Luglio 18th, 2019 Riccardo Fucile
LA SOLITA ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA PER NASCONDERE LO SCANDALO RUBLI… E IL TIMORE CHE MATTARELLA TROVI UN’ALTRA MAGGIORANZA
A tarda sera quando ormaIi la crisi di governo sembrava dietro l’angolo, si presenta a Barzago, alla festa della Lega Lumbard, e spegne il fuoco.
Primo: «Smentisco che domani vado da Mattarella». Secondo: «Domani non cade nessun governo». Terzo: «Conosco e stimo Savoini, mi fido. In questi giorni gli ho mandato un messaggio di vicinanza, settimana prossima vado in parlamento». Quarto: “Ho fiducia in Di Maio, è una persona per bene”.
Dopo una giornata in cui prima drammatizza, esaspera lo scontro con il M5S e agita la minaccia del voto anticipato. Eppoi frena perchè, spiega, non cade nessun governo
Ed è uno stop and go che mette in scena per tutta la giornata. Dal mattino alla sera. Da Helsinki a Barzago. Fino al collegamento con Mediaset, dove lo attende Mario Giordano.
Il termometro sale e scende. Da un ultimatum si passa a un penultimatum come se non ci fosse una fine. I telefoni sono surriscaldati. Arrivano spifferi da ogni parte fino a quello più significativo di metà pomeriggio che darebbe il vicepremier leghista pronto a salire al Colle. Quando? Forse addirittura domani. Dal Quirinale nè smentiscono, nè confermano. A dimostrazione che il clima è rovente sia all’interno del governo che del partito del vicepremier leghista.
Del resto, per tutta la giornata le truppe di Salvini con in testa Giancarlo Giorgetti sollecitano il loro leader a mettere fine a questa esperienza di governo. «Basta, non si può governare con chi ti vuole del male. L’obiettivo sei tu: ti vogliono far fuori». Rimbombano gli sms, i whatsapp, le lunghe telefonate. Ed è tutto un coro che recita così. Perfino Giulia Bongiorno, solitamente prudente, si spinge a dire ai microfoni di una radio che a questo punto è “meglio finirla qui”. Non c’è più spazio per un dialogo con quelli che a taccuini i leghisti definiscono «scappati di casa». Ovvero, i cinquestelle.
Poco dopo le 16 il Capitano si trova ancora ad Helsinki quando la crisi sembra più che aperta. A un certo punto il leader del Carroccio si presenta in conferenza stampa. È scuro e stanco in viso anche perchè la notte scorsa avrebbe fatto le ore piccole per decidere la strategia con i suoi.
«Matteo, basta, chiudiamola qui», è la voce dall’altro capo del telefono. E lui, Capitano, superata la mezzanotte, ad ammettere: «Avevate ragione, con quelli lì non si può governare». Non a caso davanti ai cronisti di mezzo mondo minaccia la crisi. E scandisce per la prima volta un solco che potrebbe apparire incolmabile: «La fiducia è finita anche sul piano personale». Salvini non ne può degli insulti di Grillo, Di Battista, Toninelli, li cita uno alla volta e ripete con insistenza che così «non si avanti». Non si va avanti al punto, avverte, che domani non si presenterà al consiglio dei ministri perchè, ufficialmente, avrebbe altri impegni. Ma lo strappo è la rappresentazione plastica di un governo che sembrerebbe avere le ore contate. Negli stessi attimi succede che Giancarlo Giorgetti si reca al Colle per comunicare a Mattarella che non è più in lizza per la corsa a commissario della Ue. Un colloquio di mezz’ora, definito «cordiale», nel corso del quale qualcuno sussurra che il sottosegretario leghista avrebbe provato a testare il terreno in caso di voto anticipato.
In un Transatlantico i pochi presenti allargano le braccia: “Sta precipitando tutto. Allacciamoci le cinture”. L’impressione è che Salvini voglia presentarsi al Quirinale e dire: “Io sono pronto”.
E Mattarella? È cosa nota che l’inquilino del Colle non vorrebbe mettere a rischio la sessione di bilancio e non contempli lo scioglimento oltre il 20 luglio. Da qui il tatticismo salviniano che prova a seminare panico a 48 ore dall’ultima finestra elettorale. Non a caso, secondo molti, la sensazione è che Salvini stia di proposito drammatizzando lo scontro con il M5S con l’intenzione di infondergli terrore, spaventarli. «Ci vogliono mettere all’angolo? E noi li mandiamo alle urne, così dimezzano il numero dei parlamentari”.
D’altro canto, estremizzare lo scontro, in questo momento, serve anche ad allontanare i riflettori dall’affaire Metropol. Il timing lo conferma. Non è un caso che la reazione di Salvini si sia avuto dopo l’ennesima pubblicazione esclusiva di documenti da parte dell’Espresso che continua a metterlo in difficoltà e che smonterebbe la sua linea di difesa.
Ma alla fine anche sulla questione Russia abbassa i toni e cambia strategia assicurando che si presenterà in Parlamento prima del 24 luglio, giorno in cui è prevista l’informativa del premier Conte: «Quando uno ha la coscienza pulita… sto vivendo la vicenda in maniera surreale.”
In questo ring un posto speciale lo ha Palazzo Chigi e il suo premier Giuseppe Conte che del duello ne ha avuto notizia tramite i lanci di agenzia. L’avvocato del popolo si trovava nelle stanze di piazza Colonna assieme ai ministri Marco Bussetti ed Erika Stefani quando apprende che l’intenzione di Salvini è niente meno quella di recarsi al Quirinale. Conte è sbiancato, stentava a crederci e avrebbe subito chiesto alla collega Stefani: «Ma cosa sta succedendo?». Anche la Stefani non ha saputo dare risposta. Eppure domani sarà un altro giorno. Non ci sarà alcuna salita al Colle. Ma una giornata di relax con i figli nella sua Milano. Senza più drammatizzare. Forse.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 18th, 2019 Riccardo Fucile
LA BANCA D’INVESTIMENTO DOVE OPERA MERANDA PROPONE A ROSNEFT E GAZPROM L’ACQUISTO DI 3 MILIONI DI TONNELLATE DI GASOLIO CON LO SCONTO DEL 6,5%: TUTTO COME CONCORDATO UNDICI GIORNI PRIMA AL METROPOL… COMPRATORE FINALE L’ENI
La trattativa per finanziare la Lega con i soldi provenienti dalla Russia non si sarebbe fermata all’hotel Metropol di Mosca il 18 ottobre del 2018. Sarebbe continuata anche dopo.
Lo sostiene il sito del settimanale L’Espresso, nell’anticipazione di un’inchiesta in edicola domenica. La sicurezza del giornale si basa su documenti relativi a una proposta commerciale indirizzata alle società Rosneft e Gazprom da parte di Euro-IB Ltd, una banca d’investimento londinese, controllata dal banchiere tedesco Alex Von Ungern-Sternberg.
Di quella banca l’avvocato Gianluca Meranda è “general counsel”, consulente legale. Meranda è uno degli uomini presenti con Savoini all’incontro dell’hotel Metropol, indagato per corruzione internazionale. Il 29 ottobre — 11 giorni dopo l’incontro dell’hotel Metropol — la banca prepara un documento per chiedere una fornitura di petrolio.
Quella richiesta è firmata dall’italiano Glauco Verdoia, dirigente italiano della banca specializzato in trading e finanza strutturata.
La banca londinese vuole comprare tre milioni di tonnellate di gasolio del tipo Ulsd: 250mila tonnellate al mese, per dodici mesi consecutivi.
Nel documento pubblicato dall’Espresso la banca indica uno sconto del 6,5 percento. È esattamente il tipo di accordo di cui Savoini e altri cinque uomini (due italiani, uno dei quali è Meranda) discutevano al Metropol.
Secondo il settimanale quella negoziazione sarebbe andata avanti fino a febbraio, cioè fino a tre mesi dalle elezioni europee poi stravinte dalla Lega di Matteo Salvini.
A provarlo è una nota interna all’altra società di Stato russa, Gazprom, e la risposta inviata dall’avvocato Meranda direttamente a Savoini. In questa risposta, Meranda cita esplicitamente l’Eni come compratore finale del petrolio proveniente dall’ex Unione Sovietica: Meranda allega una lettera di referenza commerciale di una controllata dall’azienda del cane a sei zampe, risalente al 2017.
In quella nota girata da Meranda a Savoini — datata 1 febbraio 2019 — Gazprom rifiuta di collaborare con Euro-IB perchè la banca inglese non “ha indicato nella sua richiesta quali sono le sue strutture logistiche”. Per l’avvocato, però, questo sarebbe “irrilevante” perchè la banca “compra per vendere a Eni, la quale possiede l’intera infrastruttura logistica per l’acquisto”.
Sempre il settimanale rende nota anche la posizione dell’Eni: “Ci ha fatto sapere ‘di non aver preso parte in alcun modo a operazioni volte al finanziamento di partiti politici ( ma la smentita è irrilevante, in quanto il contratto commerciale non indica certo un partito)
Quanto invece agli altri protagonisti dell’affaire, “Savoini, Meranda, Rosneft e Gazprom non hanno invece risposto alle domande de L’Espresso”. I documenti pubblicati dal giornale diretto da Marco Damilano, dunque, smentiscono la versione di Savoini, secondo cui quella riunione del Metropol è stato “solo un incontro casuale in cui la politica non c’entra nulla, i soldi alla Lega neppure” .
(da agenzie)
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Luglio 18th, 2019 Riccardo Fucile
GIORGETTI RINUNCIA ALLA CARICA DI COMMISSARIO UE QUANDO ORMAI ERA CERTO CHE NON GLIEL’AVREBBERO MAI DATA: AVANTI I COMICI
La nuova rottura tra Lega e il Movimento 5 Stelle, nata ufficialmente con il voto al parlamento europeo, continua ad aggravarsi. Domani il leader leghista non sarà presente al Consiglio dei ministri
Lo scontro tra Lega e Movimento 5 Stelle sembra essere arrivato a un punto di non ritorno. Tanto che Matteo Salvini andrà al Quirinale per incontrare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, probabilmente già domani mattina.
In agenda ci dovrebbe essere un altro appuntamento: il consiglio dei Ministri alle ore 12.00, seguito dal vertice sull’autonomia. Impegni a cui il leader leghista ha già detto che non parteciperà .
Dopo le parole del Premier Giuseppe Conte, il quale aveva ipotizzato delle ripercussioni negative per il nostro Paese dopo il voto leghista contro la nomina di Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione europea, dal vertice di Helsinki Matteo Salvini aveva alzato i toni già questa mattina, dicendo che si era «persa la fiducia» tra i partner di Governo, «anche a livello personale».
Tramontata ormai la trattativa per far nominare il leghista Giancarlo Giorgetti a Commissario Ue: lo stesso Giorgetti è andato da Mattarella per comunicare la rinuncia all’incarico.
(da Open)
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Luglio 18th, 2019 Riccardo Fucile
DA DOMENICA IN POI LA FINESTRA SI CHIUDE… NESSUNO VUOLE INTESTARSI LA LEGGE DI BILANCIO LACRIME E SANGUE?
Settantadue ore per decidere se vivere o morire. Settantadue ore per decidere se il governo gialloverde sopravviverà all’estate. Settantadue ore per passare il Rubicone del voto a settembre. Tic tac, tic tac.
L’orologio bracca da vicino le decisioni di Lega e Movimento 5 stelle, il Quirinale osserva silente e preoccupato.
È convinzione di una larga parte di osservatori che Sergio Mattarella non contempli una chiamata alle urne che vada più in là dell’ultimo weekend dopo il rientro delle vacanze. Perchè l’incertezza sui tempi della transizione post voto è alta, e già così il rischio di accavallarsi con la sessione di bilancio è elevatissimo.
Tecnicamente occorrono un minimo di quarantacinque giorni di campagna elettorale dallo scioglimento delle Camere in poi. E il margine sarebbe ampio. Ma di mezzo ci sono le norme che regolano il voto degli italiani all’estero, che prescrivono due mesi pieni tra la fine della legislatura e le urne. Ed ecco che i conti sono fatti. L’ultima domenica di settembre cade il 29, lo spazio per decidere teoricamente sarebbe appena più largo.
Ma nessuno può imporre i tempi della crisi al Colle.
Le forze politiche in campo hanno ormai capito da tempo che il presidente della Repubblica non si presta nè si presterà ai loro desiderata. E i tempi della crisi sono prerogativa esclusiva del Quirinale. Perchè Mattarella, è convinzione pressochè unanime, non accetterà di fare il semplice notaio della fine della relazione litigiosa tra gialli e verdi. Ma tenterà di esplorare strade che possano portare il paese verso una sessione di bilancio ordinata, tenendolo al riparo il più possibile dagli scossoni dei mercati e dalle improvvise oscillazioni al rialzo sullo spread.
Su domenica quindi è posta una sorta di deadline invisibile ma invalicabile. Se la crisi si aprisse entro il weekend, pur al limite e in una corsa serrata contro il tempo, l’agibilità per verificare eventuali altre ipotesi ci sarebbe.
Dopo diventerebbe un esercizio di equilibrismo istituzionale politicamente di difficile sostenibilità , oltre che tecnicamente molto arduo da portare avanti. Settantadue ore per decidere, dunque.
Sempre che il dado non sia già stato tratto. In un verso o nell’altro.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 18th, 2019 Riccardo Fucile
MERANDA NON RISPONDE AI PM
Gianluca Meranda, il legale romano presente al Metropol di Mosca durante il presunto incontro tra tre (o forse quattro) italiani e tre russi, è stato interrogato oggi pomeriggio dai pm di Milano nell’ambito dell’indagine sui presunti fondi russi alla Lega.
Secondo quanto riferito dal suo legale, Meranda si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere e si è trattenuto per circa un’ora e mezza.
Al contrario di quanto accaduto nel caso dell’interrogatorio di Gianluca Savoini, i pm non hanno ascoltato Meranda in un luogo segreto, ma nella caserma della Guardia di Finanza Milano in Via Fabio Filzi.
Meranda mentre entrava in stazione Centrale, a Milano, per tornare a Roma dopo essere uscito dalla caserma della Guardia di Finanza ha dichiarato che conferma quanto pubblicato nella lettera inviata a Repubblica.
L’avvocato, indagato nell’inchiesta su presunti fondi russi alla Lega, ai giornalisti gli hanno chiesto precisazioni su un eventuale quarto uomo al tavolo della presunta trattativa al Metropol, Meranda ha risposto: «non ho collaborato in questo senso».
Era stato Meranda stesso a svelare al quotidiano La Repubblica di essere stato presente a Mosca, confermando l’incontro.
Ieri è arrivata la notizia che anche il suo nome era finito nel registro degli indagati dalla procura di Milano che ha aperto un fascicolo dopo l’inchiesta dell’Espresso, avvalorata dagli audio di BuzzFeed.
Indagato anche Francesco Vannucci, il terzo uomo del Metropol. La casa di Vannucci a Suvereto (Livorno) è stata perquisita dalla guardia di Finanza. Sempre la guardia di Finanza ha perquisito anche Meranda, consegnandoli anche l’informazione di garanzia.
Per quanto riguarda invece l’ipotesi di un quarto uomo italiano presente al Metropol, avanzata dal quotidiano La Repubblica, l’avvocato di Meranda ha commentato: «Non confermo e non smentisco. Ci sono indagini pendenti».
(da Open)
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Luglio 18th, 2019 Riccardo Fucile
“SI’ ALLE SANZIONI MA APERTI AL DIALOGO”
Rigorosa come sempre, Ursula von der Leyen ci accoglie nella foresteria del ministero della Difesa che ha guidato fino a pochi giorni fa, ormai ospite tra gli ospiti, come i giornalisti venuti a intervistarla da tutta Europa.
E affronta in un lungo colloquio tutte le tematiche più brucianti del presente, dalla Russia che sta allargando la sua influenza in Europa – come dimostra lo scandalo che sta travolgendo la Lega – agli errori sulle politiche migratorie come l’accordo di Dublino – “mi meraviglio come un accordo così sbagliato sia potuto essere firmato” – ai conti pubblici, su cui la neo presidente della Commissione europea promette uno “stretto monitoraggio” dell’Italia ma anche volontà di “dialogo” e di ascolto.
Non senza ricordare al nostro Paese che grazie alla flessibilità , dal 2015 ci sono stati concessi 30 miliardi di euro in più. Von der Leyen elenca anche alcune delle riforme che ha intenzione di proporre, anzitutto il salario minimo e l’assicurazione europea sui disoccupati, anche contro il parere ufficiale del partito che rappresenta, la Cdu, e del Paese da cui proviene, la Germania.
Lei sarà la prima presidente donna a guidare la Commissione europea. In che cosa sarà diversa, da questo punto di vista?
“Anzitutto, attorno al tavolo della Commissione ci saranno altrettanti uomini e donne. E il fatto che abbiano provenienze diverse offrirà una diversa prospettiva ai problemi e suggerirà soluzioni differenti. E spero che si faranno notare per essere delle soluzioni pragmatiche. In questi 14 giorni in cui mi sono battuta per ottenere una maggioranza al parlamento europeo, ho sempre avuto la sensazione che fosse più semplice costruire ponti con le donne. Molte di loro si sono rivelate molto pragmatiche e orientate al risultato”.
Quando ha saputo che aveva raggiunto la maggioranza per essere eletta, prima o dopo l’annuncio ufficiale…?
“Dalle informazioni che avevo sapevo che sarebbe stato un risultato sul filo. Dunque mi sono emozionata enormemente, quando il presidente del Parlamento lo ha annunciato qualche minuto dopo. In me si era accumulata molta tensione, perchè nei giorni immediatamente precedenti non ero certa se ce l’avrei fatta. Il giorno che ho fatto il discorso, alcuni mi dissero che gli era piaciuto. Ma sapevo anche di aver sostenuto delle posizioni molto chiare che avrebbero convinto qualcuno in più ma anche deluso qualcun altro”.
Lei ha vinto con una maggioranza molto risicata. Come si spiega l’enorme opposizione alla sua nomina?
“La frase che ho sentito più spesso in quei giorni è stata ‘non è nulla di personale, ma…’. So che molti in Parlamento erano arrabbiati perchè i capi di Stato non hanno nominato un loro spitzenkandidat ma me. Tuttavia Manfred Weber mi ha sostenuto enormemente – e non avrei potuto essere votata senza il suo aiuto. E, ovviamente, alcuni hanno votato contro di me perchè ho presentato un programma chiaramente pro-europeo che non condividevano”.
In realtà lei è stata votata da forze euroscettiche come l’ungherese Fidesz il polacco PiS e i 5 Stelle. Quanto peserà il loro sì sul suo lavoro?
“La stragrande maggioranza dei voti è arrivato dai popolari, dai socialisti e dai liberali. Il nuovo Parlamento è molto eterogeneo. E il percorso che abbiamo dinnanzi consisterà nel trovare maggioranze stabili per ogni proposta e nel trovare forse maggioranze nuove ogni volta. E’ una sfida ma è anche un’opportunità , quella di conquistare ogni volta una maggioranza per un determinato argomento”.
Lei ha offerto qualcosa a Fidesz e al Pis per i loro voti?
“I Paesi del centro e dell’est Europa mi hanno dato fiducia perchè conoscevano il mio lavoro come ministro della Difesa. Abbiamo anche avuto delle divergenze sulla questioni della Difesa, ma penso che ci siano molte persone in quei ministeri che possono testimoniare che sono una persona con la quale si può lavorare. Ciò ha aiutato molto. E se guardiamo alle differenze che ci sono tra l’Europa centrale e quella occidentale, penso che l’urgenza per loro sia quella di essere maggiormente accettati, più visibili”
Sa chi l’ha votata e chi no?
“No, molto semplicemente perchè si tratta di un voto segreto. Io so solo ciò che mi hanno detto i gruppi”.
Ma come si spiega il fatto di non essere riuscita a convincere i parlamentari del suo stesso Paese, in particolare la Spd, e persino alcuni esponenti del suo partito? Il governo è a rischio in Germania?
“Io non penso che ciò abbia a che fare con la coalizione a Berlino, penso sia una questione squisitamente europea. I 16 parlamentari europei hanno sottolineato di non potermi votare perchè non sono stata una Spitzenkandidat. Non è mio compito quello di interpretare il loro comportamento, è stata una loro decisione e io avrei certamente preferito che l’avessero argomentata dal punto di vista contenutistico che procedurale. Ma ora dobbiamo guardare avanti e lavorare con ciò che abbiamo”.
Lei ha presentato un piano molto ambizioso per la lotta ai cambiamenti climatici. Come intende finanziarlo? E come intende costringere i Paesi riluttanti a sostenere le sue idee?
“Onestamente c’è un punto dove credo che l’Europa abbia capito il messaggio. Il tempo stringe, stiamo raggiungendo il punto di non ritorno. Dobbiamo sforzarci a cambiare atteggiamento, a far pagare un prezzo maggiore per le emissioni di Co2, dobbiamo investire in ricerca e sviluppo ed energie verdi. Altrettanto importante è che garantiamo un’equa transizione, non tutte le aree hanno le stesse condizioni di partenza. Ciò che fa bene al nostro pianeta deve fare bene anche ai cittadini e all’economia”.
Sì, ma insistiamo: da dove prenderà i soldi per tutto ciò?
“La questione è porre le giuste priorità nel bilancio pluriennale. Se non investiamo di più in questo campo, pagheremo un prezzo molto più alto in futuro, visto che i costi per le alte emissioni, le tecnologie arretrate e per compensare i posti di lavoro persi si accumuleranno. Se l’Europa si muove per prima può beneficiare del fatto di essersi mossa in anticipo. Nei prossimi mesi formulerà un piano più dettagliato”.
Lei sostiene l’idea di un salario minimo per tutti i Paesi membri e ha avanzato anche la proposta di un’assicurazione comune per i disoccupati nel caso di shock esterni. Ma come intende implementare queste idee se neanche la Germania le sostiene?
“Al contrario, la Germania ha fatto una buona esperienza con il salario minimo negoziato attraverso la concertazione tra aziende e sindacati. Il segreto è definire bene i dettagli: se qualcuno lavora a tempo pieno dovrebbe essere almeno in grado di sostenersi finanziariamente. Altrimenti spingiamo i lavoratori nel mercato nero e nessuno ne guadagna nulla. Quanto all’assicurazione sui disoccupati: l’idea è che i Paesi abbiano uno strumento per assorbire degli shock esterni come una hard Brexit. In Germania abbiamo imparato durante la crisi finanziaria che è molto meglio applicare un orario ridotto durante le crisi ed evitare le disoccupazioni di massa, e avere lavoratori specializzati che siano al loro posto quando l’economia si riprende. Un’assicurazione sulla disoccupazione servirebbe a superare i momenti difficili dovuti a shock esterni.
Lei proviene da un governo che ha bloccato molte iniziative del presidente francese Macron per una integrazione futura nella Ue. Lei cosa pensa del fondo dell’eurozona e del ministro delle Finanze europeo?
“Non ho mai parlato di un ministro delle Finanze europeo perchè lascia troppe questioni aperte. Quanto al fondo per l’eurozona, avremo uno strumento per la competitività e la convergenza che è utile e necessario per un’area monetaria comune. Formalmente il nostro problema era la mancanza di competitività a convergenza. E la questione aperta è sempre stata: sarà accessibile ai Paesi che stanno cercando di entrare nell’euro? Per me la risposta dovrebbe essere di sì. E’ certamente un’ipotesi alla quale lavorare”.
Quanto dovrebbe essere grande il fondo? C’è una differenza notevole tra ciò che immaginano Francia e Germania.
“Se ne discute tra Paesi membri. La mia presidenza comincia a novembre, comincerò ad occuparmene allora. Ma dobbiamo occuparcene tutti in dettaglio, quando la Commissione sarà insediata. Ma il problema sarà sul tavolo”.
Jean Claude Juncker è sempre voluto essere un presidente politico della Commissione, e ha sempre sfruttato al massimo la flessibilità del Patto. Ma ci sono Paesi come la Lega anseatica che chiedono il rispetto severo delle regole. Lei dove si colloca?
“Ci sono molti slogan nel dibattito europeo che strozzano ogni dialogo vero nella culla. Quando qualcuno usa il termine ‘unione dei trasferimenti’ o ‘austerità ‘, sai immediatamente da dove proviene. La mia ambizione è cambiare il linguaggio in modo che riusciamo di nuovo ad ascoltarci a vicenda e a trovare soluzioni pragmatiche, così come i cittadini se lo aspettano da noi. Se guardiamo al Patto di stabilità , esso contiene opzioni di flessibilità che dovremmo usare senza ledere le regole, che restano necessarie.
E l’Italia? La procedura d’infrazione è stata fermata anche se l’Italia non ha rispettato le regole
“La Commissione attuale ha deciso di non aprire una procedura d’infrazione eccessiva. La Commissione che presiederò monitorerà molto da vicino la situazione in Italia, così come in altri Paesi. Il nostro obiettivo è di riuscire a investire per stimolare la crescita senza contravvenire alle regole esistenti”.
E qual è la sua ambizione politica per la Commissione?
“Normalmente non amo avere prefissi davanti alla parola Commissione. Ma se dovessi sceglierne uno, sarebbe ‘geopolitica’. La Ue deve essere assertiva, unita e forte e ha un ruolo da giocare in questo mondo. Il mondo reclama più Europa”.
Un altro campo in cui non c’è stato molto dialogo, ultimamente, sono le politiche migratorie europee. Lei ha detto di voler superare le differenze. Ma cosa intende fare, dopo che nei cinque anni che abbiamo alle spalle non abbiamo visto altro che abissi sempre più profondi?
“Gli ultimi anni ci hanno insegnato come non mai che le risposte semplici non ci portano da nessuna parte. Si sente dire solo ‘chiudete le frontiere e l’immigrazione cesserà ‘ o ‘dobbiamo salvare chiunque nel Mediterraneo e basta’. L’immigrazione non sparirà e ci sono limiti a quanta immigrazione possiamo assorbire. Allo stesso tempo abbiamo bisogno di risposte umane. Un approccio comprensivo è urgente, dobbiamo investire pesantemente in Africa per ridurre le pressioni migratorie. Allo stesso tempo dobbiamo combattere il crimine organizzato, riformare Dublino e fare in modo che Schengen possa sopravvivere perchè siamo in grado di proteggere le nostre frontiere esterne”.
Come si possono proteggere le frontiere esterne se i capi di Stato e di governo si sono dati come data per il rafforzamento di Frontex il 2027?
“L’intenzione di rafforzare Frontex a 10mila agenti è buona ma il 2027 è assolutamente troppo tardi. Dobbiamo sbrigarci, come ho già dichiarato nelle mie linee guida. E dobbiamo urgentemente riformare Dublino. Il problema con le questioni complesse è che sono molto difficili da spiegare, dunque i cittadini e i politici sono chiamati a uno sforzo maggiore. Chi litiga sulle questioni migratorie tende solo a vedere una parte del problema. Ma se parliamo di una suddivisione degli oneri guardando a tutto il processo, dall’Africa a Dublino, forse riusciamo a fare dei passi avanti”.
Le Ong dovrebbero continuare a salvare vite nel Mediterraneo?
“Il nostro approccio politico dovrebbe essere quello di focalizzarci sul fatto che queste persone non salgano su un gommone. Abbiamo combattuto il crimine organizzato in maniera efficace con la Turchia, il Marocco e l’Algeria. Ma una volta che le persone intraprendono i loro viaggi della morte, siamo obbligati a intervenire. Salvare vite è sempre un obbligo, ma salvarle non risolve la questione più generale, che è molto più grande. E quando i profughi arrivano a terra, bisogna essere chiari. Chi arriva illegalmente e non ha diritto all’asilo, deve tornare indietro. Grazie all’accordo con la Turchia siamo riusciti a ridurre gli arrivi da cinquemila al giorno a qualche centinaio”.
Ma il paese chiave in Africa per l’immigrazione irregolare è la Libia. Come intendete fare accordi con un Paese che non ha neanche un governo – ma orribili campi profughi controllati dalle milizie?
“Lei ha perfettamente ragione. E’ molto difficile trattare con un Paese come la Libia dove non c’è un governo che funzioni e che si trova agli albori di una guerra civile. Questi problemi ci sono, senza dubbio, ma non dimostrano che il concetto dell’approccio più complessivo non sia giusto. Dobbiamo affrontare le grandi sfide del nostro tempo, non l’immigrazione, ma anche la demografia e la rivoluzione digitale. Discuterne. Risolverle. Ma senza far finta che possiamo affrontarle considerando solo una parte del problema senza parlare sul resto”.
Quindi fa bene Salvini a fermare e criminalizzare le Ong come Seawatch?
“E’ un obbligo per tutti gli esseri umani quello di salvare chi rischia di annegare. Ciò che vuole l’Italia, principalmente, è una riforma del sistema disfunzionale di Dublino. E devo ammettere che mi meraviglia come un accordo così sbagliato possa essere stato firmato. Inoltre posso capire che i Paesi che sono ai confini esterni della Ue non vogliano essere lasciati soli ad affrontare la sfida dell’immigrazione. Devono avere la nostra solidarietà ”.
E come intende convincere di ciò l’Ungheria e la Polonia?
“Alcuni Paesi si concentrano esclusivamente sui propri problemi, usano slogan e non mostrano alcuna disponibilità a fare progressi. Ma è anche vero che non molti riconoscono che un Paese come la Polonia ha già accolto 1,5 milioni di persone dall’Ucraina, che ai suoi confini esterni soffre una guerra ibrida. Dobbiamo cominciare a parlare anche di questo punto di vista polacco e ascoltare argomenti che vadano al di là dei nostri. Me lo aspetto da tutti. Il nostro compito di politici e diplomatici è risolvere queste impasse”.
Lei suona diversa rispetto al 2015. Ha cambiato idea sull’immigrazione?
“Come ho appena detto, è un argomento complesso e non ci sono risposte semplici. Il dibattito è maturato, perchè durante la discussione abbiamo imparato molti dettagli sui Paesi d’origine, sul sistema del traffico di esseri umani e sui difetti di Dublino. E così ha fatto l’Europa. All’inizio avevamo risposte molto semplici e contrastanti. Adesso abbiamo accettato che l’immigrazione esiste e non se ne cesserà di esserci. E vogliamo trovare dei modi condivisi per migliorare l’immigrazione legale”.
Gli Stati membri che non rispettano lo stato di diritto e i valori comuni europei dovrebbero essere puniti attraverso una riduzione dei fondi strutturali?
“Lo stato di diritto è un valore sacro, per l’Unione europea. Per razionalizzare un dibattito infuocato: sosteniamo l’introduzione di un meccanismo che aggiunga un rapporto trasparente allo stato di diritto in ogni Stato membro. In questo modo eviteremo di puntare il dito contro singoli Paesi membri, ma faremo in modo che ogni Paese venga analizzato”.
Lei sostiene che le regole dovrebbero essere applicate a chiunque. Ma la Germania e la Francia non hanno rispettato anni fa le regole sul deficit e non sono state sanzionate. Il principio del ‘due pesi e due misure’ non rischia di danneggiare la Ue?
“Gli stessi criteri valgono per chiunque. La mia esperienza politica mi suggerisce che obbedire alle regole che chiunque si è dato è il solo fondamento per mantenere un certo equilibrio tra le potenze influenti nel mondo. E’ l’ordine basato sulle regole che difendiamo. E si applica anche all’Ue. Più ci allontaniamo dalle regole che ci siamo dati, meno saremo in grado di raggiungere un equilibrio e a essere giusti con i cittadini”.
Nell’Europa dell’est ci sono Paesi che hanno combattuto per la libertà , e ora alcuni dei loro governi vogliono abolire l’indipendenza della giustizia e strangolare la stampa. Cosa ne pensa?
“La libertà di parola, la giustizia e la stampa sono l’essenza e la base comune dell’Unione e faremo sempre in modo di proteggerle, ovunque sia necessario”.
Ma i giudici in Polonia sono sotto attacco e non esistono più giornali indpendenti in Ungheria.
“Il meccanismo che voglio per tutelare lo Stato di diritto individuerà le violazioni dei valori europei e dei suoi principi. E agiremo, ove necessario. Questo vale per tutti gli Stati membri”.
E non pensa che i populismi in aumento nell’Europa centrale siano preoccupanti?
“Assisteremo sempre a lotte interne su come un Paese debba avanzare. La risposta è battersi per gli argomenti migliori, convincere i cittadini, attuare politiche migliori e capire che la democrazia non è qualcosa di dato ma che è fragile. E’ questa la lezione che dovremmo aver tratto dalla Brexit”.
Ad eccezione dell’Italia. Nella Lega qualcuno sogna ancora di lasciare l’euro.
“L’euro è molto più delle banconote e delle monete nelle nostre tasche. E’ un simbolo dell’unità europea, la promessa tangibile di protezione e prosperità . L’Italia è un Paese fondatore e ha sempre avuto un ruolo decisivo nella costruzione dell’Europa e dell’euro. Non c’è dubbio che è questa la casa naturale dell’Italia. C’è stata un po’ di retorica su questo ma credo che i fatti parlino più di mille parole: dal 2015 la flessibilità concessa all’Italia sul Patto di stabilità le ha concesso di liberare 30 miliardi di euro, circa l’1,8% del suo Pil. Ecco perchè io cercherò sempre un approccio aperto e costruttivo con l’Italia. Credo che sia nel nostro interesse e in quello di tutti gli italiani”.
Lei ha argomentato che la Brexit potrebbe essere rimandata per “buone ragioni”. Quali potrebbero essere?
“L’accordo che abbiamo firmato è buono e non ne vedo altri all’orizzonte. Per rimandare l’attuale data per la Brexit devono esserci buone ragioni addotte dal governo britannico. Non ci si fraintenda: il modo in cui la Brexit accadrà , avrà enormi conseguenze, perchè non sarà la fine di qualcosa ma determinerà la base per le nostre relazioni future. Ed è questo il motivo principale per cui penso che sia cruciale che l’uscita del Regno Unito dall’Ue sia ordinato”.
La democrazia è sotto pressione. L’influenza della Russia in Europa sta crescendo. Un partito al governo in Italia, la Lega, è travolto da uno scandalo che parla di finanziamenti da Mosca. Quanto è preoccupata dell’aumento del potere di Mosca?
“Siamo testimoni da un po’ di un atteggiamento ostile da parte della Russia. Che spazia dalla lesione di leggi internazionali, come l’annessione della Crimea, al tentativo di dividere l’Europa il più possibile. Il Cremlino non perdona nessun tipo di debolezza. Dalla nostra posizione di forza dovremmo mantenere le sanzioni e offrire allo stesso tempo il dialogo. Stiamo anche migliorando nello smantellamento delle campagne diffamatorie e delle campagne via social media nutrite da fake news. Il nostro privilegio, in quanto democrazie, è quello di rispondere con trasparenza, libertà di stampa e un dibattito aperto”.
L’Alleanza atlantica ha subito qualche pressione. Jean-Claude Juncker ha scongiurato finora sanzioni dagli Stati Uniti. Quale sarà il suo approccio?
“Applaudo a Jean-Claude Juncker per il suo successo in questo campo. Voglio ricordare ai nostro amici americani che siedono allo stesso lato del tavolo. E vorrei che la Ue e gli Usa unissero gli sforzi per affrontare i nostri comuni competitori piuttosto che combatterci l’un l’altro”.
Uno dei sui figli ha studiato in Polonia. Che impressioni ne ha tratto?
“Sono una grande fan dell’Erasmus. Uno dei miei figli è stato a Poznan, in Polonia, un altro a Madrid, uno a Londra e uno a Parigi. Erasmus è davvero uno dei più preziosi strumenti che l’Ue abbia creato. Ne approfittano le università e la conoscenza delle lingue. Inoltre alimenta l’amicizia tra Paesi e la comprensione reciproca. Sappiamo che il primo Paese in cui vai da persona adulta ti trasforma in un ambasciatore di quel Paese”.
La sua collega di partito Anngret Kramp-Karrenbauer vuole eliminare la seconda sede del Parlamento a Strasburgo. E’ d’accordo con lei?
“No. Io non rinuncerei mai alla sede del Parlamento a Strasburgo. E’ uno dei simboli della rinconciliazione franco-tedesca che sta al cuore della Ue. Ha una storia enorme. A volte bisogna anche investire anche nei simboli”.
Molte iniziative del suo predecessore, Juncker, sono state bloccate dai capi di Stato e di governo. Cosa farà per riconquistare potere?
“Io ho un rispetto assoluto per la triangolazione tra Parlamento, Commissione e Consiglio. Non vedo l’ora di lavorare con una nuova squadra e lo farò in questo spirito sin dall’inizio. So per esperienza che non è un credito infinto. Con il nuovo presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, siamo ansiosi si andare avanti e fare progressi. Vedremo”.
E se le cose non avanzeranno, lei è a favore di un’Europa a più velocità ?
“Non sono una fan dell’idea che l’Europa si muova a velocità diverse perchè ciò non fa che acuire le divisioni”.
(da “Lena – Leading European Newspaper Alliance”)
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Luglio 18th, 2019 Riccardo Fucile
SOVRANISTA CHE VAI, RUSSO CHE TROVI
“Il vicepremier si è dimesso oggi a seguito delle accuse di avere fatto accordi con il governo di Putin in cambio del sostegno al suo partito di estrema destra nella scorsa tornata elettorale”.
No, non è un articolo che viene da un prossimo futuro italiano, ma una notizia pubblicata nel maggio di quest’anno in Austria, quando il vicecancelliere Heinz-Christian Strache, leader del partito di estrema destra FPà–, si è dimesso per via della pubblicazione di un video in cui lo si vedeva promettere alla presunta nipote di un oligarca russo vicino a Putin la concessione di importanti appalti in cambio di un sostegno durante la campagna elettorale.
Il vicepremier Matteo Salvini, il suo amico faccendiere Gianluca Savoini e la Lega, se le indiscrezioni di questi giorni dovessero essere confermate, non sarebbero dunque gli unici sovranisti che, oltre ad amare la loro patria, sono stati soggiogati dal fascino della Russia targata Vladimir Putin.
Sovranista che vai russo che trovi, verrebbe da dire dando un’occhiata alle storie che hanno visto coinvolti molti dei partiti della destra euroscettica negli ultimi anni.
Già nel 2014 la leader del Front National Marine Le Pen e il suo partito sono finiti nell’occhio del ciclone mediatico a causa di un prestito di nove milioni di euro concesso loro da una banca russa per finanziare le attività elettorali.
La ciliegina sulla torta all’epoca la mise il report secondo cui il fondatore del Front National e padre di Marine, Jean-Marie Le Pen, che ha fatto del suo anticomunismo una ragione di vita, aveva ricevuto due milioni e mezzo di dollari in prestito da una holding controllata da un ex agente del KGB: come a dire che quel che non potè Gorbaciov, poterono i rubli di Putin.
La Le Pen si è tuttavia difesa anche recentemente dalle accuse di essere finanziata da Mosca, dichiarando a Tallinn di essere intenzionata a rimborsare il prestito, concesso peraltro, a suo dire, a “un pessimo tasso d’interesse”.
Ma le sue continue dichiarazioni pro Putin e il suo pellegrinaggio al Cremlino in occasione delle Presidenziali francesi del 2017 (quando promise che, se fosse stata eletta, avrebbe tolto le sanzioni imposte alla Russia) lasciano pochi dubbi sull’intesa almeno politica fra il suo partito e il governo russo.
Un’intesa molto forte è anche quella che lega il presidente ungherese Viktor Orbà n e Mosca. Il leader di Fidesz, formazione politica fortemente euroscettica e xenofoba, ha infatti incontrato nel settembre 2018 il suo omologo russo portando a casa una forte alleanza su gas e nucleare.
Il meeting è stato visto da molti osservatori come un chiaro segnale per mostrare all’Unione Europea che l’alternativa est c’è ed è sempre più reale.
“Uniti nei valori cristiani” aveva detto allora il leader magiaro, ma guardando alle sanzioni imposte all’epoca dalle istituzioni comunitarie sia a Mosca che alla sua Ungheria, definita da più parti come la prima “democrazia illiberale” europea, verrebbe da pensare che a unire i due governi non sia solo la fede cristiana.
D’altronde è logico per Vladimir Putin ricercare continuamente sul piano internazionale interlocutori da sostenere per far cadere quell’Europa liberale che al Cremlino è vista come un ostacolo obsoleto all’estensione della sua sfera di influenza, tanto che recentemente l’ex agente del KGB alla guida dell’ex Unione Sovietica da quasi vent’anni ha definito il modello liberale come “finito”.
Un’Europa spezzatino di Paesi indeboliti e magari disposti a barattare i diritti civili e sociali in cambio di accordi economici è chiaramente l’obiettivo ultimo di Mosca: e allora ecco che, oltre ai già citati Salvini, Le Pen e Orbà n, si guarda con favore anche a personaggi come il presidente ceco MiloÅ¡ Zeman, aiutato durante la sua campagna per le Presidenziali del 2017 da siti russi che mettevano sul web fake news come quella che attribuiva al suo avversario suo avversario JiÅ™à DrahoÅ¡ non solo tendenze pedofile, ma anche l’intenzione di aprire le porte del Paese a un’immigrazione incontrollata (vi ricorda qualcuno?).
Eventi di questo tipo, la presenza nello staff di Zeman di un consigliere legato al Cremlino e la sua intenzione di indire un referendum per uscire dall’UE e dalla Nato sono valsi al presidente ceco la nomea di “controfigura” di Mosca.
E dichiarazioni come “La Russia è dieci volte più importante per noi della Francia” di certo non aiutano Zeman a scrollarsi di dosso queste accuse, da lui definite “idiozie”. Fra tanti che, più o meno palesemente, ventilano l’uscita dall’Unione Europea, non poteva mancare nelle grazie dello Zar chi questa uscita è quasi riuscito a portarla a termine.
Nigel Farage, leader del Brexit Party, è infatti noto per avere pubblicamente ammesso di “ammirare”, Putin che da parte sua ha sicuramente dimostrato di apprezzare invitando l’euroscettico più volte nelle televisioni russe, da dove il britannico ha potuto accusare l’Unione Europea di essere antidemocratica Questo dagli schermi di un Paese, la Russia, 134esimo su 167 nella classifica del Democracy Index.
Non tutti i sovranisti sono però così entusiasti del modello russo: l’europarlamentare del Partito dei Danesi Anders Vistisen ha definito l’inquilino del Cremlino come “un orso che può aggredire” e anche i nazionalisti al governo in Polonia non sono per niente entusiasti delle ingerenze russe, come la loro decisione di non invitare Putin a Varsavia in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’inizio della seconda guerra mondiale ha dimostrato.
Anche fra i sovranisti europei c’è quindi chi che ha capito la pericolosità dell’abbraccio con l’orso russo.
Resta da capire cosa spinga gli altri sovranisti, in primis Matteo Salvini, ad andare in giro con le magliette di un uomo, Putin, che ha pubblicamente ammesso di disprezzare il sistema istituzionale del loro stesso Paese da cui loro stessi sono stati eletti e di cui dovrebbero essere rappresentanti e garanti.
(da Tpi)
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Luglio 18th, 2019 Riccardo Fucile
I SINDACI PD COINVOLTI NON SONO ACCUSATI DEGLI ABUSI MA SOLO DI ALCUNI ILLECITI AMMINISTRATIVI TIPO L’AFFIDAMENTO DELLE SALE, UNA CAZZATA SPECULARE SUL NULLA
Oggi nella sua intervista al Corriere della Sera il vicepremier Luigi Di Maio ha dichiarato che il suo partito «non farà mai alleanze con il partito di Bibbiano».
Ora la cosa la si potrebbe chiudere qui, in fondo il M5S ha giurato e spergiurato che non si sarebbe mai alleato con un partito della casta o con quelli che sono stati al governo con Berlusconi, e sappiamo bene come è andata finire.
Ma nel caso di Bibbiano la vicenda giudiziaria è molto delicata, sono coinvolti dei minori, si parla di presunti abusi. È lecito strumentalizzare il dolore di molte famiglie solo per attaccare il Partito Democratico?
È vero, nell’inchiesta sono coinvolti alcuni sindaci del Partito Democratico. Ma le accuse a loro carico non riguardano i presunti abusi ma solo alcuni illeciti amministrativi commessi ad esempio nell’affidamento delle sale dove si svolgevano le sedute con gli psicologi oggetto dell’inchiesta.
Dire che il PD è il “partito di Bibbiano” è come dire che il M5S è il partito dello scandalo Lanzalone o dell’affaire De Vito. Se non fosse altro per il rispetto della presunzione d’innocenza degli indagati (non è ancora iniziato il processo) bisognerebbe utilizzare maggior cautela.
Ma al M5S il garantismo interessa solo quando sono i suoi esponenti accusati di abuso d’ufficio, che è precisamente il reato contestato al sindaco Andrea Carletti. Ma al M5S non sembra interessare che venga fatta giustizia, cosa che di solito avviene nelle aule di tribunale, e non nelle piazze dove qualche giorno fa alcuni esponenti del MoVimento hanno celebrato una specie di rito collettivo/processo popolare direttamente a Bibbiano.
Il MoVimento ha deciso di strumentalizzare l’inchiesta di Bibbiano per attaccare il Partito Democratico, facendo passare l’idea che nel PD siano in qualche modo tutti complici e che abbiano tutto l’interesse a insabbiare la vicenda.
Un po’ come nei deliri complottisti del Pizzagate americano dove Hillary Clinton e altri esponenti del Partito Democratico USA venivano accusati di ogni sorta di nefandezza e crimini sui minori.
Qualche giorno fa ad esempio il vicepresidente del Senato (e quasi dottoressa) Paola Taverna si diceva sorpresa dal fatto che di Bibbiano sui giornali non si parlasse più ipotizzando che la ragione fosse che “erano coinvolti esponenti del PD”. Il che, tra l’altro, getta fango sulla categoria dei giornalisti.
Ma questa per il MoVimento non è una novità . Si potrebbe chiedere cosa dovrebbero raccontare i giornalisti su un’indagine che è ancora in corso e su cui è stato raccontato tutto quello che era possibile raccontare. Di Bibbiano non si parla, o meglio se ne parla meno perchè non c’è più nulla di nuovo da dire. Questa è l’unica verità . Ma se il M5S avrà la grazia di spiegare cosa vuol dire “parlare di Bibbiano” gliene saremo tutti grati.
L’apice forse è stato raggiunto quando l’ex deputato Alessandro Di Battista ha pubblicato un post in cui si lamentava della scarsa copertura mediatica su Bibbiano (in effetti manca giusto il plastico di Bruno Vespa a Porta a Porta). Risulta che il Dibba al momento svolga la professione di reporter, può quindi benissimo andare a Bibbiano a fare interviste, inchieste, video, filmati e scoprire così la verità . Per la verità oltre all’iniziale copertura giornalistica, quando Bibbiano era ancora una notizia fresca, ci sono state decine di puntate di approfondimento di trasmissioni televisive che sono andati a intervistare genitori delle presunte vittime e papà e mamme cui erano stati tolti i figli.
Ed in effetti si potrebbe chiedere proprio a Di Battista che chiede di “parlare di Bibbiano” per mettere in luce la logica del profitto ad ogni costo che cosa ne pensa dei finanziamenti fatti dal suo partito alla Onlus al centro dell’inchiesta. Soldi onesti, senza dubbio. Ma perchè non parlarne?
Il MoVimento 5 Stelle non ha saputo fino a qui spiegare quale sarebbe l’utilità di “parlare di Bibbiano” ogni giorno a qualsiasi ora. Una spiegazione dovuta visto che — che coincidenza — il ministro della Giustizia è un esponente del M5S. Significa forse che i pentastellati non hanno fiducia nella Magistratura? Oppure la hanno solo quando viene assolto un loro sindaco?
Secondo il Partito Democratico le dichiarazioni di Di Maio sono “demenziali” perchè «non solo da subito abbiamo denunciato la gravità dei fatti portati alla luce dall’inchiesta della Procura di Reggio Emilia ma è fin troppo ovvio che, qualsiasi sia l’esito dell’indagine rispetto alle responsabilità di un sindaco accusato di abuso d’ufficio, accostare a fatti gravissimi l’identità del PD è un atto irresponsabile e falso».
Motivo per cui «il PD ha dato mandato ai propri legali di sporgere querela per diffamazione e richiesta di risarcimento danni in sede civile». Chissà se a quel punto il M5S accetterà di parlare della questione, in tribunale.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 18th, 2019 Riccardo Fucile
SE DEVE RACCONTARE BALLE ALMENO EVITI DI ACCUSARE INESISTENTI “TERRORISTI” DI ALTRI PAESI… LA NOTA DELL’AMBASCIATORE CHE CHIEDE GIUSTAMENTE LE SCUSE E’ SINTOMO DI UN’ITALIA RIDICOLA E SEMPRE PIU’ ISOLATA
Qualche giorno fa Salvini ha raccontato che la scoperta dell’arsenale dell’ex forzanovista Fabio Del Bergiolo e del missile aria-aria trovato nel magazzino della Star Air Service di Rivazzano Terme di proprietà Alessandro Michele Aloise Monti e Fabio Amalio Bernardi era merito suo. Perchè, ha detto il ministro dell’Interno, «l’ho segnalata io.
Era una delle tante minacce di morte che mi arrivano ogni giorno. I servizi segreti parlavano di un gruppo ucraino che attentava alla mia vita».
La realtà dei fatti è naturalmente diversa.
In primo luogo nè Del Bergiolo nè Monti o Bernardi avevano mai pensato di attentare alla vita di Matteo Salvini.
In secondo luogo il missile ritrovato essendo aria-aria a guida radar (e senza testata esplosiva) non poteva essere utilizzato da un eventuale terrorista o attentatore a terra perchè per funzionare ha bisogno di essere lanciato da un ben preciso modello di areo da caccia.
Infine perchè quasi subito dopo la segnalazione da parte di un sedicente “ex agente del Kgb” che aveva fatto la soffiata alla Procura gli inquirenti si sono accorti che la minaccia nei confronti di Salvini e il presunto piano per colpirlo era senza «consistenza investigativa».
Eppure quel riferimento al “potenziale attentato da parte di stranieri contro di me” non ha fatto storcere il naso solo ai giornalisti.
L’Ambasciatore dell’Ucraina in Italia Evhen Perelygin, ha scritto a Matteo Salvini chiedendogli «di confermare o smentire le sue dichiarazioni» sul presunto «gruppo ucraino» che avrebbe pianificato un attentato contro di lui. La notizia che un gruppo ucraino stava progettando un “potenziale attentato” nei confronti di Salvini «ha allarmato l’Ucraina, la nostra Ambasciata, nonchè la comunità ucraina in Italia».
È naturale che gli ucraini non abbiano molto piacere a finire nell’elenco dei “cattivi” del nostro ministro dell’Interno, che si sa bene quali effetti sia in grado di produrre nell’opinione pubblica. Anche perchè — continua l’ambasciatore — «durante le mie numerose visite nelle regioni d’Italia i questori ed i prefetti che ho incontrato hanno sempre evidenziato l’alto rispetto che gode la comunità ucraina in Italia e la sua estraneità al crimine organizzato». Non c’è però solo la questione della rispettabilità della pacifica comunità ucraina che vive in Italia.
A Kiev non è certo sfuggito il fatto che la Lega e la Russia di Putin abbiano rapporti sempre più stretti.
L’Ambasciatore nella sua lettera non fa menzione del caso Moscopoli ma è fuori di dubbio che le visite di Gianluca Savoini in Crimea e la posizione di Salvini sulle sanzioni economiche a Mosca non siano certo viste di buon occhio.
In un contesto così delicato sarebbe stato quindi meglio evitare di aumentare la tensione con l’Ucraina. E l’Ambasciatore qualche sassolino dalla scarpa non rinuncia a toglierselo quando dopo aver fatto notare che tra i nomi delle persone indagate e arrestate non c’è alcun cittadino ucraino scrive che «abbiamo notato il lavoro del Tribunale di Genova che ha emesso le condanne nei confronti di un gruppo di combattenti italiani filorussi di estrema destra che affiancavano i separatisti russi nel Donbas contro il Governo ucraino».
(da “NextQuotidiano”)
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