Luglio 23rd, 2019 Riccardo Fucile
COSI’ VOTANO CONTRO PENSANDO DI SALVARE LA FACCIA E L’OPERA SI FA LO STESSO… PARLIAMOCI CHIARO: SE NON AVESSERO VOLUTO LA TAV LO FACEVANO METTERE NEL CONTRATTO DI GOVERNO, A COSTO DI FAR SALTARE TUTTO
Il governo scioglie le riserve e dice sì alla Tav. È stato lo stesso premier Giuseppe Conte a spiegare la posizione dell’esecutivo con una diretta Facebook che ha fatto cantare vittoria a Matteo Salvini e ha scatenato le ire del Movimento 5 stelle, cui non rimane altro da fare che invocare una decisione del Parlamento.
Il ragionamento di Conte è partito da quanto lui stesso aveva detto il 7 marzo – “Non credo che serva all’Italia” – spiegando che le condizioni da allora sono mutate: “Sono intervenuti fatti nuovi di cui dobbiamo tenere conto, nella risposta che venerdì il governo dovrà dare per evitare la perdita dei finanziamenti europei. L’Europa si è detta disponibile ad aumentare il finanziamento. Per la tratta nazionale l’Italia potrebbe beneficiare del finanziamento del 50 per cento. Ulteriori finanziamenti saranno disponibili grazie all’impegno del ministro Toninelli, che ringrazio pubblicamente”.
Ancora Conte ha spiegato che “il 18 giugno 2019 la Francia si è espressa a favore dell’opera. Se volessimo bloccare l’opera non lo potremmo fare, condividendo questo percorso con la Francia. Non potremmo confidare sul mutuo dissenso degli altri protagonisti, Francia e Europa. A queste condizioni solo il Parlamento potrebbe adottare una decisione unilaterale viste anche le leggi di ratifica adottate dalle Camere. La decisione di non realizzare l’opera non comporterebbe solo la perdita dei finanziamenti, ma anche tutti i costi derivanti dalla rottura dell’accordo con la Francia. L’impatto finanziario per l’Italia è destinato a cambiare per l’apporto della Unione europea e potrebbe ulteriormente ridursi con la Francia. Il governo italiano è impegnato con la massima attenzione per questo nuovo riparto che non è ancora garantito. I fondi europei sono soltanto per il Tav, non realizzarlo costerebbe molto più che completarlo. Lo dico pensando all’interesse nazionale, unica stella polare di questo governo. Questa è la decisione del governo, ferma restando la sovranità del Parlamento”.
Immediata la reazione di Matteo Salvini: “La Tav si farà , come giusto e come sempre chiesto dalla Lega. Peccato per il tempo perso, adesso di corsa a sbloccare tutti gli altri cantieri fermi!”
M5s: “Decidano le Camere”
L’alleato di governo in apparenza rimane sul fronte opposto. Luigi Di Maio affida la sua reazione a Facebook: “Rispetto Conte, ma per il Movimento 5 Stelle l’opera è dannosa. Si esprimano le Camere”. E ancora: “Sarà il Parlamento a dover decidere se è più importante la tratta Torino-Lione, cioè se è più importante fare un regalo ai francesi e a Macron, piuttosto che realizzare, ad esempio, l’alta velocità verso Matera, capitale europea della cultura, o la Napoli-Bari”.
Segue attacco alla Lega e a Salvini: “Negli ultimi giorni abbiamo ricevuto attacchi fantasiosi, letto ricostruzioni farneticanti di una nostra presunta alleanza in Europa col Pd. Tutto falso. Pura diffamazione. Ma fra non molto potremo vedere con i nostri occhi chi decide di andare a braccetto con Renzi, Monti, Calenda, la Fornero e Berlusconi. Il Parlamento restituirà a tutti la verità dei fatti”.
Tipica strategia di chi pensa di salvare la faccia votando no in Parlamento sapendo che la maggioranza voterà Sì. Quando sarebbe bastato chiedere che il No alla Tav fosse inserito bel contratto di governo come condicio sine qua non. Ma si è preferito la poltrona alla coerenza.
“Un governo di cui fa parte il #M5s dà l’ok al Tav? Inaccettabile”, è dura la presa di posizione della capogruppo pentastellata alla Regione Piemonte Francesca Frediani, valsusina e No Tav. “Il #tuttiacasa stavolta – aggiunge – sarebbe per voi”.
Grillo: “Ennesimo tradimento, è l’ultimo tassello”
Beppe Grillo non risponde al telefono nè agli sms dei giornalisti ma persone che gli sono vicine raccontano che è furente per la posizione assunta da Conte. “Dopo Tap, trivelle, Ilva – si sarebbe sfogato il fondatore del Movimento 5 stelle – tradire la Tav è l’ultimo tassello”.
Parla anche Matteo Renzi: “Ci hanno messo un mese per capire che non bisognava uscire dall’euro. Tre mesi per capire che gli 80 euro andavano tenuti. Sei mesi per capire che la fatturazione elettronica serviva. Ora dopo appena un anno dicono di sì alla Tav. Non sono cattivi: è che ci arrivano dopo. Basta avere pazienza, il tempo è galantuomo”.
(da agenzie)
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Luglio 23rd, 2019 Riccardo Fucile
L’ATTIVISMO DEI SERVIZI TEDESCHI CON L’AVALLO DI FRANCIA, GRAN BRETAGNA E STATI UNITI PER OPPORSI ALLA STRATEGIA IMPERIALISTA DI PUTIN… LE VOCI CHE GIRANO NELLE CANCELLERIE CHE CONTANO
La manina che più efficacemente potrebbe aver lavorato contro i sovranisti italiani sarebbe tedesca. Nel quadro di una “riattivizzazione” a tutto campo della strategia della Germania per difendere l’Europa dal risorgente nazionalismo, e dalla Russia di Vladimir Putin – un’uscita dal tradizionale schema della leadership “riluttante” che ha caratterizzato la Germania nel Dopoguerra.
Passo intrapreso con il consenso/conoscenza della Francia e della Gran Bretagna, nonchè degli Stati Uniti, a dispetto delle affermazioni di rutilante simpatia che il presidente americano Donald Trump ha sempre espresso nei confronti del leader russo Putin.
Questa è la storia che circola tra le due sponde dell’Atlantico in risposta alla sola domanda che interessa fuori dall’Italia sul caso Salvini/Mosca: chi ha incastrato il leader della Lega, vice premier e ministro dell’Interno italiano?
Domanda non da spy story — anche se, come vedremo, di spy story è tutto il tono della vicenda — ma di pura politica.
La vicenda dei rapporti Lega/Mosca, comunque la si voglia interpretare, fuori dall’Italia ha colpito perchè segnala alle elite della politica estera occidentale la necessità di fare, dopo le recenti elezioni per il governo di Bruxelles, i conti con il nuovo assetto interno dell’Europa e dei rapporti inter-atlantici.
Nei sensibilissimi think tank americani, o nelle sfere dei professionisti della politica globale, alcune novità sono state immediatamente registrate.
Va detto anche che, al momento, alla domanda su chi abbia incastrato Salvini nessuno ha risposta certa, ma solo serie ipotesi.
E ogni ipotesi sull’attuale Europa ha un solo possibile inizio: la Guerra Fredda, che ha forgiato l’Unione attuale, e di cui memoria, passioni, e strumenti costituiscono ancora oggi la struttura di fondo.
Quello che gli europei hanno oggi come influenza politica e come agibilità operativa nel continente, ricalca in buona parte infatti, ancora, le tradizionali aree di influenza della varie nazioni, in alcuni casi quelle di radice imperiale, e più di recente, dopo la Seconda Guerra Mondiale, quelle economiche e culturali.
Così la Francia ancora mantiene una infrastruttura, anche di intelligence, in Africa e in parti del Medio Oriente francese, la Gran Bretagna gioca alla grande in Medio Oriente e nell’area subcontinentale del far east, l’Italia è a casa in parti del Nord Africa, e la Germania ha una sorta di “signoraggio” ereditario sui paesi dell’Est europeo.
“Voi europei non dimenticate mai nulla” prende in giro, bonariamente, un anziano civil servant americano, riconoscendo la ostinata continuità della nostra storia.
Il campanello d’allarme che avverte di un nuovo clima in Europa suona proprio nella capitale di uno stato simbolo, un luogo che è stato un passaggio cruciale del conflitto europeo del secolo scorso: l’Austria.
Il 17 maggio di quest’anno, a poche ore dal nuovo voto europeo, per il quale le urne si aprono dal 23 al 26, viene reso pubblico un video che riguarda il politico più discusso e più in ascesa dell’Austria, Heinz-Christian Strache, leader del partito di estrema destra, il Freedom Party.
Nel video, girato nel 2017 in una villa di Ibiza, Strache e un suo collega, parlano per sei ore di donazioni illegittime al partito, con una donna che si presenta come la nipote di un oligarca russo, che vuole influenzare la politica austriaca con il suo denaro.
La donna vuole comprare il 50 per cento di un grande giornale austriaco, per aiutare il Freedom Party. Strache, che si impegna a darle in cambio ricchi contratti di Stato, tira in mezzo anche il sovranista Viktor Orban, dicendo di voler “costruire un panorama mediatico” come quello in Ungheria — in ammirazione della politica di chiusura dei media in quel paese.
L’incontro era una trappola. Il video viene passato ai media tedeschi e in poche ore porta alle dimissioni di Strache, cancella l’Austria dalle elezioni europee, e distrugge il Governo austriaco, che si avvia a nuove elezioni questo settembre.
Per molti versi la vicenda sembra una storia molto locale, di un paese da sempre attraversato da una forte corrente di estremismo di destra.
Ma la lezione nel cuore dell’Europa centrale viene ben capita. Il Freedom Party di Strache è stato fondato da un neo nazista e si dichiara amico della Russia.
Il giovane cancelliere Sebastian Kurz forma una coalizione con questo partito, nel 2017, ricevendo molte critiche, incluso dalla Germania, nell’idea che i conservatori moderati possano a loro volta servire a moderare, con l’inclusione nel governo, i neonazi.
Il potenziale impatto dello scandalo accende l’attenzione internazionale su quel che può accadere nel resto dell’Europa.
Alina Polyakova, esperta di questioni di estrema destra per il Brookings Institute di Washington, scrive sul New York Times che la vicenda prova che gli estremisti non possono essere moderati, anche quando entrano al Governo.
“Altri politici europei che si trovano a confrontare con una destra estrema dovrebbero capirlo. A fronte di tutta la retorica di sovranità nazionale regolarmente celebrata da Marine Le Pen, Matteo Salvini e altri leader populisti, la caduta di Strache prova che tutte queste idee sono solo copertura di opportunismo e ipocrisia”.
Che i populisti siano un pericolo da fermare è un’idea che assume una forte valenza proprio intorno a quello scandalo, nelle ore immediatamente a ridosso dell’apertura delle urne per le europee.
Chi c’è dietro quella trappola? Molti parlano degli stessi russi, ma molti vi vedono un ruolo tedesco — magari non di organizzazione, ma certamente di facilitazione.
Sono i giornali tedeschi che riverberano lo scandalo, il tema del pericolo populista; ma è soprattutto Vienna a far scattare l’associazione con la Germania.
Dire Austria ha avuto a lungo il significato, ed è vero ancora oggi, di dire Germania. Dalla tragica avanguardia antisemita della “notte dei cristalli” nel 1938, alla guerra pericolosa e sottile degli anni della Guerra Fredda, appunto.
L’influenza della Germania è ancora oggi molto estesa, nei paesi dell’Est — Visegrad è il gruppo di nazioni che ricalcano ancora la vecchia zona di influenza dove Germania e Russia hanno fatto patti o guerra.
I rapporti fra Russia e Germania sono nella storia europea fra i più stretti: persino nella divisione creata dal Muro, quando la Germania era il cuore e il confine di un conflitto per la sopravvivenza di due modi di vedere l’Europa, questi rapporti sono rimasti intrecciatissimi.
Proprio per questo, nella Guerra Fredda gli inglesi e gli americani in prima fila contro la Russia si sono sempre basati sulla struttura operativa, inteso come uomini, conoscenze, contatti, costituita dalla rete tedesca — spesso delle due parti della Germania.
Nella stessa leadership attuale dei due paesi c’è l’imprint di questa storia.
La attuale cancelliera, Angela Merkel, è cresciuta nella Ddr, ed è da sempre “sospettata” (ma non si sono mai trovate le prove) di aver lavorato come informatrice della Stasi, il servizio di intelligence della Germania dell’Est; l’attuale presidente Putin ha fatto un’importante parte di carriera come ufficiale dei Servizi segreti sovietici con il grado di tenente colonnello del Kgb, dal 1975 al 1991, in residenza (dal 1985 al 1990) anche lui nella Ddr, a Dresda, utilizzando un’identità di interprete come copertura. Come poi da lui raccontato, la notte della caduta del Muro passò il tempo a bruciare migliaia di carte di documenti ufficiali del Kgb.
Putin parla tedesco, e fra loro Merkel e Putin usano questa lingua per comunicare, in un rapporto stretto in termini di uso reciproco, ma ugualmente conflittuale, che simboleggia nelle carriere parallele di due forti leader il senso di quanto profondo e quanto radicato (nel senso di profondità delle radici) sia ancora oggi lo snodo Europa-Russia.
L’ 8 luglio, meno di due mesi dopo la tempesta austriaca, arriva un’altra pubblicazione, quella degli audio di un gruppo di leghisti che, suppostamente a nome della Lega di Matteo Salvini, tratta per un finanziamento illegale con dei russi a tutt’oggi non identificati. Le somiglianze con il caso austriaco sono sorprendenti: i due avvenimenti sono la fotocopia l’uno dell’altro. E il parallelismo non va perso.
La Lega si difende dallo scandalo, sottolineando l’aspetto geopolitico della trappola, cita i Servizi, parla dei francesi, della Massoneria. Gli avversari della Lega evocano gli stessi russi che avrebbero tradito il proprio alleato — per fare un favore all’America, per scaricare un alleato che ha tradito le aspettative.
Ma la storia che siano gli stessi russi è in parte troppo contraddittoria. Seguendo invece la pista della “operatività ” e del “cui prodest”, si arriva molto più vicini a una pista più politicamente fondata.
Naturalmente toccherà ai giornalisti dell’Espresso raccontare a fondo un giorno questa storia da loro scoperta con tenacia e audacia — e ce ne vuole di queste due virtù per aver fatto l’impeccabile lavoro che hanno fatto.
Ma se dei giornalisti sapevano, a maggior ragione è probabile che anche l’intelligence straniera che opera in Russia sapesse e tenesse sotto controllo i protagonisti italiani, ben noti nelle vicende russe per posizioni e attività .
E in Russia operano tutti i Servizi occidentali, ma di questi il tedesco rimane comunque quello con maggiore agibilità nella ex oltre cortina.
Che si tratti di un trojan, di microspie, di doppi fili e doppi agenti, lo sapremo mai? Si può però dire con certezza che l’operazione è il secondo atto in due mesi di una trappola ostile costruita contro i sovranisti d’Europa.
La trappola stavolta viene resa nota per vie americane, Buzzfeed e New York Times.
E non è audace sostenere che è questo il passaggio che serve: laddove la questione austriaca era molto europea, il rapporto con Mosca di Matteo Salvini, vincitore delle elezioni europee e astro nascente del nazionalismo europeo, ci porta dritti dritti agli americani, oggi alleati del leader leghista tanto quanto Putin.
E la domanda che si pone è: Washington sapeva o meno? Gli Usa sono stati protagonisti o solo spettatori? E sono stati contenti o meno? Questa è la seconda parte della storia, che è appena iniziata.
“La struttura stessa della intelligence è oggi profondamente interdipendente. Per ragioni di globalizzazione e di tecnologie, tutti sanno tutto di tutti”, commenta un esperto di queste materie.
“La Germania non potrebbe politicamente agire da sola, perchè nel corso di tutta la Guerra Fredda in quanto avamposto dello scontro con i sovietici, ha sempre lavorato insieme a inglesi, francesi e americani”. Tutto quello che è avvenuto, è avvenuto con la conoscenza e l’approvazione in chiaro o meno di un po’ tutti.
Gli Americani, dunque. Non sono gli americani dell’amministrazione Trump amici di Salvini e ammiratori di Putin? Questa definizione, che dal nostro lato dell’Atlantico, è una opinione indiscussa, a Washington non è invece tale.
John Hamre, uno dei maggiori esperti in Usa di Difesa, presidente e Ceo dal 2000 del Csis (Center for Strategic and International Studies), alla domanda su questo intreccio apparente di contraddizioni sul caso Metropol/Lega, è abbastanza chiaro: “Trump dice e fa cose che tuttavia a livello di politica estera non hanno la stessa rappresentatività ”. Parere su cui si ascoltano opinioni simili all’Atlantic Council, dove il programma sulle relazioni fra Europa e Usa è affidato al francese Benjamin Haddad, che nel 2017 a Washington rappresentava “En Marche” di Emmanuel Macron.
Ma sul lato opposto dello spettro politico americano, si ascoltano valutazioni non distanti: a pranzo con Rover Norquist, si può ascoltare il carismatico fondatore e leader del think tank considerato più influente oggi a Washington, American for tax reform, l’uomo che ha inventato la flat tax, un reaganiano della prima ora, amico e compagno di avventure in America Centrale del colonnello Oliver North (proprio lui, il protagonista della campagna a favore dei Contras).
Norquist ha incontrato Salvini nel recente viaggio del leader Italiano, ma sul rapporto Russia/Usa non ha nessuna incertezza, nemmeno lui: l’America non sta con Putin e non intende lasciare via libera alla Russia in Europa.
La distanza fra Amministrazione, cioè fra gli uomini che formano la politica, e il presidente, sembra uno dei punti assodati di questo panorama washingtoniano.
In particolare si indicano il percorso e le opinioni del segretario di Stato Mike Pompeo, oggi segretario di Stato, ufficiale dell’esercito americano e da gennaio 2017 ad aprile 2018 direttore della Cia.
Nel suo discorso davanti al Congresso durante le confirmation hearings accusò Barack Obama di aver invitato la Russia in Siria, e così descrisse la politica di Mosca: “Si è di nuovo imposta con metodi aggressivi, invadendo l’Ucraina, minacciando l’Europa, e non facendo nulla per aiutare la distruzione e sconfitta dell’Isis”.
D’altra parte, sottolinea Hamre, per andare alla sostanza di questa relazione basta guardare la Nato: a dispetto di tutte le polemiche e le proteste di Trump con gli europei, “la Nato non è stata smantellata. Semmai rafforzata”.
In sintesi, dice il presidente del Csis: “Pompeo è un uomo parte della vecchia scuola di politica estera americana. Un conservatore che su Putin e sulla Russia ha idee molto chiare. Il fatto che ci siano tra superpotenze necessità di buone relazioni, come ha sempre sostenuto, non vuol dire far rientrare Putin in Europa dalla porta di servizio”.
“La porta di servizio”, la definizione è una ottima sintesi per descrivere bene il punto intorno a cui sembra ora svilupparsi la situazione in Europa e sull’asse Atlantico: sul rapporto con la Russia è in corso nel nostro continente un marcato cambio di percezione e, forse, di decisioni.
Il rapporto fra Putin e i nazionalisti europei – a lungo probabilmente sottovalutato o, comunque mal analizzato dalle leadership europee, nell’ultimo anno, in mezzo alle spoglie dell’indebolimento della Ue (tra Brexit e la crisi dei modelli Germania e Francia) – ha finito con il diventare una sfida frontale alla sovranità europea, i nazionalisti visti come la quinta colonna, la “porta di servizio” appunto, attraverso cui la Russia rientra in Europa. Vincendo alla fine, in una specie di mano di ritorno, quella Guerra Fredda che invece per tanti ha perso.
Le vicende e le opinioni che fin qui si raccontano sembrano puntare ora a una reazione. Reazione di intelligence, ma anche politica.
“L’Europa ha combattuto per difendersi, negli ultimi anni, interpretando il ruolo di guardiana dei parametri di Maastricht” dice Hamre. “Nel caso l’intelligence europea avesse deciso di avere un ruolo attivo nel contenimento dei sovranisti, saremmo di fronte a un cambio di approccio”. In attacco invece che in difesa.
Se poi questo approccio fosse guidato dalla Germania ci troveremmo di fronte a un seconda novità : l’attivazione sul campo di una potenza che dall’epoca della fine della seconda Guerra, in rispetto del suo tragico retaggio, si è sempre tenuta fuori dai conflitti aperti, in puro supporto del campo anglo-americano .
Immaginiamo cosa e dove ci potrebbero portare questi cambiamenti.
Intanto, la scena politica sembra ampiamente appoggiare questa ipotesi di una Germania che allarga il proprio campo di azione. La partita giocata da Angela Merkel nella formazione del governo della Unione europea è stata innovativa, e forse non va considerato un caso il peso che la Difesa ha avuto in questo disegno: Ursula von der Leyen, oggi presidente della Commissione Ue, è stata a lungo ministro della Difesa, e il Ministero della Difesa è la scelta della Germania per la delfina della Merkel, Annegret Kramp-Karrenbauer.
Che il primo atto della presidente von der Leyen sia stato quello di non incontrare Salvini e di allontanare i voti leghisti è un altro segno di una lotta che si sposta dal controllo delle spese delle nazioni alla sfida diretta.
Così come inequivocabili sono state le parole della cancelliera, nei primi giorni del nuovo governo europeo, sul tema oggi più sensibile – il nazismo e il pericolo di una destra che ritorna in Europa.
Nel discorso di commemorazione del fallito attentato ad Adolf Hitler, Merkel ha collegato l’evento al presente della Germania: “Questo giorno ci ricorda non solo chi agì nel 20 luglio del 1944, ma tutti coloro che si sono opposti al regime nazista”.
“Oggi siamo ugualmente obbligati a opporci a tutte le tendenze che cercano di distruggere la democrazia. Compreso l’estremismo di destra”.
È questo l’inizio di un nuovo ruolo della Germania in Europa, una leadership che si schiera contro i sovranisti, che non si nasconde più (anche perchè non c’è più spazio per farlo) dietro la funzione tecnica del guardiano di Maastricht?
Un ruolo più schierato ideologicamente, compensato magari da una versione più soffice nelle trattative con i vari paesi? In questo senso, l’asse coltivato in Italia con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla trattativa per la procedura di infrazione, andata a buon fine, fa pensare non solo ad una alleanza anti-Salvini, ma anche a un’anticipazione di politiche di alleanze che spaccano i fronti dentro ogni territorio nazionale.
Qualunque sarà il futuro, questa Germania non più molto “riluttante” è un segnale che l’Europa non ha intenzione di smobilitare, e che con i sovranisti si prepara a uno scontro. “Europe is kicking back”, dice John Hamre.
L’Europa reagisce. E il calcio, viene da aggiungere, potrebbe far partire una seconda tranche di guerra fredda. Anzi freddissima, se dobbiamo giudicare questi primi colpi iniziali.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 23rd, 2019 Riccardo Fucile
GLI SERVE IL VIMINALE COME SCUDO PERCHE’ PRIMA O POI TANTE COSE VERRANNO A GALLA
L’enigma chiamato Salvini. Perchè così viene vissuto, imperscrutabile come il volto della sfinge, stufo da giorni anche del solito pressing dei suoi: “Anche questo film — dicono quelli attorno al capo della Lega — può bastare. Matteo fa le sue riflessioni da solo. Punto”.
L’enigma alimenta il sospetto che ogni attimo potrebbe essere quello giusto “se non si fanno le cose”, spaventa e incassa sui provvedimenti, alimenta la narrazione fuori dal palazzo, oggi Bibbiano domani chissà .
Perchè la sua leadership è un referendum permanente, si nutre di questo elemento psicologico del Palazzo che non capisce le sue mosse e vive nell’incertezza di una decisione vissuta come il giudizio di Dio che arriva all’improvviso, quando meno te l’aspetti.
Ma, al dunque, la crisi non ci sarà , almeno per ora, basta un po’ di sguardo freddo all’agenda di questi giorni: la fiducia sul decreto sicurezza, l’annuncio di una commissione d’inchiesta su Bibbiano, il governo che rimette nelle mani di Pillon la restaurazione del diritto di famiglia…
La crisi non ci sarà , dicevamo, ma la domanda resta: perchè Salvini non rompe, why not?
Chi, dentro la Lega, ha in mano il pallottoliere racconta che sono almeno un’ottantina i parlamentari che vorrebbero la crisi subito. E c’è l’intero gruppo dirigente, perchè ormai è chiaro che anche i ruggiti di Zaia sull’autonomia sono un modo per parlare a nuora (Conte) perchè suocera (Salvini) intenda: “Sabato — racconta l’ex sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo — eravamo a Venezia con la Gelmini. La Lega del Veneto è una Repubblica Autonoma, in parecchi venivano a parlare con noi perchè non capiscono dove voglia andare a parare Salvini”.
È una sensazione diffusa questa forte spinta che arriva dai territori, dal ceto politico diffuso. Però in ciò che non si spiega con le categorie tradizionali c’è anche il segno di una novità dei tempi.
Pier Luigi Bersani è uno che le orecchie a terra le ha sempre tenute. Ci dice: “Ma il punto è proprio questo. Non c’è paesello, città , comune dove questi della Lega non facciano accordi con Forza Italia, perchè poi stanno bene assieme. Quelli di Berlusconi sono rotondi, aiutano a smussare gli spigoli. Ma quello là , Salvini, è un’altra cosa, è un grillino di destra che ha costruito il suo consenso contro Bossi e Berlusconi. La spieghi così questa cosa”.
La spieghi così, ma forse non solo così. Perchè prima o poi arriverà il momento in cui questo consenso andrà monetizzato: perchè, si chiedono i suoi, non coglie l’attimo, visti i sondaggi?
E chissà se nella forza alimentata dal mistero non ci sia anche una grande insicurezza e, forse, qualche paura.
Perchè il mistero è denso. In parecchi, senza farsi vedere, sono andati dal parlamentare del Pd Emanuele Fiano che, ospite di Agorà , ha pronunciato una frase che ha colpito i leghisti: “Siccome razionalità dice che, numeri alla mano, dovrebbe andare a votare e non lo fa, evidentemente non è un uomo libero”.
Già . È chiaro che lo spin leghista accredita la versione secondo cui l’uomo che non deve chiedere mai non sarà in Aula sul Russiagate perchè ha altro da fare, più che occuparsi di un caso che non esiste.
Ma resta la fuga, dall’Aula e dal caso su cui indaga la procura di Milano, liquidato con battutacce da bar di provincia. E restano le tante domande senza risposta, su Savoini, sul suo ruolo, sui rapporti con Salvini, su tutte le ombre che avvolgono i rapporti della Lega con Putin, maldestramente coperte con la drammatizzazione sul futuro del governo, per eludere la questione di fondo.
Ed è chiaro che lo spin leghista accredita che il caso Arata non esiste, anche dopo il diluvio di intercettazioni che rivelano le sue pressioni per mettere al governo Siri, e anche in questo caso restano senza risposte le domande sui rapporti con Arata, che per la Lega si occupa di eolico e il cui figlio avrebbe dovuto lavorare a palazzo Chigi al fianco di Giorgetti.
Insegnano le vecchie volpi di Palazzo che, in situazioni come queste, la libertà di lasciare il Viminale quando la magistratura è così attiva è sempre un rischio, perchè è chiaro che queste inchieste sono solo all’inizio ed è difficile prevedere dove vadano a finire. Comunque il Potere è uno scudo.
Raccontano che c’è un momento in cui la sicumera del leader leghista è stata soppiantata dai dubbi su un’eventuale accelerazione verso la crisi.
Ed è stato quando il sottosegretario leghista è sceso dal Quirinale sabato, dopo il colloquio col capo dello Stato: “La crisi — sussurra una fonte leghista — è sempre un’incognita. Un conto è se si dimette Conte. Ma se la chiediamo noi, ci sta che il capo dello Stato la parlamentarizzi. E qui la questione si complica, perchè la devi spiegare agli italiani mentre gli altri si dicono disponibili ad andare avanti”.
Ecco, nell’enigma di Salvini c’è anche l’enigma altrui. E non è sfuggito al capo della Lega che sia iniziata, sui cosiddetti giornali dell’establishment, una sorta di “montizzazione di Conte”: il premier responsabile, che si è ritagliato un ruolo da protagonista nel post-europee, che offre la prospettiva di tenuta della legislatura, attorno a cui si intensificano le voci di un “suo” partito (non smentite), terminale di un’offerta da parte di Franceschini di un nuovo “arco costituzionale” per eleggere il successore di Mattarella:
“Come nel basket — dice il sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi — se fai velo, rischi che gli altri facciano canestro”.
E se non c’è una trama c’è almeno una suggestione se è vero che Piero Fassino ha ricevuto parecchie telefonate da parlamentari dei Cinque Stelle per manifestare il proprio interesse e sondare che aria tira nel Pd dopo l’uscita dell’ex segretario.
I fautori della crisi subito, da Giorgetti andando giù per li rami pensano che proprio tutti questi elementi suggeriscono di evitare la cottura a fuoco lento. E di accelerare subito.
Però Salvini ha fatto capire che per ora si va avanti. E c’è un’altra domanda che resta senza risposta, in un partito che non può permettersi di parlare a chi lo ha portato al 35 per cento, ma comincia a non capire il suo leader: “Ma Salvini è un uomo libero di scegliere o ha paura di qualcosa?”
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 23rd, 2019 Riccardo Fucile
CONTE PREPARA UN DISCORSO DA EQUILIBRISTA, SALVINI SI CREA UN IMPEGNO PER NON ESSERE IN AULA, RENZI AFFILA LE ARMI
Il discorso è stato limato al dettaglio. Giuseppe Conte si è chiuso nel suo studio ed è come se fosse tornato alla sua vecchia professione di professore e avvocato. Centellinando le parole, scegliendo sfumature, cesellando i periodi.
Anche se Matteo Salvini non sarà al Senato ad ascoltarlo. Anche se il ministro dell’Interno ha costruito un’exit strategy, comunicando in serata che presiederà alle 16 il Comitato nazionale per la sicurezza. Con il premier destinato ad arrivare in aula appena mezz’ora dopo.
Ma l’avvocato del popolo italiano e della tenuta dei gialloverdi si è incaricato di una doppia spericolata impresa di equilibrismo. Uno: non mettere un dito in un occhio a Matteo Salvini senza per questo appiattire il governo su una vicenda scivolosa e imprevedibile come quella del Russiagate, parlando di Savoini senza mai parlare di Savoini.
Due: dare un segnale forte al riottoso contraente di governo, sfilandogli la pistola fumante della crisi dalle mani, aggiungendo al discorso di mercoledì al Senato un doppio lavorio su Tav e autonomie.
L’obiettivo è anche quello di togliere aria al progetto del suo vicepremier di cui si sussurra, quello di sostituirlo a Palazzo Chigi.
Ai collaboratori Conte ha spiegato di essere al servizio del paese e garante del contratto su cui si fonda questo governo, ma di non essere disposto a resistere a tutti i costi: “Così come ho accettato, sono pronto a fare un passo indietro se non ci fossero più le condizioni”, il senso del ragionamento fatto più volte ai suoi.
Certo è che il capo del governo non ha nessuna intenzione di farsi cucinare a fuoco lento, e nelle ultime settimane ha preso con decisione in mano il filo dell’agenda pubblica.
Ritagliandosi il ruolo di anti-Salvini, ma anche quello di guida effettiva del Movimento 5 stelle. “Non ci sono Fico o Di Battista — commenta una fonte molto in alto tra i pentastellati — ad oggi l’unica figura alternativa a Luigi è Conte”.
C’è già chi vagheggia di un tandem alle prossime elezioni con il primo ancora in sella come capo politico e il secondo candidato premier M5s. Discorsi che lui stesso un po’ guarda compiaciuto un po’ tende ad arginare, essendogli sì funzionale l’abito di contraltare del leghismo dilagante ma non volendo appiattirsi a parte in causa in un gioco a due.
Per questo Conte a Palazzo Madama proverà a volare alto, difendendo l’operato del governo genericamente inteso come insieme del tutto, senza citare la specificità del duo Salvini/Savoini.
Ribadendo con forza che niente e nessuno potrà mettere in discussione l’ancoraggio dell’Italia al sistema storico di alleanze, all’euro atlantismo, nonostante lo sguardo ampio con il quale si tendono ponti anche verso Mosca.
Ancora non è dato sapere se il leader del Carroccio sarà o meno in aula, con un impegno fissato per mezz’ora prima della seduta comunicato in serata.
Di certo ci sarà Matteo Renzi, che prenderà parola per il Partito democratico, scelta che non è passata senza rumoreggiamenti fra i Dem, per un’oretta di comunicazioni senza dibattito con cui i gialloverdi tutti provano a chiudere il caso.
Ma è sull’incrocio Tav-autonomia che il presidente del Consiglio sta giocando la partita politica vera.
Dal Carroccio, in vista della scadenza dei bandi di venerdì, le pressioni sono fortissime. Anche perchè i dossier su Veneto, Lombadia ed Emilia Romagna che dovevano essere destinati giovedì all’ok da parte del Cdm probabilmente slitteranno, a mala pena compensati dalla mano tesa dell’ex professore di Firenze a Zaia e Fontana, i governatori in camicia verde ai quali è stato proposto un incontro.
Così Conte, dopo una lunghissima giornata di segnali incessanti, ha rotto gli indugi e all’ora di cena è comparso in diretta su Facebook per dire, in sostanza, che il Tav si farà . Seguito tempo cinque minuti dalla nota di Salvini: “La Tav si farà come giusto e come sempre chiesto dalla Lega, peccato per il tempo perso”.
Mentre si rincorrono le voci di dimissioni di Danilo Toninelli, e ribollono i 5 stelle. Il prezzo da pagare per sedare la parte di governo disposta a far saltare il banco. Scontentando quella che al medesimo banco è legata mani e piedi.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 23rd, 2019 Riccardo Fucile
FEDRIANI (CAPOGRUPPO M5S IN REGIONE): “DELUSA CHE NON SI FACCIA PESARE LA NOSTRA POSIZIONE”… CRITICHE DAL SEN DESSI’ E DALLA DEPUTATA COSTANZO… I NO TAV: “LO SAPEVAMO, NON ESISTONO GOVERNI AMICI”
Il sì del premier Giuseppe Conte alla Tav ha sconfessato uno dei capisaldi storici del Movimento 5 Stelle e le reazioni non si sono fatte attendere. Su tutte quella del senatore Dessì: “Giornata di m…a. Sconfitta durissima dopo anni di lotte”.
La capogruppo M5S in Regione Piemonte, Francesca Frediani, ha dichiarato all’AdnKronos che “l’analisi costi-benefici ha detto altro, non vedo come si possa rovesciare l’esito di un’analisi fatta da tecnici. Come ha detto il premier, il Parlamento è sovrano, mi aspetto che i nostri parlamentari sappiano far valere la nostra posizione politica e che trovino il modo di farla pesare. Questa è una decisione politica”.
Frediana sottolinea che “Conte non è uno del M5S, sono delusa dal fatto che non si faccia pesare la nostra posizione politica”. L’esponente dei 5 Stelle aveva già definito “inaccettabile” la decisione dell’esecutivo e, rivolgendosi agli esponenti del Movimento, che “il #tuttiacasa stavolta sarebbe per voi”.
Alla domanda se lascerà il M5S, la capogruppo grillina in Consiglio regionale replica: “Non lo so, sono una portavoce e lo sono tuttora. Sono una portavoce del territorio ed è col territorio che mi devo confrontare. Io ho rispettato il mio mandato, sono a disposizione delle persone che me l’hanno dato. Io non ho tradito il mio mandato, non ho tradito il M5S, perchè il M5S è No Tav”.
Il senatore dei 5 Stelle Alberto Airola ha manifestato la propria delusione su Facebook: “Ora stiamo a vedere come proseguono le cose ma di fatto dal discorso di Conte, il Tav si farà . Non avete idea di quante mail gli ho scritto dopo averlo incontrato e spiegato che potevamo sospendere tutto”. “Sono affranto”, dice il parlamentare, storicamente vicino alla battaglia No Tav, “una battaglia – conferma – che facciamo da anni, non deve finire così”.
Anche Jessica Costanzo, deputata piemontese del Movimento 5, è intervenuta sottolineando la necessità di “mantenere la coerenza con la posizione finora avuta, cioè la posizione dei No Tav. In Parlamento bisogna votare contro la Torino Lione”.
“In questo momento – ammette la deputata – c’è molta amarezza. L’unica via da seguire è la condivisione delle scelte con la base, da portavoce chiederò come procedere. Serve subito un confronto col territorio”.
Oltre alle reazioni dei 5 Stelle, sono arrivate anche quelle degli esponenti No TAV: “Pensavate che stavolta al governo l’avrebbero fermato? Scherzetto … Ve l’avevamo detto che non abbiamo governi amici”.
Il commento è comparso su una pagina internet satirica riconducibile al movimento No TAV della Valle di Susa.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 23rd, 2019 Riccardo Fucile
“…E DI ANDARMENE A CASA NON HO PROPRIO IL CORAGGIO…” PARAFRANDO UNA CANZONE DI JULIO IGLESIAS
Il “mandato zero” proposto da Luigi Di Maio? Gli iscritti dovranno esprimersi domani e venerdì sulla piattaforma Rousseau ma il cofondatore del Movimento, Beppe Grillo, non sembra aver apprezzato la mossa.
O meglio, sceglie la strada dell’ironia per lanciare un messaggio.
Che dietro la novità nelle regole possa esserci la voglia di non andare a casa da parte di politici arrivati al secondo mandato. “‘Il mandato ora in corso è il primo di un lungo viaggio… Ma di andarmene a casa non ho proprio il coraggio…'”, scrive su Facebook e Twitter parafrasando il testo della canzone “Se mi lasci non vale”, nell’interpretazione di Julio Iglesias, di cui pubblica anche il video.
Ieri Luigi Di Maio – in un video sui social che ha provocato più di un’ironia da parte degli utenti – aveva spiegato che la storica regola del tetto dei due mandati prevista per gli eletti M5S potrebbe avere una deroga per i consiglieri comunali e municipali.
(da agenzie)
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Luglio 23rd, 2019 Riccardo Fucile
LA STORIA DI ANGEL, ESTHER, CECILIA E DEGLI ALTRI PATRIOTI EUROPEI CHE HANNO SCELTO DI TOGLIERE TEMPO A SE STESSI E AI LORO AFFETTI PER TRASCORRERE SETTIMANE SU UN RIMORCHIATORE AD AIUTARE GLI ALTRI
Volontariato (da treccani.it): “Prestazione volontaria e gratuita della propria opera, e dei mezzi di cui si dispone, a favore di categorie di persone che hanno gravi necessità e assoluto e urgente bisogno di aiuto e di assistenza, esplicata per far fronte a emergenze occasionali oppure come servizio continuo”.
Parto dalla parola “volontariato” per chiudere questo diario, tirando le somme e restituendo il massimo possibile a chi, in queste quattro settimane e non solo, si è messo a disposizione per gli altri.
Sono tempi bui quelli in cui c’è bisogno di specificare che un volontario che aiuta le persone lo fa gratis, perchè crede in quello che fa, non per soldi. Anzi, quello che spendono qua è tempo libero tolto alle famiglie, agli amici e a loro stessi perchè vivere due settimane o un mese su di un rimorchiatore non è il massimo.
Quando si incontrano le persone nello stretto corridoio all’inizio ci si sorride a vicenda e si lascia il passo, dopo qualche giorno diventa automatico aspettare, passare, incastrarsi e scontrarsi. Andare al bagno accanto ad altre persone, non avere mai un attimo di privacy, nemmeno in cabine. Un “normalità ” che alla lunga pesa, nonostante il clima positivo che c’è. C’è chi dorme in due e chi dorme in quattro e mediamente i turni di guardia sono sempre alternati e quindi chi si sveglia o chi torna a dormire nel cuore della notte sveglia gli altri, inevitabilmente.
Le crociere, quelle tanto decantate da Ministri della Repubblica e dai loro seguaci, sono cose sconosciute.
Ogni volontario o volontaria porta con sè un’esperienza umana oltre che professionale, tutte la persone hanno qualcosa da raccontare, da scoprire: “Il primo sbarco l’ho visto a 6 anni dal balcone di casa di mia nonna, erano albanesi e tutto il paese scese per aiutarli. Siamo persone di mare e solidali ed è naturale farlo”.
Emma è pugliese, ha una laurea in psicologia e fa l’insegnate. Ha passato l’ultimo anno a perfezionare la sua preparazione come soccorritrice in acqua per poter partire ed essere utile.
Il suo percorso umano passa per Ventimiglia, un’altra frontiera difficile: “A volte aiutare vuol dire anche solo passare una bottiglia d’acqua. Però alla lunga ti senti impotente e ho preferito specializzarmi ed essere utile in un altro passaggio della migrazione verso il Nord Europa”.
Di questo argomento a bordo si parla spesso. Chi ha già fatto soccorsi ed è in contatto con altre persone sa bene che tutti vedono l’Italia, la Grecia e la Spagna come Paesi di passaggio verso il nord, dove hanno familiari o amici da raggiungere.
Chi ha esperienza da vendere è Isabel, messicana rifugiata in Europa perchè minacciata dai narcos per il suo attivismo. “Quando cerchi di contrastare queste bande la cosa peggiore che fanno non è prendersela con te. che sei più esposto. ma con chi ti sta vicino, con la tua famiglia”. Ora vive a Londra e insegna arrampicata, altra sua passione. “Sono andata a Lesbo per un mese e ci sono rimasta due anni e mezzo, facevo la soccorritrice in mare per chi arrivava dalla Turchia”. Quel tratto di mare è piccolo, circa 11 miglia nautiche separano le due coste ma le numerose rocce a filo d’acqua e le correnti rendono difficile e pericoloso il passaggio.
Di Santi, il pompiere di Barcellona, ne ho già parlato in un altro diario, ma con lui c’è Angel, uno dei pompieri più specializzati di Valencia nel soccorso in ogni situazione. Tutti insieme, con il loro bagaglio professionale e umano, a bordo sono fondamentali. Sono quelli che fanno i peggiori turni di guardia, quelli notturni, che insieme a me e al mio collega Olmo Calvo puliscono la nave, aiutano Lorenzo, il nostro cuoco volontario di cui ho parlato nel diario di ieri e, nel momento in cui c’è un’emergenza si cambiano, mettono la tuta di neoprene e scendono in mare a salvare le persone.
Quando scendono in mare ci sono Esther e David, i due piloti delle lance veloci. Sono volontari e a bordo sono marinai. Si prendono cura della nave, pitturano e fanno manutenzione. Esther l’ho raccontata nel diario di qualche giorno fa, classe 1990 ma con 4 anni d’esperienza nel soccorso, mentre David è un tecnico radio di Mallorca che ha molti brevetti da soccorritore e pilota.
Ilaria e Cecilia invece sono il personale medico a bordo. Ilaria lavora negli ospedali italiani anche se ha iniziato la gavetta a Spagna, dove studiava. Ha preso l’abilitazione a Napoli, da lì si è spostata a Genova e ora Milano.
“Il pronto soccorso mi piace, è quello che voglio fare perchè impari tanto e ogni caso è diverso dagli altri”. Ilaria è giovane, ha poco più di 30 anni ma di esperienza ne ha. Cecilia è ancora più giovane, ha preso una laurea in infermeria a Madrid e da più di un anno lavora in un centro medico per i senzatetto: “Ufficialmente è per i clochard ma abbiamo persone molto diverse tra loro. A volte sono tossici che hanno una casa ma preferiscono non tornare per la situazione che li aspetta di scontro con la famiglia, abbiamo molti migranti che non sono nel circuito dell’accoglienza e non possono farsi nemmeno una doccia. In questo anno e mezzo ho imparato molto”.
Anche Ilaria e Cecilia nella vita quotidiana svestono i panni del team medico e lavano, cucinano e fanno le guardie, entrambe senza mai perdere il sorriso.
Arriviamo a terra, vediamo la Sicilia dove a breve sbarcheremo. L’ultima sera è diversa dalle altre, siamo tutti in coperta a chiacchierare e a raccontarci di più, a dirci che se qualcuno di noi passa per Madrid, Londra, Roma, Barcellona o Valencia ha un divano, un letto o almeno una birra pagata e quattro chiacchiere da fare.
Ogni missione è così, si condivide un’esperienza particolare ma che unisce. D’altronde se ci si pensa quello che avviene qua è qualcosa di strano: un gruppo di persone, tutti professionisti specializzati che si trovano su di un rimorchiatore di 35 metri in mezzo al Mediterraneo a pattugliare le coste libiche.
Siamo tutti un po’ pazzi, ognuno a modo suo, però in questo mese abbiamo aiutato più di 100 persone, scortando, dando cibo e assistenza medica. Una bella follia insomma.
Valerio Nicolosi
Open Arms, reporter di TPI
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Luglio 23rd, 2019 Riccardo Fucile
BATTE BANDIERA NORVEGESE, E’ LUNGA 69 METRI E SI TROVA GIA’ NEL MEDITERRANEO CENTRALE PER SOCCORRERE IN MARE I PROFUGHI … “NOI IN LIBIA CI SIAMO GIA’, PRESTIAMO ASSISTENZA MEDICA E CONOSCIAMO GLI ORRORI DA CUI FUGGONO QUESTI DISPERATI”
Una nave che batte bandiera norvegese, costruita nel 1986, lunga 69 metri e larga 15. Si chiama Ocean Viking, la “nuova Aquarius” di Medici senza frontiere e Sos Mediterranèe: la nuova imbarcazione per la ricerca e il soccorso in mare è stata annunciata ieri e presentata oggi in una conferenza stampa.
Più robusta, più capiente e più agile di Aquarius, a bordo con un sistema di container è stato attrezzata anche una clinica medica. La missione è già partita e la nave si trova già nel Mediterraneo centrale.
“Torniamo in mare perchè in mare si continua a morire. E nella traversata mortale del Mediterraneo tra le vittime ci sono donne e bambini. Noi lavoriamo in Libia, sappiamo cosa succede lì. Il 2 luglio il centro di Tajoura è stato bombardato, un vera e propria carneficina, eppure non è cambiato niente. Le evacuazioni umanitarie non sono sufficienti: per ogni persona evacuata ce ne sono due riportate indietro nei centri di detenzione. I governi europei vogliono farci credere che la morte e gli orrori vissuti da migliaia di persone in Libia siano un prezzo umano accettabile per la gestione della frontiere – sottolinea Joanne Liu, presidente di Medici senza frontiere -. Noi abbiamo fatto la nostra scelta, torniamo in mare per continuare a denunciare e a testimoniare. Non siamo soli, la società civile europea si sta mobilitando dappertutto, in Francia, in Germania e Italia”.
Il ritorno in mare delle due ong francesi è particolarmente significativo: la nave Aquarius, infatti, su cui operavano insieme fu la prima a subire la politica dei porti chiusi annunciata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, a giugno 2018. Con 629 migranti a bordo, infatti, l’imbarcazione fu costretta a sbarcare nel porto di Valencia, dopo giorni di stallo. In seguito le due organizzazioni annunciarono la chiusura del progetto.
“Sono passati 7 mesi da quando abbiamo annunciato la fine di Aquarius, a cui è stato impedito di navigare. Da allora, abbiamo lavorato duramente sulla ricerca di una nuova nave. Ci sono voluti 7 lunghi mesi ” – afferma Frederic Penard direttore delle operazioni di Sos Mediterranèe -. “Non è possibile subire questa criminalizzazione ogni volta che ci si avvicina alle coste europee. Abbiamo lavorato perchè questa nave fosse adatta al Mediterraneo centrale, abbiamo tre equipe a bordo ma ogni soccorso è una situazione di emergenza. Anche se la nave è più robusta non si può restare in mare per settimane o mesi, lo sbarco deve essere sempre il più rapido possibile. E va assicurato in un porto sicuro”.
La direttrice di Sos Mediterranèe sottolinea che la missione questa volta è ancora più costosa: Aquarius costava undicimila euro al giorno, Ocean Viking ne costa 14 mila. “Abbiamo creato Sos Mediterranèe in seguito a una straordinaria mobilitazione civile che ci ha permesso di affittare la prima nave. Ora facciamo di nuovo appello ai cittadini europei: il nostro scopo è restare in mare quanto più possibile. Chiediamo anche agli Stati di mettersi d’accordo per un meccanismo di solidarietà e responsabilità . Un anno fa siamo andati a Valencia, perchè avevamo oltre 600 persone a bordo. Ma non è possibile, per ragioni di sicurezza, attraversare il Mediterraneo ogni volta. Il diritto marittimo è chiaro, bisogna organizzare lo sbarco nel porto più sicuro, dove alle persone è assicurata una protezione effettiva”.
Sulla nuova nave il team di Medici senza frontiere sarà responsabile per i bisogni medici e umanitari delle persone soccorse a bordo, ed è composto da nove persone: quattro staff medicali (un medico, due infermieri, un’ostetrica), un logista, un mediatore culturale, un responsabile per gli affari umanitari, un responsabile della comunicazione e un capoprogetto che coordina la squadra.
Il team di Sos Mediterranèe, responsabile per le operazioni di ricerca e soccorso, è composto da dodici persone, sotto la guida del coordinatore Sar.
Altre nove persone fanno parte dell’equipaggio della nave e lavorano per l’armatore. “Torniamo in mare per salvare vite. E non possiamo restare in silenzio mentre persone vulnerabili subiscono sofferenze evitabili. Se i leader europei condannano l’uccisione di migranti e rifugiati vulnerabili in Libia, devono anche garantire la ripresa di operazioni di ricerca e soccorso ufficiali, sbarchi in luoghi sicuri e l’immediata evacuazione e chiusura di tutti i centri di detenzione arbitraria – sottolinea Claudia Lodesani, presidente di Medici senza frontiere Italia -. L’ipocrisia del crescente supporto fornito alle intercettazioni in mare e al ritorno forzato delle persone negli stessi luoghi dove vengono perpetrate le violenze, lascia intendere che quelle condanne sono solo parole vuote di finta compassione”.
(da agenzie)
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Luglio 23rd, 2019 Riccardo Fucile
AIROLA SI E’ DIMESSO DALLA COMMISSIONE DI VIGILANZA RAI: “NON SERVE A NULLA E NON SONO MAI STATO INTERPELLATO SU NULLA”
Se la Tav dovesse andare in porto lascerebbe il Movimento? “Resterei a tutti gli effetti un 5 Stelle, perchè sono un 5 Stelle e ho portato avanti una battaglia 5 Stelle. E’ evidente che valuterò, anche riguardo a Beppe Grillo, che è garante e anche lui molto coinvolto nella battaglia dei No Tav.
Le dimissioni? C’è questa possibilità , sicuramente a casa mia non sarebbero contenti… le dimissioni sarebbero obbligate”.
Lo dice, interpellato dall’agenzia di stampa Adnkronos, il senatore grillino Alberto Airola.
Secondo Airola, il premier Giuseppe Conte “politicamente potrebbe essere in grado di uscire bene dalla ‘morsa’” della Torino-Lione, “faccio affidamento a una proposta elaborata dagli avvocati No Tav che da anni seguono il dossier e hanno individuato la soluzione nell’apertura di un tavolo, il Cig: questo tavolo ha potere normativo, amministrativo, tecnico, di ridiscussione anche alla luce dell’analisi costi-benefici che secondo me non è stata adeguatamente affrontata da Salvini e forse neanche da noi. Il primo ordine del giorno potrebbe essere la sospensione dei lavori e l’analisi delle ratifiche”, sottolinea il pentastellato.
Sempre sulla questione Tav, Airola ha aggiunto: “Ho scritto a Grillo. Gli ho mandato un messaggio, gli ho detto ‘Beppe, si avvicina l’ora X, dimmi tu cosa fare’. La risposta? Non c’è stata, era il suo compleanno, evidentemente non gli andava molto di occuparsi di queste cose…”.
Airola ha annunciato sempre all’Adnkronos di aver rassegnato le dimissioni dalla Commissione di Vigilanza Rai. Il senatore precisa che si tratta di “dimissioni ancora sospese perchè diversi miei colleghi mi chiedono di rimanere”.
La decisione, spiega il grillino, è dovuta a due motivi: “Il primo è che la Vigilanza non serve a nulla, altrimenti non avremmo più Fazio in tv, visto che in passato abbiamo fatto un atto di indirizzo per chiedere alla Rai di non comprare da agenti esterni. Ma queste indicazioni vengono interpretate e gestite come vogliono loro.
La seconda ragione è che, adesso che governiamo, pensavo di poter incidere maggiormente. Sicuramente con una legge sulla governance, che era da fare immediatamente, avrei potuto dare il mio contributo per proteggere l’ad dall’attacco dei partiti. Purtroppo non sono stato mai interpellato su nulla, evidentemente non servo”.
(da “Huffingtonpost”)
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