Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile
“SIAMO STATI ABBANDONATI DI FRONTE ALLA CRISI”
Nelle residenze per anziani lombarde l’onda lunga dell’emergenza continua a uccidere. Si muore per gli effetti del Covid 19 o per altre patologie, che abbattono poco alla volta le persone più fragili.
E questo nonostante l’impegno del personale sanitario. Molti medici adesso però cominciano ad alzare la voce, sostenendo di essere stati abbandonati di fronte alla crisi: soli a lottare per la vita degli ospiti.
Mentre il governatore Attilio Fontana insiste nel ribadire “rifarei tutte le scelte che ho dovuto fare”, dottori e infermieri contestano soprattutto una delle misure varate dalla Regione.
Si tratta delle indicazioni trasmesse con la deliberazione dello scorso 30 marzo. Che sostanzialmente vietava di trasferire dalle Rsa i pazienti con più di 75 anni.
Ecco le direttive della Lombardia, votate all’unanimità dalla giunta presieduta da Fontana: “Età avanzata (>75 anni) e presenza di situazione di precedente fragilità nonchè presenza di più comorbilità , è opportuno che le cure vengano prestate presso la stessa struttura per evitare ulteriori rischi di peggioramento dovuti al trasporto e all’attesa in Pronto Soccorso”.
Una decisione che scaricava tutta la responsabilità sul personale delle case di cura. “Non solo ci dicono che è “opportuno” non mandare i nostri pazienti in ospedale (eticamente discutibile) ma addirittura ci suggeriscono ovvietà come quella di somministrare ossigenoterapia in caso di bassa saturazione e ci allegano le procedure per la sedazione terminale? Come se le procedure per la sedazione palliativa non le conoscessimo già …”.
La protesta è stata firmata due giorni fa da “un gruppo di medici, quasi tutti geriatri, che hanno scelto di dedicarsi alla cura delle persone anziane più fragili e malate”. Lavorano nella Fondazione Castellini di Melegnano, proprio al confine con Milano, dove prima dell’epidemia erano ospitati 365 anziani.
Il 15 aprile si contavano già 45 decessi, molto più del dieci per cento dei ricoverati, e 119 casi con sintomi di coronavirus.
“Sentiamo il bisogno di far sapere quanto ci sentiamo feriti dal martellamento mediatico sulle Rsa, come se fossero luoghi dove gli anziani vengono lasciati morire senza cure. Nulla è più lontano dalla realtà “, hanno scritto, formulando un j’accuse durissimo: “Dov’erano le istituzioni quando sono scoppiati focolai nei nostri reparti e siamo stati lasciati soli a gestire la “nostra” emergenza? La Fondazione Castellini non ha mai fatto mistero dei contagi all’interno, e già da tempo sta pubblicando sul sito il bollettino della situazione. Dov’erano le istituzioni quando i nostri colleghi si sono ammalati, prestando servizio ai nostri pazienti?”.
Se alle residenze per anziani è stato detto di non trasferire i pazienti negli ospedali – e diverse testimonianze sostengono che le richieste di intervento per gli over 75 alle centrali delle ambulanze venissero respinte – allo stesso tempo la procura indaga sul movimento in senso inverso: gli spostamenti di malati – di Covid 19 o altre diagnosi – dai nosocomi agli ospizi.
Spostamenti avvenuti sulla base della delibera regionale dell’8 marzo o di precedenti accordi, dettati dall’esigenza di liberare le corsie e che ora si sospetta possano avere moltiplicato i contagi tra le persone più fragili.
Indagini a parte, ancora oggi nelle Rsa si sta combattendo una lotta per la vita. Perchè anche chi supera la fase critica del contagio deve superare danni gravi, fisici e psicologici.
“Non ci sono solo la febbre o l’insufficienza respiratoria – scrivono i medici della Fondazione Castellini – , che certamente gestiamo con i farmaci e con l’ossigenoterapia. Quando passa la fase acuta, restano la debolezza e l’inappetenza… altrettanto pericolose per un organismo anziano e malato. Perchè non vengono a vedere come ci inventiamo strategie per far mangiare i nostri pazienti? Perchè non vengono a vedere come vengono imboccati e stimolati? Abbiamo acquistato i gelati, un alimento completo, fresco e dolce, come aggiunta al pasto o come sostituto per chi proprio non accetta altro. Non sappiamo più come coccolarli, i nostri anziani”.
E’ una situazione che richiede risposte urgenti. Prima di parlare della ripartenza, ci sono ancora tante persone da salvare.
E prima di cassare le critiche e autoassolversi, la giunta lombarda deve ridefinire i criteri dell’assistenza sanitaria. Perchè sappiamo tutti che dovremo convivere per mesi e mesi con il virus. Ed è non bisogna nascondere gli errori, ma farne tesoro.
Come dicono i medici di Melegnano: “In questo momento, faticosissimo anche per noi, ci sentiamo isolati e dimenticati. Ma non perdiamo il nostro spirito, combattiamo ogni giorno. Qualche battaglia l’abbiamo persa, ma intendiamo vincere la guerra”. Impariamo da loro.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI ALTRI MALATI NON UFFICIALMENTE POSITIVI PERCHE’ NESSUNO AVEVA FATTO LORO IL TAMPONE PRIMA DEL TRASFERIMENTO
Non solo pazienti ufficialmente Covid trasferiti dagli ospedali sulla base delle delibera regionale dell’8
marzo.
Nelle Rsa, dopo lo scoppio dell’epidemia, sarebbero stati accolti anche malati, non positivi perchè senza tamponi effettuati ma affetti anche da polmoniti, sulla base di “convezioni” già in atto da tempo sulle degenze nelle case di riposo di anziani provenienti da strutture sanitarie.
E’ uno dei fronti, da quanto si è appreso, su cui stanno lavorando investigatori e inquirenti milanesi nelle indagini sui contagi nelle residenze assistenziali.
In sostanza, nelle indagini che vedono al centro una ventina di Rsa, tra cui anche il Pio Albergo Trivulzio e il Palazzolo-Don Gnocchi di Milano, si stanno verificando, da un lato, gli “ingressi” di pazienti Covid arrivati nelle residenze sulla base dell’ormai nota delibera.
Si deve accertare se siano state prese misure adeguate per isolarli dagli ospiti e se questi spostamenti possano aver favorito la diffusione del virus. Il Pat, su indicazione della Regione Lombardia, ha fatto da centro organizzativo di smistamento di questi malati.
Dall’altro lato, però, nelle indagini condotte dalla Gdf e coordinate dal pool guidato dall’aggiunto Tiziana Siciliano, si stanno analizzando anche i trasferimenti di pazienti ‘normali’ nelle residenze sulla base di convenzioni delle strutture con la Regione già in atto da tempo.
Da verificare quanti e quali trasferimenti sarebbero avvenuti anche dopo lo scoppio dell’epidemia, anche perchè nelle strutture potrebbero essere stati portati malati con polmoniti interstiziali, non ufficialmente Covid perchè non erano stati fatti i tamponi. Nei decreti delle perquisizioni dei giorni scorsi, infatti, la Procura nel lungo elenco dei documenti da acquisire ha indicato anche quelli sulle convenzioni “con Regione Lombardia” e su numeri e dati dei “pazienti ricevuti da altre strutture sanitarie” in un periodo che va da gennaio in avanti.
Ad esempio, nel reparto ‘Pringe’, pronto intervento geriatrico, del Trivulzio (che sulla carta non accolse pazienti Covid) sarebbero stati ricoverati da gennaio in avanti diversi pazienti con polmoniti.
Gli investigatori nelle perquisizioni hanno sequestrato centinaia e centinaia di cartelle cliniche di morti, malati, positivi e “nuovi ingressi”, ossia pazienti arrivati dagli ospedali.
Documenti che, come altri, andranno analizzati con un lavoro lungo, mentre continuerà la raccolta di denunce, in aumento costante, e di testimonianze di lavoratori e familiari di anziani.
E’ andata avanti per circa 19 ore, fino a stamani all’alba, l’attività di perquisizione iniziata ieri dalla polizia giudiziaria del dipartimento ‘salute, sicurezza, lavoro’ della Procura milanese all’istituto Palazzolo-Don Gnocchi nell’inchiesta su contagi e morti per Covid-19 nella Rsa dall’inizio dell’epidemia.
Nelle quattro sedi della casa di riposo, le squadre di pg guidate da Maurizio Ghezzi hanno acquisito una grande mole di documenti che dovrà essere analizzata e vagliata per verificare se vi siano state irregolarità nella gestione dell’epidemia e se siano state rispettate le normative per la tutela della salute dei lavoratori.
Tra i documenti acquisiti ieri ci sono le cartelle cliniche dei pazienti positivi al Covid e quelle degli anziani deceduti, gli statuti e i regolamenti di Regione Lombardia, le disposizioni dell’Ats (ex Asl) in merito all’emergenza.
E nel periodo che va da febbraio (mese della scoperta del primo positivo a Codogno, nel lodigiano) in poi, anche i dati relativi al numero di lavoratori in malattia, dei pazienti trasferiti dagli ospedali e da altre strutture sanitarie, la collocazione degli ospiti, l’elenco (e i rispettivi esiti) dei tamponi effettuati per positività al Coronavirus sia sugli ospiti che sul personale.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile
E PERCHE’ GERMANIA E OLANDA POTREBBERO DIGERIRLI
In vista del Consiglio europeo del 23 aprile, si sta ragionando sull’introduzione di un cosiddetto Recovery fund dalla potenza di 1.000-1.500 miliardi di euro che potrebbe aiutare i paesi in maggiore difficoltà , tipo l’Italia e la Spagna, a far fronte all’emergenza dettata dalla pandemia del Covid-19 da coronavirus.
Ma cosa avrebbe questo Recovery fund, con annessi Recovery bond, di diverso dagli Eurobond, visti come fumo negli occhi dai paesi del nord dell’area dell’euro, a partire dalla Germania di Angela Merkel e dall’Olanda di Mark Rutte?
E perchè mai Merkel e Rutte dovrebbero accettare i Recovery bond?
Al centro della questione c’è la mole di debito dei paesi del sud Europa, a cominciare da quello italiano che nel 2019 ha superato i 2.400 miliardi di euro.
In pratica, con gli Eurobond, di cui si parla ormai da anni, grosso modo dalla crisi dello spread di inizio anni Dieci, si dovrebbe assistere a una mutualizzazione dei debiti esistenti degli Stati membri dell’Eurozona.
In altri termini, un soggetto o ente sovranazionale, emettendo titoli di debito comuni, gli Eurobond appunto, raccoglierebbe dei fondi tra i paesi dell’area dell’euro.
Dopodichè, in una delle interpretazioni più comuni degli Eurobond (non c’è uno schema univoco, non essendo mai nati), impiegherebbe queste risorse per comprare titoli di debito di un singolo paese, per esempio Btp nel caso dell’Italia.
Così, un eventuale default di uno Stato membro andrebbe a gravare sulle spalle di tutti gli altri.
Al contrario, il Recovery fund, presumibilmente inizialmente alimentato da un minimo di risorse di tutti gli Stati membri, si baserebbe sull’emissione di nuovi titoli di debito, i Recovery bond appunto, la cui raccolta sarebbe poi girata attraverso trasferimenti ai paesi in difficoltà .
In altri termini, l’idea alla base di questo strumento è che gli Stati meno indebitati non siano costretti a farsi carico anche del debito pregresso, più consistente, dei paesi del sud. Secondo la proposta spagnola, poi, questi titoli comuni da emettere dovrebbero essere perpetui, ossia senza scadenza, non contemplando il rimborso del capitale ma soltanto il pagamento dell’interesse.
È probabile che quando il premier italiano, Giuseppe Conte, parla di Eurobond si riferisca ai Recovery bond piuttosto che agli Eurobond rigidamente intesi. E questo perchè Conte afferma che “ciascun paese risponde per il proprio debito pubblico e continuerà a risponderne. Pagheremo il debito, come abbiamo sempre fatto”.
Non a caso Conte, nell’informativa al Senato del 21 aprile, ha spiegato: “Bisogna costruire un Economic Recovery fund per contrastare la crisi”.
Una misura, ha aggiunto il presidente del Consiglio, che “dovrà essere conforme ai trattati perchè non abbiamo tempo per modificarli. Va gestito a livello europeo senza carattere bilaterale, deve essere ben più consistente degli strumenti attuali, mirato a far fronte a tutte le conseguenze economiche e sociali e immediatamente disponibile”.
Anche i coronabond o coronavirus bond di cui spesso si sente parlare in questi tempi sembrano più simili al concetto di Recovery bond che a quello di Eurobond rigidamente intesi, in quanto per lo più legati a colmare le necessità sorte dalla diffusione della pandemia.
“Con la creazione del Recovery fund — sintetizzano sulla Voce.info Piergiorgio Carapella e Alessandro Fontana — l’Eurogruppo ha manifestato l’intenzione di voler affidare l’azione a un meccanismo comunitario finanziato con risorse europee, a partire da quelle del Quadro finanziario pluriennale. Per il momento, non sono state definite nè le modalità di finanziamento nè il suo ammontare. Se decollasse un fondo con risorse consistenti, aggiuntive rispetto a quelle comunitarie già esistenti, finanziato con titoli di debito europei garantiti dal bilancio Ue (senza o con una minima incidenza sui debiti pubblici nazionali) e che operasse mediante trasferimenti (non prestiti), si potrebbe avere a disposizione uno strumento assimilabile a quelli di paesi federali, come gli Usa, e sarebbe un grande passo avanti verso una politica di bilancio comune”.
Certo, resta il dubbio dell’incidenza sui debiti pubblici nazionali, che per l’appunto Carapella e Fontana definiscono “minima”.
“Il Recovery fund — si legge in un commento all’articolo della Voce.info — incide sul debito dei 27 paesi partecipanti perchè saranno loro a dotarlo di un capitale iniziale o direttamente (da modello Mef 19) o attraverso il bilancio Ue 27 da aumentare sensibilmente”.
Ma un conto è incidere in parte sui bilanci nazionali, tutt’altra storia è che il debito pregresso di un paese gravi sulle spalle di tutti come accadrebbe con gli Eurobond.
L’emissione di titoli comuni dell’area dell’euro implicherebbe per paesi come la Germania un rendimento superiore rispetto a quello garantito sui Bund e per l’Italia un rendimento inferiore rispetto a quello dei Btp.
In altri termini, per la Germania si alzerebbe il costo del debito e per l’Italia si abbasserebbe.
Ma per i paesi dell’area del nord dovrebbe essere un boccone più facile da mandare giù rispetto a una vera e propria mutualizzazione del debito.
Inoltre, la politica di spesa e di investimento del Recovery fund sarebbe decisa dai paesi dell’area dell’euro o dai singoli stati sulla base di criteri comuni, e, una volta trasferite le risorse, si assisterà comunque una sorta di monitoraggio sull’impiego dei fondi stessi.
In altri termini, non si tratterà di un pasto gratis, anche perchè, come sosteneva il premio Nobel Milton Friedman, in finanza ed economia non ne esistono.
“I Recovery fund — spiega a Business Insider Mirco Tonin, docente di politica economica alla Libera università di Bolzano — non entrerebbero nel mare magnum del debito pubblico italiano e dovrebbero essere fondi vincolati ad affrontare l’attuale emergenza legata alla pandemia, non soltanto sanitaria ma anche economica”.
A riguardo va ricordato che il Mes a condizioni leggere cui ha dato via libera l’ultimo Eurogruppo vincola l’utilizzo delle risorse alla spesa sanitaria diretta e indiretta, non all’emergenza economica.
“I Recovery bond — aggiunge Tonin — potrebbero così rappresentare un passo intermedio, meno evidente e più semplice da fare accettare a tutti, in direzione degli Eurobond, che potrebbero invece essere un progetto di più lungo termine”.
(da “Business Insider”)
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Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile
LE RIVELAZIONI DEL “FATTO”: I GIOCHI ERANO CONCORDATI DA TEMPO, DESCALZI RICEVUTO PURE DA FRACCARO
Davide Casaleggio ha incontrato Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni, considerato dai
Cinque Stelle una sorta di impresentabile, finchè (quasi) all’unisono non s’è deciso di rinnovargli il mandato alla guida della multinazionale del petrolio, il terzo in carriera.
Lo racconta oggi Carlo Tecce sul Fatto Quotidiano:
Il contatto di febbraio non era il primo, tra Descalzi e Casaleggio, riferiscono qualificate fonti, c’è un rapporto che dura almeno da un paio di anni, dalla vigilia del voto del 4 marzo 2018 alla vigilia delle nomine di Stato, e ha attraversato la formazione del governo gialloverde e poi del successivo giallorosa. Eni sostiene di non aver rintracciato altri appuntamenti in agenda, Casaleggio non commenta nè il più recente nè il resto. Il colloquio di febbraio precede la visita di Descalzi, avvenuta a metà del mese negli uffici di Palazzo Chigi, al sottosegretario Riccardo Fraccaro, uomo di fiducia di Luigi Di Maio e assoluto protagonista della tornata di nomine di Stato. Chigi concede una cornice istituzionale che Casaleggio non può rivendicare.
Il sottosegretario Fraccaro, in quella precisa circostanza, in qualche modo ha persuaso Descalzi della bontà delle scelte dei Cinque Stelle. Coloro che lo volevano sulla forca non rappresentavano più un pericolo. I duri e puri del Movimento, in rivolta contro Descalzi, capitanati da Alessandro Di Battista, hanno protestato con estremo ritardo. Quando hanno iniziato a farsi sentire, cinque giorni fa, era già tutto stabilito e consumato. Inclusa la pantomima.
I Cinque Stelle non hanno avanzato mai agli alleati di governo una proposta alternativa a Descalzi nè l’argomento è stato sollevato mai nelle feroci riunioni per spartirsi ogni singola poltrona di ogni singolo cda.
Fraccaro ha apposto un sigillo, a partita finita, con la copertura interna di Di Maio, del reggente Vito Crimi e della lunga filiera di pentastellati, per esempio il viceministro Stefano Buffagni,che al governo hastretto legami con l’Eni. Come è accaduto a Casaleggio.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile
RIPARTENZE GIA’ DAL 27 APRILE PER LE AZIENDE IN REGOLA CON I PROTOCOLLI DI SICUREZZA… RESTA IL PROBLEMA DEI TRASPORTI PUBBLICI
“Il prossimo step mobiliterà tra i 2,7 e i 2,8 milioni di italiani”. È la decisione presa in queste ore dal governo, impegnato in videoconferenza con la task force guidata da Vittorio Colao.
Sono lavoratori che si aggiungono a quelli che stanno lavorando durante il lockdown nelle fliere e nelle attività considerate essenziali per affrontare l’emergenza.
La cifra di chi ritorna al lavoro in realtà è molto più ampia perchè altri continueranno a svolgere smart working, con gli over 65 e altre fasce di lavoratori più in difficoltà che che resteranno protetti.
Nel corso del confronto la task force ha espresso l’opportunità di far ripartire già dal 27 aprile quelle aziende in grado di rispettare i protocolli di sicurezza nella considerazione che ogni settimana persa pesa in termini di miliardi e punti di Pil.
Il manager ha presentato al presidente del Consiglio un documento (cinque pagine corredato di slide) che mette in evidenza i requisiti necessari alla ripartenza del Paese.
Tra i primi, la necessità immediata di un protocollo per i mezzi pubblici, considerato che il 15 per cento dei lavoratori di manifattura e costruzioni li usano per andare al lavoro.
C’è poi la necessità di aggiornare il protocollo di sicurezza firmato con i sindacati il 14 marzo. E c’è sopratutto la necessità di avere a disposizione i dispositivi di protezione individuale, che in questo momento valgono ben più di una app.
Il commissario Domenico Arcuri ha comunicato che attualmente vengono consegnate 4 milioni di mascherine al giorno. Ne servono però 7 milioni.
“Chi ha tutto può partire subito, già dal 27 aprile”, è questa la proposta di Colao. Ma nella discussione tra i ministri si sta cercando di definire cosa significhi tutto: spazi, mascherine, turni adeguati al distanziamento, trasporti che evitano l’affollamento.
La discussione si è poi incagliata sul prezzo delle mascherine: deve essere calmierato? Serve un prezzo politico? Alcuni ministri ritengono sia necessario, ma questa sarebbe un’ulteriore complicazione
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile
IL GRIDO DISPERATO: “LA STRUTTURA E’ DIVENTATA UN LAZZARETTO, VOGLIAMO LA VERITA'”
Sono almeno 20 gli ospiti deceduti nelle ultime settimane (il 15-20 per cento dei 100 degenti totali)
nella RSA Luigi Accorsi di Legnano, in provincia di Milano.
Una Trivulzio in miniatura. Un esempio di malagestione in tempo di Coronavirus di una casa di riposo per anziani, documentata attraverso le testimonianze di famigliari di ospiti ammalati e deceduti con il Covid-19
“Abbiamo iniziato ad avere sospetti quando ci hanno tolto le video-chiamate, cosa avevano da nascondere?”, raccontano i parenti degli ospiti della RSA a TPI.
Oltre alle difficoltà di comunicazione con la struttura riscontrate nell’ultimo periodo di emergenza sanitaria, i parenti denunciano a TPI “la presenza da circa due settimane di un focolaio epidemico che riguarda almeno 30 pazienti”.
Il contagio coinvolgerebbe ormai ospiti di tutti e tre i reparti della casa di riposo. “Anche il personale è stato contagiato — spiegano dal comitato per le vittime della RSA Accorsi — Per ammissione stessa degli operatori sarebbe sotto organico”. Situazione che porta i familiari a chiedere che cosa stiano facendo i gestori della struttura, l’amministrazione della Accorsi e le autorità sanitarie per ristabilire gli standard assistenziali.
La cooperativa sociale caregiver KCS, con sede operativa ad Agrate Brianza (MB), risulta la prima società italiana per fatturato, dimensioni e diffusione (è presente in 13 regioni e 43 province) nella gestione di strutture specializzate per la terza e quarta età . Noi di TPI li abbiamo contattati più volte, ma senza ricevere risposta.
A quanto pare, i direttori medici non sono mai in struttura o sono irrintracciabili. O almeno non hanno mai voluto parlare con noi. Il giovane receptionist che risponde al telefono dice solo: “Mi dispiace, siamo pochissimi. Anche la caposala è ammalata. E il medico che c’è ora è troppo impegnato a lavorare”.
È la conferma che il personale medico è sotto organico. Ma un dubbio sorge spontaneo: un solo medico basta davvero per i 100 pazienti ricoverati?
L’avvocato di Legnano, Franco Brumana, è diventato un portavoce dei famigliari delle vittime della Rsa Accorsi e ha spiegato a TPI che “i parenti dei ricoverati sono angosciati e in agitazione. La cooperativa KCS che gestisce la struttura si rifiuta di dare ogni informazione e dichiara di aver comunicato i dati sul Coronavirus all’ATS, che a sua volta non dà notizie. Il personale non fa trapelare alcunchè”.
Poi un’accusa ancora più grave: “Sembra che un paziente sia stato ripreso nel ricovero dopo la sua dimissione dall’ospedale. Questi fatti però non sono certi per la censura imposta dalla cooperativa. Tutti i famigliari hanno telefonato al loro parente ricoverato, senza ottenere risposta. La cooperativa ha comunque dichiarato che darà notizia ai parenti di eventuali decessi. Immaginate che cosa stia provando chi ha un genitore ricoverato. Il comportamento della cooperativa è intollerabile ed è necessario che chi di dovere intervenga immediatamente”.
Il caso della RSA Accorsi giovedì 16 aprile arriva in Procura, dopo che i parenti di quattro ospiti ricoverati nella struttura sanitaria legnanese hanno depositato un esposto alla Procura della Repubblica di Busto Arsizio.
Attraverso l’esposto viene contestata la mancata comunicazione degli almeno 20 ospiti deceduti nelle ultime settimane. La RSA Accorsi si è trasformata in un vero e proprio lazzaretto e i parenti vogliono la verità .
(da TPI)
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Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile
“NESSUNO CI FORNISCE PROTEZIONI”
La “Azienda di Servizi alla Persona Golgi-Redaelli” è un ente di diritto pubblico con sede legale a Milano e sedi operative a Milano, Vimodrone e Abbiategrasso, dove gestisce strutture per anziani.
Nella serata di martedì 21 aprile si è tenuta in teleconferenza la prima assemblea del personale dall’inizio dell’emergenza-Coronavirus, organizzata virtualmente dall’Usb (Unione Sindacale di Base) di Milano.
Vi hanno partecipato oltre 170 lavoratori, ma anche parenti degli anziani ricoverati o deceduti. “L’adesione è stata alta considerando che si è trattato di una diretta via streaming”, spiega a TPI il dipendente e rappresentante dell’Ubs Pietro Cusimano.
“L’obiettivo era rispondere alle molte domande dei colleghi e fornire dei dati chiari che finora non erano stati dati”, continua Cusimano, contattato dal Comitato dei parenti del Golgi, che ha quindi partecipato al video raduno.
“I parenti dei pazienti sono convinti che la gravità della situazione attuale sia soprattutto legata al personale: troppo poco, precario ed esterno (in quanto fornito dalle agenzie). Sono infatti oltre 400, su 950 persone addette all’assistenza, tra dipendenti aziendali e lavoratori di società o cooperative esterne, coloro che sono in malattia. Con evidenti problemi nella gestione dei pazienti, che sono centinaia”.
Forte da parte dei lavoratori è la rabbia per la mancanza di tamponi, tutt’oggi non effettuati su larga scala nè a ospiti nè a operatori.
Complessivamente i decessi nelle tre strutture al giorno 17 aprile risultavano già 177 e di questi 69 erano positivi al Covid e 23 sospetti.
Un dato calcolato sicuramente per difetto, visto il bassissimo numero di tamponi effettuato sui pazienti, in particolare a Vimodrone dove al giorno 10 aprile ne risultavano effettuati solo 100 (50 una settimana fa) su un totale aziendale di 522.
Un numero bassissimo se si considera che la struttura di Vimodrone ha circa 500 posti letto, quella di Milano quasi 600 e quella di Abbiategrasso poco più di 300.
E’ proprio la mancata sorveglianza sanitaria sui dipendenti che ha portato a superare i 400 lavoratori assenti per malattia (“Sono a casa per Covid o per giustificata paura?”, si chiede il sindacalista dell’Ubs). Ma altrettanto grave è la situazione dei lavoratori delle ditte in appalto “per i quali le procedure risultano estremamente fumose e ci vengono segnalati rientri in servizio dopo malattie con sintomi influenzali in assenza di controllo con tampone naso-faringeo”.
Tamponi che peraltro continuano a mancare: “Nessuno li sta fornendo alle RSA, nonostante qui ci siano le persone più vulnerabili al Coronavirus”.
“Ad oggi non sappiamo quanti siano i positivi, perchè finchè non ci sarà una politica dei tamponi seria, non lo sapremo mai”.
Nonostante le insistenze dei sindacati, che dal 18 marzo hanno scritto molte volte all’azienda, alle Ats, agli assessori regionali ed anche al prefetto al prefetto e al sindaco di Milano di Milano, per chiedere i dispositivi sanitari per proteggere lavoratori e degenti, tutt’oggi spicca “l’assenza di protocolli chiari a tutela della salute di tutti, operatori e degenti, delle tre strutture assistenziali”.
Tra coloro che continuano a operare al Golgi-Redaelli la richiesta più insistente resta quindi quella di poter avere dispositivi di protezione individuale, che “è stata la causa del propagarsi così velocemente del contagio”.
Per Cusimano a configurarsi come un problema di oggi, ma anche di domani, e non solo per le RSA gestite dal Golgi-Redaelli, è proprio lo scarso numero di tamponi che si stanno facendo e che, precisa, “se è messo in combinazione con il numero dei decessi degli ospiti nelle RSA lombarde, rende l’idea di come hanno funzionato le RSA in Lombardia, al di là degli errori che l’azienda ha fatto fin dall’inizio”.
Un dato colpisce in particolare: l’indice di ospedalizzazione di pazienti delle RSA lombarde è stato bassissimo; in questi due mesi, solo 2,2 pazienti per struttura sono stati ricoverati in ospedale. “Se è pur vero che gli ospedali erano stracolmi, gli anziani delle RSA sono stati lasciati senza ossigeno e senza cure adeguate”.
A parlare sono oggi “i numeri forniti dell’Istituto Superiore della Sanità , che indica in oltre 3045 i morti nel 40% delle strutture RSA lombarde interpellate”.
“Se a rispondere è stato il 42% del totale delle RSA interpellate, il dato dei 3045 decessi è molto parziale, potrebbero essere fino a 7.000 se avessero risposto tutti in Lombardia, che rispetto al Veneto o all’Emilia Romagna ha il quadruplo dei decessi”. “Si è partiti in ritardo con l’attivazione dei tamponi, che oggi non ci sono più nemmeno sul mercato, e pure le Ats hanno annunciato che non li daranno alle RSA, il sistema, nonostante migliaia di morti, è allo sbando”.
(da TPI)
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Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile
IL GOVERNO NON C’ENTRA UNA MAZZA… LA DURA NOTA DEL SUO LEGALE CHE RICORDA LE NORME VIGENTI DA TEMPO SUL DIFFERIMENTO PENA IN CASO DI GRAVE MALATTIA
«Con la scusa del Virus il governo sta facendo uscire i mafiosi di galera. Aiutaci a fermarli, FAI
GIRARE questa vergogna!»: dopo essersi laureato l’altroieri in virologia all’Università della Strada, tra ieri e oggi Matteo Salvini si è concentrato sul caso di Francesco Bonura, 78 anni, considerato uno dei boss più influenti, e Vincenzino Iannazzo, 65 anni, ritenuto esponente della ‘ndrangheta, che sono usciti dal carcere in considerazione del loro stato di salute.
Bonura, condannato definitivamente per associazione mafiosa a 23 anni, si trovava al 41bis.
Quella di Salvini è una bufala perchè non è stato il governo a scarcerare Bonura. L’avvocato Giovanni Di Benedetto, legale del boss, ha spiegato in una nota la decisione del tribunale di sorveglianza di Milano: “Ho letto e sentito sulla vicenda Bonura affermazioni improprie e strumentali che obliterano il caso concreto — dice l’avvocato Di Benedetto -. A fronte di una condanna pari a 18 anni e 8 mesi a Bonura restano da scontare, considerati i maturandi giorni di liberazione anticipata, meno di 9 mesi di carcere. Nel contesto della lunga carcerazione il Bonura ha subito un cancro al colon, è stato operato in urgenza e sottoposto a cicli di chemioterapia; di recente i marker tumorali avevano registrato una allarmante impennata. Se a tutto ciò si aggiunge, come si deve, l’età (Bonura ha 78 anni) ed i rischi a cui lo stesso, vieppiù a Milano, era esposto per il Coronavirus risulta palese la sussistenza di tutti i presupposti per la concessione del differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare in ossequio ai noti principi, di sponda anche comunitaria, sull’umanità che deve sottostare ad ogni trattamento carcerario”.
“Del tutto errato è il riferimento al recente decreto ‘Cura Italia’ — conclude il legale — che non si applica al caso di specie e che non ha nulla a che vedere con il differimento pena disposto per comprovate ragioni di salute e sulla base della previgente normativa. Ogni vicenda va affrontata nel suo particolare altrimenti si rischia di scadere in perniciose e inopportune generalizzazioni che alterano la realtà ”.
Va segnalato che quello accordato dal magistrato di sorveglianza di Milano, Gloria Gambitta, è tecnicamente un differimento della detenzione da scontare in cella, che però Bonura, detenuto ininterrottamente dal 20 giugno 2006, stava già finendo di espiare: il suo “fine pena” è fissato infatti per ora al marzo 2021, ma con le ulteriori riduzioni legate alla buona condotta ci sarà un’anticipazione al dicembre di quest’anno.
Bonura, pur essendo un mafioso di rango, a differenza di tanti altri boss ultrasettantenni come lui, non ha condanne all’ergastolo e per questo l’istanza degli avvocati Giovanni Di Benedetto e Flavio Sinatra è stata accolta, “tenuto conto — scrive il magistrato di sorveglianza milanese — dell’emergenza sanitaria e del correlato rischio di contagio, indubbiamente più elevato in un ambiente ad alta densità di popolazione come il carcere”. Per questo un soggetto “anziano e affetto da serie patologie pregresse” è esposto “a conseguenze particolarmente gravi”.
Non dunque un indiscriminato via libera per altre scarcerazioni eccellenti di ergastolani, ma un caso singolo, ritenuto grave e a sè stante.
(da agenzie)
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Aprile 22nd, 2020 Riccardo Fucile
IL COORDINATORE DI NAPOLI DI FORZA ITALIA: “BASTA CON LE SUE OSPITATE A MEDIASET”
Le parole di Vittorio Feltri in tv (“credo che in molti casi i meridionali siano inferiori”) ha scatenato un putiferio a Napoli, dove già nei mesi scorsi molte sortite del giornalista di Libero avevano determinato proteste contro Mediaset.
Denunce, esposti, reazioni politiche di ogni segno e polemiche contro Mediaset che lo ospita quotidianamente in tv. La sortita di Vittorio Feltri contro il meridione ieri a Rete 4 nel programma di Mario Giordano ha scatenato il solito vespaio, ma stavolta, vista la gravità dell’affermazione sull’ inferiorità dei meridionali rispetto al resto d’Italia, l’ex direttore del Giornale di Berlusconi e di Libero, ne risponderà in tribunale
“A chi non ce la fa proprio a non parlare contro Napoli e il Sud” il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, riferendosi chiaramente al giornalista Vittorio Feltri dedica una celebre canzone di Pino Daniele, Je so’ pazzo. Con chiosa finale: “ma in particolare voglio dedicare loro la fine di quella canzone. Con l’orgoglio di sentirmi italiano. ‘Je so’ pazzo, je so’ pazzo. Nun nce scassate ‘o cazzo!”.
Questi i fatti: ieri nella trasmissione televisiva Fuori dal Coro di Mario Giordano in onda sul canale Rete 4 di Mediaset, l’ex direttore del Giornale, oggi direttore editoriale (non responsabile) di Libero, Vittorio Feltri ha dichiarato: «Non credo ai complessi di inferiorità , credo che in molti casi i meridionali siano inferiori». Giordano, il conduttore, si è timidamente dissociato, ma il danno era ormai fatto e si sono scatenate inevitabilmente polemiche social, tant’è che Giordano — a quanto si apprende -starebbe pensando ad una sorta di ‘puntata riparatoria’.
Vittorio Feltri, bergamasco, 76 anni, 4 figli (uno è il noto e brillante editorialista della Stampa Mattia Feltri) nel corso degli ultimi anni è sempre più spesso balzato agli onori della cronaca sia per le sue violente prese di posizione su Twitter contro chiunque, sia per le sue sortite televisive che per i suoi editoriali spesso al limite.
Ieri il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna ha scritto al sindaco partenopeo per scusarsi delle affermazioni del giornalista, iscritto all’Elenco dei professionisti della Lombardia dal 1969. Ricordando il film di Luciano De Crescenzo ‘Cosi’ parlo’ Bellavista’, il vertice dei giornalisti rimanda all’incontro in ascensore fra il professore Gennaro Bellavista ed il dottor Cazzaniga e alla “coesistenza obbligata nel buio e nel silenzio del napoletano e del milanese “che si guardavano con sospetto e che all’improvviso incontrandosi scoprirono reciprocamente un filo umano che li univa molto più resistente degli stereotipi divisivi, facendo scoccare la scintilla dell’amicizia”.
Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania prontamente rilancia: “Ringrazio il presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Alessandro Galimberti, che ha prontamente inviato al Consiglio di disciplina territoriale il mio esposto con il video che contiene le ultime gravissime dichiarazioni di Feltri contro sei milioni di cittadini della Campania. Video inviatomi da diversi colleghi e da alcuni amici che ringrazio. Nel frattempo mi arrivano notizie di numerose petizioni. Inviatele all’Ordine della Lombardia a Milano al presidente Galimberti”.
“Cosa dice di Feltri chi lo candidò al Quirinale?” — se lo chiede il Senatore del PD Gianni Pittella. “Il 28 gennaio del 2015 Matteo Salvini e Giorgia Meloni candidarono Vittorio Feltri al Quirinale come successore del Presidente Giorgio Napolitano. Erano già molti anni che Feltri contrassegnava il suo giornalismo e le sue uscite pubbliche con dichiarazioni vergognosamente razziste e omofobe. In piena pandemia, in queste settimane, Feltri ritorna a qualificare i meridionali come ‘inferiori’. Non è saggio rispondergli nel merito” dice Pittella.
Lo scrittore Maurizio De Giovanni e il Senatore Sandro Ruotolo hanno conferito mandato all’avvocato Francesco Barra Caracciolo di promuovere ogni azione giudiziaria sia in sede civile che penale (con riferimento alla Legge Mancino n. 122/1993 che punisce le manifestazioni di odio anche verbale nei confronti delle persone) a tutela dei diritti fondamentali delle persone della Campania e del Meridione d’Italia gravemente lesi dal giornalista Vittorio Feltri nel corso della trasmissione televisiva di Rete4 del 21 aprile 2020, condotta da Mario Giordano.
Stanislao Lanzotti, capogruppo e coordinatore cittadino di Forza Italia di Napoli, chiede: “Mi aspetto adesso che Mediaset prenda ufficialmente le distanze da certe esecrabili affermazioni, peraltro all’indirizzo di un popolo che più di altri ha pianto i caduti di Bergamo e della Lombardia, predisponendo anche un periodo di stop alle sue ospitate televisive”.
(da Fanpage)
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