Luglio 24th, 2020 Riccardo Fucile
AVVISO DI GARANZIA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE LOMBARDIA PER LA VENDITA-DONAZIONE DA PARTE DELLA SOCIETA’ DEL COGNATO E DELLA MOGLIE
Il governatore della Lombardia Attilio Fontana risulta indagato nell’ambito dell’inchiesta sui camici aperta dalla procura di Milano.
Una notizia che arriva al termine di una lunga giornata sul fronte dell’indagine che riguarda la fornitura di camici della Dama spa, la società di Andrea Dini il cognato di Attilio Fontana. A questo proposito infatti è stato interrogato Filippo Bongiovanni, ex dg di Aria la centrale acquisti del Pirellone.
La vicenda riguarda la fornitura di 75 mila camici venduti al prezzo di sei euro l’uno, assegnata il 16 aprile dalla centrale acquisti regionale.
Per i pm si sarebbe trattato di un’assegnazione senza gara che sarebbe avvenuta in conflitto di interessi, proprio perchè a una società del cognato di Fontana di cui per altro la moglie del governatore detiene una quota del 10 per cento. Un affidamento che solo dopo le domande della trasmissione Report il numero uno di Dama avrebbe provato a trasformare in donazione.
Secondo i magistrati (che hanno aperto un fascicolo per turbata libertà della scelta del contraente) Andrea Dini, anche lui indagato, avrebbe infatti cercato di rivendere a una rsa della provincia di Varese e a prezzo maggiorato, tramite un intermediario, quella parte dei 75mila camici (circa 25mila) che non erano mai stati consegnati al Pirellone.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2020 Riccardo Fucile
“CON QUESTI GRUPPI PARLAMENTARI, E’ LUNICO NOME CHE PUO’ RACCOGLIERE UNA MAGGIORANZA AMPIA”
E se alla fine si arrivasse ad un clamoroso Bis?
ll primo che da corpo all’ipotesi che da mesi gira sottotraccia nei Palazzi è Enrico Letta: “Vuoi — mi dice l’ex premier — un pronostico sul Quirinale? Vuoi il nome che nessuno osa pronunciare? Io te lo posso scrivere in un biglietto nero su bianco…”.
Letta si ferma, sorride, ovviamente sa che ho già capito quale nome ha in mente, ma fa una pausa e poi aggiunge: “Scommetterei qualcosa che alla fine andranno in ginocchio da Sergio Mattarella e gli chiederanno di fare un secondo settennato”.
Chi? “Ma tutti, ovviamente. Forse persino la Lega”.
Ovvio che nel 23 luglio in cui il presidente della Repubblica compie 79 anni, le parole di Letta suonino meglio di una torta di compleanno. E non tanto per l’inquilino del Colle, ma per gli italiani — di destra e di sinistra — che in queste ore lo possono festeggiare come uno dei presidenti più discreti e garantisti della storia repubblicana.
Letta non è tipo da sprecare parole, come è noto. E non è nemmeno un politico di quelli che ogni giorno costruiscono retroscena fantastici da distribuire ai giornalisti con il ciclostile. Se si espone, rivelando per primo quello che molti pensano, un motivo c’è. Mai come nelle prossime Quirinarie, infatti, il problema della rappresentanza politica impatta con quello della necessità di un accordo.
Il settennato di Mattarella come è noto scade nel 2022, ma le grandi manovre iniziano molto prima, sono già in corso. A partire da adesso tutto conta, ogni dettaglio: in primo luogo l’accordo con l’Europa che allontana lo spettro di una crisi anticipata, l’unica vera incognita che avrebbe fatto saltare gli attuali equilibri.
E allora ecco il ragionamento di Letta: “Con un altro Parlamento, ovviamente, tutti i giochi si azzererebbero, tutto si rimetterebbe in gioco — spiega l’ex premier — e ogni pronostico sarebbe impossibile. Ma in questa legislatura, e con questi gruppi parlamentari, non c’è dubbio che, a prescindere da tutti i nomi che inizieranno a circolare, quello di Mattarella è l’unico che può raccogliere una maggioranza ampia, più ampia di quella che lo ha eletto la prima volta”.
E i Cinque stelle? “Se un po’ ho imparato a capirli, in questi anni, potrebbero diventare proprio loro i primi sostenitori del bis”. Proviamo a spiegare il perchè del ragionamento di Letta.
Oltre alla consueta divisione tra destra e sinistra, infatti, il Parlamento del 2018 presenta due grandi anomalie rispetto alle previsioni e alle stime dei sondaggi di queste ore sul prossimo voto politico. In questo Parlamento il M5s è di gran lunga il primo partito sia alla Camera che al Senato. In questo Parlamento il peso di Salvini è quasi la metà di quello attuale, il peso di Forza Italia è quasi il doppio, quello della Meloni è addirittura meno di un terzo, quello del Pd più o meno tre punti superiore a quello del partito renziano, uscito — come è noto — con le ossa rotte dalle urne.
Questi numeri, dunque, dicono che la forbice di fluttuazione della maggioranza non è mai stata così alta e questo disvalore, paradossalmente, diventa un elemento stabilizzante.
Se il M5s fosse ancora al 33 per cento, per dire, spetterebbe tacitamente al partito di Rocco Crimi e a Luigi Di Maio l’onore di indicare un nuovo presidente. E se in virtù di questa scelta la maggioranza giallorossa si scomponesse sul Quirinale (anche se dal punto di vista costituzionale non esiste nessuna relazione) è evidente che ci sarebbe un contraccolpo politico immediato sul governo.
D’altra parte non può ripetersi quello che è accaduto sul Napolitano-bis, con un asse privilegiato Forza Italia-Pd che decide la nomination, sia perchè sono cambiate le leadership e un Nazareno è oggi lontano, sia perchè anche se individuassero un nome comune i due partiti non avrebbero i numeri per imporre una candidatura che raccolga almeno metà dei voti nell’assemblea elettiva.
Terza ipotesi. Esiste la possibilità di un presidente Gialloverde? In linea teorica, dal punto vista algebrico la risposta è ancora una volta si, dal punto di vista politico è assolutamente impossibile, dopo la rottura tra Salvini e Di Maio.
Questo asse politico avrebbe dunque potenzialmente i numeri per affermarsi, ma non la coesione politica: anche in questo caso un minuto dopo imploderebbe il governo. E soprattutto: visto che il contrario è impossibile, ce lo vedete Salvini a votare un candidato a Cinque Stelle?
Altra domanda. Esiste oggi un altro Stefano Rodotà , ovvero un nome che potrebbe mettere insieme una maggioranza giallorossa su un nome gradito al M5s? Se esiste deve essere ben nascosto, perchè è difficile individuarlo, non è tempo di Quirinarie, di innovazioni dirompenti del tipo Milena Gabanelli o Piercamillo Davigo.
Le fluttuazioni impazzite della politica in questi anni hanno esaltato il bisogno di stabilità del Colle. Ancora più difficile — poi — è che si verifichi il contrario e cioè che un candidato del Pd possa raccogliere una maggioranza aggregando i voti dei pentastellati: Dario Franceschini è da anni il più Quirinabile tra i dirigenti del Nazareno, ma quale contropartita potrebbe portare il M5s a votarlo? Stesso discorso per un altro candidato potenzialmente perfetto come Walter Veltroni. Non è in cima ai desiderata del M5s.
Ecco dunque che in questo scenario Mattarella diventa un bene-rifugio che fa quadrare ben tre cerchi: si porta dietro per trascinamento la maggioranza che lo ha votato, ma oggi è diventato un riferimento per il M5s (che solo due anni fa lo contestava).
Il Cursus honorum di Di Maio nelle istituzioni, prima nei panni di vicepremier, poi alla Farnesina, lo ha portato a stretto contatto istituzionale con il capo dello Stato. Allo stesso tempo Mattarella è centrista per vocazione e identità , ma è credibile come uomo di garanzia.
È popolare presso gli italiani (come dimostrano i sondaggi), è del tutto disinteressato per via dell’età , mai — in questi anni — ha creato strappi o ha cercato protagonismi, in questo è diventato l’interprete più fedele del ruolo arbitrale che i Costituenti immaginavano per l’inquilino del Colle.
È anche relativamente “giovane” (per la carica), se si pensa che alla fine degli eventuali sette anni del nuovo mandato sarebbe ancora meno anziano di quando Pertini fini il suo primo settennato. E che — in quell’ipotetico 2029 — sarebbe anche più giovane del giorno in cui Giorgio Napolitano iniziò il suo secondo mandato.
Se l’anno prossimo, sulla torta delle 80 candeline, qualcuno inizierà a scrivere la parola bis, dunque, sarà un bel regalo. Non per lui, però, non per il possibile bispresidente. Ma per noi italiani.
(da TPI)
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Luglio 24th, 2020 Riccardo Fucile
GLI EX DI DESTRA RICOMPENSATI DA INCARICHI… ECCO PERCHE’ PUO’ VINCERE ANCHE SENZA IL M5S
Benvenuti al Sud, colorato, sfrontato, sfacciato come un inscalfibile luogo comune, strabordante come Michele Emiliano che stavolta si gioca davvero le penne e, se perde, va a casa lui, indebolisce Nicola Zingaretti pure il Governo.
E, allora, tutti dentro. Aria da Masaniello che dice “embè”, microfono da Carlo Conti, eccolo alla presentazione delle liste sul prato del Parco dei Principi di Bari, albergo dell’amico Antonio Vasile che, per la cronaca, è anche il vicepresidente degli Aeroporti pugliesi.
Ci sono i comunisti, con tanto di falce martello e stella, i democristiani con lo scudo crociato, i “liberali”, i verdi, ci sono pure i nostalgici del Regno delle due Sicilie, quelli della lista “Sud indipendente”.
E pensionati, pensionati invalidi e partite Iva, 14 liste e pare che arrivi anche la quindicesima. A proposito, gli animalisti, certi che la Puglia sarà “la regione più animalista d’Italia” perchè Emiliano si è impegnato a nominare un assessore al benessere animale. Quattordici, dicevamo, sempre che non cada lo scudo crociato, dopo l’animato carteggio tra “signor Emilio Cugliari” e il “signor Cosimo Tramonte”: il primo è il presidente nazionale della cosiddetta Democrazia cristiana e ha vietato l’utilizzo del simbolo al secondo, il suo coordinatore regionale.
Nella lista “Emiliano sindaco di Puglia” compaiono i seguaci di Pippi Mellone, il sindaco di estrema destra di Nardò, che con Emiliano ha un buon rapporto grazie anche alla pioggia di investimenti arrivati in questi anni per le reti fognarie.
Una foto di qualche giorno fa li immortala, un po’ accaldati, in bicicletta mentre inaugurano una pista ciclabile.
Insomma, è chiaro quale è il punto. Non c’è l’accordo coi Cinque stelle, si rischia la ghirba, occorre candidare la qualunque.
La volta scorsa fu il partito della Nazione, che imbarcò mezza destra. Stavolta è formato “no limits”, ma soprattutto c’è il partito della Regione, con i suoi incarichi e le sue risorse. Il vero comitato elettorale di Emiliano è lì. La mossa ad effetto è Pierluigi Lopalco, pizzetto alla Lenin, aspetto filiforme ma telegenico, austero bacchettatore dei nostri vizi: le distanze non rispettate, le mani non lavate, la prudenza andata a farsi benedire.
Emiliano lo ha voluto prima come consulente per gli affari straordinari legati alla pandemia — il capo della task force per intenderci – e ora lo ha piazzato nella sua lista “Con Emiliano”.
La promessa, urbi et orbi, è che se si vince andrà a fare l’assessore alla sanità , dimettendosi da consigliere. A Bari Lopalco ha presentato il simbolo e la sua candidatura assieme a Fabrizio D’Addario, uno che viene dal centrodestra e ora è l’amministratore unico della Sanitaservice di Bari, una società che fornisce servizi e personale alle Asl, che la giunta sta “internalizzando”.
È venuto già il mondo, perchè si sa come vanno certe cose: in sala c’erano lavoratori, precari, dipendenti in attesa di diventare “interni” e chi volete che votino, se la si mette proprio così, sul tengo famiglia.
Altro consulente per la sanità molto attivo a favore del governatore uscente è Francesco Schittulli. Schittulli la volta scorsa era candidato governatore contro Emiliano, sostenuto da Fratelli d’Italia, dalla lista di Fitto e da Alfano.
È sempre la solita storia: “la salute non ha colore”, si dice, poi ti accorgi che i colori arrivano quando si vota, perchè magari se cambia giunta cambiano anche consulenti.
Che poi, sia consentito un inciso in questo racconto.
Si dice, la destra. Ci si domanda: perchè questa è sinistra? Si conclude con un giramento di testa. A Raffaele Fitto è venuta una fitta al cuore perchè “Rocco non torna”.
Rocco Palese, suo amico, ex fedelissimo, anche lui candidato governatore contro Emiliano, sia pur senza clamori e sottotraccia, sta dando una mano al governatore uscente. Il segnale del patto è stata la nomina di Francesco Ferraro, uomo di Palese, a direttore generale dell’Arif, l’agenzia per la difesa del suolo e attività forestali.
Se tutto va come deve andare per Palese si prefigura un incarico nella sanità leccese. Ora, diciamolo, la si pensi come si vuole ma il sistema è davvero scientifico: funziona “come Cristo comanda” avrebbe detto De Luca a proposito dell’organizzazione taylorista delle cliente. Qui il meccanismo è: vieni da destra, ti do un incarico regionale, poi fai girare le macchine per me.
Proprio così. “Metti a Cassano, vota Emiliano”, con questo slogan Emiliano diventò sindaco di Bari, ai tempi in cui Antonio Cassano (il calciatore) era un giovane fenomeno. Stavolta i goal sono richiesti a Massimo Cassano, una vita in Forza Italia, poi sottosegretario con Alfano, nominato commissario straordinario dell’Arpal, l’agenzia per il lavoro, uno di quei carrozzoni regionali pieni di soldi.
Cassano è il capo dei Popolari per la Puglia, lista della quale fa parte anche Gianni Stea che, per passare dal centrodestra al centrosinistra, è stato ricompensato col posto di assessore all’Ambiente.
Mentre darà una mano ma non si candiderà Alfredo Borzillo, altro che viene da Forza Italia e ora commissario straordinario del Consorzio di bonifica, incappato anche in qualche guaio giudiziario.
Spulciando la lista “Con Emiliano”, invece, compare il nome di Angela Albergo. Indovinate chi è? È la moglie di Simeone di Cagno Abbrescia, ex sindaco di Bari di centrodestra, passato con Emiliano che lo ha nominato presidente dell’Acquedotto pugliese, una di quelle strutture, dicono da quelle parti, che “dà più da mangiare che da bere”. Un budget che fa invidia a un ministero.
Ricapitolando, che sennò non finisce più: 14 liste con fascisti comunisti, democristiani; aeroporti, acquedotto, agenzia del lavoro, sanità . Il voto, come la vil pecunia, non olet. Ma se vinci così, che cambia? Niente, appunto, del cambiamento ne riparliamo.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 24th, 2020 Riccardo Fucile
“NON E’ CREDIBILE, QUANDO ERA MINISTRO A LAMPEDUSA NON HA MAI MESSO PIEDE, ORA VIENE A FARE PASSERELLA”
Critiche anche dal sindaco Lampedusa per la visita di ieri di Matteo Salvini sull’isola.
Visti i nuovi sbarchi che stanno mettendo in difficoltà il territorio, il leader della Lega ha anche affermato che il governo sta provando a “spargere infetti” per giustificare lo stato d’emergenza e la sua proroga.
Tuttavia, Totò Martello non ha apprezzato l’intervento del leader della Lega che ha promesso, con il suo partito al governo, porti chiusi anche sull’isola.
«Salvini — ha detto Martello — dimentica che l’anno scorso al governo c’era lui. Io l’ho sempre inviato qui quando era ministro, ma non è mai venuto da titolare del Viminale. La verità è che non può dire che quando ci sarà la Lega al governo i porti a Lampedusa saranno di nuovo chiusi. È una bugia, perchè la Lega al governo c’è stata già e i porti sono rimasti aperti».
Il sindaco Totò Martello, indipendente di centrosinistra, non ha mai negato le difficoltà a cui l’isola ha dovuto far fronte ogni qualvolta si manifestava uno sbarco. Tuttavia, non si trova sulla linea d’onda di Matteo Salvini che la vorrebbe rendere off limits.
«Da ministro dell’Interno — ha chiuso il sindaco — non è mai stato qui, nonostante i ripetuti inviti. Gli ho scritto diverse lettere senza ricevere nessuna risposta, nè formale nè informale, l’ho invitato ma non è venuto. Che scopra ora qual è la situazione qui la dice lunga… mi sembra un po’ un paradosso, quanto meno poco credibile».
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2020 Riccardo Fucile
I SOLITI DELINQUENTI SOVRANISTI CONTINUANO AD ISTIGARE ALL’ODIO RAZZIALE SUI SOCIAL DIFFONDENDO BALLE
Un video dove diverse persone dalla pelle nera protestano vistosamente lanciando oggetti e gettando la spazzatura a terra, pubblicato il 4 luglio 2020, ha superato ad oggi le 27 mila condivisioni Facebook raccogliendo numerosi commenti di vario genere, ricchi di razzismo e odio ingiustificato verso la storia reale che lo riguarda.
Achille, l’utente che ha deciso di pubblicarlo, commenta il video con un evidente riferimento politico: «Oohh! Finalmente al lavoro! Grazie Lamorgese. Grazie Bellanova».
Si tratta di un esempio di pura disinformazione sul tema immigrazione.
«È indescrivibile l”arroganza e l”ignoranza di questi esseri umani che vogliono per forza solo mangiare e divertirsi alle nostre spalle», commenta Domenico. L’utente Quinto, nella sua condivisione, va ben oltre: «Lanimaccia loro e de chi permette tutto questo schifo, poi di senti dire ma tu sei razzista a queste condizioni anche di piu’ li metterei tutti davanti al muro, e tanto piombo caldo».
Giuseppe, condividendo il post di Achille, scrive infine: « Politici vi rendete conto che fascia di persone sono autorizzati ad entrare nel nostro territorio. Se fanno questo nel loro paese gli tagliano le palle». Ebbene, Giuseppe e gli altri dovrebbero sapere che il video non è stato filmato in Italia ma “nel loro paese” e di fatto non si può sostenere che le persone riprese siano degli immigrati giunti in Italia.
Le riprese risalgono al mese di ottobre 2018 e si trattava di una protesta non pacifica contro le autorità locali del comune di Stellenbosch, in Sudafrica, per una sentenza non gradita.
Il video era stato pubblicato nel 2018 da Giovanni Barbagallo, ex consigliere comunale di Giarrè, per poi diventare virale nel dicembre dello stesso anno.
Già all’epoca il politico affermava che si trattava di immigrati giunti in Italia:
Il post dell’utente Achille viene tutt’ora condiviso non solo in Italia, ma anche da utenti all’estero. Troviamo, infatti, condivisioni da parte di utenti del Belgio e del Portogallo, tutto grazie a una totale mancanza di informazione da parte di Achille e di altri in passato.
(da Open)
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Luglio 24th, 2020 Riccardo Fucile
DALLE BOMBE AL PLAUSO, CAMBIA L’APPROCCIO DI CONFINDUSTRIA CON IL GOVERNO… ORA DIPENDE DA COME VERRANNO SPESI
“Questa politica rischia di fare più danni del Covid”. Era il 30 maggio scorso e Carlo Bonomi, presidente degli industriali, toccò il livello più alto di critica e scontro col governo, a cui fece seguito una sfilza di richieste presentate a Giuseppe Conte durante gli Stati Generali dell’Economia, convocati dal premier a Villa Pamphili qualche settimana dopo.
Da quell’incontro in poi però l’approccio di Confindustria è cambiato e non di poco: dal bombardamento al plauso in due step.
Prima infatti Bonomi ha scelto un “vigile” silenzio, in attesa di capire come sarebbe andata la trattativa europea sul Recovery e poi – appurato il successo – ha espresso un certo apprezzamento per i 209 miliardi in arrivo, per il tramite di una nota ufficiale, di fatto facendo una prima vera apertura di credito a Conte e la sua squadra. Draghi o eventuali riserve della Repubblica possono aspettare per ora.
Il cambio di direzione di Bonomi lo si può spiegare con quel sano pragmatismo lombardo di cui la nuova gestione di viale dell’Astronomia vuole fare la stella polare. Poca tattica politica, molta rappresentanza degli interessi delle imprese e, ovviamente, del sistema produttivo italiano.
“E’ tutto molto semplice: Bonomi ha criticato il governo, anche con toni duri, perchè le prime risposte all’emergenza economica del Covid si sono tradotte in soldi a pioggia e assistenzialismo senza criterio mentre c’era bisogno di mettere la testa a un serio piano di investimenti – ci spiega chi ha consuetudine con i vertici confindustriali -. Ora invece ci sarebbero tutte le condizioni, visto che i soldi del Recovery Fund, almeno stando alle prime dichiarazioni ufficiali, verranno destinati alla green economy, all’innovazione digitale, al 5G e all’ammodernamento delle infrastrutture. Ovviamente tocca vigilare”.
Neanche l’obiezione che nel frattempo l’esecutivo si appresta a varare altri 25 miliardi di assistenza in cassa integrazione, bonus e trasferimenti a Regioni e Comuni spiace a Confindustria (portando il totale quest’anno sopra i 100 miliardi).
“In una situazione emergenziale come questa ci sta che lo Stato si faccia carico della tenuta sociale del paese – continua la fonte -. Non è questo il problema. L’importante è che accanto all’assistenza ci siano anche le risorse per far ripartire il paese. I 209 miliardi del Recovery Fund servono a questo. E siccome arriveranno solo l’anno prossimo, per quest’anno c’è bisogno di attivare i fondi del Mes”.
Insomma, gli industriali per ora hanno fatto pace col governo.
Anche perchè negli ultimi tempi è cresciuta l’interlocuzione con i suoi membri, non solo il premier Conte.
Due nomi su tutti, uno del Pd e uno di M5s: il ministro dell’Economia Gualtieri e quello dello Sviluppo Economico Patuanelli. Tanto che dentro l’associazione nessuno ormai si sogna più di immaginare scenari alternativi di governo, Draghi premier o chi per lui.
“In Lombardia, Piemonte e Veneto l’indicazione è unanime: bene Conte, per ora non c’è bisogno di cambiare cavallo. Tutto poi dipenderà da come questi soldi verranno spesi”, conclude la fonte. Appunto, come verranno spesi i 209 miliardi? E il premier a settembre riuscirà a convincere i 5 stelle a prendere i 37 miliardi del Mes?. La durata della pace fra Bonomi e Conte dipende dalla risposta a queste due domande.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 24th, 2020 Riccardo Fucile
SOVRASTA TUTTI CON 2 ORE E 13 MINUTI DI PARLATO DAVANTI A SGARBI, PARAGONE E TREMONTI… IL PRIMO CINQUESTELLE E’ DI MAIO CON 38 MINUTI
Salvini è il re di Mediaset.
Giandomenico Crapis sul Fatto Quotidiano spiega oggi che il capo della Lega da maggio è
tornato al comando in video e voce. Ancora una volta grazie all’apporto dei talk di Rete4, e non solo, dove sovrasta tutti gli altri con 2 ore e 13 minuti di parlato, davanti a Sgarbi, Paragone e Tremonti; il primo giallorosa è Di Maio con 38 minuti, figuratevi.
Certo, pure le altre reti non si sottraggono alla seduzione dell’uomo del Papeete, visto che Rai3 gli regala la primazia nei suoi programmi per il secondo mese consecutivo, mentre La7 dopo averlo fatto a maggio ha pensato che non fosse il caso di insistere nonostante le compiacenze di Giletti.
Sempre per Mediaset se qualcuno pensasse a un riequilibrio sulle altre reti verrebbe smentito: su Canale 5 primeggia la Meloni (1 h 24’di parlato nei talk). Altro che Rai, a Mediaset la lottizzazione non esiste.
Se si guarda poi al complesso delle sette reti principali, Salvini parla nei Tg e nei talk per oltre 8 ore, più di Conte che si ferma a 7; il primo leader della maggioranza (si fa per dire) è Renzi con 3 ore e mezza, meno della metà , mentre anche per Holmes sarebbe difficile ritrovare tracce di Di Maio e Zingaretti (96 e 65 minuti rispettivamente).
Le novità riguardano l’ascesa di Gualtieri che è dietro Salvini e Conte, ma prima di Renzi e Meloni, e la new entry di Calenda
Elaborando i numeri che l’Agcom ha appena prodotto (ma di cui ci eravamo occupati su questo giornale in passato) viene fuori che nei tre tg Mediaset vige il regime del latifondo, considerato che il partito che ha più voce è sempre Forza Italia: un totale di 16 h e 20′, più del premier, della Lega e quasi il doppio del Pd.
Nel Tg4 lo squilibrio è clamoroso: da settembre a maggio FI è sempre il primo partito e da sola realizza spesso più di premier e governo messi insieme!
Nel trimestre della crisi, con il governo sovraesposto, Conte e i ministri parlano al Tg4 per 3 ore e 11′, mentre gli azzurri per 3 ore e 31 minuti! Al Tg5, che è l’organo d’informazione più importante del paese dopo il Tg1, il quadro cambia di poco: tra settembre e maggio FI parla per 4 h2 8′, la Lega 4 h 06′; distanti il M5S (2 h 35′) e il Pd (2 h 32′).
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 24th, 2020 Riccardo Fucile
GLI ARRESTATI DAVANTI GIP, GLI SPECIALISTI DEL RIS IN CASERMA
Nel giorno degli interrogatori dei carabinieri arrestati a Piacenza, il comando generale dei carabinieri ha disposto il trasferimento dei vertici locali dell’Arma: a partire da oggi hanno lasciato l’incarico il comandante provinciale Stefano Savo, il comandante del reparto operativo Marco Iannucci e il comandante del nucleo investigativo Giuseppe Pischedda
.I tre non sono coinvolti al momento nell’inchiesta ma la decisione è stata presa, sottolineano fonti dell’Arma, “da un lato per il sereno e regolare svolgimento delle attività di servizio, dall’altro per recuperare rapporto di fiducia tra la cittadinanza e l’Arma”.
Ieri in città era arrivato il nuovo comandante della compagnia di Piacenza, il capitano Giancarmine Carusone, in sostituzione del maggiore Stefano Bezzeccheri, sospeso da mercoledì insieme agli altri nove militari indagati.
Non solo. E’ previsto per la prossima settimana un sopralluogo dei carabinieri del Ris di Parma all’interno della caserma Levante, finita sotto sequestro. Gli specialisti hanno ricevuto l’incarico per una perizia tecnica, dovranno cercare tracce biologiche ed ematiche che potrebbero essere connesse con i pestaggi, e non solo, avvenuti nei locali.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2020 Riccardo Fucile
LE RIVELAZIONI DI UN PUSHER SVELANO NUOVI DETTAGLI SUL MODUS OPERANDI DEI CARABINIERI DELLA LEVANTE: AGLI INFORMATORI IL 10% DEI SOLDI E DELLA DROGA SEQUESTRATA
Prostitute pagate con la droga, informatori che ricevevano il 10% dello stupefacente e dei soldi sequestrati in cambio delle soffiate e incontri nell’appartamento di “Nikita”, trans di origini brasiliane, che gestiva una casa d’appuntamenti nel piacentino.
Sono rivelazioni scioccanti quelle fatte da un giovane magrebino ai pm Matteo Centini e Antonio Colonna che indagano sul gruppo di carabinieri infedeli di Piacenza.
Hamza Lyamani è il grande accusatore di Giuseppe Montella e degli altri militari della caserma Levante. E’ lui ad aver raccontato tutto al maggiore Rocco Papaleo (comandate della compagnia di Cremona) ed è sempre lui che, subito dopo, ha fornito i dettagli ai magistrati. Storie che Lyamani cone bene, perchè anche lui era un “collaboratore” dell’appuntato considerato il capo delle divise sporche.
Il giovane marocchino spiega tutto fin dall’inizio: “Montella in modo molto esplicito mi ha detto che se avessi avuto qualche operazione cotto e mangiato, ossia senza svolgere indagini lunghe, una parte del denaro e dello stupefacente poteva essermi data quale compenso”.
In particolare “mi diceva che la mia parte, nel caso di informazione positiva, sarebbe stata pari al 10%”. Un accordo iniziato alla fine del 2016-inizio 2017 e durato 3 anni. Da quel momento Lyamani, per dirla con le parole dell’appuntato, è “sotto la sua cappella” (diventa un suo protetto).
Ogni volta che lo spacciatore segnalava un altro pusher arrivava il 10% dei soldi e della droga sequestrata: “Posso dire che la droga viene conservata all’interno di un barattolo in caserma”. Montella al momento di consegnare quanto spettava allo spione “lo agitava per far capire che era quasi vuoto e che c’era bisogno di altre informazioni per poterlo riempire…”.
In caserma quel barattolo lo chiamavano “la terapia”. Per avere altre soffiate da girare ai carabinieri il magrebino si rivolge “al transessuale Nikita”. La notizia viene girata a Montella e un altro spacciatore finisce nella rete degli aguzzini in divisa: “Al momento dell’arresto lo hanno picchiato forte ed è stato 3 giorni in ospedale con la vigilanza dei Carabinieri”.
Lyamani racconta anche gli aspetti più squallidi del gruppo di carabinieri: alcuni militari della Levante “conoscevano e frequentavano prostitute della città , tra le quali i transessuali che esercitavano in un appartamento gestito da uno di loro. Il nome di “Nikita” è ben noto nell’ambiente.
Scrive il Gip, Luca Milani: “Era stato quest’ultimo, una volta, a rivelare a Lyamani che essi avevano molti amici in comune, tra cui il maresciallo Marco Orlando (comandate della stazione, ndr), dicendogli che anch’essa si recava alla caserma di via Caccialupo per ritirare la “terapia””.
Aggiunge il giudice: “Il marocchino sapeva che anche tale “Valeria”, una ragazza russa o ucraina, era solita ricevere da Montella della droga presso la stazione carabinieri, ricompensandolo con prestazioni sessuali”. Lo stesso Montella, infine, “aveva confessato a Lyamani che a volte si serviva della cocaina sequestrata durante le operazioni di polizia per organizzare dei festini a casa sua”.
(da agenzie)
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