Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile
L’ITALIA SBATTE CONTRO I FRUGALI, L’OLANDA NON CEDE SULL’UNANIMITA’ PER L’EROGAZIONE DI FONDI… SI CONTINUA A TRATTARE MA IL FLOP E’ VICINO CON L’INCUBO DELLE BORSE LUNEDI’
Si mette male. Nel tardo pomeriggio Giuseppe Conte, con il volto stanco di due giorni e una notte di trattative a Bruxelles, lo dice chiaro in diretta Facebook: “Stallo, molto più complicato del previsto”.
E a sera, dopo una nuova girandola di incontri e bilaterali, le previsioni sono fosche sul Consiglio europeo in corso per cercare un’intesa a 27 su ‘Next generation Ue’, pacchetto proposto dalla Commissione europea che include il recovery fund per affrontare la crisi da covid.
Alcune fonti diplomatiche europee temono seriamente il flop, apprende Huffpost. Orizzonte nero che, al confronto, un’altra nottata di trattative sarebbe meglio. Anche perchè di fronte ad un eventuale fallimento, pur con il rinvio ad un altro vertice europeo, si teme la reazione delle borse alla riapertura lunedì.
Insomma, potrebbe finire a gomitate, per non esagerare nelle metafore sulla possibile interruzione del vertice e delle trattative. Del resto, è iniziata così: con i leader che si sono salutati a gomitate, per le misure di distanziamento sociale imposte dalla pandemia. Distanti. E, dopo due giorni, restano distanti.
Le cose cambiano di minuto in minuto. Ma dopo quasi 48 ore di discussioni non c’è intesa su nessuno dei punti del pacchetto.
Nè sull’ammontare del fondo, sulla ripartizione tra sussidi e prestiti e soprattutto sulla governance: come e in quanto tempo questi soldi saranno disponibili per gli Stati che ne avranno bisogno, come Italia, Spagna, Portogallo, Francia, i più colpiti dalla crisi.
E’ nel tardo pomeriggio che Angela Merkel, Conte, Emmanuel Macron, Pedro Sanchez si riuniscono di nuovo, insieme ai presidenti della Commissione Ue Ursula von der Leyen e del Consiglio europeo Charles Michel, per tentare di uscire dall’impasse che ha portato ai ferri corti nord e sud Europa sul recovery fund.
Prima di vedersi, su una terrazza dell’Europa building di Bruxelles dove da ieri mattina sono riuniti i 27 leader Ue, hanno incontrato ancora l’olandese Mark Rutte, il vero ostacolo alle trattative.
Hanno insomma appreso che il premier de L’Aja continua a insistere sull’unanimità in Consiglio europeo per le decisioni sull’erogazione dei fondi, scettico e diffidente sulla capacità degli Stati del sud di usarli per riformarsi.
E allora i quattro leader riuniti con von der Leyen e Michel cercano di svolgere la nuova proposta italiana sulla governance, tentativo di andare incontro alle esigenze dell’Olanda.
Invece dell’unanimità , prevede un meccanismo di maggioranza qualificata rafforzata, con decisione da prendersi entro 4 settimane sull’esborso delle risorse. Se uno Stato solleva problemi, può chiedere al presidente del Consiglio europeo Michel di discuterne in un prossimo summit.
Ma la proposta non chiarisce cosa succede se poi il Consiglio accoglie i rilievi sollevati. L’erogazione a quel punto si fermerebbe, ma la proposta non lo dice.
Prima di cena, insieme alla delegazione italiana, Conte incontra separatamente von der Leyen. Al bilaterale si associa anche Rutte.
Il quadro non è per niente perfetto. Niente coincide in questo puzzle europeo impazzito sulla risposta comune alla crisi da covid.
Sulla richiesta di unanimità , Rutte è abbastanza isolato ma nonostante ciò riesce a tenere il punto. Perchè su altri aspetti del recovery fund trova sostegno non solo da parte degli altri frugali come Austria, Svezia, Danimarca, ma anche dalla Finlandia e dal premier bulgaro Boyko Borissov.
Gli Stati del nord pretendono un taglio vigoroso ai 500mld riservati ai sussidi. Considerano insufficiente la proposta di compromesso (taglio di 50mld) presentata da Michel questa mattina, al termine di una giornata e una nottata trascorse in discussioni senza soluzioni e con tante divisioni.
E, volgendo lo sguardo a est, c’è anche il fronte ungherese molto attivo a chiedere che siano eliminate le condizionalità legate al rispetto dello stato di diritto. Michel ha fatto un bilaterale con Viktor Orban: non è riuscito a placarlo.
L’unico più possibilista circa un accordo è il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, leader conservatore. C’è “un movimento nella giusta direzione”, dice all’agenzia di stampa austriaca Apa, sottolineando di avere “poche obiezioni” sul volume del fondo, da 750 miliardi di euro, anche se pure per Kurz il livello dei trasferimenti diretti non rimborsabili “deve essere ridotto”.
A sera, dovrebbe planare sul tavolo un’altra proposta di compromesso di Michel. Ormai siamo vicini alla decisione tra spunti di accordo, che significa passare un’altra nottata e magari un’altra giornata a trattare, oppure fine, fallimento per riconvocarsi in altra data.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile
DIVERSI TESTIMONI SMENTISCONO LA STORIA PIENA DI CONTRADDIZIONI, DESTA’ NON E’ MAI ESISTITA, ANCHE LA FOTO E’ FASULLA
“Ma quale matrimonio africano! Ma quale Destà ! Volete sapere come sono andate le cose? Montanelli tutta quella storia se l’è semplicemente inventata”.
Il nostro uomo si chiama Roberto Malpeli, è un italo-eritreo di 67 anni, vive a Parma ed è forse l’unica persona, in Italia, che sulla dibattutissima vicenda della sposa-bambina di Indro Montanelli è in grado di dire qualcosa di finalmente concreto.
Non in virtù di particolari studi storici, ma per una semplice coincidenza biografica: le vicissitudini della piccola Destà — così come narrate dal giornalista toscano — si intreccerebbero in modo fin troppo stretto con quelle della sua famiglia.
Signor Malpeli, partiamo dal racconto di Montanelli. Nel 1935, quando era un giovane sottotenente dell’esercito italiano, egli sarebbe approdato nel villaggio eritreo di Segeneiti, a 65 chilometri da Asmara, dove avrebbe preso in sposa una ragazzina di dodici anni di nome Destà …
“Ecco, per prima cosa dobbiamo tener conto che Segeneiti, nel 1935, era un paesotto di non più di duemila abitanti, dove tutti conoscevano tutti. Esisteva una famiglia Destà , è vero, e guarda caso era la famiglia di mio nonno, che peraltro era anche il sacerdote cristiano della comunità , una delle figure di spicco a Segeneiti. Mia madre, Lettemicael Destà , è nata il 20 marzo del 1923. Se la Destà di cui parla Montanelli fosse veramente esistita, sarebbe stata precisamente sua coetanea…”.
Aspetti. Ma Destà , in Eritrea, è un nome proprio o un cognome?
“Può essere entrambe le cose. In Eritrea non esistono i cognomi come li intendiamo noi. I figli, accanto al proprio nome di battesimo, assumono quello del padre, una sorta di ‘patronimico’. Mio nonno di nome faceva Destà , e dunque la famiglia Destà di Segeneiti, negli anni Trenta, era composta da mia madre e dai suoi undici fratelli. Non vi erano altre famiglie con lo stesso nome”.
Ma Destà può essere anche un nome femminile?
“Sì, è un nome ambivalente. È usato prevalentemente in accezione maschile, ma può valere anche per le donne. In realtà è piuttosto raro in quella zona dell’Eritrea”.
A Segeneiti, quindi, poteva comunque esserci anche un’altra Destà , oltre a sua madre e alle sue zie…
“Guardi, mia madre si è sposata con mio padre dopo la guerra, è venuta in Italia nel 1970 ed è morta pochi anni fa. Ogni volta che Montanelli, in tv, raccontava quella storia, lei dava in escandescenza. Perchè diceva che era falsa, semplicemente falsa. Quella Destà non è mai esistita, non a Segeneiti, perlomeno. Sarebbe stata una sua compagna di giochi, avrebbe dovuto conoscerla per forza. Ripeto: parliamo di un villaggio di poche famiglie, e mio nonno era il punto di riferimento religioso della comunità . Una vicenda del genere non sarebbe sfuggita nè a mia madre nè a lui”.
Sostiene Montanelli che la sua Destà era di religione musulmana…
“Altra cosa impossibile. Destà è un nome tipicamente cristiano: qualsiasi eritreo glielo potrà facilmente confermare”.
Poi Montanelli racconta anche un altro fatto: dice che, dopo il suo rientro in Italia, Destà andò in sposa con un sottufficiale ascaro, tale Gheremedin. I due si stabilirono a Segeneiti e battezzarono il loro primogenito col nome di Indro, in onore del giornalista. Lo stesso Montanelli, passando per Segeneiti nel 1952, durante un viaggio in Eritrea, avrebbe fatto visita alla famiglia…
“Questa è la ciliegina sulla torta! Le assicuro che non ci sono mai stati Indro a Segeneiti. E questo, anche dopo la morte di mamma, me lo hanno confermato diversi miei famigliari che hanno vissuto laggiù per buona parte della propria vita. Ma si figuri: sarebbe stata la favola del villaggio! Immagini una situazione analoga in Italia: una donna, in un paesotto di quattro anime, ha una relazione con Cassius Clay e chiama il suo figlio primogenito Cassius Clay! Ne parlerebbero tutti, per generazioni e generazioni…”.
Insomma, lei che idea si è fatto di tutta questa vicenda?
“Credo che Montanelli si sia costruito attorno un bel romanzo. Può anche darsi che abbia avuto veramente una relazione con una giovane eritrea, in quegli anni. Ma di certo non con una ragazzina di nome Destà nata a Segeneiti. Questo è falso, punto”.
E le polemiche delle scorse settimane? Il dibattito sulla statua di Montanelli a Milano, sul colonialismo, sul maschilismo? Lei sta dicendo che tutta l’Italia, per giorni, si è semplicemente accapigliata sul nulla?
“No, secondo me quel dibattito era sacrosanto. Perchè, al netto della veridicità dei fatti, restano le parole utilizzate da Montanelli. Quell’espressione — ‘bestiolina docile’ — utilizzata per descrivere una ipotetica ragazzina di dodici anni: è un linguaggio da colonialista, da conquistatore, e come tale va giudicato. Mia madre rabbrividiva quando riascoltava quelle parole. Ecco: questo non potrò mai dimenticarlo”.
Lei crede che la statua di Montanelli a Milano vada abbattuta?
“Assolutamente no. La statua va lasciata al suo posto. Solo, accanto al nome di Montanelli andrebbero aggiunte due parole: ‘Colonialista e bugiardo’”.
In otto decenni e mezzo di pubblicistica, l’unica fonte certa del rapporto tra Indro Montanelli e la sua “sposa-bambina” Destà è e resta il solo Montanelli.
Il giornalista ne parla in almeno tre occasioni, tra il 1969 e il 2000, mentre non fa alcuna menzione dell’episodio nè nel reportage autobiografico XX Battaglione Eritreo, uscito nel 1936, nè nelle molte lettere scritte ai famigliari durante la sua permanenza in Africa Orientale.
Si tratta peraltro di racconti frammentari, spesso in palese contraddizione tra di loro: nella versione del 1969, ad esempio, la giovane ha 12 anni, mentre in quella del 2000 ne ha 14. E ancora: nel 1982 Montanelli narra di aver “ceduto” la propria compagna al generale Alessandro Pirzio Biroli, che l’avrebbe ammessa al suo “harem”, mentre nel 2000 dichiara di averla data in sposa direttamente a un suo ascaro, “a guerra finita”.
Da tali resoconti, al netto delle incongruenze, si può comunque ricavare un “identikit” piuttosto coerente della ragazza: viveva nel villaggio di Segeneiti, era di religione musulmana e di etnia bilena.
Esisterebbe persino una sua fotografia, che Montanelli mostrò a Enzo Biagi durante un’intervista televisiva nel 1982.
L’abbiamo sottoposta al professor Gianfrancesco Lusini, africanista, esperto di lingua e cultura eritrea e docente presso l’Università Orientale di Napoli: “La ragazza ritratta in quello scatto non ha nulla a che vedere con la zona di Segeneiti”, dice a TPI.
“I vestiti e gli ornamenti fanno pensare sì a una ragazza bilena, ma i bileni, in quel periodo, vivevano stabilmente nell’area di Keren, nella regione di Anseba, che si trova da tutt’altra parte, a nord di Asmara. I bileni, inoltre, erano di religione cristiana, copta o luterana, non certo musulmana, e anche Destà è un nome tipicamente cristiano. Insomma: tutti gli elementi sembrano cozzare tra di loro e appaiono, nel complesso, ben poco credibili”.
Un altro punto controverso, nel racconto di Montanelli, riguarda la sua effettiva presenza “sul campo” durante le operazioni belliche — la guerra per la conquista dell’Etiopia, che scoppiò il 3 ottobre 1935. “Ebbi due anni di vita all’aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling”, raccontò il fondatore de Il Giornale sempre nell’intervista a Biagi.
I “due anni di vita all’aria aperta, bella, di avventura” — durante i quali il giornalista avrebbe vissuto il suo rapporto con Destà — si ridurrebbero tuttavia a molto meno: giusto una manciata di mesi, buona parte dei quali impiegati in marce ed addestramenti prima dell’inizio delle ostilità .
Lo ha dimostrato — in un rigorosissimo studio basato su documenti d’archivio — lo storico Marco Lenci dell’università di Pisa. Che racconta: “Incorporato nel XX Battaglione Eritreo il 27 giugno del 1935, Montanelli rimase operativo, seppur a intermittenza, solo fino a dicembre, quando fu ricoverato all’ospedale di Asmara in seguito a un ferimento. Terminata la degenza, smise la divisa e fu assegnato alla redazione del quotidiano La Nuova Eritrea, sempre nella capitale. Vi lavorerà , su incarico dell’Ufficio Stampa e Propaganda dell’Esercito, fino al suo definitivo rientro in Italia nell’estate del 1936”.
Una parentesi ben poco guerresca, trascorsa tra veline e macchine da scrivere, alla quale il giornalista non farà praticamente mai cenno.
Eppure, tra il dicembre del 1935 e il luglio del 1936, Montanelli scrisse su La Nuova Eritrea circa una trentina di articoli, tutti di stampo accesamente pro-coloniale.
Perchè non parlarne pubblicamente, negli anni successivi? Ipotizza Lenci: “Con ogni probabilità egli non volle fornire un’immagine della sua vicenda africana che, nei fatti, lo raffigurava per la quasi totalità della campagna d’Etiopia come un non-combattente, se non addirittura come un vero e proprio imboscato” (cfr. Marco Lenci, “L’Eritrea e l’Etiopia nell’esperienza di Indro Montanelli”, “Studi piacentini” n. 33/2003).
È proprio alla luce di questa bramosia d’avventure hemingwayane mai vissute — il deserto, i combattimenti, gli amori al chiaro di luna — che dovremmo leggere, forse, anche la vicenda di Destà .
Il presidente della Fondazione Montanelli Bassi, Alberto Malvolti, ha confermato a TPI di non essere in possesso di alcun documento che certifichi l’avvenuto matrimonio. TPI ha interpellato sulla vicenda la nipote di Indro Montanelli, Letizia Moizzi, la quale ha risposto: “Non vedo notizie da commentare”, sottolineando che quelle sopra esposte sono “ipotesi e illazioni”.
(da TPI)
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Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile
METODI DA TELEVENDITA ANNI ’90, QUANDO SERVIREBBE PUNTARE SULLE BELLEZZE CHE NON SI CONOSCONO
No, come quasi sempre accade il problema non è Chiara Ferragni. Chiara Ferragni è la montagna che copre l’orizzonte ed è dell’orizzonte che dovremmo preoccuparci. Certo, la frase “la Ferragni è una sorta di divinità contemporanea” del direttore degli Uffizi fa sghignazzare, possiamo spanciarci per l’accostamento con la Venere del Botticelli, chiederci se la Ferragni sappia qualcosa degli affreschi del duomo della sua Cremona, intanto, o se conosca solo quelli dipinti sui bicipiti di suo marito, ma davvero, siamo fuori strada.
Chiara Ferragni ha ricevuto un invito per un tour notturno (era già lì per uno shooting), ha accettato, ha pensato di fare la sua parte, in un momento difficile per il turismo. E le va detto grazie, senza isterie collettive che per giunta provengono da chi probabilmente fino a ieri pensava che Botticelli fosse un vino bio.
Se ami l’arte e la conosci, non è la contaminazione col pop e il contemporaneo, in tutte le sue forme, a spaventarti. Se ami l’arte o sei uno che viaggia e vede chi viaggia, o magari le due cose insieme, è l’idea che sta dietro alla banale promozione social del museo con Chiara Ferragni agli Uffizi che intristisce (che poi è quella identica che fu fatta per la loro visita alla Cappella Sistina).
Che detta in maniera semplice è il vecchio adagio: purchè se ne parli. Sbagliato. Non va più così da tempo e non va così sui social. I like non portano necessariamente voti, ascolti tv, visite in un museo e neppure reale capacità di influenzare, muovere, spostare. Bisogna sapere a chi ti rivolgi e come gli devi parlare.
Se pensi che portare Chiara Ferragni agli Uffizi, farle la fotina da turista giapponese davanti alla torre di Pisa e avere la pessima idea di azzardare un’acrobatica analogia tra lei e la Venere pensando che quello possa essere il grande collante e il grande alibi per spiegare la sua “chiamata” sia una buona idea, beh, questo è un suicidio d’artista.
Perchè scatenerà una gigantesca montagna di fuffa polemica — quello sì — che si tradurrà in una sola cosa: in una gigantesca montagna di fuffa polemica.
Domani non ci saranno file agli Uffizi, il pubblico medio di Chiara Ferragni a cui non fregava nulla degli Uffizi non si interesserà degli Uffizi e continuerà ad aspettare che tagghi la marca del suo gloss.
Attenzione, non sto dicendo che il target della Ferragni sia solo questo, sto dicendo che quello più alto, magari agli Uffizi c’è già stato e non aspettava certo che glielo suggerisse lei. E non sto dicendo neppure che fosse sbagliata a priori l’idea di invitarla. Dico che bisognava trovare una chiave perchè la sua visita non fosse una foto scema e un hashtag che oggi è trendtopic e domani è niente.
E quindi allargo la questione a quella che è la promozione del turismo in questo paese e dico che da tempo ne sono una spettatrice mestissima: spot osceni in tv finanziati da regioni che buttano soldi nel cesso, campagne stampa con font del paleozoico e immagini banali, testimonial scelti a caso o attraverso considerazioni simili a quella Uffizi/Ferragni, errori grossolani nelle didascalie (l’ultimo notato pochi giorni fa e non citato per pietà nei confronti del settore turismo), assenza totale non solo di narrazioni efficaci ma anche di conoscenza reale dello stesso territorio che si promuove e di quello che può offrire di diverso rispetto a quello che è già altrove. Di quello che è ignoto ai più, anche.
A cosa serve alla Santelli buttare milioni di euro per uno spot di Muccino con Bova? È il metodo-Uffizi: ci metto due famosi a promuoverla, verranno tutti in Calabria.
Che è un ragionamento da televendita anni ’90. Vecchio, polveroso, fallimentare. Prendi un cazzo di drone da 200 euro da Trony piuttosto, vai tu col telecomando e filma i km di costa deserti in piena estate, dove chi non ha voglia di calca, chi odia l’odore della peperonata a pranzo che arriva dall’ombrellone del vicino, chi ha paura di ammalarsi toccando la sdraio del vicino, magari potrebbe decidere di farsi un giro, a Ferragosto.
Cerca i punti di forza, la bellezza che non si conosce, raccontala.
Oggi c’è Instragram che — lo dico da osservatrice di questo segmento specifico — ha trasformato in METE affollate luoghi che non lo erano.
Grazie a una foto che gira da un paio d’anni che manco il miglior selfie della Ferragni, Marzamemi, un bellissimo borgo marinaro siciliano, per poco non è diventato più famoso di Palermo.
La Cappadocia, anche troppo spremuta dagli influencer del globo, oggi ha un target che prima non aveva. Le mongolfiere come a Bagan hanno fatto la loro parte fondamentale. (trova qualcosa di analogo per aggiungere poesia a una valle un paesaggio, a una città , a un borgo).
Ogni regione dovrebbe chiedersi le seguenti cose: cosa c’è qui che non c’è altrove, cosa non conoscono fuori di qui di questa regione, come raccontare in modo intelligente quello che si conosce già , come portare qui chi qui non ci verrebbe mai.
Un museo, dovrebbe porsi per prima quest’ultima questione.
E se l’unica riposta che ti sai dare è “portandoci la Ferragni”, sei fuori strada. Questo paese bellissimo è accomodato su una narrazione vecchia e un’idea vetusta del turismo. Siamo così belli, che non dobbiamo meritarci nulla. Siamo l’amica figa che non si trucca, che tanto è già figa così.
L’Italia non è neanche tra i 10 paesi più visitati del mondo. Ci battono la Francia, la Spagna, il Regno Unito e perfino la Germania.
La Germania, che con rispetto parlando, non ha un millesimo di quello che ha questo paese a livello di storia, mare, natura, cibo e nella lista metteteci quello che volete voi. Dobbiamo tornare a essere competitivi, specie sul turismo interno e in questo la pandemia potrebbe essere un’opportunità che dobbiamo cogliere.
E non attraverso Raoul Bova. Dobbiamo chiederci perchè viaggiare all’estero ad agosto, costi mediamente molto meno che viaggiare in Italia.
Dobbiamo imparare ancora tanto a livello di accoglienza e turismo, specie le regioni “giovani”. E’ il primo anno, dopo tanti, che ho prenotato una vacanza in Italia: non dirò chi e dove, per ora, ma in un luogo bellissimo, che costa una fortuna, mi hanno chiesto oltre alla fortuna che avrei speso (in un luogo davvero fuori mano, poco conosciuto) 15 euro al giorno per il cane, 4 euro per il lettino in piscina, 2 per il telo, sovrapprezzo per la colazione salata. Ho detto no grazie, e non per quei 30 euro al giorno in più. Ho detto no perchè quella non è accoglienza. Non è competitività . E non te li meriti, i miei soldi.
Il tempo dei turisti cinesi da raggirare con conti stellari e perculate arroganti è finito da un po’.
Tanto più che i cinesi siamo noi, ora. Dobbiamo imparare a raccontare questo paese magnifico, e non è la Ferragni che ci salverà .
Anche, forse, se usata bene, ma bisogna smettere di sbadigliare.
Siamo il Colosseo, ma lo sanno già tutti. Dobbiamo iniziare ad essere anche la costa dei trabocchi in Abruzzo, le gole dell’Alcantara in Sicilia, l’anfiteatro di Larino in Molise (o quello spettacolare di Santa Maria Capua Vetere in Campania), le miniere del Sulcis in Sardegna, la fortezza di Lucera in Puglia, Craco il paese fantasma in Basilicata, le acque cristalline del Trebbia nel piacentino (Brugnello chi lo conosce?), il giardino di Ninfa nel Lazio e la lista potete finire di compilarla voi.
È infinita e aspetta solo che qualcuno di svegli. Possibilmente non cercando la soluzione in un hashtag, ma avendo bene in mente una meta. Che poi credetemi, puntare una meta è saper viaggiare. Nel web e in giro per l’Italia, non è vero che improvvisare è meglio.
(da TPI)
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Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile
65 ANNI DALL’ACCORDO ITALO-TEDESCO SULL’ARRUOLAMENTO DI MANODOPERA
“Lei è tedesco? L’uomo, piccolino, con la mascherina, quando gli dico che no, che sono italiano e pure agrigentino come lui, si scusa: “Mi era sembrato fosse un tedesco… Sa, io sono stato trent’anni in Germania, per lavoro… “. Incontro l’uomo a Porta di Ponte, l’inizio della lunga e stretta strada centrale della vecchia città , di Girgenti. È luogo di snodo del via vai cittadino, sempre più rado, la crisi qui è più antica del tempo del Covid. Ma Porta di Ponte è anche piazza dove trovare manovalanza a buon prezzo e senza impegni. E ogni giorno la schiera si infittisce
L’uomo che mi aveva scambiato per tedesco ha voglia di parlare del suo lavoro in Germania, una vita. A dicembre di questo sventurato 2020 ricorreranno i 65 anni dell’accordo italo-tedesco per acquisire braccia a buon prezzo per la crescita industriale di Berlino. Certo, quel lavoro lontano e faticoso, con strappi violenti alle vite, fu per molti occasione unica di pane da mandare in famiglia. Ma costò. Resta inciso sulla pelle. L’uomo ha voglia di raccontare, di raccontarsi. Lui è uno di quelli. Resta a parlarmi, e io che non ho fretta e che amo i racconti, lo spingo a dirmi di quella vita. “Lavoravo agli impianti dell’alta tensione, sui piloni. Prima di entrare in Germania, dovevamo passare gli esami medici a Verona… Nella commissione medica che ci avrebbe dovuto dare il lasciapassare, medici italiani, disposti a chiudere un occhio, e medici tedeschi, intransigenti… Occhi, orecchie, naso, il cuore… Mi scusi la volgarità , pure le palle ci strizzavano e pure il buco del culo ci guardavano… Mi scusi la volgarità … “.
E l’uomo sonda con lo sguardo la mia disponibilità ad ascoltare. Gli faccio una domanda per incoraggiarlo:”Dove è stato? “. “Ho girato mezza Germania, piccoli paesi, ma pure Monaco… Bella Monaco, la città più vicina all’Italia… “. E l’uomo torna a quell’esame medico da superare per poter lavorare sui piloni:”I cavi che montavamo erano grossi come il mio polso… Ci chiesero se avevamo mai lavorato in alto… Sugli ulivi sono stato – risposi – e da ragazzo mi arrampicavo pure più in alto, sui carrubi. .. Certo, ho superato l’esame, poi, però le vertigini le ho avute, e come… Ma il pane non conosce vertigini…”. Alla fine, è lui a “liberarmi” del suo racconto, che io, invece, avrei voluto non finisse: “E dopo 30 anni di Germania, di lavoro duro e di vertigini, sa quanto prendo di pensione? Novecento euro… Una buona serata, e mi scusi… È che ho pensato fosse tedesco…”.
(da Globalist)
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Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile
IL LEGALE: “IN CORSO INDAGINE DI AMPIO RESPIRO”
Ci sarebbero delle prime ammissioni, sui fatti che gli vengono contestati, da parte di Luca Sostegni, il presunto prestanome nel caso della Lombardia Film Commission. L’interrogatorio del sessantaduenne, che si è svolto nel carcere milanese di San Vittore, rientra nell’inchiesta sui 49 milioni spariti dalle casse della Lega.
Secondo quanto riporta l’Ansa i fatti relativi alla presunta estorsione per ottenere denaro in cambio del suo silenzio, li avrebbe qualificati non come estorsivi. A chi gli ha chiesto se Sostegni abbia parlato di soldi alla Lega l’avvocato Daniela Pulito ha risposto che «c’è il segreto istruttorio, c’è un’indagine in corso ad ampio respiro».
Fuori dal carcere il legale ha spiegato anche che «sono state rese dichiarazioni al gip e ai pm e ha risposto alle domande, noi ci siamo opposti alla richiesta di custodia cautelare della Procura». Dopo l’interrogatorio col gip di stamani, ha chiarito l’avvocato, i pm «hanno chiesto di interrogarlo».
Le è stato domandato anche se i pm abbiano chiesto al presunto prestanome di una sua eventuale conoscenza con Matteo Salvini e il difensore ha replicato: «Non è domanda a cui posso rispondere, se e qualora gli fosse stato chiesto non potrei rispondere».
Sostegni, ha aggiunto il legale, «aveva una vita tranquilla in Brasile, è scosso e turbato dalla vicenda».
Sostegni è stato fermato mercoledì sera, nell’inchiesta della Procura di Milano su una presunta compravendita gonfiata per un immobile a Cormano, nel Milanese, per la Lombardia Film Commission. Inchiesta che vede indagati anche tre commercialisti, tra cui Michele Scillieri, vicini alla Lega. Sostegni è indagato per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, peculato ed estorsione, perchè avrebbe minacciato Scillieri e gli altri due professionisti, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, ex revisori contabili della Lega, di rivelare alla stampa i dettagli di questa e altre operazioni.
Interrogato dal gip di Milano Giulio Fanales, avrebbe chiesto per il suo silenzio 50 mila euro e ne avrebbe ottenuti almeno 25 mila, oltre alla promessa di 1000 euro ogni 20 giorni. È stato fermato, secondo i pm, mentre stava scappando in Brasile. All’interrogatorio è presente anche il pm Stefano Civardi che con l’aggiunto Eugenio Fusco ha chiesto la misura di custodia in carcere per Sostegni. La Guardia di finanza intanto indaga sulla rete di società gestite da Scillieri e sui beneficiari finali degli 800 mila euro usciti dalle casse della Lombardia Film Commission, partecipata regionale, e di altre operazioni su cui si concentrano i sospetti.
(da agenzie)
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Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile
“ALLE OFFESE PURTROPPO SONO ABITUATO, L’IMPORTANTE E’ STATO SENTIRMI DIRE GRAZIE DA QUELLA SIGNORA”
Jamir, 15 anni, il ragazzino che mercoledì sera ha soccorso una donna che si era sentita male a Grugliasco ed è stato insultato da un passante per la sua pelle mulatta ha ricevuto decine di messaggi di solidarietà .
Lo ha chiamato anche il sindaco di Grugliasco, Roberto Montà , che ha chiesto di incontrarlo. “L’ho invitato in Comune nei prossimi giorni – dice – voglio consegnargli un segno di ringraziamento per il gesto che ha fatto, è stato un comportamento da adolescente responsabile. E poi – prosegue Montà – voglio porgergli le scuse a nome di tutta la città “.
Se non chiederà scusa l’uomo che lo ha spinto via mentre cercava di prestare aiuto a una donna, ci penserà la città anche per lui
Jamir non si era scomposto più di tanto quando un passante lo ha aggredito mentre cercava di soccorrere la donna, in viale Gramsci, davanti al bar Dieci e Lode, dicendogli di tornarsene al suo paese.
“Questo è il mio paese, sono italiano”, gli ha risposto il ragazzino che, tornato a casa, ha raccontato il brutto episodio alla mamma. “Mi sono ricordato qualche regola del corso di primo soccorso, ho chiesto dell’acqua, ho sollevato le gambe di quella donna”, ha raccontato. “Purtroppo non è l’unico, succede spesso e fossi stata presente non credo che avrei avuto la stessa calma di mio figlio”, dice invece Katia, la mamma.
La prima volta in cui Jamir si è scontrato con il razzismo aveva tre anni. “Un giorno è tornato a casa quasi in lacrime chiedendomi perchè non lo avevo fatto bianco, per una mamma è un colpo al cuore”. E’ successo di nuovo una sera di qualche anno dopo, durante una gara di atletica a scuola. Due suoi compagni gli avevano fatto lo sgambetto. “Non devi correre con noi, devi tornare al tuo paese”. Quella volta Jamir, che aveva 11 anni e frequentava la scuola media, si era fermato e li aveva lasciati vincere.
Oggi sorride: più dell’insulto razzista che ha ricevuto, gli importa aver aiutato quella donna. “Alla fine la signora mi ha ringraziato, ha detto che se non ci fossi stato io sarebbe caduta per terra”, ha raccontato alla mamma quando è tornato a casa. “Sono molto contenta di tutta questa solidarietà , vuol dire che Grugliasco reagisce bene”, commenta la mamma.
(da agenzie)
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Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile
I DATI DEL SERVIZIO ANALISI CRIMINALE
Non li ha fermati neppure il coronavirus. Gli uomini che odiano le donne, quelli che le uccidono dicendo magari che le amavano troppo o chissà quali altre stupidaggini criminali, hanno continuato a colpire mentre il mondo si fermava e si fermavano anche i reati, tutti gli altri reati. Ma loro no.
Un report del Servizio analisi criminale interforze, un organismo che mette insieme i dati provenienti dalla polizia e dai carabinieri, dalla finanza e dalle guardie penitenziarie, dimostra con la freddezza dei numeri quello che la cronaca ci racconta tutti i giorni: se gli altri reati in questi mesi si sono fermati, e per fortuna hanno ripreso a correre più lentamente anche ora che il lockdown è finito, i femminicidi non hanno mai segnato il passo.
Il totale degli omicidi volontari perpetrati nei primi sei mesi dell’anno è sceso dai 161 del 2019 a 131, ma il numero di donne uccise è addirittura salito da 56 a 59.
A fronte di una flessione del 19% degli omicidi, dunque, la percentuale dei femminicidi sale del 5%.
“Il periodo del lockdown ha influito positivamente sul numero totale degli omicidi ma non sugli omicidi con vittime di sesso femminile, i cui valori oscillano in maniera indipendente dal periodo di confinamento”, spiega il report che analizza i dati dall’inizio di gennaio alla fine di giugno. “Mentre nel 2019 le vittime donne costituivano il 35% degli omicidi totali, nel 2020 l’incidenza delle stesse si attesta al 45%”.
Una carneficina che ha nella famiglia il suo drammatico teatro. “Gli omicidi in ambito familiare/affettivo sono in diminuzione (73 nel 2019 a fronte di 69 nel 2020) ma presentano un aumento dell’incidenza (da 45% a 53%) rapportati al totale degli omicidi”. E’ all’interno della famiglia che la violenza esplode, ed è qui che le vittime sono in gran parte donne: “Da 45 sono salite a 53, con un’incidenza pari al 77% (62% nel 2019)”.
In aumento, spiega il report, anche il dato relativo “agli omicidi commessi da partner o ex partner, che passano da 32 a 36.
Entrando nel dettaglio dei singoli mesi, è evidente l’incremento degli omicidi nel mese di giugno, 31 contro i 29 di gennaio. E’ l’effetto della fine della crisi del Covid e del lockdown iniziato con 17 morti a febbraio mantenendosi relativamente basso anche a marzo (16) e aprile (18) per poi aumentare leggermente a maggio (20). Ma dopo i 15 femminicidi di gennaio le vittime di sesso femminile, sul totale degli omicidi, oscillano di mese in mese tra 7 e 10, e sono sempre dieci sia a maggio che a giugno.
“Ci aspettavamo questi numeri purtroppo – dice il direttore del Servizio analisi criminale, Stefano Delfini – nonostante tutte le misure messe in campo. E non basta solo l’attività di polizia, con la collaborazione con il numero “1522” e con le Pari Opportunità avevamo notato come il numero di chiamate per aiuto o per informazione fosse aumentato durante il lockdown. E appena le restrizioni si sono attenuate sono subito aumentate segnalazioni e denunce”.
L’attenzione sui “reati spia”, quelli che rivelano lo stato di malessere nelle relazioni di genere da cui sgorga la violenza, ha mostrato subito come i conti non tornassero: scendevano tutti i reati, e ancora oggi “sebbene i numeri siano in ripresa rimangono inferiori allo stesso periodo dell’anno precedente”, dice Delfini, ma i femminicidi no, non hanno rallentato mai e continua ad essere accesa la spia rossa del pericolo.
I maltrattamenti contro familiari e conviventi, diminuiti durante i mesi del confinamento, tornano ad aumentare nel mese di maggio e a presentare una leggera inflessione nel mese di giugno, pur restando inferiori ai dati dello scorso anno; le violenze sessuali aumentano a maggio e ancora di più a giugno, ma restano sempre al di sotto dei valori di gennaio e febbraio 2020; minaccia, lesione personale e percosse registrano un’importante flessione durante il periodo del lockdown, aumentando nei mesi di maggio e giugno ma restando sempre inferiori rispetto a quelli del 2019.
E pure gli omicidi “si confermano in calo rispetto all’analogo periodo del 2019 — spiega il reporto – ma le vittime di sesso femminile aumentano”, come aumenta l’incidenza delle donne tra le vittime anche in ambito familiare o affettivo, e aumenta anche il numero “degli omicidi commessi da partner o ex partner”.
Nel dettaglio: “I maltrattamenti aumentano ad aprile (1.453) e a maggio (1.697), superando di poco il mese di gennaio (1.663); diminuiscono a giugno (1.555), attestandosi su valori simili a quelli di febbraio dello stesso anno (1.565); anche per gli atti persecutori si registra un picco a maggio (1.168) e un’inflessione a giugno (1.060). Le violenze sessuali invece seguono un percorso diverso: aumentano a maggio (263) e ancora di più a giugno (326), pur mantenendosi sempre al di sotto dei valori di gennaio e febbraio.
Per i reati di minaccia, lesione personale e percosse, “a fronte di un’importante flessione emerge, durante il periodo del lockdown, un lieve aumento dell’incidenza di quelli commessi in ambito familiare”. Ma, anche qui, tutti i valori sono in calo rispetto allo scorso anno. Ci sarebbe da tirare un sospiro di sollievo per un mondo che lentamente migliora ma non è così per gli omicidi volontari: il calo generale rispetto al 2019 (131 omicidi contro i 161 dello scorso anno) stride di fronte alla sciagura dei femminicidi che non solo non accennano a diminuire, ma addirittura aumentano: da 56 salgono a 59. “Mentre nel 2019 le vittime donne costituivano il 35% degli omicidi totali, nel 2020 l’incidenza delle stesse si attesta al 45%”.
Analogo il discorso per gli omicidi in ambito familiare e affettivo: “Pur in diminuzione (73 nel 2019 a fronte di 69 nel 2020), presentano un aumento dell’incidenza (da 45% a 53%) rapportati al totale degli omicidi”. E anche qui “le vittime di sesso femminile passano da 45 a 53, con un’incidenza pari al 77% (62% nel 2019)”.
Infine, aumentano gli omicidi commessi da partner o ex partner, che passano da 32 a 36. “C’è stato un grandissimo impegno durante il lockdown — spiega ancora Delfini – per monitorare gli allarmi nelle case. Ci aspettavamo una diminuzione di tutti i reati e in particolar modo degli omicidi, ma temevamo per la convivenza forzata nelle abitazioni”. Un timore che si è dimostrato concreto, ora che i dati sono nero su bianco.
(da agenzie)
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Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile
SIAMO SEMPRE A BATTERE CASSA IN EUROPA CON LA SPOCCHIA DI CHI SI RITIENE BELLO E INDISPENSABILE E NON E’ DISPOSTO A DISCUTERE CON CHI CHIEDE COME SPENDEREMO I SUOI SOLDI CONCESSI A INTERESSI RIDICOLI
Per guarire da una malattia serve una buona cura, ma anzitutto una buona diagnosi. Nelle ore in cui il presidente del Consiglio lavora a Bruxelles a un’impresa dagli esiti fragili, sul Corriere della Sera un eccellente Federico Fubini ragguaglia sulle ultime previsioni: alla fine del 2021, l’economia tedesca sarà cresciuta del 13 per cento rispetto al 2007, subito prima della crisi del 2008; quella francese sarà cresciuta del 7, quella spagnola del 3, la nostra sarà decresciuta del 9.
Dunque, di chi è la colpa, dell’Europa? Perchè si potrà continuare dilettarsi nel pregiudizio e ritenere la Germania un Quarto Reich monetario, e la Francia l’inaudito nuovo alleato di Berlino che ha aperto i ponti sulla Marna, ma con la Spagna come la mettiamo?
In seguito alla pandemia, l’Europa — che continuiamo a vivere come una controparte, e non un luogo e un’istituzione di cui siamo partecipi, con pari diritti e pari doveri — ha tolto le condizionalità dal Mes e ha sospeso il patto di stabilità , consentendoci, prima chiudendo un occhio e poi lecitamente, di accumulare nell’ultimo anno, da maggio a maggio, altri 175 miliardi di debito pubblico.
È come se avessimo allestito una finanziaria al mese, e sempre a debito.
È come se uno di noi, con un rosso pauroso in banca, avesse ottenuto un ulteriore prestito e tuttavia continuasse a non guadagnare.
Quale banca mai ci allungherebbe un solo quattrino in più?
Eppure siamo lì, con il nostro presidente del Consiglio, ancora a battere cassa — e va bene, Covid ci ha massacrati — ma con la spocchia di chi si ritiene bello e indispensabile, poichè senza Italia l’Unione tracolla, e dunque indisponibili a discutere le esigenze di chi vorrebbe ragguagli su come saranno spesi i denari che chiediamo, e a interessi così fuori mercato da risultare ridicoli.
I famosi quattro “frugali”, detti anche avidi e miopi, vogliono semplicemente assicurarsi che il Recovery Fund non ci servirà a sostenere lo straripante assistenzialismo, unica soluzione alla perdita di ricchezza: mettere soldi là dove non ci sono più soldi, senza nulla di strategico.
E soprattutto a conservare uno stile di vita ingiustificato dai tempi e dai conti. Un esempio. Per andare in pensione in Italia servono mediamente 31,8 anni di lavoro, in Austria (primo frugale) ne servono 37,5, in Danimarca (secondo frugale) 39,9, in Olanda (terzo frugale) 40,5, in Svezia (quarto frugale) 41,9.
Ora, come potranno i premier di Austria, Danimarca, Olanda e Svezia spiegare ai loro Parlamenti e ai loro popoli di avere allungato fondi all’Italia senza nemmeno avere garanzia che non saranno usati anche per finanziare Quota 100?
Come potranno spiegare ai loro Parlamenti e ai loro popoli di avere allungato fondi all’Italia per consentire agli italiani di andare in pensione sei, otto, dieci anni prima?
E ancora: come potrà il nostro Governo mantenere Quota 100, e chiamarlo un nostro diritto, di noi cittadini, e pretendere a pugni sul tavolo che ci sia pagato da quelli che diciamo avidi e miopi?
Come potremo continuare noi tutti a chiamarlo un diritto, quando è un capriccio, figlio della pancia piena e della più devastante ignoranza di quanto succede attorno a noi? Come potremo replicare il fallimento del reddito di cittadinanza, che si è rivelato un buon ammortizzatore sociale, ma un fallimentare investimento?
Come potremo far finta di niente, di nuovo, davanti alla macroscopica evasione fiscale che sottrae miliardi e miliardi allo Stato, e poi quei miliardi li esigiamo da chi il fisco non lo evade?
Come potremo andare avanti con le nazionalizzazioni, o paranazionalizzazioni, e in una guerra inconcepibile all’idea stessa di impresa e non come il sistema per produrre posti di lavoro e dunque tasse con cui alimentare il settore pubblico?
Come potremo continuare con una politica economica del giorno per giorno, dei buchi tappati con un dito, senza un piano di investimenti e di rilancio che oggi ci costa fatica (e sudore e lacrime, ma citare non basta), ma salva il domani, nostro e dei nostri figli?
Arriverà il giorno, e non è molto lontano, in cui ci diranno — lo spiega ancora Fubini — che loro, gli avidi e i miopi, ci hanno provato ancora. Ma non è bastato.
E allora saranno guai seri, per noi.
Il mondo va avanti, anche se noi restiamo indietro. Perchè la crisi siamo (anche) noi.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 18th, 2020 Riccardo Fucile
SI CHIAMA “PATTO PER LA TOSCANA ROBERTO SALVINI PRESIDENTE”, NOME SCRITTO BELLO GROSSO… E’ UN EX LEGHISTA ESPULSO PERCHE’ AVEVA PROPOSTO DI METTERE LE PROSTITUTE IN VETRINA PER INCENTIVARE IL TURISMO, MA 5 ANNI FA RIUSCI’ A FARSI ELEGGERE BATTENDO IN PREFERENZE LA CECCARDI
Di Roberto Salvini abbiamo parlato quando venne sospeso (e poi cacciato) dalla Lega perchè aveva proposto di mettere le donne “in vetrina” per incentivare il turismo, parlando di prostituzione nella commissione sviluppo economico.
Il consigliere del Pd in Regione Monia Monni, che era presente alla riunione, aveva pubblicato un video sui fatti nel quale si sentono le incredibili dichiarazioni di Salvini: “Se mezza Europa ci investe in quell’indirizzo… Non ce lo vogliamo togliere il prosciutto dagli occhi? Io sono stato 20 anni fa alle fiere in Germania, in Olanda è uguale, in Austria è uguale, in Francia è uguale: troviamo le donne in vetrina. È un turismo anche quello. Non dimentichiamoci cos’era… perchè cos’era Montecatini? Cos’è Firenze lungo i viali? Cos’è Viareggio?”.
Ora, fa sapere Repubblica Firenze, potrebbe correre in solitaria come governatore mettendo in difficoltà proprio la Lega:
C’è un Salvini a cui il Pd in Toscana guarda con un certo interesse. E non è Matteo naturalmente ma Roberto. Espulso dalla Lega per le frasi sessiste su un presunto indotto della prostituzione a Montecatini, ora il consigliere regionale eletto 5 anni fa col Carroccio — battendo nelle preferenze, aiutato dal cognome, proprio Ceccardi — si mette in campo per la corsa a governatore in solitaria, fuori dalla coalizione di centrodestra.
Ha registrato una sua lista, verde manco a dirlo il simbolo, amica dei cacciatori e degli agricoltori: si chiama “Patto per la Toscana Roberto Salvini presidente” col nome Salvini scritto bello grosso.
«Destra e sinistra sono al potere da anni, noi siamo l’alternativa. Contro questo modello Pd-Lega-5Stelle» rivendica Roberto. E il Pd spera che la sfida funzioni, portando via voti a Matteo, l’altro Salvini
(da “NextQuotidiano”)
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