Luglio 27th, 2019 Riccardo Fucile
NON SOLO NON ESISTONO LAVORI “FORZATI” MA IL PARAGONE CON L’AUSTRIA E’ CAMPATO IN ARIA, SI LEGGA LA NORMATIVA AUSTRIACA PRIMA DI DIRE CAZZATE
“Stiamo mutuando da alcuni paesi europei anche la forma del lavoro obbligatorio in carcere perchè è troppo comodo uccidere e poi starsene sdraiati sul lettino”: Matteo Salvini a Unomattina ha precisato meglio rispetto a Twitter cosa intendeva quando parlava di lavori forzati per i detenuti.
L’idea non è nuovissima e ovviamente non è esente da un alto grado di fanfaronate, visto che secondo il ministro dell’Interno si fanno talmente tanti soldi con il lavoro dei detenuti da aumentarci gli stipendi della polizia penitenziaria (si tratta di una sciocchezza, secondo il modello proposto dallo stesso ministro).
Salvini questa cosa l’aveva già proposta durante la campagna elettorale per le elezioni 2018. E ne aveva parlato nel luogo più serio che conosceva all’epoca, ovvero su Twitter. E sparandola evidentemente grossa
In realtà in Austria non funziona come crede il ministro.
Funziona invece così:
Ogni detenuto ha l’obbligo, durante il periodo di permanenza in carcere, di contribuire alle spese derivanti dal proprio mantenimento. Il contributo è pari al 75% dell’indennità che il detenuto percepisce per l’attività lavorativa svolta e ne sono esenti i detenuti che per fatto a essi non imputabile, non sono in grado di lavorare. I Gefangenen sono obbligati a svolgere l’attività lavorativa a essi assegnata, ma non possono essere adibiti a lavori gravemente pregiudizievoli per la loro salute ( § 44, comma 2, StVG); devono in ogni caso esercitare attivita’ di lavoro che sia utile.
Come si vede il detenuto in Austria paga le spese del suo mantenimento con una trattenuta sullo stipendio che percepisce e che è pari a tre quarti dei soldi che guadagna lavorando. Non va a spaccare le pietre nel deserto come i Bassotti nelle avventure di Zio Paperone (ecco perchè Salvini preferisce Topolino all’Espresso, anche se non è ricambiato) e viene pagato per il suo lavoro.
Davvero il ministro vuole introdurre un principio del genere obbligatorio per tutti e pagarlo, come in Austria?
E c’è anche altro:
Tutti i lavori necessari, all’interno delle JVA, devono essere eseguiti da detenuti; se i detenuti non possono essere impiegati in questi lavori, sono tenuti a prestare attivita’ lavorativa in favore di pubbliche amministrazioni o a svolgere lavori socialmente utili, a produrre oggetti destinati alla vendita; vendita, alla quale provvede la JVA. Se non vi è pericolo di fuga, i detenuti sono ammessi a lavorare all’esterno degli stabilimenti carcerari, prestando attivita’ lavorativa in favore d’imprese convenzionate con la JVA.
Davvero Salvini vuole impiegare i detenuti obbligatoriamente in lavori socialmente utili o nella pubblica amministrazione?
Con tutti i potenziali effetti che questo potrebbe avere sul mercato del lavoro, ad esempio? Attendiamo che il ministro porti una proposta concreta, visto che ne parla dal gennaio 2018.
Ciò che propone il ministro contrasta pure con l’ordinamento penitenziario
L’art. 20 sostituito dal d.lgs. 124/2018 che riforma l’ordinamento penitenziario, definisce le principali caratteristiche del lavoro negli istituti penitenziari.
1 — Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo (Carattere che ricalca i contenuti dell’art. 71 delle regole minime Onu ed è confermato dell’articolo 26,1 delle regole penitenziarie europee — adottate con la raccomandazione R 2006 2 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che considerano il lavoro elemento positivo del trattamento)
2 — ed è remunerato. L’art. 22 sostituito dal d.lgs. 124/2018 sulla determinazione della remunerazione, stabisce che la remunerazione per ciascuna categoria di detenuti e internati che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria è stabilita, in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato, in misura pari ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi.
Si attende quindi la proposta sul lavoro obbligatorio in carcere, vedendo se sarà chiaramente rubricabile alla voce sciocchezza elettorale, come l’idea dei lavori forzati.
Se mai arriverà .
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 27th, 2019 Riccardo Fucile
I MANIFESTANTI HANNO SFONDATO LA ZONA ROSSA DIMOSTRANDO CHE “IL CANTIERE E’ VIOLABILE E NON MOLLEREMO”
Hanno sfondato la cortina di ferro e sono arrivati vicinissimi al cuore del cantiere per piazzare il loro striscione con su scritto: “Solo noi possiamo fermare la Tav”.
Dal punto di vista simbolico oggi il Movimento contro l’Alta velocità Torino-Lione ha vinto la partita perchè è arrivato lì dove voleva arrivare, cioè nella zona rossa della Val di Susa. Nell’area vietata, delimitata da barriere, cancelli e filo spinato: “Non succedeva da anni”.
Il popolo No-Tav esulta quando il cancello verde si apre dopo oltre mezz’ora di tentativi con ogni tipo di attrezzo contundente e dopo il lancio di lacrimogeni da parte della polizia
Dal punto di vista politico però ormai è certo che la costruzione della Torino-Lione non è stata bloccata. E nel giorno in cui il governo manda all’Europa la lettera formale per dare il via libera alla grande opera, i No Tav marciano per dieci chilometri sui sentieri della Val di Susa.
Nel verde fitto di questi boschi parte la nuova sfida a Matteo Salvini che ha militarizzato la zona e al Movimento 5 Stelle “traditore e venduto”.
Oltre quaranta No-Tav si vestono di nero. Cappucci sul volto e maschere. Si sganciano dal lungo fiume di manifestanti e vanno verso il cancello della zona rossa.
Uno dei tanti perchè, nei boschi della Val di Susa “è come se ci fosse una fortezza, è tutto chiuso. Ci hanno privato di tutto”, dicono i manifestanti.
Rumore di flex quasi assordante, pinze, martelli: “I popoli in rivolta scrivono la storia. No-Tav fino alla vittoria”, urlano a squarcia gola . Qui sono arrivati anche molti attivisti francesi con i lori cori.
Mezz’ora di lavoro per passare dall’altra parte, tagliare il filo spinato e aprire il varco. Il corteo intanto si avvicina, in marcia ci sono tra le diecimila e le quindicimila manifestanti, nonostante il nubrifagio abbattutosi sulla zona
Quando la polizia lancia i lacrimogeni, le persone iniziano a fuggire, i sentieri adesso sono stretti, si crea come un tappo e se da un lato c’è la montagna dall’altro c’è il dirupo.
I No-Tav incappucciati continuano con la sega a distruggere la barriera e quando ci riescono con le pinze distruggono tutto ciò che trovano. Sono del gruppo Askatasuna e sono stati già denunciati. Ma la conquista della zona rossa ormai è avvenuta. “Qualcuno ha un martello? Così rompiamo anche il magnete”, chiede uno di loro.
C’è rabbia tra i manifestanti. C’è la rabbia di chi si sente tradito. “Non abbiamo mai avuto governi amici”, dice Dana Lauriola dal megafono all’inizio della marcia. Ma è innegabile che nel Movimento 5 Stelle in tanti ci hanno creduto.
Come Angela arrivata da Aosta o Paola da Perugia: “Qui c’è tantissima gente che ha votato per il Movimento 5 Stelle che era riuscito a portare nelle istituzioni la protesta. Ha sempre detto di fare da argine ed è per questo che in Italia non ci sono i gilet gialli. Ma adesso?”.
Il leader storico del Movimento contro l’Alta velocità , Alberto Perino, apostrofa Luigi Di Maio, Laura Castelli, Luca Carabetta come “dei traditori, venduti”.
Il clima è questo. I No-Tav, se prima avevano creduto nel Movimento 5 Stelle, adesso si sentono soli: “Fermare la Tav tocca a noi”.
I boschi attorno al cantiere sono invasi. Il corteo si sparpaglia attorno alle recensioni. “Mettiamoci qui, così facciamo pressione alla polizia”, si sente dire.
Una dei leader invita tutti a restare e aspetta che i manifestanti arrivino nei punti di punti raccolta: “Più siamo e meglio è adesso. Non è finita. Facciamo scendere la gente della Valle così non ci rompono i coglioni”.
In questo modo per la Polizia è più complicato rispondere perchè una valanga umana si riverserebbe nella scarpata. Un gruppo va verso un’altra barriera ed ecco un lancio di sassi contro le Forze dell’Ordine. Il cancello principale, oltre il quale inizia il cantiere, è bloccato da un camion della polizia con un idrante. Impossibile oltrepassarlo, i manifestanti neanche ci provano.
Quando inizia a scendere la sera i No-Tav dalle colline lanciano bombe carta contro la polizia in assetto anti sommossa. La polizia risponde con una raffica di lacrimogeni.
Nell’aria c’è fumo e quasi non si vede più nulla in questi boschi. Si torna indietro e si percorre tutto il percorso al contrario lasciandosi alle spalle la zona rossa e quel cancello buttato già . Il filo spinato è finito nella scarpata. La zona rossa è stata violata, ma prestissimo sarà anche ripristinata. Fino a quando?
(da “Huffingonpost”)
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Luglio 27th, 2019 Riccardo Fucile
ALLO STUDIO DEL GOVERNO L’ELIMINAZIONE DELLA AGEVOLAZIONE FISCALE DIFFERENTE TRA GASOLIO E BENZINA
Il tormentone di Matteo Salvini sulle accise rischia di trasformarsi da comico a tragico. Il Capitano aveva promesso che se avesse vinto le elezioni avrebbe tagliato le tasse su benzina e gasolio al primo consiglio dei ministri.
Poi la sua promessa ha fatto la fine di quella dell’uscita dall’euro: è passata in cavalleria.
Ma adesso un progetto della maggioranza per la prossima legge di bilancio mette nel mirino le agevolazioni fiscali per rimediare soldi per la riforma fiscale che potrebbe essere una flat tax o una riduzione delle aliquote Irpef.
E tra queste agevolazioni fiscali da togliere c’è anche l’accisa differente tra gasolio e benzina. Che verrebbe cancellata provocando un rialzo del prezzo del diesel. Ovvero il contrario di quanto promesso da Salvini.
Spiega oggi Mario Sensini sul Corriere della Sera:
Rispetto al quadro rappresentato dall’ultimo Rapporto presentato dal governo Gentiloni, i 75 bonus anti-ecologici, tanti sono, sono cresciuti in valore di 500 milioni. Tutti «adottati con motivazioni degne e legittime» sottolinea Costa nel rapporto,ma «che hanno effetti ambientali negativi, danno segnali di prezzo sbagliati, se non perversi, rispetto alle scelte di consumo, produzione e investimento». Prima tra tutti l’accisa sul gasolio ridotta rispetto a quella della benzina. La tassazione più bassa costa allo Statola bellezza di 4,9 miliardi di euro all’anno, anche se «sotto il profilo ambientale il gasolio non merita un trattamento preferenziale».
Anzi «l’aliquota sul gasolio dovrebbe essere innalzata al livello della benzina» dice il ministero dell’Ambiente, anche se è noto che il ministero dello Sviluppo guidato da Luigi Di Maio preferirebbe semmai un allineamento a metà strada
Ma vista la credibilità del ministro su ILVA, TAV e TAP, gli automobilisti non possono stare così tranquilli.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 27th, 2019 Riccardo Fucile
SE UNO NON NULLA DA NASCONDERE NON CRIPTA I DATI DEL PROPRIO TELEFONINO… I TECNICI DELLA PROCURA DI MILANO CI HANNO MESSO QUALCHE GIORNO PER DECODIFICARE I DATI OCCULTATI
Il telefono cellulare di Gianluca Savoini diventa sempre più protagonista della storia dei rubli alla Lega da Mosca.
Il dispositivo sembra rappresentare sempre più un pericolo per Matteo Salvini, e infatti la difesa del presidente dell’Associazione LombardiaRussia sta tentando di farselo restituire.
Intanto, però, racconta oggi Il Messaggero in un articolo a firma di Valentina Errante, si scopre che i dati sul suo telefono erano criptati
È stato necessario qualche giorno in più del previsto per i tecnici della procura di Milano, incaricati di eseguire la copia forense del cellulare di Gianluca Savoini. L’ex portavoce di Salvini, presidente dell’associazione Lombardia-Russia, accusato di corruzione internazionale per una presunta tangente su una fornitura di petrolio da Mosca che avrebbe dovuto finanziare la campagna elettorale del Carroccio e accreditato dal ministero dell’Interno nelle delegazioni ufficiali del Governo, aveva protetto i dati contenuti nel suo telefono con sistemi di criptazione che hanno ostacolato l’attività degli inquirenti.
Problemi che sarebbero stati risolti solo nelle ultime ore. I militari della Guardia di Finanza però avevano già in mano i tabulati, che danno conto dei contatti telefonici e di sms di Savoini, tra i quali ci sono anche quelli con Matteo Salvini.
Adesso l’ultimo elemento consentirà ai pm milanesi di ricostruire il prima e il dopo meeting del Metropol, dove Savoini e gli altri indagati dell’inchiesta, l’avvocato d’affari Gianluca Meranda e l’ex consulente bancario Francesco Vannucci, trattavano con i burocrati russi sulla fornitura di petrolio.
Un passo avanti per accertare a che punto fosse l’accordo al quale prendeva parte l’uomo che gli inquirenti considerano «della Lega».
Anche Vannucci e Meranda, intanto, hanno fatto ricorso al Tribunale del Riesame per annullare i sequestri avvenuti la scorsa settimana.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 27th, 2019 Riccardo Fucile
PER LA PRIMA VOLTA SULLA PAGINA “LEGA-SALVINI PREMIER” RIMOSSI POST RAZZISTI
Stephen Ogongo, giornalista e fondatore del portale online ‘Cara italia’, ha annunciato che per la prima volta Facebook ha rimosso contenuti della Lega e di Salvini dopo una sua segnalazione.
Dopo aver segnalato la pagina Facebook ‘Lega — Salvini premier’, che conta oltre 500mila follower, Ogongo ha ricevuto un messaggio dal servizio assistenza in cui si legge: “Dopo aver esaminato la pagina, abbiamo riscontrato che alcuni contenuti non rispetto i nostri Standard della community. Abbiamo rimosso quei contenuti specifici (ad esempio foto e post) anzichè l’intera pagina”.
Secondo Ogongo, originario del Kenya e residente in Italia da oltre 20 anni, è la prima volta che in Italia vengono rimossi dei post di Salvini:
“Si tratta di un segnale piccolo, ma di una bella soddisfazione, perchè solo pochi giorni fa abbiamo lanciato una campagna indirizzata a Mark Zuckerberg il fondatore di Facebook, in cui lo sfidiamo a chiudere tutte le pagine social di Salvini e della Lega”. Un video che in poco più di una settimana ha totalizzato oltre 160mila visualizzazioni.
Nell’intervista che Ogongo ha rilasciato all’agenzia di stampa DIRE afferma che “Normalmente pagine Facebook che alimentano discorsi d’odio generano molto traffico per l’Azienda. Non è un caso che dietro a pagine di questo tipo, lavorino nutriti staff, e che contino anche utenti molto attivi”.
Un meccanismo, questo, che “genera più soldi, anche grazie alla pubblicità ”. La maggior parte dei contenuti che il vice-premier pubblica ogni giorno, riprende Ogongo, “sono sponsorizzati. Ma quando su Facebook si paga una somma per promuovere un post, uno staff valuta che quel messaggio non violi le policy aziendali”.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 27th, 2019 Riccardo Fucile
GLI UOMINI DELLA GUARDIA COSTIERA DI NUOVO OSTAGGI SOTTO RICATTO DI UN BULLO
Dio strabenedica la “Gregoretti”. Dio strabenedica l’ammiraglio Pettorino. Dio strabenedica i suoi alti ufficiali, in divisa bianca. E i suoi uomini, servitori dello Stato, che si fanno soldati della Costituzione e della legge del mare salvando 141 vite e finendo “sequestrati” solo per questo gesto.
C’è qualcosa di scandaloso, nell’atto persecutorio che per la terza volta colpisce la Guardia Costiera, e c’è qualcosa di eroico nella fermezza silenziosa e composta con cui gli uomini di Pettorino reagiscono: senza fare polemica, ma senza deflettere di un millimetro dalla loro missione.
I fatti sono noti: il Viminale nega lo sbarco a Lampedusa alla “Gregoretti”, lo nega anche alla nave della Guardia costiera italiana che ha accolto a bordo i migranti soccorsi giovedì 25 luglio dal peschereccio «Accursio Giarratano» a cinquanta miglia da Malta.
E ovviamente il capitano (di latta) Matteo Salvini ha parlato: «Ho dato disposizione — dice il ministro dell’Interno aprendo così un nuovo caso Diciotti — che non le venga assegnato nessun porto prima che ci sia sulla carta una redistribuzione in tutta Europa dei migranti a bordo».
Quindi gli uomini della Guardia Costiera sono di nuovo sotto ricatto, di nuovo bloccati e inibiti a sbarcare.
Solo che questa volta non ci sono alibi, veri o fittizi: non si tratta dei “pirati ai caraibi”, o delle fantomatiche “Ong criminali”, dei mostruosi “taxi del mare”, ma di un corpo dello Stato, una nave della Marina che batte bandiera italiana e risponde agli ordini di un ministro del governo. Salvini — quindi — il nuovo “caso Diciotti” non lo sta evitando, lo sta creando.
Adesso — dunque — la contesa sul diritto al salvataggio in mare e sull’individuazione dell’approdo nel porto più sicuro coinvolge anche le imbarcazioni della nostra Guardia costiera, in questo caso la «Gregoretti», bloccata al largo coi migranti salvati a bordo
Il comandante del peschereccio di Sciacca, in provincia di Agrigento, ci ha raccontato una storia semplice e terribile: lui che raccoglie i naufraghi, Malta che non risponde all’sos (vergogna). E lui, per salvare quelle vite, chiede il soccorso del suo paese, come era ovvio e inevitabile. Una nave italiana, secondo la legge, è già Italia.
Sulla strada del ritorno verso Lampedusa, dopo il diktat di Salvini, lo scenario diventa surreale: da una parte il Viminale, dall’altra i nostri militari.
Fonti del Ministero dicono che della vicenda è stata investita la Commissione europea, con l’obiettivo di allargare e condividere il ricollocamento (cosa giusta) ma questo non può essere un alibi.
Una nave di un corpo dello Stato non può essere sequestrata da un altro corpo dello Stato. Gli uomini dell’Ammiraglio Pettorino non sono lì per divertirsi, o anche per una lodevole missione umanitaria. Sono lì perchè eseguono ordini: pensare di poterli mettere in quarantena è una vergogna.
Dice ancora Salvini: «Nessuno sbarcherà finchè non ci sarà nome, cognome e indirizzo dei Paesi che ospiteranno i migranti: fidarsi è bene, ma io faccio come San Tommaso».
Solo che adesso una voce deve levarsi. La vicenda riguarda anche il ministro dei Trasporti M5S Danilo Toninelli
Il M5s non può pensare di recuperare un voto finchè alcuni dei suoi ministri, che occupano posti di responsabilità cruciale, latitano o tacciono quando vengono chiamato in causa. Toninelli certifica con il suo silenzio sulla Gregoretti la sua non responsabilità . E quindi dimettersi.
(da Tpi)
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Luglio 27th, 2019 Riccardo Fucile
KEMO FATTY, 22 ANNI, RACCONTA L’AGGRESSIONE SUBITA: COLPITO DA UN SASSO DI DUE CHILI LANCIATO DA UN’AUTO IN CORSA MENTRE SI RECAVA AL LAVORO IN BICICLETTA… DOVRA’ ESSERE OPERATO
«Erano le 4 di mattina e stavo andando al lavoro in bicicletta coi miei quattro amici. Ho solo visto un’auto che veniva verso di me e un sasso che mi arrivava addosso. Mi ha colpito sull’occhio e sono caduto contro un altro ragazzo. Avevo paura di essere investito. Poi sono svenuto e non ricordo più nulla. Era buio e non ho visto quanti erano su quella macchina». È il racconto di Kemo Fatty, 22 anni del Gambia, il ragazzo ferito il 23 luglio alla periferia di Foggia. L’ultima di 4 aggressioni in appena 10 giorni, contro 9 immigrati africani.
Lo incontriamo, assieme ai volontari delle Caritas di Foggia-Bovino, Cerignola-Ascoli Satriano, San Severo, Manfredoni-Vieste, nell’ospedale di San Giovanni Rotondo dove sarà operato nei prossimi giorni.
«Ha un ferita scomposta dello zigomo e un calo della vista — spiegano i medici —. Ora dovremo fare altri controlli per vedere se rientrerà ».
Kemo è a letto e ha l’aria molto provata. «Andavo solo a lavorare, non ho fatto niente di male». Parla un po’ l’italiano ma soprattutto il Wolof, la lingua parlata in Gambia e Senegal. A tradurre è Khady, operatrice di Caritas Foggia-Bovino.
E piano piano il ragazzo, quasi sottovoce, racconta. Anche che per ora nessuno è venuto a interrogarlo. Davvero strano. Eppure sul referto dell’ospedale c’è scritto «riferisce di aver avuto un aggressione».
Kemo ci fa vedere lo sconvolgente video girato da uno degli amici subito dopo l’aggressione. Si vede lui a terra col viso coperto di sangue e la pietra che lo ha colpito. È molto grande e pesante, sicuramente più di due chili.
È evidente l’intenzione degli aggressori di fare molto male, non è esagerato parlare di tentato omicidio. Per questo è ancora più strano che non siano state ancora verbalizzate le sue dichiarazioni. Il ragazzo dà a Khady il numero di uno dei ragazzi che erano con lui. L’amico racconta che la polizia è arrivata sul posto, hanno raccolto il loro racconto, fotografato i documenti e visto il grande sasso.
E hanno detto che il ragazzo doveva andare a denunciare dopo aver lasciato l’ospedale. Davvero strano, perchè come ha parlato a noi lo poteva fare anche a loro.
I volontari della Caritas si informano anche sul suo permesso di soggiorno. Dice di essere arrivato in Italia nel 2016 e di aver fatto domanda d’asilo a Cagliari. Ma gli è stata respinta. Non ha fatto ricorso ma ora un avvocato lo sta seguendo per vedere se è ancora possibile. Ma lui ha un solo desiderio. «Vorrei avere il permesso di soggiorno per lavoro, perchè io sono qui per lavorare».
E mentre andava a lavorare è stato ferito. Sarà possibile farglielo avere proprio per questo atto violento e razzista? Il decreto sicurezza non lo prevede, ma i volontari ci proveranno. Kemo intanto ci fa vedere un altro video di lui e degli amici sorridenti a un concerto. «È il giorno prima. Vedi come eravamo felici».
(da “Avvenire”)
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Luglio 27th, 2019 Riccardo Fucile
UN MOMENTO ALTISSIMO DI TELEVISIONE RUSSA: IL POLITICO INTERVISTATO DAL SUO EX PORTAVOCE… LA FICCANTE DOMANDA DI POLETTI: “LA MUSICA E’ CAMBIATA CON LEI, SIGNOR MINISTRO”
Ieri mattina alle 10 e 20 finalmente a Unomattina si è verificato un momento di altissima televisione che si attendeva da qualche tempo: Matteo Salvini si è fatto intervistare dal suo ex portavoce Roberto Poletti. Poletti, che ha anche scritto una biografia di Salvini, ha interrotto come una breaking views la collega che parlava dell’omicidio di Mario Cerciello Rega per introdurre il ministro dell’Interno, al quale ha fatto subito una cattivissima domanda a bruciapelo: “Signor ministro, lei ha usato parole molto dure. Le vuole ribadire qui stamattina?“.
Salvini, evidentemente spiazzato dall’aggressività ficcante della domanda dell’interlocutore, ha cominciato a parlare così a ruota libera prima chiedendo una preghiera per il carabiniere ucciso, poi ha fatto sapere che ad ucciderlo “sono stati due stranieri, che strano…” e infine ha detto di sperare che i due assassini (anche se ad essere accusato di omicidio per ora è solo Elder Lee) “passino il resto della loro vita in carcere lavorando”, ma senza parlare di lavori forzati anche se ha voluto virare il discorso parlando di forme di lavoro obbligatorio in carcere che vuole introdurre addirittura “a livello europeo”.
Poi ha parlato della pistola elettrica che farà introdurre a breve e ha concluso definendo gli assassini “due bastardi”. A quel punto l’altra conduttrice Valentina Bistri ha interrotto l’idillio ricordando che Rega era sposato da solo 43 giorni e che ha sacrificato la sua vita.
Salvini ha ricominciato illustrando per sommi capi la ricostruzione dell’omicidio — peraltro con molte differenze rispetto a quella trapelata dalla procura — e Poletti ha ripreso la parola mostrando l’immagine del matrimonio di Rega, un’altra domanda ficcante per Salvini.
Il quale, in chiara difficoltà per parare il colpo, ha cominciato a dire che “ne hanno fatti arrivare troppi, centinaia di migliaia, quelli che vediamo nelle città che non fanno niente bisogna rispedirli a casa” (ovviamente parlando di immigrati).
È importante qui segnalare che il ministro ha continuato a parlare di immigrazione e delinquenza collegandola ai fatti di via Pietro Cossa. Dodici ore dopo era ormai chiaro che a uccidere il carabiniere fossero stati due turisti americani che l’indomani avevano l’aereo prenotato per tornare in California. Poletti annuiva e annuiva.
Poi piazzava il colpo da maestro tipico del grande intervistatore che non ha nessun timore reverenziale nei confronti dei potenti: “Lei sta dicendo ai cittadini che ci ascoltano, a quelli che sono preoccupati per la loro sicurezza — perchè ricordiamo che l’assassino e il suo complice sono liberi in questo momento…“.
Salvini, in chiara difficoltà , l’ha interrotto per raccontare quanti poliziotti ha assunto e quante telecamere ha fatto installare. Ma ha anche sottolineato che ci vuole la paura, perchè i giudici alla fine fanno uscire troppo poco: “I delinquenti devono tornare ad aver paura”.
E qui il conduttore di Unomattina non poteva esimersi dall’attacco frontale: “Lei, ministro, ci sta dicendo che la musica è cambiata“. E Salvini ha vacillato, ormai sull’orlo del k.o. tecnico, messo alle strette dall’intervistatore in quello che ricorderemo come un momento di alta televisione, altro che Santoro al telefono con Berlusconi.
“Ma guardate noi ci stiam mettendo l’anima, entreranno in servizio nuovi poliziotti, anche carabinieri e vigili del fuoco, poi è chiaro che la giustizia va riformata, per lo spaccio di droga ci vuole la galera certa ma ora sono vicino ai familiari del carabiniere ucciso”.
Era disperato, Poletti l’aveva distrutto, non aveva proprio altro da dire.
Grazie RAI, è per queste sceneggiate che vale la pena pagare il canone.
(da agenzie)
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Luglio 27th, 2019 Riccardo Fucile
“SI DIMETTA”… MOBILITAZIONE SUI SOCIAL PER CHIEDERE LE DIMISSIONI DELLA BALDINI
È stata una pagina buia quella di ieri per la politica. Pronta, nella sua ala sovranista, a strumentalizzare la morte del carabiniere Mario Cerciello Rega. A gridare all’indignazione contro i migranti, almeno prima del fermo di due cittadini statunitensi.
Tra i tanti che si sono fatti notare – soprattutto nell’aerea sovranista – c’è una deputata di Fratelli d’Italia: Maria Teresa Baldini. Che se l’è presa con Matteo Renzi. E oggi l’ex premier reagisce.
Con un tweet in cui chiede le dimissioni della parlamentare del partito di Meloni: “Una parlamentare della destra – twitta – mi ha accusato di essere responsabile politico e morale dell’omicidio di Mario Cerciello Rega. L’Italia si deve stringere intorno all’Arma e alla sua famiglia. Le persone perbene devono chiedere le dimissioni degli sciacalli”.
E una petizione on line per chiedere che le dimissioni di Maria Teresa Baldini “per rispetto del nostro Paese e di tutti i cittadini italiani” è stata lanciata dai Comitati di azione civile ‘Ritorno al futuro’ su proposta di Elena Bonetti, la docente di analisi matematica all’Università di Milano
Nel testo – rilanciato dal presidente dei comitati, Ivan Scalfarotto – si legge: “Il 26 luglio un giovane servitore dello Stato è stato assassinato da un turista americano mentre svolgeva il suo lavoro al servizio dello Stato. Nelle prime ore dall’accaduto, una deputata di Fratelli d’Italia ha l’indecenza di strumentalizzare il drammatico assassinio individuando senza prove i colpevoli in due migranti e attribuendo la responsabilità ‘morale e politica’ dell’accaduto a Matteo Renzi, chiedendo che ‘i responsabili politici – di cui uno abita sui colli Fiorentini – siano processati non solo dalla storia ma anche dalla giustizia’”. E ancora: “Un carabiniere viene ucciso. Anzichè stringersi nel cordoglio e schierarsi contro la violenza, questa deputata dà prova di sciacallaggio meschino e indecoroso”.
Insomma, dal mondo renziano arriva la richiesta di dimissioni. Intanto la vicesegretaria del Partito democratico, Paola De Micheli, denuncia l’ondata d’odio che si è scatenata nelle ultime ore: “Ne faremmo a meno ma non possiamo non denunciare la solita centrale d’odio sui social che, a poche ore dal terribile omicidio del giovane carabiniere a Roma, ieri si è messa in moto aizzata dai soliti politicanti della destra estrema italiana come Matteo Salvini e Giorgia Meloni”.
(da agenzie)
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