Destra di Popolo.net

TRAVAGLIO E GRASSO FANNO A PEZZI LA DIFESA DI SALVINI SULLA GREGORETTI

Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile

L’AUTODIFESA E’ UN AUTOGOL E LO INGUAIA ANCORA DI PIU’

Ieri abbiamo raccontato come durante tutta la crisi della Nave Gregoretti e, più in generale, nell’intero periodo in cui è stato ministro dell’Interno, Matteo Salvini ha asserito più volte in pubblico che sui naufraghi era lui a decidere. Il fatto che oggi la sua memoria depositata alla Giunta affermi il contrario dimostra più di che pasta sia fatto il personaggio che qualcosa di interessante per giudicare la questione.
Ma il punto più importante è quello che ha sottolineato l’ex presidente del Senato Pietro Grasso in uno status su Facebook: “Per me questa memoria difensiva di Salvini è un boomerang clamoroso! Le carte presentate dimostrano che il Governo non è stato coinvolto nell’assegnazione del Place of safety (Pos) per i migranti nè nella decisione sul loro sbarco, ma soltanto nella ricerca di Paesi disponibili al ricollocamento, una fase che nulla ha a che fare con il reato contestato all’ex Ministro dell’Interno”, scrive l’ex magistrato, che non a caso conosce le leggi.
Il 19 dicembre scorso Grasso aveva parlato anche di un’altra problematica: “Il comandante della Gregoretti dichiarò che a bordo c’erano malati di scabbia e tubercolosi e che in alcun modo lui e il suo equipaggio avrebbero potuto garantire l’incolumità  dei naufraghi su una imbarcazione destinata a tutt’altro. Era insomma in pericolo la vita di quelle persone e, sulla loro pelle, il Ministro faceva le prove generali dei pieni poteri a cui ambiva. Ve lo ricordate il Decreto Sicurezza? Quello che Salvini, proprio per non incappare in un altro caso Diciotti, fece approvare per garantirsi l’impunità ? Ecco: nel gestire il caso Gregoretti, l’allora Ministro è andato oltre quanto previsto espressamente dal Decreto. Un record forse frutto dell’ebbrezza dell’estate al Papeete: mentre lui si godeva la spiaggia nello stesso mare e negli stessi giorni della sua vacanza c’erano decine di persone in pericolo”.
Marco Travaglio sul Fatto è ancora più preciso e spiega perchè la difesa di Salvini lo inguaia ancora di più:
Il guaio è che lo studente ripetente non ha ancora capito perchè i giudici vogliono processarlo: infatti, le nove pagine della memoria sono dedicate alla pratica per ricollocare i 131 migranti in Europa e in Vaticano.
Ma l’accusa riguarda il rifiuto da lui opposto per 6 giorni alla Guardia Costiera di indicare un porto sicuro (Pos): su quel diniego, che è il cuore dell’accusa, non scrive una parola. Perchè sa benissimo che per la Gregoretti, diversamente che per la Diciotti, spettava all’Italia indicare il Pos e che i due casi sono molto diversi.
Per quattro motivi.
1) La Diciotti rilevò i naufraghi dopo un’operazione di salvataggio coordinata da Malta, cui spettava l’obbligo del Pos, mentre la Gregoretti ospitava migranti “salvati” in un’operazione tutta italiana.
2) La Diciotti è una nave adibita ai soccorsi in mare, dunque può ospitare decine di persone sotto coperta, mentre la Gregoretti è destinata alla vigilanza sulla pesca e non garantisce un’a d eguata sistemazione, infatti i migranti restarono per quasi una settimana sul ponte, sotto la canicola.
3) Dalla Diciotti furono subito fatti sbarcare dal governo donne e bambini; dalla Gregoretti la gran parte dei minori poterono scendere solo per ordine della Procura minorile.
4) L’attesa della Diciotti in porto (agosto 2018) fu decisa perchè prima Malta sul Pos e poi la Ue sui ricollocamenti facevano le gnorri; quella della Gregoretti (luglio2019) fu decisa quando il meccanismo dei ricollocamenti Ue era oliato e non c’erano più dubbi sulla distribuzione dei migranti.
Di tutto questo, nella memoria smemorata di Salvini, non c’è traccia. Lo studente non si applica o non capisce. Però ha un’attenuante formidabile: prende lezioni da Giulia Bongiorno.
Ma insomma, quando inizia questo processo?

(da “NextQuotidiano”)

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GREGORETTI, LE PROVE CHE LA LEGA PROMETTEVA SUL COINVOLGIMENTO DEL GOVERNO NELLA MEMORIA DI SALVINI NON CI SONO

Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile

DELLE TRENTA PAGINE DEPOSITATE QUATTRO OCCUPANO LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI, CINQUE SONO DI OSSERVAZIONI, IL RESTANTE SONO EMAIL TRA MINISTERI PER LA RICOLLOCAZIONE

“Copia di contatti con Palazzo Chigi“. A due settimane dall’annuncio della Lega dell’esistenza di una collegialità  sulla decisione di tenere per tre giorni in mare la nave Gregoretti è stata depositata la memoria di Matteo Salvini alla Giunta delle elezioni e delle immunità  parlamentari che il 20 gennaio deciderà  sull’autorizzazione a procedere inoltrata dal Tribunale dei ministri.
Ebbene nelle 30 pagine non c’è allegato nessun documento, nessuna “prova” che dimostri il coinvolgimento del governo o del premier Giuseppe Conte nell’impedire lo sbarco dei migranti.
Ci sono allegati — le email tra i ministeri degli Esteri e dell’Interno e il rappresentante italiano in Ue, c’è anche una email del governo — che riguardano la ricollocazione.
Come del resto aveva spiegato nel corso della conferenza stampa di fine anno il presidente del Consiglio.
Nessun contatto, email, messaggio in cui si parla di negare lo sbarco alla nave militare italiana.
L’ex ministro dell’Interno, indagato per sequestro di persona, invece sostiene di aver agito nell’interesse dell’Italia, col pieno coinvolgimento di Palazzo Chigi e dei ministeri competenti, “in modo perfettamente sovrapponibile a quanto accaduto per la nave Diciotti” per cui invece il Senato aveva negato l’autorizzazione a procedere (20 marzo 2019) a negare l’autorizzazione a procedere nei confronti del titolare dell’Interno.
Ebbene delle 30 pagine depositate quattro occupano la ricostruzione dei fatti, cinque sono di osservazioni, il restante sono email trai ministeri per la ricollocazione.
Allegate anche due dichiarazioni: l’una del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in cui si dichiara che l’Europa “deve farsi carico dei migranti“, l’altra dell’allora vicepremier Luigi Di Maio del 31 luglio (giorno dell’autorizzazione allo sbarco): “Per me l’Italia non può sopportare nuovi arrivi di migranti, quei migranti devono andare in Europa, però non si trattino i nostri militari su quella nave come pirati…”.
Sul coinvolgimento del premier Salvini spiega che “c’è traccia di comunicazioni tra il Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma con gli uffici di Gabinetto dei Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti, della Difesa, dell’Interno e degli Affari Esteri. È rilevante il ruolo del premier Giuseppe Conte: il 26 luglio 2019, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva inoltrato formale richiesta di redistribuzione degli immigrati ad altri Paesi europei”.
Ma allegata c’è solo la mail della richiesta della ricollocazione da parte dell’ufficio del consigliere diplomatico di palazzo Chigi ai rappresentanti dei paesi europei.
“Il blocco della Gregoretti non fu un’azione decisa dal governo perchè allora la redistribuzione era stata decisa: fu un’azione personale del ministro degli Interni” aveva spiegato Di Maio. Quando la Nave Gregoretti arrivò a largo delle coste siciliane con 131 migranti a bordo, l’allora ministro degli Interni Salvini ne impedì lo sbarco per oltre tre giorni

(da “NextQuotidiano”)

argomento: Costume | Commenta »

IL SECONDO TRAGICO SALVINI SU TRUMP

Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile

MASSACRATO DAI COMMENTI: “IL GENERALE HA COMBATTUTO CONTRO I TAGLIAGOLA DELL’ISIS, SCORDATI IL MIO VOTO”…”SEI UN SOVRANISTA TELECOMANDATO DA WASHINGTON”

«Fra, da un lato, l’estremismo e la violenza islamica e, dall’altro, la libertà , non ho dubbi su cosa scegliere: sempre e comunque la libertà , la pace, il rispetto dei diritti umani e dei nostri valori cristiani»: con momenti di vero e proprio pathos grammaticale, oggi arriva il secondo endorsement di Matteo Salvini nei confronti di Donald Trump su Facebook, dopo quello di ieri che ha suscitato un bailamme nei commenti.
Il Capitano ci deve tenere davvero tanto a riguadagnare un posto in prima fila tra gli alleati del presidente degli Stati Uniti dopo che quest’ultimo l’ha scaricato in seguito alla crisi di agosto e all’applauso a “Giuseppi”.
E poco importa se così si mette di traverso rispetto all’altro grande alleato, Vladimir Putin.
Ma nei commenti è di nuovo un massacro, anche perchè il sovranismo alle vongole del Capitano ne esce francamente penalizzato: “Mi dispiace, ma dopo ieri il mio voto non sara’ piu’ per te! Ricorda che il generale che ieri e’stato ucciso per mano degli americani e dallo stato d’Israele, ha combattuto contro l’isis e i loro tagliagole di cristiani”, dice Claudio; “Dov’è la tua carità  cristiana?Sai che il Vangelo dice di porgere l’altra guancia?”, gli chiede Marcello.
E non finisce qui: “U$A portatori di libertà  e rispetto dei popoli. Proprio un bel discorso da Sovranista telecomandato da Washington. Almeno fatevi chiamare Statiunizzati e non Sovranisti”, nota Augusto; e infine c’è Lucio: “Soleimani ha difeso i cristiani molto più di quanto non lo abbia fatto nessun altro. Cambia consiglieri per gli esteri, i looney tunes non sono adeguati”.

(da “NextQuotidiano”)

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SE VOLETE FARE I GENDARMI DEL MONDO FATELO CON I VOSTRI SOLDATI, NON CON I NOSTRI, NON SIAMO I VOSTRI SERVI

Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile

USA “DELUSI” DAGLI ALLEATI EUROPEI: “NON UTILI COME POTREBBERO”… TRUMP SI FACCIA LA SUA SPORCA CAMPAGNA ELETTORALE CON IL SANGUE DEI SUOI MILITARI, NON CON QUELLO DEGLI EUROPEI

Nelle ore successive al raid a Baghdad in cui è stato ucciso Qassam Soleimani, Mike Pompeo ha preso il telefono e ha fatto un corposo giro di telefonate a tutte le principali capitali mondiali per spiegare la decisione del presidente Donald Trump.
Il segretario di Stato americano ha avuto colloqui con Pechino, Mosca, Kabul, Islamabad, Parigi, Londra e Berlino.
Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, bacchetta gli alleati europei che, a suo giudizio, non sono stati “così disponibili” come avrebbero dovuto nel comprendere le ragioni che hanno spinto gli americani a uccidere il generale iraniano Qassem Soleimani.
In un’intervista a Fox News, Pompeo ha raccontato come, all’indomani del raid, sia stato al telefono con i leader di tutto il mondo per spiegare l’attacco: “Ho parlato con i nostri partner nella regione per spiegare loro cosa stessimo facendo, perchè lo stessimo facendo, e per chiedere loro assistenza. Tutti sono stati fantastici”.
“Ma le mie conversazioni con i nostri partner in altri luoghi non sono state altrettanto positive. Francamente, gli europei non sono stati così disponibili come avrei voluto che fossero. Gli inglesi, i francesi, i tedeschi, tutti devono capire che ciò che abbiamo fatto, ciò che hanno fatto gli americani, che hanno salvato vite umane anche in Europa”.
Tranquillo che abbiamo capito benissimo: vi siete comportati come terroristi per tutelare i vostri interessi economici e far dimenticare la messa in stato d’accusa di Trump, mettendo a repentaglio la vita dei soldati italiani ed europei operativi in Iraq.
La campagna elettorale fatevela con il sangue dei vostri soldati, non con quello dei nostri.

(da agenzie)

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MIGLIAIA AI FUNERALI DI SOLEIMANI A BAGHDAD: IL CORO “MORTE ALL’AMERICA” SCANDISCE IL CORTEO

Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile

DOMANI LE ESEQUIE A TEHERAN

Migliaia di iracheni, fra cui il primo ministro dimissionario Mahdi, partecipano a Baghdad alle esequie di Qassem Soleimani, il generale iraniano ucciso da un raid Usa, scandendo il coro “Morte all’America”. Cerimonie anche nelle due città  sante sciite di Najaf e Kerbala per il generale.
Il presidente iraniano, Hassan Rohani – che si è recato in visita dalla famiglia del generale Qassem Soleimani, per portare le sue condoglianze- ha detto che “gli americani vedranno la vendetta” per l’uccisione del capo delle forze al-Quds “negli anni”
Il corteo funebre è partito dal quartiere di Kazimiya a Baghdad, roccaforte sciita nella capitale irachena, diretto verso la Green Zone, il quartiere dove si trovano gli edifici del governo e delle ambasciate e dove si terrà  il funerale ufficiale.
I missili lanciati dal drone americano e che hanno polverizzato le due macchine in cui viaggiavano Soleimani e Mouhandis hanno causato in tutto dieci vittime: cinque iracheni e cinque iraniani.
Le bare dei cinque iracheni sono state portate a Kazimiya su pick-up sormontati dalla bandiera nazionale e che hanno attraversato la folla di migliaia di persone, tutte vestite di nero. I feretri dei cinque iraniani erano invece sormontati dalla bandiera della Repubblica Islamica. Alcuni tra la folla innalzavano i ritratti della Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, o del leader libanese di Hezbollah, Hassan Nasrallah.
Dopo la parata di Kazimiya, nella Zona verde di Baghdad il funerale ufficiale alla presenza di molti leader iracheni. Poi la salma di Soleimani sarà  portata anche nelle città  sante per gli sciiti, Kerbala e Najaf, prima che il suo corpo venga riportato in Iran dove il generale iraniano avrà  un altro funerale in patria.
Le esequie in onore del generale si terranno nella città  santa di Mashad, nel nord-est del Paese, e domani mattina a Teheran, alla presenza anche della Guida Suprema Ali Khamenei, come riporta l’agenzia di stampa ‘Mehr’. Il corpo del generale sarà  quindi trasferito a Kerman, la città  che ha dato i natali a Soleimani.

(da agenzie)

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CHI ERA (DAVVERO) SOLEIMANI

Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile

LA SUA UCCISIONE APRIRA’ LA STRADA A UNA GENERAZIONE PIU’ RADICALIZZATA

L’operazione militare condotta dalle forze statunitensi nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, che ha portato all’eliminazione del generale Qassem Soleimani, determina un profondo mutamento degli equilibri regionali e l’avvio di una nuova fase di crisi dagli incerti orizzonti
Ufficialmente ordinata come reazione all’attacco dell’ambasciata americana a Baghdad nei giorni scorsi, l’uccisione del generale iraniano è espressione di un processo decisionale che a Washington sembra aver voluto solcare quella linea rossa che da tempo rappresentava il perno di equilibrio tra Stati Uniti e Iran. Una decisione probabilmente motivata anche da forti esigenze di politica interna, i cui effetti rischiano tuttavia di propagarsi velocemente quanto disastrosamente nell’intero Medio Oriente.
Con la morte di Soleimani viene paradossalmente meno l’unica e ultima garanzia negoziale degli Stati Uniti con l’Iran, l’interlocuzione diretta di Washington con l’apparato della sicurezza di Teheran e, più in generale, con l’uomo che più di ogni altro aveva esperienza e visione sul piano regionale e globale.
Qassem Soleimani, 62 anni, è stato senza ombra di dubbio il più celebre rappresentante dell’apparato militare iraniano degli ultimi vent’anni. Militare di professione, con una lunghissima esperienza maturata sin dai primi giorni della guerra Iran-Iraq tra il 1980 e il 1988, Qassem Soleimani aveva scalato i vertici della struttura militare grazie alla sua solida reputazione e soprattutto grazie alle capacità  dimostrate nella gestione delle Quds Force, unità  speciali per la gestione delle operazioni estere, poi incorporate come forza armata dell’IRGC.
Su Qassem Soleimani si è scritto molto nel corso degli ultimi dieci anni, sebbene buona parte questa narrativa sia stata caratterizzata dallo stereotipo di matrice israeliana e statunitense che lo ha caratterizzato come un ultra-radicale, fanatico e soprattutto come sostenitore del terrorismo internazionale.
La figura del generale Soleimani è stata in realtà  ben diversa e soprattutto ben più complessa dello stereotipo imposto dai suoi detrattori. Fortemente pragmatico, il generale ha incarnato più di ogni altro elemento delle forze armate iraniane il modello del nazionalista, diventando in breve tempo una figura leggendaria nel paese, soprattutto tra i più giovani.
Stratega di grande capacità , Soleimani è stato senza dubbio il militare iraniano con la maggiore esperienza regionale e con la più spiccata capacità  di analisi delle dinamiche internazionali. Aveva personalmente dialogato e negoziato con gli Stati Uniti in più occasioni nel corso del tempo, e di fatto rappresentava anche per Washington il più efficace argine contro il dilagare di quelle dinamiche che rappresentano in primis una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti.
Anche sul piano della politica interna iraniana Qassem Soleimani rappresentava una figura complessa. Molto vicino alla Guida, Ali Khamenei, il generale costituiva l’elemento di garanzia del sistema politico di prima generazione, ponendosi come baluardo della difesa degli interessi nazionali e della continuità  politica della Repubblica Islamica. In quest’ottica era entrato più volte in rotta di collisione con i vertici dell’IRGC, e soprattutto con quella componente apicale espressa dall’industria militare e dal conglomerato industriale che ruota intorno al grande universo dei Pasdaran. Soleimani non era certamente uomo loro, ed anzi veniva da questi percepito più come un pericoloso outsider che non come un alleato.
Anche per questo era divenuto una vera e propria celebrità  in Iran, soprattutto in quelle fasce giovanili solitamente ostili alla classe politica e militare del paese, che considerano corrotta ed incapace.
Il generale aveva conquistato la sua definitiva celebrità  poi nella lotta contro lo Stato Islamico in Iraq, precipitandosi a Baghdad nel 2015 nel momento più critico del consolidamento del Daesh ed evitando di fatto grazie al suo ruolo la caduta della stessa capitale nelle mani dei fondamentalisti islamici. Grazie alla creazione in breve tempo di milizie ben equipaggiate ed addestrate era riuscito ad avere la meglio sulle forze dello Stato Islamico, contribuendo significativamente alla sua sconfitta tanto in Siria quanto in Iraq.
Cosa cambierà  in Iran e nella regione con la sua morte
Paradossalmente, gli Stati Uniti hanno eliminato questa notte non solo il loro vero ed unico interlocutore all’interno dell’apparato militare iraniano, ma anche il principale argine di tenuta dei loro interessi in tutta la regione.
Una decisione difficile da comprendere, quella di Trump, che concede adesso ampi spazi di manovra a tutte le componenti — iraniane e non — più ostili alla presenza e agli interessi degli Stati Uniti nella regione.
A Teheran la scomparsa di Soleimani rappresenta un grave colpo per la componente politica di prima generazione, e in particolar modo per il sempre più debole entourage politico che ruota intorno alla Guida Ali Khamenei, di cui Soleimani era un fedele alleato.
Il generale che andrà  a sostituirlo alla Guida delle Quds Force, Esmail Qaani, è espressione più dell’attuale vertice militare — il Gen. Salami — che non dell’establishment di prima generazione, e quindi della Guida, con la conseguenza di un riallineamento verso posizioni più radicali e marcatamente politicizzate sul piano interno. Sebbene la nomina sia formalmente espressa dalla Guida, in accordo alla legislazione nazionale, la sua scelta è il frutto di un processo decisionale tutto interno all’apparato dell’IRGC.
Qaani è conosciuto per il suo viscerale antagonismo verso Israele e per la sua propensione ad esprimere liberamente il proprio pensiero su questioni di politica interna ed internazionale, al contrario di Qassem Soleimani, che della riservatezza e della moderazione dei commenti aveva fatto il suo tratto distintivo e la sua capacità  di essere apprezzato dagli iraniani.
L’IRGC è fortemente permeato da quelle componenti espresse dall’apparato dell’industria militare e del sistema industriale sotto il loro controllo, che hanno come principale interesse il mantenimento dei loro interessi politici ed economici. Uno status quo che per essere difeso necessita di una continua tensione con l’esterno, e che vede nell’escalation con gli Stati Uniti una significativa opportunità .
Il generale Soleimani aveva una visione diametralmente opposta degli interessi nazionali, costruiti nella sua percezione sul nazionalismo e la difesa delle prerogative regionali della Repubblica Islamica. Il suo venir meno lascia in tal modo ampi spazi di manovra a tutte quelle componenti che non hanno alcun interesse per la dimensione globale e regionale dell’interesse iraniano, concentrando al contrario la loro attenzione sulla dimensione politica ed economica locale garantita dall’autoreferenzialità  dell’IRGC e della sua classe dirigente.
Questo fattore determina un colpo mortale anche alla capacità  politica della prima generazione e della Guida Ali Khamenei, di fatto spianando la strada al consolidamento del ruolo e dell’influenza della seconda generazione. Gli stereotipi della narrativa occidentale hanno sempre descritto Khamenei e la prima generazione di teocrati come l’elemento più conservatore e radicale, mancando purtroppo di cogliere come il vero radicalismo del sistema sia insito all’interno delle dinamiche politiche e ideologiche della seconda generazione, connotato da un approccio alla politica internazionale e di difesa ben diverso rispetto al pragmatismo che per quarant’anni ha caratterizzato la politica iraniana.
Quello che ci si deve aspettare a Teheran, quindi, è un’accelerazione nel processo di consolidamento delle frange più radicali del sistema politico e militare, soprattutto attraverso la progressiva marginalizzazione degli esponenti politici di prima generazione. Processo peraltro già  in atto da tempo, come dimostrato dal caso di Ali Larijani solo pochi giorni fa.
Quello che con ogni probabilità  può essere considerato come definitivamente cessato è l’impegno dell’Iran in seno all’accordo sul nucleare, e in questa direzione Teheran potrebbe annunciare a breve una nuova accelerazione nel processo di arricchimento dell’uranio e, più in generale, di impegno nel ripristino a pieno regime del programma stesso.
Non meno importanti saranno le conseguenze sul piano regionale, a partire dall’Iraq, dove il generale Soleimani è stato ucciso insieme ad Abu Mahdi al-Muhandes, vice comandante delle milizie di al-Hash al Shaabi, direttamente subordinate all’ufficio del primo ministro iracheno. L’operazione militare condotta dagli americani rappresenta una violazione degli accordi che regolano la presenza delle forze statunitensi in Iraq e le autorità  locali dovranno prendere una posizione sulla delicata faccenda, a fronte del rischio di esasperare i sentimenti popolari. Questo potrebbe provocare la prima seria difficoltà  per gli Stati Uniti nella regione, pregiudicando non solo la possibilità  di un rafforzamento del proprio dispositivo militare locale, quanto piuttosto metterlo proprio in discussione sul piano normativo locale.
La ricerca di un’escalation da parte dell’Iran potrebbe in subordine non essere indirizzata direttamente contro gli Stati Uniti, tornando come in passato a colpire gli alleati di Washington nella regione, da Israele alle monarchie del Golfo Persico. Ogni passo di Teheran in direzione di una ripresa del programma nucleare sarà  considerata da Israele come il superamento di quella linea rossa che ha sino ad oggi impedito un diretto intervento militare, che l’Iran potrebbe cercare di provocare nell’ottica di una più generale escalation regionale, presumibilmente ingestibile una volta innescata.
Parimenti, la strategia di Teheran potrebbe invece concentrarsi sullo sviluppo di una conflittualità  del tutto asimmetrica, optando per un ruolo indiretto attraverso l’azione di proxy storici o di nuova generazione, eludendo il profilo di una responsabilità  diretta e costringendo i suoi avversari ad intraprendere mosse politicamente impegnative e rischiose.
Una rosa di opportunità  ampia, quindi, quella connessa ai possibili scenari regionali all’indomani della morte del generale Qassem Soleimani, ma nessuno di questi sembra presentare alcun vantaggio diretto nè per gli Stati Uniti nè tantomeno per l’Europa.

Nicola Pedde
Direttore Institute of Global Studies
(da “Huffingtonpost”)

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DALL’IRAQ AL LIBANO: DOPO L’UCCISIONE DI SOLEIMANI ORA A RISCHIARE SONO I MILITARI ITALIANI

Gennaio 4th, 2020 Riccardo Fucile

926 NOSTRI MILITARI A RISCHIO IN IRAQ GRAZIE ALL’ATTO TERRORISTICO USA: INNALZATO AL MASSIMO IL LIVELLO DELLE MISURE DI SICUREZZA

L’attacco Usa contro Qasem Soleimani e gli altri comandanti delle milizie sciite in Iraq scatena un’escalation di tensione che coinvolge in parte anche i contingenti militari italiani.
La Difesa ha innalzato al massimo il livello delle misure di sicurezza nelle basi. I rapporti fra il nostro Paese e la Repubblica islamica sono sempre stati abbastanza cordiali, e in un momento come questo la tradizionale disponibilità  italiana a fare da “ponte” fra culture diverse e i mai scomparsi collegamenti commerciali appaiono un elemento di rassicurazione. Ma la possibilità  che i militari delle nostre Forze armate siano considerati “occidentali” tout court o scambiati per americani, diventando oggetto di rappresaglia, resta concreta.
L’Iraq
L’Italia ha un contingente di carabinieri a Bagdad, con il compito di addestrare la polizia irachena: i militari godono dell’apprezzamento locale e operano in ambienti protetti, con una politica di basso profilo. Un peggioramento grave della situazione potrebbe suggerire un loro rientro anticipato. Diversa è la situazione per il contingente di truppe speciali, schierato fra la capitale e il nord, con una base a Kirkuk. Le condizioni operative della cosiddetta Task Force 44 potrebbero diventare più rischiose dopo l’attacco Usa, per la presenza diffusa in tutto l’Iraq delle milizie sciite, a partire dalle Hashd el Shaabi che Bagdad ha integrato almeno in parte nelle sue Forze Armate. Meno preoccupazioni suscita la presenza degli addestratori a Erbil, nel Kurdistan, e del contingente aeronautico in Kuwait. In tutto sono presenti in Iraq 926 militari italiani, più altri 14 inclusi in missioni europee e Nato.
Libano
L’Italia ha il comando e un ruolo fondamentale nella missione internazionale Unifil, che prevede l’interposizione fra le truppe di Israele e gli sciiti libanesi di Hezbollah sulla “linea blu”. Il mandato Onu impone ai militari di intervenire solo se richiesti dalle Forze armate libanesi, il che ha spesso suscitato polemiche ma in questo momento è elemento di garanzia. Il “partito di Dio”, che minaccia pesanti rappresaglie anti-americane, ha sempre espresso gratitudine e vicinanza con l’Italia. Ma la possibilità  di un riaccendersi degli scontri fra Israele ed Hezbollah è concreta. In Unifil sono inquadrati 1.250 militari italiani, altri 140 possono essere presenti nell’ambito della missione bilaterale di addestramento Mibil.
Afghanistan
L’Italia ha la responsabilità  del quadrante Ovest, proprio al confine con l’Iran. Il contingente schierato a Herat ha sempre potuto godere di buoni rapporti con le comunità  locali, in grande maggioranza sciite e collegate con la Repubblica islamica. La missione Resolute Support (che ha sostituito l’Isaf al suo esaurimento) prevede assistenza e addestramento, non interventi militari diretti: l’esposizione al rischio è da considerare ridotta. La Rs accoglie un massimo di 800 militari italiani, con base a Herat e un piccolo contingente nel quartier generale di Kabul.
Emirati
Nella base Al Minhad di Dubai opera un reparto dell’Aeronautica che assiste gli assetti aerei nazionali e alleati, con circa 106 militari. Il lavoro si svolge esclusivamente all’interno della base aerea, e non sembra presentare rischi eccessivi.

(da “La Repubblica“)

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