Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
INVECE DI ATTENDERE SETTEMBRE PER ULTERIORI MEDIAZIONI, LA CANDIDATA HA PREFERITO RISCHIARE… NOVE I VOTI IN PIU’ RISPETTO AL NECESSARIO, 75 I VOTI DI COALIZIONE MANCANTI, DETERMINANTE IL M5S… LA LEGA ALLA FINE CAMBIA IDEA E VOTA NO PER NON SPACCARE IL FRONTE SOVRANISTA
Ursula von der Leyen (Vdl) sarà il nuovo presidente della Commissione europea, la prima donna
a ricoprire la carica. La politica — accolta con un applauso al termine del voto — è stata eletta con 383 voti, 9 in più rispetto alla maggioranza di cui aveva bisogno (374). I voti contrari sono stati 327.
Finisce così una lunga giornata a Strasburgo. La giornata era iniziata con il discorso della candidata al parlamento. Dopo la selezione degli scrutatori è partito il voto — a scrutinio segreto — poco dopo le 18:15 ed è durato circa mezz’ora.
Il suo predecessore Jean Claude-Juncker — che le lascerà il posto a partire dal primo novembre — era stato eletto con un maggioranza ben più ampia di 422 voti, pari al 56,19% del voto, contro il 51,27% ottenuto da von der Leyen.
Alla candidata sono mancati 75 voti dei partiti principali: Ppe-S&D-Liberali. Infatti, potrebbero essere stati determinanti i 14 sì del Movimento 5 Stelle che nel pomeriggio hanno dichiarato di voler votare a suo favore.
Il Governo italiano pare essersi diviso sul voto. Il Movimento 5 Stelle aveva dichiarato di voler votare a favore della candidata, come confermato in un post su Facebook da Fabio Castaldo, vicepresidente del parlamento.
A poche ore dal voto i sovranisti di Identità e Democrazia, il gruppo di cui fa parte anche la Lega, non avevano ancora sciolto le loro riserve. Ma a scrutinio ancora in corso, Marco Zanni, presidente leghista del gruppo ID al Parlamento europeo, ha confermato di aver votato in linea con i compagni sovranisti.
«La delegazione della Lega ha espresso voto contrario alla candidata alla presidenza delle Commissione europea, Ursula von der Leyen», ha dichiarato Zanni in un comunicato stampa, aggiungendo che la scelta sarebbe motivata «dall’assenza di cambiamento che abbiamo riscontrato nei contenuti e nelle proposte fatte dalla candidata”.
Nel corso della giornata la von der Leyen ha incassato la fiducia da parte del suo partito (il Partito popolare europeo, il gruppo di centrodestra, primo partito nel parlamento) sia, a mezzora dal voto, del gruppo dei liberal democratici che hanno annunciato in una conferenza stampa convocata improvvisamente di volere appoggiare il ministro della Difesa tedesco.
I socialisti in parlamento avevano accolto con un po’ di scetticismo le sue parole, ma la maggioranza del partito — esclusi circa un terzo dei deputati, tra cui spiccano i socialisti tedeschi — dovrebbe votare a favore. Contrari i Verdi e il blocco dei sovranisti.
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
NONOSTANTE LA CANDIDATA ABBIA SEPPELLITO TUTTE LE TESI SOVRANISTE, LA LEGA SARA’ L’UNICO PARTITO DEL GRUPPO A DIRE SI’ PERCHE’ NON VUOLE PERDERE LA POLTRONA DA COMMISSARIO
“Se von der Leyen ci dà le garanzie sul programma e sul commissario italiano, possiamo anche votarla. Decideremo all’ultimo”. Sono le 15, Marco Zanni sta per entrare alla riunione con i rappresentanti delle altre delegazioni sovraniste del gruppo ‘Identità e democrazia’, tutte schierate sul no a Ursula von der Leyen nel voto in aula oggi a Strasburgo. Tutte, tranne quella leghista.
Zanni è il capogruppo di ‘Id’, ma ciò non toglie che come leghista potrebbe scegliere un’altra strada: votare sì. “Non c’è problema se ci differenziamo nel gruppo”, ci dice. Perchè nonostante i leghisti non siano proprio contenti del discorso della presidente designata in aula (“troppo di sinistra”, dice Zanni), ancora non hanno chiuso la pratica. Potrebbero infatti votare a favore per assicurarsi di giocare la partita del commissario che spetterà all’Italia.
Votare no oggi, significherebbe bocciare il presidente al quale poi la Lega chiederebbe di accettare Giancarlo Giorgetti in squadra. Assurdo.
E allora, malgrado questo voglia dire spaccare il gruppo dei sovranisti al primissimo test d’aula, Matteo Salvini non getta la spugna. Per il vicepremier è troppo importante avere un Commissario a Bruxelles: per incidere nella politica europea o almeno provarci. Votare no significa mettersi fuori, alla stregua degli altri sovranisti, pur compagni dello stesso gruppo ma all’opposizione nel loro paese d’origine.
Insomma Marine Le Pen, i tedeschi di Afd non hanno il problema di piazzare il commissario a Palazzo Berlaymont. Salvini questa esigenza ce l’ha. E infatti si predispone come altri sovranisti di governo, che stanno in gruppi europei diversi da quello della Lega: l’alleato e premier ungherese Viktor Orban (nel Ppe) che ha dato indicazione ai suoi di votare sì, il nazionalista polacco Jaroslaw Kascynzki (gruppo Ecr) che pure starebbe valutando il sì, ancora incerto però.
Tutti i sovranisti di governo hanno il ‘problema’ di trattare con von der Leyen sul commissario. Solo che per Salvini questo ha un costo. Il discorso che von der Leyen ha fatto in aula è spostato sulle rivendicazioni socialiste e liberali, non lascia margini ai sovranisti.
Lei ha scelto la maggioranza europeista, dopo giorni di trattative a tutto campo. Eppure i leghisti sono quasi ‘costretti’ a dire sì.
Nel pomeriggio le aperture sono ancora confermate. Ma questa storia sta diventando un tormento. Dovrebbe concludersi con una decisione solo poco prima del voto che inizia alle 18. Zanni continua a ipotizzare anche i portafogli che potrebbero andare a Giorgetti come commissario europeo: “Concorrenza oppure commercio o industria”. Fino al voto, attendono risposte, rassicurazioni
Eppure, tra le altre cose, von der Leyen ha detto che “bisogna salvare le persone in mare”, che “bisogna aprire i corridoi umanitari…”.
E al tedesco Jorge Meuthen dell’Afd, intervenuto in aula ad annunciare il voto contrario dei sovranisti, la presidente ha risposto: “Sono sollevata che non avrò il suo sostegno, per me è veramente un premio per tutto quello che ho fatto”.
Ma dalla Lega non danno per bruciati tutti i ponti. Hanno scelto tatticamente di far parlare Meuthen in aula nel giro dei capigruppo e non Zanni proprio per lasciarsi libertà di manovra.
Certo, ora che gran parte dei socialisti ha trovato nel discorso di von der Leyen le parole d’ordine per dire sì, i 28 voti della Lega non dovrebbero essere determinanti per la maggioranza.
“Von der Leyen ha detto no alla politica dei due forni tra europeisti e sovranisti — è convinto il capo delegazione del Pd Roberto Gualtieri, annunciando il sì convinto dei Dem — E poi ha persino parlato di corridoi umanitari, cosa che non c’era nella lettera che ha inviato al gruppo: gliel’abbiamo chiesto noi, abbiamo trattato come socialisti e abbiamo ottenuto delle risposte”.
Certo, la Spd conferma il no e anche i socialisti belgi e greci. Ma si sono convertiti al sì i laburisti e gli olandesi. Ormai von der Leyen veleggia sui 400 voti abbondanti, che comprendono tutto il Ppe, i liberali, i 14 del M5s. La capodelegazione pentastellata Tiziana Beghin annuncia il sì in aula: “Signora von der Leyen, dopo il nostro incontro, lei ha fatto suoi i punti principali del nostro programma”. Da Roma il premier Giuseppe Conte fa sapere di aver “apprezzato il discorso di von der Leyen”.
Manca il timbro ufficiale di Salvini, che ancora non ha ingranato una retromarcia che potrebbe costargli tanto, forse più di un voto a favore: d’un colpo rischierebbe di condannarsi alla marginalità in Europa e magari anche in Italia, visto che la partita sul Commissario serve più a Roma che a Bruxelles, naturalmente.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
SUI FONDI RUSSI I DEM VOGLIONO ANCHE CONTE IN AULA
Ostruzionismo sui lavori parlamentari fino a quando Matteo Salvini non si presenterà in Aula a
riferire sui presunti finanziamenti russi alla Lega.
Il Partito democratico ha iniziato la sua “battaglia per la verità ” contro il vicepremier leghista “e non basterà un question time per chiarire”.
I dem infatti chiederanno la calendarizzazione di un’informativa del ministro dell’Interno: “Vogliamo che in Aula ci sia anche il presidente del Consiglio e che ci sia un vero dibattito parlamentare, soprattutto sulla collocazione dell’Italia nello scacchiere internazionale”.
Con queste premesse Nicola Zingaretti incontra prima la presidente del Senato Elisabetta Casellati e poi il presidente della Camera Roberto Fico. “Sulla vicenda Salvini-Russia – scrive il segretario Pd su Facebook – non molliamo e porteremo avanti una battaglia per la verità . Salvini venga in aula per una discussione approfondita senza reticenze dopo le omissioni e reticenze perchè gli italiani devono sapere la verità ”.
Lo scontro è entrato nella sua fase più calda. Il clima a Montecitorio si surriscalda.
Per i dem è la battaglia delle battaglia e non hanno alcuna intenzione di arretrare. D’ora in avanti tutte le mosse saranno volte a inchiodare il ministro dell’Interno. Ci si muove su due piani, quello istituzionale, quindi i colloqui con la seconda e la terza carica dello Stato, e quello di lotta.
I deputati del Pd sono agguerriti. In Aula sollevano cartelli e foto che ritraggono insieme Salvini e Gianluca Savoini, il presidente dell’Associazione Lomardia-Russia, che avrebbe trattato il trasferimento di questi fondi.
A seguire un inedito intervento di Andrea Romano in lingua russa. Ed è bagarre. In questo contesto prende la parola il capogruppo FdI, Francesco Lollobrigida, che, nel ricordare i rapporti tra il vecchio Pci e l’Unione Sovietica, appella i deputati dem con la parola “servi”.
Arriva il turno di Roberto Giachetti: “Un deputato – si lamenta rivolgendosi alla Presidenza – non può chiamare suoi colleghi servi, non una volta che può scappare, ma ben cinque volte, senza essere censurato formalmente”.
Emanuele Fiano prende la parola e va alla sostenza dei fatti: “Il ministro dell’Interno ha mentito al Paese e scappa dal Parlamento come nel caso della nave Diciotti e non basteranno certo tre minuti al question time per spiegare anni di rapporti con la Russia”.
Perchè infatti il question time prevede che il ministro chiamato in Aula risponda alla domanda, posta in un minuto, in un tempo massimo di tre minuti e poi chi pone il quesito ha diritto solo a una controreplica di due minuti. Tempi contingentati dunque che per il Partito democratico non sono sufficienti per affrontare un affare ritenuto enorme e attorno al quale il dem rivolto già otto domande.
Tra queste: “Perchè Salvini ha mentito sull’invito di Savoini alla cena con il presidente Putin? Quali rapporti intercorrono tra il Ministro dell’Interno e il Partito Russia Unita, con il quale lo stesso, allora solo segretario della Lega, concluse un protocollo d’intesa nel quale è previsto un partenariato confidenziale tra i due partiti? Quando Savoini partecipa con o senza il Ministro a incontri ufficiali o meno in Russia con rappresentanti di quel paese e di quei partiti, lo fa a titolo personale o in sua rappresentanza?”.
E altre domande ancora perchè attorno a questi quesiti ruota, secondo il Pd, la sicurezza dell’Italia.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
DESECRETATE LE AUDIZIONI IN COMMISSIONE ANTIMAFIA… IL FRATELLO NON PARTECIPERA’ ALLE CELEBRAZIONI DI STATO PER L’ANNIVERSARIO DELLA MORTE: “NON CI SARO’, LO STATO VENGA DA NOI IN GINOCCHIO”
La carenza di strumenti indispensabili per gestire il maxi processo, la mancanza di personale, il sovraccarico di lavoro. E la scorta limitata a una sola parte della giornata, alla mattina.
Sono gli elementi più importanti dello sfogo inedito di Paolo Borsellino, raccolto in audio pubblicato per la prima volta.
La registrazione è datata 8 maggio 1984 ed emerge dagli archivi della Commissione parlamentare antimafia.
Le audizioni riguardanti il magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992 saranno desecretati in occasione dell’anniversario della sua morte.
Nella registrazione si sente il magistrato lamentarsi del problema sicurezza: “Siamo 4 a dover essere portati ma abbiamo una sola auto blindata, disponibile solo di mattina. Così sono libero di essere ucciso la sera”.
Con amarezza, e con una punta di ironia spiega che la mattina è accompagnato in tribunale con un’auto blindata, mentre nel pomeriggio è costretto ad uscire con mezzi propri. E a tornare a casa, senza tutela alcuna, anche alle 22.
C’è poi la questione degli strumenti di lavoro: “Il computer è arrivato ma non funziona”, dice Borsellino, che sottolinea la difficoltà di gestire “una molte di dati impressionanti” con “strumenti artigianali”
Intanto il fratello del magistrato, Salvatore Borsellino, ha scritto al presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, per comunicargli che non sarà presente alla cerimonia di desecretazione.
Nelle sue parole la rabbia di una famiglia che si sente abbandonata dallo Stato.
E che chiede, dopo 27 anni da una morte sulla quale ancora non si conosce tutta la verità , che le istituzioni la ascoltino: “Egregio presidente Morra – scrive Salvatore Borsellino – ho riflettuto a lungo prima di decidere se accettare l’invito a presenziare alla cerimonia nella quale verranno desecretate le audizioni riguardanti Paolo Borsellino presso la Commissione parlamentare Antimafia. Ho riflettuto a lungo e ho poi deciso di non sottrarre nemmeno un’ora a mia figlia che, pur in attesa del suo primo figlio, ha deciso di affrontare la fatica del volo per essere in questi giorni a Palermo, insieme a me, a lottare per la memoria di suo zio, Paolo Borsellino e dei cinque ragazzi uccisi insieme a lui, Claudio, Agostino, Emanuela, Vincenzo ed Eddie Walter che ancora, a ventisette anni di distanza, aspettano Giustizia e Verità sulla strage di Via D’Amelio nella quale è stata spezzata la loro vita”.
Dopo aver reso noto il suo “no” all’invito, il fratello del magistrato chiede allo Stato “di presentarsi in ginocchio” dopo “decenni di silenzi e complicità ”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
LA DIGNITA’ DI UN BAMBINO CHE METTE IN SALVO I SUOI LIBRI MENTRE PARTE CON DESTINAZIONE NESSUN POSTO… CENTINAIA DI AGENTI IN SFILATA PERCHE’ I BUONI PADRI DI FAMIGLIA, DAL TINELLO DI CASA CON IL PLASMA A 65 POLLICI, POSSANO ESSERE RASSICURATI DELLA PROPRIA VITA DI MERDA
Una delle foto-simbolo dello sgombero di Primavalle, cominciato ieri notte in via
Cardinal Capranica e proseguito fino al primo pomeriggio, è questo scatto che ritrae un bambino con i libri “sorvegliato” dalla polizia mentre li porta via dalla stanza-casa che i suoi genitori avevano occupato.
Commenta oggi Luca Bottura su Repubblica:
Un’immagine che fa a pugni col fuoco di sbarramento mediatico del ministro dell’Esterno, che festeggia sui social, spacciando l’allontanamento di persone deboli come una vittoria della legalità , nel tramestio inadeguato della donna che da ormai tre anni suona la lira mentre la Capitale sprofonda. Uno scatto totalmente incongruo nel quale nulla è come dovrebbe essere.
Non il piccolo sgomberato, la sua dignità incidentale e fortissima, i libri messi in salvo mentre parte con destinazione nessun posto.
Così lontano dalla macchietta cattivista per cui chiunque finisca ai margini, ormai, se lo merita, perchè con quella pelle chissà che combinerà da grande.
Meglio emarginarlo subito, soprattutto se viene da un altrove che non sia il nostro tinello col plasma a 65 pollici. Di necessità , naturalmente.
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
TRE ANNI FA NEL SUO DISCORSO AL FORUM DI MOSCA SI PRENDEVA I MERITI DI AVER PORTATO SALVINI ALLA DUMA
In attesa che la Procura di Milano completi la sua indagine sui rapporti tra la Lega e la Russia — con la notizia che sono entrati in azione anche gli 007 italiani per approfondire alcune ombre sui presunti fondi al Carroccio -, dal passato dei rapporti tra Matteo Salvini e Gianluca Savoini arriva anche un vecchio discorso fatto a Mosca dal fondatore e presidente dell’Associazione culturale Lombardia-Russia.
Con uno stile alla Pippo Baudo — «l’ho inventato io!» — si era vantato (nel 2016) a Mosca di aver portato lui il leader della Lega alla Duma.
Era esattamente il 7 settembre di tre anni fa e il testo integrale del discorso (che, come riporta quest’oggi La Repubblica, non venne letto da Gianluca Savoini al forum Antiglobalization di Mosca per un impedimento, ma venne decantato agli astanti dal suo vicepresidente, Gianmatteo Ferrari) è stato riportato sul sito del filosofo sovranista Aleksandr Dugin (uno degli ispiratori di Vladimir Putin) geopolitica.ru.
«Abbiamo stretto un rapporto proficuo e attivo con la Lega Nord, che grazie anche ai nostri contatti in Russia, ha portato il leader Matteo Salvini ad essere ricevuto e applaudito da tutta la Duma, ad intrattenere incontri e accordi politici con esponenti governativi e istituzionali, fino all’incontro con il presidente Vladimir Putin — si legge nella trascrizione del discorso di Savoini al forum antiglobalization di Mosca del settembre 2016 -. Con Salvini ho fatto parte della prima delegazione ufficiale europea che si è recata in Crimea pochi mesi dopo il vittorioso referendum di autodeterminazione e ricordo la meravigliosa ospitalità e accoglienza ricevuta dal presidente Aksionov e da tutto il governo crimeano a Simferopoli, proprio due anni fa di questi tempi. E presto ci torneremo volentieri, dagli amici della Crimea russa».
Un estratto di un discorso in cui Savoini parla di Occidente che finanzia l’Isis per sconfiggere Assad in Siria e Al Qaeda nata direttamente negli Stati Uniti.
Poi quel doppio passaggio su Matteo Salvini, così per rinsaldare ancor di più lo stretto rapporto tra i due. Le indagini ora valuteranno se quella trattativa e quei fondi siano mai entrati nelle casse della Lega ed — eventualmente — di chi sono le responsabilità per questi fondi illeciti provenienti dall’estero. Nel frattempo Savoini ha scelto la linea del silenzio davanti ai magistrati della Procura di Milano.
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
MA LA PROCURA SMENTISCE: “IPOTESI SENZA CONSISTENZA INVESTIGATIVA”… I PRESUNTI “UCRAINI” SONO DUE ITALIANI E UNO SVIZZERO
I neonazisti vogliono la morte di Matteo Salvini e stavano organizzandosi per portare a
compimento il loro piano di morte? A dirlo è stato lo stesso ministro dell’Interno in relazione al sequestro dell’arsenale di un gruppo a Torino.
Il leader della Lega ha sostenuto che l’operazione è stata portata avanti alla polizia proprio durante un’indagine fortemente voluta da lui per alcune minacce di morte ricevute nel corso dell’ultimo anno.
Ma le cose stanno davvero così o è solo un espediente per fare la vittima e distogliere l’attenzione dai rubli russi, accusando misteriosi ucraini che di fatto non esistono?
La ricostruzione su “La Stampa” è precisa:
«Ho un missile aria-aria di fabbricazione francese da vendere. Ti interessa?». Il messaggio, accompagnato da una fotografia della testata, è stato spedito ad un indirizzo WhatsApp.
Destinatario un combattente italiano reduce del Donbass, filogovernativo. A inviare il messaggio, intercettato dalla Digos di Torino, è stato Fabio Del Bergiolo, 60 anni, ex ispettore delle Dogane in servizio a Malpensa, candidato al Senato nel 2001 per Forza Nuova nel collegio di Gallarate. Missili, estrema destra, intrighi internazionali.
Dalla scoperta di questa trattativa è scattata nei giorni scorsi l’operazione della polizia, coordinata dalla procura torinese, che ha portato all’arresto di tre persone: per «aver detenuto e posto in vendita un’arma da guerra tipo missile aria-aria», e per essere in possesso di un arsenale di fucili d’assalto e pistole di produzione per lo più austriaca, tedesca e statunitense. L’arsenale, con un’ampia gamma di munizionamento, è stato trovato nell’abitazione dell’ex aspirante senatore, sotto il suo letto.
Mentre il missile Matra R530, realizzato per i caccia francesi Mirage ma dimesso dall’esercito del Qatar, è stato ritrovato, nel suo involucro di trasporto, in un magazzino di Rivanazzano Terme, tra Voghera a Tortona, presso la Star Air Service, società che commercializza e ripara piccoli aerei civili.
I titolari Alessandro Michele Aloise Monti, 42 anni, svizzero, e Fabio Amalio Bernardi, 50 anni, residente a Oleggio, inizialmente fermati come indiziati di delitto per il reato di vendita di armi da guerra, sono stati posti agli arresti domiciliari a seguito dell’udienza di convalida.
L’indagine della Digos, diretta da Carlo Ambra, inizia alcuni mesi fa, quando un informatore di un paese dell’Est svela agli investigatori un articolato traffico internazionale di armi, riconducibili ad aree dell’estrema destra.
Tra le confidenze, fa riferimento anche a un presunto piano per colpire il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Gli accertamenti della polizia, coordinata dal pool antiterrorismo della procura affidato all’aggiunto Emilio Gatti, imboccano più strade: una di queste li porta a individuare i tre soggetti, intenzionati a mettere in vendita il missile, prendendo contatti con militanti del Donbass e con un alto funzionario pubblico africano.
Il piano contro Salvini si rivela subito un vicolo cieco, senza «consistenza investigativa» dicono dalla procura.
La svolta arriva nei giorni scorsi, quando gli investigatori incappano in questa «proposta di vendita per conto terzi». Così scatta il blitz a Gallarate. Nell’abitazione di Fabio Del Bergiolo vengono sequestrate una quarantina di armi, tra cui fucili d’assalto tipo «bullpup» Steyr Aug, Colt M16, in dotazione all’esercito Usa, una Steyr Mannlicher in uso ai Gis dei carabinieri. E un moschetto Carcano 91: un pezzo d’antiquariato funzionante, ma evocativo, essendo simile a quello utilizzato da Lee Oswald per uccidere John Fitzgerald Kennedy. In casa anche svastiche e cartelli nazisti.
Messo alle stratte, ha confermato spontaneamente agli uomini dell’antiterrorismo del piano di vendere il missile. «Sono amico di Alessandro Monti, per motivi lavorativi, commercializzando aerei. Alcuni mesi fa mi ha detto di avere un contenitore con dentro un missile e che gli serviva la mia consulenza per venderlo». L’incontro è avvenuto in un magazzino di Oriolo, nei pressi di Voghera.
Qui Del Bergiolo ha visionato l’oggetto. «Abbiamo aperto il portellone e fatto scivolare fuori la testata». Ha scattato delle foto. Poi ha stimato un prezzo: tra i 450 e 500 mila euro. Successivamente il missile, del quale non si conosce il percorso fatto per arrivare in Italia, è stato trasferito a Rivanazzano Terme.
«Il materiale sequestrato – spiega il questore di Torino Giuseppe De Matteis – merita la massima attenzione. Un’operazione che ha pochi precedenti investigativi in Italia».
Quindi riepilogando:
1) Gli arrestati sono due italiani e uno svizzero
2) Il proprietario del missile (italiano) ne proponeva la vendita come se fosse un’anguria al primo che capitava.
3) E’ infondata la segnalazione dell’informatore dell’Est su un gruppo ucraino che voleva attentare al ministro degli Interni
4) Perchè mai ambienti neonazisti dovrebbero volere attentare alla vita di Salvini, visto che Fiore recentemente ha espresso vicinanza alle politiche di Salvini? Quando in Germania quegli ambienti uccidono semmai esponenti di sinistra?
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
ANCHE IL GIORNO DELL’INCONTRO AL METROPOL ANNUNCIA LA PARTENZA, MA C’E’ UN VUOTO DI 12 ORE IN CUI SALVINI SPARISCE
Repubblica racconta oggi di quando Gianluca Savoini aveva formato un gruppo su WhatsApp per informare su spostamenti e conferenze stampa del vicepremier Matteo Salvini durante i viaggi in Russia del 2014 e del 2018, un po’ come faceva Rocco Casalino con Di Maio prima e con Conte poi:
Oltre a una valanga di foto, a smentire la linea sposata dal vicepremier e ministro degli Interni c’è un gruppo WhatsApp. Si chiama “Salvini in Russia” ed è stato creato l’8 dicembre 2014 in occasione di una delle prime missioni moscovite del segretario dell’allora Lega Nord.
Savoini, unico amministratore, usa questo canale per comunicare l’agenda delle missioni di Salvini in Russia ai giornalisti italiani a Mosca. Lo fa anche in occasione della prima visita a Mosca del leader leghista nella veste di ministro degli Interni e vicepresidente del Consiglio.
Salvini vola a Mosca il 15 luglio 2018 per assistere alla finale dei Mondiali di calcio e incontrare l’indomani il vicesegretario del Consiglio russo di Sicurezza e il suo omologo russo Kolokoltsev.
Pochi giorni prima Savoini rispolvera il vecchio gruppo WhatsApp. «Confermato alla Tass», scrive riferendosi alla conferenza stampa convocata il 16 luglio presso la sede dell’agenzia di stampa russa.
La stessa che si conclude con i ringraziamenti della moderatrice a Savoini per «il grande aiuto per questo incontro». È sempre l’ex portavoce a comunicare ai giornalisti: «Incontri ufficiali solo lunedì mattina. Domenica football e relax». Il 15 luglio, atterrata la delegazione a Mosca, Savoini fornisce il numero russo di Claudio D’Amico, ex parlamentare e oggi assessore: «Seguirà insieme a me il Ministro da oggi pomeriggio a domani. Per qualsiasi necessità chiamate».
La chat tace fino a quando, il 17 ottobre, Matteo Salvini torna a Mosca per partecipare all’Assemblea di Confindustria Russia presso il Lotte Hotel proprio alla vigilia della “trattativa” al Metropol.
Non ci sarà «nessun altro incontro», precisa Savoini in chat. «Si riparte dopo il meeting». E a chi incalza per sapere se il ministro ripartirà già il 17 risponde: «Saremo più precisi nei prossimi giorni, grazie. Il vicepremier ha agenda fittissima».
È l’ultimo messaggio. In realtà Salvini sparisce per circa 12 ore. Dopo la conferenza al Lotte esce e riappare il mattino successivo con una foto su Twitter scattata all’aeroporto di Mosca.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 16th, 2019 Riccardo Fucile
IN REDAZIONE NESSUNO PERO’ GLI HA MAI DETTO DI TOGLIERE I SUOI AMULETI NAZISTI
Il Fatto oggi racconta delle simpatiche fotografie di Hitler che Gianluca Savoini teneva
nella sua postazione in redazione a La Padania, di cui abbiamo già dato conto qualche giorno fa:
Così Stefania Piazzo, ex direttrice della Padania , ricorda l’esperienza di Gianluca Savoini nella redazione dell’ex giornale della Lega: “C’era una presenza iconografica anomala, senza dubbio inquietante. Se la riconduci a goliardia può anche andar bene, ma a quel punto te le tieni nella tua cameretta, non in una redazione politica”.
La Piazzo, oggi direttrice de L’Indipendenza Nuova, ricostruisce gli anni fianco a fianco con il leghista: “Savoini era vissuto da tutti con una sorta di stima reverenziale, aveva una marcia in più che gli derivava dai suoi agganci”.
Il tutto, però, immerso in una iconografia particolare. Un articolo di Liberazione datato 16 luglio 2002 citato dalla Piazzo riporta infatti la presenza di “foto di Hitler”, di “uno scatto di una tomba di un ufficiale tedesco”, della scritta “onore ”vergata a mano, dello stemma della Gestapo e dei simboli di protezione e morte utilizzati per le tombe delle SS. Nessuno però, conferma Piazzo, all’epoca sollevò il problema.
Deve essere per questo che il 25 agosto Savoini — in qualità di “consigliere politico” della Lega — ha partecipato ad un incontro organizzato dal gruppo parlamentare di Alternative fà¼r Deutschland, il partito di ultradestra tedesco con simpatie naziste che all’Europarlamento fa parte dell’EAPN, il gruppo dei sovranisti europei cui appartiene la Lega (inizialmente invece era all’interno di ECR, il partito dove per l’Italia c’è FdI). Tema dell’incontro ovviamente i rapporti con la Russia, che come sappiamo è il pallino di Savoini.
(da “NextQuotidiano”)
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