fede agli impegni che lei ha assunto in Parlamento. La Commissione ha anche un’iniziativa politica. Avere una omogeneità nel collegio sui punti programmatici su quali lei ha assunto degli impegni è fondamentale. Se i commissari vanno in ordine sparso, l’iniziativa della commissione sarebbe più debole.
Anche se in questa fase von der Leyen può promettere la qualunque e poi se le proposte non passano può dare la colpa agli Stati membri. E’ successo col piano Juncker sulle relocations dei migranti…
Abbiamo bisogno di una Commissione che scommetta sulla solidarietà tra i paesi. Poi sappiamo che i meccanismi non sono solo in mano alla Commissione. Per esempio la politica sull’immigrazione continua a essere nazionale, abbiamo bisogno di trasferire la politica dell’immigrazione all’Europa. Ecco perchè ho fatto riferimento alla riforma del regolamento di Dublino perchè è un modo per dotare l’Europa di alcuni strumenti operativi. Se arrivi in Italia, arrivi in Europa e quindi l’Ue se ne deve far carico. Ma se questa riforma non si sviluppa, se i trasferimenti di poteri dal piano nazionale all’Europa non avvengono, di quella gente chi se ne deve occupare? Se ne può occupare solo l’Italia, la Grecia o la Spagna, insomma i paesi del confine sud dell’Europa. La Commissione può fare molto, ma non può fare tutto. Però certamente avere una Commissione che si pone il problema di spingere per una maggiore solidarietà è importante.
A parte i contenuti, cosa l’ha colpita di più del discorso di von der Leyen?
La storia di suo padre: ragazzino di 15 anni nella Germania nazista poi diventa un alto dirigente della Comunità europea. Rappresenta davvero la Germania che capisce la lezione della guerra e del nazismo, quella è la generazione che ha fatto iniziare tutto. Anche per me è stato così. Ci trovo tante assonanze. A quella generazione dobbiamo tantissimo, ha conosciuto l’orrore più assoluto e ci ha saputo dare un’eredità importante. Ecco perchè serve ancora di più lavorare per l’Unione europea. Ha fatto bene a fare quel riferimento e a darsi come punto di riferimento nel Parlamento le forze che vogliono un’Europa più forte.
Lei ha lavorato molto nei giorni scorsi per favorire il risultato europeista di oggi. L’ha aiutata il fatto che il suo nome come presidente del Parlamento non è uscito dal pacchetto di nomine del Consiglio europeo, dove avevano ipotizzato un socialista dell’est, bensì è stato negoziato dal Parlamento e tra i gruppi?
Molti hanno la sensazione che il Parlamento possa essere guidato dall’esterno. No: il Parlamento ha dimostrato di fare le sue valutazioni e assumere la propria iniziativa. Lo ha fatto con molta autonomia. Scegliendosi un percorso diverso da quello immaginato al Consiglio dei leader.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
LEGGETE I COMMENTI E VI CONVINCERETE CHE CON QUESTI ISTIGATORI ALL’ODIO C’E’ SOLO UN RIMEDIO
Ci sono fatti di cronaca che hanno la loro “foto simbolo”. Per la vicenda dello sgombero della ex
scuola Don Calabria in via Cardinal Capranica a Primavalle senza dubbio è lo scatto di Massimo Percossi di ANSA che ha fotografato uno dei bambini uscire portando con sè una pila di vecchi libri.
La foto è solo una sintesi della giornata di ieri, che alla fine delle “operazioni” ha lasciato più di 300 persone senza casa. Tra loro circa 80 minori che frequentavano le scuole della zona.
Il bambino della foto è uno di loro, uno dei più “deboli”, e sicuramente non ha colpe dell’occupazione (iniziata nel 2003).
Ma la foto diventa anche un facile bersaglio per la rabbia di quei patridioti che ritengono sia finta, creata ad arte. O peggio ancora un fotomontaggio.
“Figuriamoci se quelli lì, gli abusivi, mandano a scuola i figli”. Eppure di quella foto esistono altre versioni che dimostrano che quel bambino era davvero uno degli abitanti dell’edificio sgomberato ieri. Un altro scatto ad esempio, sempre con lo stesso bambino, è quello pubblicato dalla sindaca del I Municipio Sabrina Alfonsi.
Ma il “problema” della foto non riguarda certo il fatto che sia vera o meno (certo fa sorridere pensare che c’è qualcuno che è convinto che ANSA pubblichi foto false). Il problema è che per l’ennesima volta sbatte in faccia ai sostenitori delle politiche sicuritarie del governo la vera faccia dell’emergenza abitativa.
Così come le foto dei migranti naufraghi mostrano che il fenomeno della presunta invasione è fatta di persone, di volti.
Ecco quindi che si accusano i giornali che pubblicano la foto “strappalacrime” di voler fare propaganda pro-accoglienze e di “far leva sul pietismo”.
Oppure si parla di “foto inventate” per alimentare l’odio, quando in realtà lo scopo è esattamente l’opposto.
E se quei libri fossero pericolosissimi corani?
C’è chi dice che i libri non sono veri libri ma “libri da macero non certo adatti per un bambino di quell’età ” e che quindi la foto è “fatta a regola d’arte”.
Insomma si tratterebbe di uno scatto dove il bambino è messo in posa. Perchè naturalmente durante uno sgombero, con le forze dell’ordine a presidiare in massa l’area è possibile anche dedicarsi alle foto artistiche.
Il fatto che i libri sembrino vecchi poi non significa nulla. Magari sono tutto ciò che quel bambino ha di più caro. No, i giornalisti sicuramente hanno pagato per far “sfilare” il ragazzino con i libri.
E non manca il tizio con tricolore, cuore nero e manina che fa il saluto romano (il solito sedicente fascista da Bagaglino) che dice che secondo lui quei libri sono corani. Ma anche se fosse? Se davvero ci fosse una copia del Corano sarebbe un problema? Ovviamente no. In fondo quel bambino non sta mica facendo un comizio dal palco, non sta baciando il Vangelo di fronte a migliaia di persone, non sta ostentando la sua (eventuale) fede.
Il buonismo è il vero grande crimine che i patridioti non possono sopportare. Ecco che la foto è “patetica”, “ipocrita” oppure “da libro cuore”.
C’è chi pietà ed empatia non è in grado di provarle. Sono quelli che magari su Twitter si “commuovono” pensando ai terremotati
Ma non è una vera commozione, è tattica politica, è strumentalizzazione del dolore (altrui) per fini propagandistici, non c’è una reale vicinanza emotiva. Se avete a cuore i bambini o la sorte di chi soffre allora non potete selezionare chi salvare e chi insultare su base etnica. Ecco invece che c’è quello che scrive “te ne devi annà “, come se potesse parlare con il ragazzino.
Un altro invece, con immancabile tricolore nel profilo, commenta “libri? A che servivano? Ma fatemi il piacere”.
È uno che la sa lunga e che sarcasticamente dice “brulichiamo di scienziati rom e magrebini di seconda generazione”. Suvvia, lo sappiamo tutti che questi ragazzini sono senza futuro, anzi il loro futuro noi bravi italiani lo sappiamo già : saranno criminali. E chi ci dice che quei libri non li abbia rubati??
(da “NextQuoitidiano”)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
E SUL RUSSIAGATE: “SALVINI DEVE DARE SPIEGAZIONI, SERVE TRASPARENZA”
Il Ministro della Difesa Elisabetta Trenta, in un’intervista a AdnKronos, parla della sentenza su Massimo Garavaglia, attesa per domani 17 luglio: “Se sarà condannato dovrà dimettersi. È nel contratto e ci sono alcuni punti fermi”.
Il viceministro dell’Economia della Lega è accusato di turbativa d’asta che avrebbe avuto luogo nel 2014, quando Garavaglia era assessore all’Economia della Lombardia.
Trenta è intervenuta anche sul caso Russiagate, sostenendo come “sia sempre giusto dare spiegazioni alle Camere, perchè è il Parlamento che ci da la fiducia. Ogni volta che nasce un dubbio è giusto spiegare, anche per noi stessi, per trasparenza”.
“Chiarire è un atto di trasparenza per i nostri alleati e per il nostro Paese – sottolinea la Ministra -, è giusto farlo”.
Trenta parla anche della missione Sophia dichiarando che “non è decotta e non è morta, è stata un po’ affievolita la sua capacità . Io l’ho difesa sempre e la difendo, è stata uno strumento eccezionale”
Infine Trenta parla anche della legge sugli straordinari sui quali “troveremo un accordo. Non è giusto fare ripicche” e sui tagli alla Difesa: “spero proprio di no”.
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
FRANCESCO VANNUCCI ALL’ANSA SI DEFINISCE COLLABORATORE DI MERANDA MA LA PROCURA DI MILANO SMENTISCE… ORA C’E’ IL RISCHIO DEPISTAGGI PER NASCONDERE LA VERITA’
“Ho partecipato all’incontro all’hotel Metropol di Mosca il 18 ottobre 2018 in qualità di
consulente esperto bancario che da anni collabora con l’avvocato Gianluca Meranda“. Si fa avanti il terzo italiano, finora identificato come “nonno Francesco”, presente all’incontro con i faccendieri russi nei quali — come svelato dagli audio pubblicati da Buzzfeed — si discusse di un presunto affare per far arrivare in Italia fondi da destinare alla campagna della Lega per le Europee.
Dice di chiamarsi Francesco Vannucci, 62 anni, di essere residente a Suvereto, in provincia di Livorno, e di essere “profondamente rammaricato” per “dover mettere a rischio la privacy sua e della sua famiglia”.
Ha svelato lui stesso la sua identità tramite un messaggio Whatsapp inviato all’Ansa per spiegare di essere il “nonno Francesco” indicato nelle conversazioni assieme a Gianluca Meranda (anche lui ha svelato la propria identità autonomamente) e a Gianluca Savoini. Una ricostruzione al momento “smentita” e “non confermata” da fonti inquirenti e investigative.
“Lo scopo dell’incontro — spiega — era prettamente professionale e si è svolto nel rispetto dei canoni della deontologia commerciale. Non ci sono state situazioni diverse rispetto a quelle previste dalle normative che disciplinano i rapporti d’affari”, scrive Vannucci, rispondendo indirettamente anche all’inchiesta della procura di Milano per corruzione internazionale, attivata dopo le anticipazioni de L’Espresso nello scorso mese di febbraio, e nella quale figura come unico indagato proprio Savoini, ex portavoce di Matteo Salvini e presidente dell’associazione Lombardia-Russia.
“Sono profondamente dispiaciuto di essere indicato in modo a volte ironico, a volte opaco, con lo pseudonimo di ‘nonno Francesco’ — aggiunge Vannucci — Confido nella serietà della magistratura italiana nel capire le chiare dinamiche di questa vicenda”.
Il collaboratore di Meranda non ha però voluto rispondere alle domande dell’Ansa sui temi dell’incontro del Metropole, testimoniati dall’audio di BuzzFeed, aggiungendo solo di non essere stato ancora ascoltato dai magistrati che si occupano del caso. La sua convocazione non è certa.
Anzi, come scrive l’Adnkronos, l’identità di Vannucci viene smentita seccamente dai piani alti del Tribunale di Milano e poi da altri inquirenti “non confermata”.
Fonti investigative invitano alla cautela perchè la ricostruzione è finora “alquanto scivolosa”, scrive l’agenzia di stampa.
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
CUOR DI LEONE SCAPPA COME SEMPRE, NESSUNA INFORMATIVA ALLA CAMERA… POCHI MINUTI E NIENTE DIBATTITO
Nessuna informativa. Matteo Salvini si è detto non disponibile a prestarsi a quella che per lui diventerebbe prestissimo una corrida parlamentare.
La richiesta, arrivata sul tavolo della presidenza della Camera da parte del Pd, è stata respinta, come ha comunicato Roberto Fico ai capigruppo.
Perchè l’informativa prevede una relazione, un lungo dibattito, eventuali controrepliche. Insomma, incontrollabile.
Nulla da fare, almeno per il momento. È stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro a spiegarlo ai presidenti dei gruppi di Montecitorio: “Non ho ricevuto nessuna risposta”. Silenzio diniego, occorrendo il via libera dell’interessato per un atto formale di questo tipo
La prima fessura nel muro di silenzio della Lega si era aperta poche ore prima, quando Salvini aveva detto e non detto questa cosa qui: “Certo che vado in Parlamento. È il mio lavoro. Ci vado bisettimanalmente e per il question time durante il quale rispondo su tutto lo scibile umano, sempre”.
Essendo la risposta alla domanda se avrebbe riferito alle Camere sul caso Savoini e i presunti soldi dalla Russia, poteva voler dire tutto o non voler dir nulla.
La mossa è chiara. Quella della risposta a un’interrogazione è un territorio molto più agevole e controllabile. Una singola domanda di un singolo deputato, una manciata di minuti appena per la risposta del ministro interpellato, una controreplica di un minuto. Stop.
Quella che i Dem definiscono una furbata, e che a Salvini permetterebbe da un lato di evitare un processo politico, dall’altro di poter dire di non essersi sottratto al Parlamento.
Si dovrà tra l’altro attendere, però. Perchè mercoledì e giovedì, i giorni in cui i titolari dei dicasteri si presentano rispettivamente a Camera e Senato, il leader della Lega sarà ad Helsinki.
L’eventuale, striminzita risposta in sede istituzionale la si avrà quindi non prima di una settimana. Il no ha scatenato la bagarre del Pd, che con il segretario Nicola Zingaretti aveva incontrato la presidente del Senato Elisabetta Casellati (e che mercoledì mattina incontrerà lo stesso Fico): stop ai lavori d’aula e occupazione della commissione Affari costituzionali perchè “il Parlamento è stato umiliato”, ha spiegato Graziano Delrio. Dove, guarda caso, si stava esaminando il decreto Sicurezza bis.
Alla fine di una convulsa giornata Salvini continua a non cedere di un millimetro sulla posizione del “non c’è nulla da spiegare”, e ha alzare barricate contro le quali, tecnicamente parlando, le opposizioni hanno poche armi da contrapporre.
C’è solo la piccola fessura del question time. Ma è davvero improbabile che sia la crepa da cui possa entrare la luce.
Ostruzionismo sui lavori parlamentari in Aula e occupazione dei banchi della prima commissione fino a quando Matteo Salvini non si presenterà alla Camera per riferire sui presunti finanziamenti russi alla Lega. Il Pd sfida il vicepremier leghista: “Non basta una risposta durante il question time, serve un’informativa del ministro dell’Interno e quindi un dibattito”. Quando il titolare del dicastero dei Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro riferisce di non aver ricevuto alcuna risposta, e quindi la disponibilità da parte del vicepremier leghista al dibattito in Aula non c’è, scoppia il caos.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
L’INFORMATIVA DEI CARABINIERI DEL ROS CONSEGNATA ALLA PROCURA DI GENOVA
A cena con l’indagato, con uno degli uomini accusati di reclutare mercenari in Donbass. E
ovviamente con l’ideologo nazionalista, vicino a Putin, Alexander Dugin.
Il nome di Gianluca Savoini, e le sue amicizie pericolose, non sono soltanto “di passaggio”, nell’ordinanza di custodia cautelare che lo scorso agosto ha mandato in carcere tre persone, condannate dal gip di Genova appena due settimane fa nel primo processo sui combattenti filorussi finiti a imbracciare le armi in Ucraina.
Ma compare, più approfonditamente, nell’informativa che i carabinieri del Ros avevano consegnato al pubblico ministero Federico Manotti, della Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Genova. Documento finito poi agli atti del processo, ma ancora inedito.
Il presidente dell’associazione Lombardia Russia viene intercettato perchè il 22 giugno 2015, da un’utenza intestata al Consiglio regionale lombardo, chiama Orazio Gnerre, uno dei “rossobruni” tuttora indagati in uno stralcio d’inchiesta sui presunti reclutatori di combattenti per la causa filorussa.
Quel giorno a Milano, nello spazio “Melampo”, l’associazione Lombardia Russia aveva organizzato una conferenza di Dugin.
“Gnerre – scrive il Ros – veniva contattato dal presidente dell’associazione Savoini Gianluca, che dopo aver ricevuto conferma del fatto che Gnerre avrebbe partecipato alla conferenza in argomento, lo invitava a trattenersi anche a cena con Dugin”.
È Savoini, dunque, a invitare Gnerre a cena con Dugin, “Che così ci si vede anche per parlare del libro suo”. Savoini, incassato il sì di Gnerre, chiede dunque se “lei si può fermare con noi a cena?”, al che Gnerre risponde entusiasta: “Molto volentieri! Sì!”.
Per gli inquirenti, Gnerre aveva partecipato anche a uno degli incontri di San Pietroburgo organizzati dall’associazione Lombardia Russia.
E infatti, sempre in base a quanto raccolto dai carabinieri del Ros, e poi ripreso dal gip nell’ordinanza di custodia cautelare dei tre mercenari arrestati, “pare opportuno segnalare che al Forum Internazionale Conservatore Russo, tenutosi a San Pietroburgo nel mese di marzo 2015 ed organizzato dal partito Rodina con il patrocinio del Cremlino, avevano partecipato, oltre ai coindagati Gnerre Orazio Maria e Pintaudi Luca, anche numerosi militanti neonazisti, antisemiti ed omofobi europei”.
Tra i quali, citano gli inquirenti, “Fiore Roberto”, “Bertoni Luca dell’Associazione Lombardia- Russia”, e “Osipova Irina, dell’associazione italo russa Rim che sta collaborando al lancio di “Sovranità “, la forza politica di cui è promotrice CasaPound nell’ambito della sua alleanza con la Lega Nord”.
Quell’Irina Osipova che a Repubblica ha confermato di essere stata contattata da Savoini e di essere entrata così nella cerchia salviniana. Dove lo stesso Savoini, negli incontri di Salvini in Russia, secondo la Osipova “organizzava tutto”.
Gnerre, invece, si legge sempre nell’ordinanza, all’interno dell’associazione Millennium-Pce fa parte del “Coordinamento Solidale per il Donbass, attivo pubblicamente nell’assistenza umanitaria verso le popolazioni del Donbass, vittime sacrificali della guerra civile scoppiata nella primavera 2014, ed occultamente attraverso l’opera di Gnerre Orazio Maria e Pintaudi Luca nel reclutamento di mercenari da instradare in quell’area, arruolandoli nelle milizie filorusse, notoriamente riconducibili alle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk.
L’estrazione politica dei due principali riferimenti (estrema destra Gnerre, estrema sinistra Pintaudi) dà l’esatta portata della trasversalità del soggetto reclutatore, ideologicamente disinteressato ad avere un marchio politico tradizionale ed invece orientato verso posizioni eurasiatiche, sulla scia delle teorie propugnate dal filosofo russo Alexander Dugin, a sua volta punto di riferimento anche per i miliziani filorussi nel Donbass”
(da “La Repubblica”)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO ALLA CAMERA IN LINGUA RUSSA: “SALVINI E’ RICATTATO DA PUTIN?”
“Sono uno storico, insegno storia della Russia all’università di Tor Vergata, e mi scuso con la presidente della Camera di avere parlato in russo. Ma pensavo di intervenire di fronte alla Duma, visto che il ministro dell’Interno ignora il Parlamento italiano”. Andrea Romano, deputato dem, prende la parola a Montecitorio per chiedere che Salvini riferisca su Moscopoli. Lo fa in russo.
Romano, lei conosce il russo?
“Insegno storia russa all’università di Tor Vergata. Ho scritto libri sulla storia dell’Unione sovietica e spesso ho visitato la Russia”.
Ma nel Parlamento italiano non si può usare una lingua straniera?
“No, certo. Ma era una provocazione politica”.
Cioè?
“Visto che Salvini fa finta di non capire, come deputati del Pd chiediamo che il ministro dell’Interno venga qui a riferire sui suoi rapporti con Mosca e sul ruolo di Savoini e i soldi alla Lega. Dal momento che in italiano non capisce, proviamo col russo”.
E cos’altro ha detto in russo?
“Alla fine ho chiesto scusa a Maria Edera Spadoni che presiedeva la seduta della Camera, dicendo: mi sembrava di parlare davanti alla Duma…”.
Farete pressing voi del Pd per portare il ministro a informare sui soldi russi?
“Il segretario Zingaretti e il capogruppo al Senato Andrea Marcucci parleranno con la presidente Elisabetta Alberti Casellati insistendo sulla richiesta che Salvini venga alle Camere, domani Graziano Delrio e sempre il segretario dem porranno la questione al presidente Roberto Fico. Salvini scappa ed è disposto a concedere i due minuti di question time. No. Deve riferire in Parlamento in modo esaustivo”.
Voi quindi chiedere una informativa dettagliata?
“Abbiamo depositato la richiesta di una informativa. Noi, come ho detto anche in russo e poi tradotto in italiano, poniamo una sola domanda: il ministro dell’Interno italiano è ricattato dalla Russia di Putin?”.
Lo chiedono anche le altre opposizioni?
“Non lo chiede Forza Italia, che sente evidentemente il richiamo del “lettone” di Putin, quello regalato a Berlusconi, più di quanto non senta l’esigenza di tutelare gli interessi dell’Italia. Sul tema Putin, i forzisti sono sensibili”.
(da “La Repubblica”)
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