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“IL PONTE DI GENOVA NON E’ A NORMA”: EVVIVA IL MODELLO GENOVA CHE PIACE TANTO A CHI NON CAPISCE DOVE PORTA E A CHI HA INTERESSE A DOVE CONDUCE

Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DEL SOLE24ORE: CORRI, CORRI E POI NON RISPETTANO LE REGOLE… ORA SI DOVRA’ IMPORRE IL LIMITE DI VELOCITA A 70 KM/H PERCHE’ NON E’ STATO RISPETTATO IL RAGGIO DELLA CURVA… COMPLIMENTI A TOTI E BUCCI, TUTTI SAPEVANO MA SONO STATI ZITTI

Ci sarà  un limite di 80 chilometri verso Genova e un limite di 70 chilometri verso Savona per il nuovo ponte di Genova. Questo perchè, spiega oggi Il Sole 24 Ore,   il tracciato non è a norma
Gli addetti ai lavori lo sanno già  da quando i monconi del vecchio ponte dovevano essere ancora demoliti (si veda Il Sole 24 Ore del 15 dicembre 2018), ma la fretta di ricostruire e l’esigenza di non alimentare ulteriori contenziosi hanno portato a non correggere l’errore. Il tracciato, essendo frutto di una ricostruzione totale, dovrebbe rispettare le attuali norme geometriche di costruzione delle strade (Dm Infrastrutture 5 novembre 2001).
Che fissano parametri precisi tra la lunghezza dei rettilinei e i raggi delle curve contigue, in modo tale che i primi non siano troppo lunghi e le seconde siano molto dolci.
Un mix studiato per tenere alta l’attenzione dei guidatori e garantire che le curve siano facili da affrontare.
Il nuovo ponte di Genova, visto su una cartina, avrebbe dovuto avere una forma a «S», mentre invece ricalca quasi perfettamente il vecchio tracciato rettilineo raccordato da curve strette, che risaliva al 1967 e quindi non rientrava nel campo di applicazione del Dm del 2011.
La criticità  riguarda a soprattutto la curva dopo il ponte, verso Savona:
Si sarebbe dovuto almeno scavare per un centinaio di metri l’attuale galleria Coronata, per raccordarla meglio. E nella stessa curva vi si voleva installare una fonte di pericolo come il bypass per cambi provvisori di carreggiata.
Le anomalie erano sfuggite nel progetto di Renzo Piano blindato dal contratto col commissario, ma già  a febbraio 2019 erano state “autodenunciate” da Italferr (estensore del progetto esecutivo) al Consiglio superiore dei Lavori pubblici.
A marzo 2019 ne parlò anche da Autostrade per l’Italia (Aspi) in conferenza dei servizi (vi partecipava in quanto comunque concessionaria dell’A10).
Il Consiglio scelse di non prendere posizione per non dare appigli a nuovi contenziosi   da parte di Aspi (si veda Il Sole 24 Oredel 28 marzo 2019); si limitò a prescrivere che l’asfalto fosse ad alta aderenza. Il progetto prevedeva già  limite di 80 km/h e controllo velocità  fisso.

(da “NextQuotidiano“)

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SOLDI LEGA, SI ALLARGA L’INCHIESTA

Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile

OGGI INTERROGATORIO IN CARCERE PER SOSTEGNI… UN IMMOBILE ACQUISTATO PER 400.000 EURO, RIVENDUTO SUBITO PER 800.000 E IL GUADAGNO MOVIMENTATO VERSO ENTI VICINI AL CARROCCIO

Io innesco una serie di situazioni che poi non so dove si va a finire». Sono le parole di Luca Sostegni intercettato al telefono nei giorni scorsi prima del suo tentativo di fuggire in Brasile stoppato dalla Guardia di Finanza.
E mentre Matteo Salvini promette querele a raffica per chi accosta il suo nome a quello del liquidatore della Paloschi SRL al suo, la storia comincia a farsi più complicata e piuttosto seria.
Non soltanto per le parole sibilline di Sostegni — «Perchè poi da questo si va alle cantine, dalle cantine si va al capannone, si va alla fondazione, si va alla Fidirev (fiduciaria che controlla l’immobile di Cormano, ndr.), si va ai versamenti, si va a tutto» — ma perchè proprio lui aveva incassato 20mila euro (da chi?) per il sostentamento e ne voleva altri 30mila.
Sostegni, spiega oggi Repubblica, è l’uomo chiave per decifrare la compravendita dell’immobile di Cormano, acquistato da Lombardia Film Commission — società  della Regione — con una ricca plusvalenza per i tre commercialisti della Lega. Alberto Di Rubbia e Andrea Manzoni, ex revisori contabili della Lega in Parlamento, e Michele Scillieri, nel cui studio è stata registrata la “Lega Per Salvini Premier”, sono ora indagati per turbativa d’asta e peculato nell’inchiesta del procuratore aggiunto Eugenio Fusco e del pm Stefano Civardi
Ma lo scenario continua ad allargarsi. Dalle indagini della Guardia di Finanza di Milano emerge come ad occuparsi della ristrutturazione sia stato Francesco Barachetti, ex consigliere comunale di Casnigo, elettricista, titolare della Barachetti service, «personaggio molto legato a Di Rubbia — Manzoni, e più in generale al mondo della Lega», scrive la Gdf.
Barachetti compare nei report dell’Antiriciclaggio della Banca d’Italia, acquisiti dalla procura di Milano e da quella di Genova, dove si indaga sui 49 milioni del partito: l’elettricista ha ricevuto negli anni quasi un milione e mezzo dalla Lega, ma anche da altre entità  come lo studio di Di Rubba e Manzoni.
Denaro che poi — come ha rilevato Repubblica un anno fa — finisce, in parte, su conti bancari in Russia, e in parte nuovamente retrocesso a realtà  vicine al partito.
Operazioni considerate anomale da Bankitalia. Su cui ora anche i pm milanesi intendono vederci chiaro.
Elementi che potrebbero stabilire una connessione con l’altra inchiesta che coinvolge la Lega, quella sui rapporti con la Russia, nata dopo l’incontro al Metropol tra l’ex portavoce di Salvini, Gianluca Savoini, e uomini vicini al governo russo, dove si sarebbe discusso una compravendita di petrolio che avrebbe garantito 65 milioni di dollari alla Lega.
Oggi, a San Vittore, Sostegni potrebbe iniziare a dare dettagli e conferme sulla compravendita dell’immobile di Cormano. Acquistato da Andromeda (intestata a un cognato di Scillieri) a 400mila euro dalla sua   Paloschi srl, per essere poi rivenduto dalla stessa Andromeda, a 800mila euro, alla fondazione Lombardia Film Commission. Con un guadagno del 100%, movimentato poi verso soggetti ed enti vicini al Carroccio. Un’operazione che, secondo Sostegni, avrebbe arricchito i professionisti leghisti e lasciato lui a bocca asciutta. Così da minacciare di raccontare «il giro di denaro proveniente dalla provvista di 800mila euro».

(da “NextQuotidiano”)

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LO STORICO SOVRANISTA CHE NON LEGGE I GIORNALI: “INCENDIO ALLA CATTEDRALE DI NANTES, LE MOSCHEE NON BRUCIANO MAI”

Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile

A PARTE CHE NON SI CAPISCE SE SI RAMMARICA O MENO, SI INFORMI SULLE MOSCHEE INCENDIATE IN FRANCIA: ORIGINE DOLOSA PER QUELLA DI SAINT-PRIEST A LIONE, PER QUELLA DI AJACCIO E ATTENTATO PER QUELLA DI BAYONNE

Il professore di Storia Contemporanea Marco Gervasoni, da sempre punto di riferimento culturale per i sovranisti sui social network, ha voluto commentare l’episodio dell’incendio alla cattedrale di Nantes di questa mattina.
L’edificio del XV secolo dedicato a St Pierre-et-St Paul ha preso fuoco poco prima delle 7.44, quando i pompieri sono stati allertati. Ancora ignote le cause dell’incendio.
Marco Gervasoni, sempre puntuale nei commenti degli episodi legati all’attualità , ha voluto commentare l’accaduto, con una riflessione sul mandato di Emmanuel Macron e la sua esperienza con le cattedrali francesi (il ricordo e il riferimento, ovviamente, sono per l’incendio di Notre Dame della primavera del 2019).
Secondo Marco Gervasoni, Macron non sarebbe interessato a tutelare le chiese, mentre le moschee non bruciano mai.
Un riferimento alla disparità  di trattamento delle comunità  religiose in Francia. Eppure, nel corso degli anni, anche le moschee sul territorio dell’Esagono sono state oggetto di incendi o, peggio, di atti di vendetta totalmente ingiustificati.
Nel 2008, a Saint-Priest a Lione, si è registrato un incendio doloso in una moschea.
Nel 2012, un incendio interessò la moschea di Ajaccio (anche questo di natura dolosa, condannato dalla comunità  islamica locale).
Soltanto un anno fa, invece, un ex candidato del Front National di 84 anni fece irruzione nella moschea di Bayonne con lo scopo di incendiarla, per vendetta rispetto a quanto accaduto a Notre Dame.
Insomma, una situazione non proprio corrispondente al tweet di Marco Gervasoni.

(da agenzie)

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SALVINI CONTESTATO A MARTINA FRANCA FA UN L’AUTOGOL “QUANDO SAREMO UN PAESE DEMOCRATICO NON CI DOVRA’ ESSERE LA POLIZIA A TENERE A BADA I CONTESTATORI”

Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile

A PARTE CHE IN UN PAESE DEMOCRATICO I SEQUESTRATORI DI PERSONA STANNO IN GALERA E NON A FARE COMIZI, SORGE SPONTANEA UNA OSSERVAZIONE: NEI PAESI SOVRANISTI I CONTESTATORI NON DEVONO ESSERCI, LI ELIMINIAMO?

Una frase di Matteo Salvini — che si può inserire a buon diritto nella rubrica ‘pieni poteri’ — deve imporre una riflessione.
Salvini a Martina Franca (in Puglia, in provincia di Taranto) era andato per inaugurare una sede della Lega, poi ha organizzato un ‘comizio improvvisato’ e chissà  se autorizzato (ovviamente con persone erano accalcate sotto al palco senza distanziamento e   con pochissime mascherine) dove è stato contestato da un gruppo di ragazzi diviso dal resto della piazza da un cordone formato da poliziotti in tenuta antisommossa e dalle loro camionette.
Nel corso del suo comizio, c’è stato un passaggio piuttosto controverso: «Quando saremo un Paese davvero democratico, non ci sarà  bisogno di cinque camionette della polizia per tenere a bada dieci contestatori figli di papà ». Solito filastrocca dove i contestatori sono figli di papà  senza avere un padre benestante come lui.
Una affermazione del genere può essere contestabile a più livelli.
Innanzitutto, perchè laddove c’è una persona che manifesta delle idee, l’essenza della democrazia prevede che ci possano essere anche delle persone che contestano quelle stesse idee.
Cosa significa, dunque, che in un Paese democratico non ci saranno le camionette per i contestatori? Che ognuno deve essere lasciato libero di parlare senza contraddittorio — come immagina Salvini — o, peggio, che non devono esserci contestatori tout court?
La protesta contro Salvini a Martina Franca non ha mai oltrepassato il limite, ma ci si è limitati a cori, slogan e striscioni ironici.
Come quello, diventato virale sui social network, che diceva che «a Martina Franca si Lega solo il capocollo».
Ultima osservazione: nei Paesi democratici i politici non scappano dai processo e quando vengono indagati si dimettono dalle cariche. I processi si fanno celeremente e i sequestratori di persone vanno in galera.

(da agenzie)

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RIUNIONE UE, UN FRENO NON FA PARTIRE IL RECOVERY FUND

Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile

L’ULTIMA MEDIAZIONE: MENO SUSSIDI E PIU’ PRESTITI, MA IL NODO E’ IL SUPER-FRENO DI EMERGENZA SULL’ESBORSO DEI SOLDI

La notte non ha portato consiglio a Bruxelles. Eppure fino alle 3 quasi, Giuseppe Conte, Angela Merkel e Emmanuel Macron sono rimasti a parlare, davanti a un drink in hotel, dopo una giornata intera di negoziati andati a vuoto sul recovery fund.
Ma ai drink notturni l’ostacolo all’intesa, Mark Rutte, non era presente. Ed per l’olandese e gli altri frugali, ma soprattutto per il governo de L’Aja, che oggi il presidente del Consiglio europeo Charles Michel si fa carico di una nuova proposta che contiene varie offerte ai nordici.
La principale: ‘super-freno di emergenza’ per controllare l’esborso dei soldi. Giuseppe Conte, che invece chiede che il controllo sia della Commissione europea e dell’Europarlamento, accetta di discuterne, ma vuole vedere le carte. “Dipende dalle modalità ”, si apprende da fonti di governo.
La proposta però serve a smuovere Rutte. “Ci sono ancora molte cose da risolvere, ma la proposta sulla governance avanzata da Michel è un passo serio nella giusta direzione — dice una fonte diplomatica olandese – Se raggiungeremo un accordo, dipende dalle prossime 24 ore”.
Il piano viene messo a punto in un vertice a 7 di primo mattino, dopo la notte insonne. Conte, Merkel, Macron, lo spagnolo Pedro Sanchez e stavolta anche con Rutte, si ritrovano in un summit con Michel e Ursula von der Leyen, prima della plenaria con gli altri leader.
Qualcuno a Bruxelles si diverte a chiamarlo ‘Washington format’. Ma questa riunione non ha molto a che vedere con il famoso vertice dei ministri dell’Economia di Italia, Francia, Germania, Spagna e Olanda in un hotel a Washington sulla crisi del debito in Grecia nel 2005. Anche se i contenuti sono simili. Allora decisero tagli draconiani per Atene. Stavolta c’è Rutte contro tutti a pretendere garanzie sulla governance dei soldi.
“Se ci sono i sussidi servono condizionalità  stringenti per assicurare che i paesi che ne beneficiano facciano le riforme”, dice entrando al vertice mattutino.
L’olandese fa riferimento esplicito a: “Riforme delle pensioni e del lavoro”. Stavolta vuole essere certo che i paesi membri le adottino, per l’Italia naturalmente il riferimento è a ‘Quota 100′. Lui la mette così: “E’ nell’interesse di Italia e Spagna uscire dalla crisi ed essere pronti per un eventuale prossimo shock”.
E allora eccola la nuova proposta di Michel che dà  inizio al negoziato vero, ieri è stata una giornata di riscaldamento con tanta tensione. Il presidente del Consiglio europeo non concede a Rutte il meccanismo dell’unanimità  con il quale l’olandese vorrebbe controllare l’esborso dei soldi.
Del resto, lo stesso Rutte ammette di essere pressochè solo in questa richiesta. Michel però propone un “super-freno di emergenza”, grazie al quale se uno Stato ha dubbi su come un altro Stato spenderà  i soldi, può chiedere “entro 3 giorni” di discuterne in Consiglio europeo.
Il ‘super-freno’ è il cuore della nuova proposta, giacchè la governance delle risorse è il centro di tutto, più importante delle dimensioni del fondo. Michel intanto conferma i 750mld di euro proposti da von der Leyen ma riduce la parte dei sussidi da 500mld a 450mld e aumenta i prestiti a 300mld.
Però viene rafforzata di 15 miliardi la parte sostanziale della Resilience Recovery Facility, che prevede allocazioni dirette ai Paesi e passa così da 310 miliardi a 325. Il taglio riguarda invece la parte dei 190 miliardi di trasferimenti suddivisi tra vari programmi. Per esempio: Horizon Europe subisce un taglio di 2mld, il programma per la sanità  cala di 2,7 miliardi, il fondo per lo sviluppo rurale viene ridotto di 5miliardi.
Per accontentare Rutte e i frugali, la proposta Michel prevede anche un aumento dei ‘rebates’, gli sconti sui contributi al bilancio di cui beneficiano questi Stati. Inoltre il presidente del Consiglio offre agli Stati di poter trattenere il 20 per cento dei dazi doganali: anzichè il 15 per cento della proposta iniziale. E anche questa è una questione che sta molto a cuore all’Olanda, per l’attività  dei suoi porti.
Infine lo schema di distribuzione delle risorse cambierebbe così: 60% dei fondi distribuiti in base a Pil e disoccupazione degli ultimi 5 anni, e 40% in base al calo della crescita solo dell’ultimo anno (nella proposta iniziale si prevedeva una ripartizione al 70 per cento i primi).

(da “Huffingtonpost”)

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