Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
ECCO COME FUNZIONA: I PRESTITI VANNO RESTITUITI IN 30 ANNI, DAL 2027 AL 2058… L’ITALIA POTRA’ AVER A INIZIO 20121 UN ANTICIPO DI 20,9 MILIARDI.. LE RIFORME RICHIESTE PER TUTTI I PAESI: GIUSTIZIA, FISCO E LAVORO
I soldi che l’Italia avrà dal Recovery Fund sono in tutto 209 miliardi, tra prestiti e risorse a fondo perduto, ma cosa dovrà fare il Governo per farli arrivare nelle casse dello Stato? Quali riforme bisogna mettere sul piatto?
E se un Paese ritiene che stiamo facendo i furbi, fino a che punto può bloccarci?
La svolta è nel meccanismo che sta alla base del Recovery Fund. Per la prima volta nella storia, infatti, i 27 Paesi membri dell’Unione europea danno mandato alla Commissione di indebitarsi a loro nome per una cifra record di 750 miliardi.
In pratica questi soldi saranno raccolti sui mercati e poi distribuiti ai singoli Paesi sotto forma di prestiti (360 miliardi) e sussidi (390 miliardi).
Ma a pagina 1 delle conclusioni del Consiglio europeo che ha raggiunto l’intesa c’è scritto che la strategia anti Covid è “limitata nel tempo” perchè il quadro base è e resta il quadro finanziario pluriennale, cioè il bilancio 2021-2027 che pur subisce modifiche proprio per l’innesto del Recovery Fund.
I soldi. Quando arrivano?
La gamba più pesante del Recovery Fund è il Fondo per la ripresa e la resilienza con 672,5 miliardi. I soldi saranno distribuiti ai vari Paesi tra il 2021 e il 2023.
Con quale cadenza? Il 70% dei soldi va impegnato dall’Europa nel 2021-2022, mentre il restante 30% deve essere impegnato entro la fine del 2023. Quindi l’Italia avrà circa 146 miliardi nei prossimi due anni, mentre i restanti 63 miliardi arriveranno nel 2023.
Una novità dell’ultim’ora è il prefinanziamento del 10%: questa fetta di soldi arriverà prima di tutti gli altri.
Sempre nel 2021, ma sarà un anticipo rispetto al resto delle risorse che dovranno passare dal meccanismo dei controlli. La condizione, però, è che questi soldi siano utilizzati per misure che siano coerenti con il programma generale.
Per l’Italia l’anticipo si traduce in 20,9 miliardi e questi soldi possono coprire le spese sostenute a partire da febbraio di quest’anno. In pratica questi soldi potranno essere utilizzati per coprire una parte delle spese imposte dal Covid.
Come funzionano i rimborsi, la tara tra i soldi ricevuti e quelli da dare
La parte dei soldi presi a prestito (per l’Italia sono 127,4 miliardi su 202 miliardi) andrà rimborsata a partire dal 2027.
Sarà un rimborso graduale perchè ci sarà tempo fino al 31 dicembre 2058.
Anche la parte dei soldi a fondo perduto (la quota italiana è di 81,4 miliardi) va inquadrata in un meccanismo di dare-avere. Perchè se è vero che all’Italia andranno 81,4 miliardi è pur vero che l’Italia, come tutti gli altri Paesi, dovrà poi partecipare al rimborso comunitario relativo al Fondo.
I 750 miliardi, infatti, sono soldi che il mercato presta e l’Europa deve quindi restituirli. E per restituirli ci sono due meccanismi: le tasse, come quella sulla plastica, e i contributi che ogni Paese dà al bilancio comunitario.
La stima dei soldi che l’Italia dovrà dare in termini di contributo è di 40,6 miliardi. Per questo tra dare e avere quello che resterà in Italia saranno circa 40 miliardi di soldi a fondo perduto.
Il criterio della ripartizione
Il criterio guida per i soldi che saranno erogati nel 2021 e nel 2022 è quello della disoccupazione relativa al periodo 2015-2019: più è alta, più soldi arrivano.
Nel 2023 si cambia: il criterio sarà la perdita del Pil nel 2020 e quella cumulativa, sempre del Pil, nel 2020-2021. Inquadrata nell’ottica italiana, il secondo tempo sarà migliore del primo.
Quindi il vantaggio maggiore sarà nel 2023 perchè il Pil, proprio secondo le stime della Commissione europea, avrà un trend molto negativo nei prossimi due anni. Il cambio del criterio è arrivato sul filo di lana e proprio per questo motivo l’importo dei prestiti in favore dell’Italia è risultato alla fine maggiore rispetto a quello previsto inizialmente.
I requisiti del piano italiano per avere i soldi. Quali riforme e quali impegni?
Ogni Paese, e quindi anche l’Italia, deve preparare un piano nazionale, quello comunemente definito Recovery Plan. Un piano triennale (2021-2023) che andrà presentato in autunno e che tuttavia, se giudicato idoneo, non garantirà l’erogazione totale dei soldi. Uno dei punti delle conclusioni, infatti, specifica che i piani “saranno riesaminati e adattati, ove necessario, nel 2022 per tenere conto della ripartizione definitiva dei fondi per il 2023”.
Questo significa che la fetta del 30% dei soldi, che sarà distribuita nel 2023, potrebbe essere vincolata a una revisione del piano.
Ma l’Italia cosa dovrà fare?
Come tutti gli altri Paesi dovrà presentare un piano coerente con le raccomandazioni specifiche che la Commissione dà a ogni singolo Paese. Al punto A19 delle conclusioni, infatti, si legge che il piano per la ripresa sarà valutato dalla Commissione entro due mesi dalla presentazione. Sarà quindi novembre-dicembre.
Ma soprattutto c’è scritto che nella valutazione il punteggio più alto “deve essere ottenuto per quanto riguarda i criteri della coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese”. Il riferimento alle raccomandazioni è qui.
Considerando che quelle del 2020 non valgono per via del Covid, bisogna andare a riprendere quelle del 2019.
Eccole le richieste: contrasto all’evasione, alla corruzione e al lavoro sommerso, ma anche riduzione dei tempi della giustizia e politiche attive per quanto riguarda il mondo del lavoro. Soprattutto c’è una riduzione della spesa pubblica che deve portare a una correzione strutturale (quindi a una manovra) pari allo 0,6% del Pil.
E poi le entrate straordinarie devono andare ad abbattere il debito, ma è necessario anche tagliare le agevolazioni fiscali e “razionalizzare” le aliquote Iva. Tradotto: l’Italia deve fare una riforma della giustizia, ma anche una del fisco e una del lavoro.
Tra gli elementi che impattano sulla valutazione positiva ce ne sono di altri altrettanto impegnativi: il potenziale di crescita, la creazione di posti di lavoro e “la resilienza sociale ed economica dello Stato membro. E anche “l’effettivo contributo alla transizione verde e digitale” rappresenta una condizione preliminare per ottenere il disco verde.
Come funzionerà il giudizio dell’Europa sul piano italiano
La valutazione del piano dovrà essere approvata dal Consiglio, a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione. Il via libera è un atto di esecuzione che il Consiglio adotta entro un mese dalla proposta. Ma bisogna soddisfare i target intermedi e finali. Perciò la Commissione chiederà al Comitato economico e finanziario se questi target vengono conseguiti.
Il freno
Uno o più Stati membri, però, potrebbe dire: no, così non va. “In via eccezionale” è scritto sempre nelle conclusioni, ma l’eccezione è comunque una possibilità e come tale può essere quindi esercitata. Un Paese può dire che ci sono “gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali”.
Può allora chiedere che il presidente del Consiglio europeo rinvii la questione al successivo Consiglio europeo. In caso di rinvio c’è una strada tenue nel senso che la Commissione non prenderà nessuna decisione sul conseguimento dei target fino a quando “il prossimo Consiglio europeo non avrà discusso la questione in maniera esaustiva”.
Ma non potrà prendere tempo all’infinito. Anzi. Potranno passare al massimo tre mesi dal momento in cui la Commissione ha chiesto il parere del comitato economico e finanziario.
(da agenzie)
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Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
LA GESTIONE DEI MILIARDI EUROPEI ALLONTANA LA CRISI, MA ORA SERVONO VISIONE E RIFORME CONCRETE… IL LEGHISTA INCAPACE DI UN CAMBIO DI PASSO DISVELA LA NATURA DI ANTI-ITALIANO
E adesso comincia la fase più difficile, in cui l’Italia dovrà dimostrare di essere all’altezza della sfida e il premier di avere in casa, con la sua riottosa maggioranza, la stessa abilità negoziale, determinazione e tenuta dimostrate in trasferta con Rutte, nel corso del vertice europeo.
È questo il senso delle raccomandazioni del capo dello Stato nel corso del colloquio con Conte, riassunto in un avverbio “rapidamente” e in due aggettivi: “concreto” ed “efficace”.
Questi i requisiti che deve avere il piano di interventi che nelle prossime settimane e mesi il governo dovrà varare per ottenere un piano di finanziamenti davvero senza precedenti nella storia della Repubblica.
Ecco, il senso del breve colloquio è di una sollecitazione a fare presto e bene, senza indugiare in trionfalismi.
Sollecitazione pari alla soddisfazione non solo per il risultato italiano, ma più in generale per la fase nuova che si è aperta in Europa capace, al dunque, di muoversi dentro una sfida più avanzata che sarebbe sbagliato vedere solo con gli occhi provinciali del successo di uno contro l’altro.
Un salto di qualità multifattoriale, reso possibile innanzitutto dalla coraggiosa inversione a U di Angela Merkel che, di fronte a un passaggio cruciale, non si è limitata ad assecondare i desiderata del suo elettorato, ma lo ha guidato verso l’accettazione della scelta più giusta: l’accettazione di un bilancio sovrano, di una propria capacità impositiva, di fatto, anche se non si chiamano così, di fatto gli eurobond per venire in aiuto dei paesi colpiti dalla pandemia.
C’è un dato storico, non solo tattico, in questo passaggio che, proprio per la sua entità , squaderna la crisi politica, strategica di un pezzo del sovranismo nazionale.
Per la prima volta, nonostante la bestiale macchina di propaganda leghista, sotto i tweet del leader della Lega compaiono commenti che colgono l’essenza delle dichiarazioni di questi giorni di Matteo Salvini, gergali ma efficaci, come la parola “rosicone”.
Nelle dichiarazioni di chi, sempre e comunque, deve andare contro, anche di fronte a risultati rilevanti per il paese prima ancora che per il governo, c’è l’incapacità di un cambio di passo e il paradosso di un sedicente campione della sovranità nazionale che si appiattisce su uno spartito anti-italiano.
Posizione resa ancor più paradossale dopo che il suo omologo europeo Orban, proprio in ossequio al principio dell’interesse nazionale, si è trasformato momentaneamente e per motivi tattici in un alleato di Conte nell’ambito del duro negoziato.
Quella di Salvini è qualcosa di più di una “sconfitta” contingente, è la difficoltà di fondo di un leader incapace di aggiornare la sua strategia all’evoluzione della situazione concreta.
La verità è che, sin dalla sospensione del patto di stabilità , l’Europa ha posto in essere una serie di iniziative che smontano la narrazione di una costruzione politica matrigna, egoista, rigorista, lontana dai popoli, governata dai burocrati e dalla finanza. Il nemico da abbattere è diventato una risorsa e questo elemento è stato introiettato non solo dalle elite e dall’establishment, ma anche a livello di sentire comune.
Da oggi ci sono tre destre, perchè la vera novità non è solo Berlusconi, il cui atteggiamento “responsabile” sui dossier della politica europea è agli atti da tempo, ma Giorgia Meloni che, proprio sul recovery fund, ha declinato il concetto di interesse nazionale da difendere in modo molto diverso rispetto al leader della Lega.
Il che, come evidente, rende palese l’assenza di un’alternativa credibile e compiuta al governo in carica.
Diciamo le cose come stanno: questa vicenda chiude, in modo brusco e radicale, tutte le ipotesi, gli spifferi e i sospiri attorno a una eventuale crisi di governo, perenne sottofondo del dibattito politico italiano. Perchè l’alternativa è impotabile. E perchè non si è mai visto al mondo che un governo entra in crisi quando ci sono, sia pur in prospettiva, ingenti risorse da gestire per ricostruire il paese.
Resta aperto, invece, proprio il tema al centro del colloquio al Quirinale: l’urgenza di una visione e di un’idea di cambiamento profondo del paese, a proposito del quale il premier ha parlato, ancora una volta, di una task force, stavolta per il “rilancio”.
E resta il tema dell’autunno, perchè la disponibilità delle risorse non è immediata e l’enfasi sulla “valanga di soldi in arrivo” rischia solo di eccitare le aspettative di un paese stremato dalla crisi, senza avere ancora la cassetta degli attrezzi per affrontarla. Il che equivale, tra le altre cose, a dire Mes, che peraltro ha meno “condizionalità ” del recovery fund per cui servono tempo e riforme vere in cambio, efficaci e strutturali. La tentazione di Palazzo Chigi di rinunciare a un antipasto subito perchè ci sarà una grande abbuffata domani rischia già di incagliare di nuovo la discussione sull’interesse nazionale nelle secche del dibattito nostrano. Disvelando che è più facile domare Rutte che Di Battista e i feticci ideologici pentastellati.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
GIUSEPPE CONTE E I 209 MILIARDI DEL RECOVERY FUND, PARABOLA DI UN PREMIER ABILE NELLA TATTICA CHE HA DATO IL BENSERVITO A SALVINI E DI MAIO… ORA VIENE IL DIFFICILE
Chi non ricorda il debutto da perfetto prestanome, o meglio presta-premier, di Giuseppe Conte? Era il 7 giugno 2018, discorso d’insediamento del primo governo populista a Montecitorio, l’allora sconosciuto ai più Avvocato del popolo a un tratto si rivolge a Luigi Di Maio, seduto alla sua destra, chiedendo candidamente “Questo lo posso dire?”, incassando una risposta secca e inequivocabile: “No”.
Una scena rivelatrice dei rapporti di forza con i due vicepremier, quello grillino e il leghista Salvini, veri deus ex machina dell’esecutivo gialloverde.
Sono passati poco più di due anni, tutto è cambiato, la maggioranza di governo, il governo stesso, ma lui, Conte, non solo è ancora lì ma ecco che lo si vede tornare in Italia da un estenuante negoziato durato 4 giorni con i colleghi europei con ben 209 miliardi nel portafogli. In 24 mesi il carneade si riscatta e si prende il suo ruolo, una volta octroyè, ora invece conquistato.
La verità è che il premier, proprio per il modo in cui è stato designato a palazzo Chigi, in questi due anni è stato ampiamente sottovalutato, uno degli errori che qualunque politico – e qualunque cronista – farebbe bene a non commettere.
Lo sa bene Matteo Salvini, che l’estate scorsa in preda all’euforia post-elettorale delle Europee – con la Lega al 34% – tentò il colpo grosso puntando allo scalpo del giurista pugliese, fra Dj set al Papeete e richieste di “pieni poteri” a Sabaudia.
Risultato? In un mese la Lega fuori dal governo, ricacciata all’opposizione, e il buon Giuseppe ancora al suo posto, a guidare il Conte 2, passando con grande nonchalance dalla politica dei porti chiusi alla rivendicazione della sua formazione da cattolico democratico, accreditandosi come figlio legittimo di una delle aree culturali da cui nacque nel 2007 il Partito Democratico, guarda caso nuovo partner di maggioranza.
E dopo Salvini, non c’è dubbio, Conte ha poi agevolato un altro declino, quello dell’altro dioscuro gialloverde. Con le dimissioni da capo politico M5s di Luigi Di Maio, Conte è infatti rapidamente diventato punto di riferimento per un Movimento senza più una bussola politica e in preda a una lotta senza quartiere fra gruppuscoli e fazioni in vista del redde rationem dei prossimi Stati generali.
In questo c’è da riconoscere una certa abilità tattica del premier, che ha saputo scegliere i suoi due numi tutelari, Beppe Grillo e Nicola Zingaretti, su cui poggiare la sua leadership extraparlamentare (guarda caso extraparlamentari anche loro due).
C’è da riconoscere la capacità di aver giocato bene l’emergenza Covid, che al di là dell’immane tragedia ha fatto di lui un Presidente del Consiglio popolare fra gli italiani. C’è da sottolineare l’intelligenza nel trovare le alleanze giuste in Europa, scommettendo su una Merkel che fino a qualche mese fa, in epoca pre-Covid, si è sempre dimostrata più rigorista di qualsiasi Rutte. E poi c’è anche l’elemento fortuna, per carità : la concatenazione degli eventi dimostra che a Conte il famoso stellone italico ha arriso e non poco.
Detto questo, però per Conte adesso viene il bello. Anzi, il difficile: avere polso e visione. Tornato in patria dopo le 92 ore di negoziato, si trova comunque a gestire una maggioranza che è sempre traballante nei numeri e sfilacciata nelle proposte. A cominciare dal tormentone dei tormentoni: il Mes.
Il premier sa bene che i soldi del Recovery Fund nella migliore delle ipotesi arriveranno la primavera prossima. Da qui ad allora, i margini di bilancio per fare nuovo deficit – e quindi nuovo debito da cercare sui mercati – saranno sempre più stretti, se non chiusi del tutto: molto probabilmente il terzo scostamento da 20 miliardi che il governo chiederà al parlamento entro fine mese sarà l’ultimo possibile per quest’anno.
Quindi, se serviranno altri soldi non c’è che il Mes, e su quel tema le cose non sono cambiate per ora: per la contrarietà dei 5 stelle, o almeno una parte rilevante di essi, i numeri al Senato non ci sono.
E poi, al di là del Mes, la vera sfida che si schiude davanti a Conte è ancora un’altra, ancora più complicata: riuscire a spendere bene i 209 miliardi conquistati in Europa in modo efficace ed efficiente, senza dare soddisfazione agli appetiti politico-elettorali dei partiti di maggioranza.
Anche perchè i soldi del Recovery Fund non saranno gratis, un po’ perchè la parte più consistente sono sotto forma di prestiti e un po’ perchè anche quando si parla di sussidi l’Europa vuole la garanzia che siano utilizzati davvero per combattere la crisi da Covid e fare le riforme per rendere l’Italia competitiva e moderna.
Insomma, non poca cosa visto che di riforme, promesse e mai realizzate, nel nostro paese si parla da almeno 30 anni, da quando abbiamo intrapreso la strada di un lento declino. E il solo stellone sicuramente non basterà .
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
LA MOGLIE DI CALDEROLI AL VELENO: “IL PARTITO DI SALVINI, QUELLO CHE UNA VOLTA ERA LA LEGA”
Gianna Gancia è europarlamentare della Lega oltre che moglie di Roberto Calderoli. Da qualche ora su Twitter gira un post che le è stato attribuito in cui l’ex presidente della provincia di Cuneo si schiera dalla parte del governo sul Recovery Fund: “Sin dall’inizio sono stata l’unica, all’interno del partito di Salvini (quella che un tempo era la Lega) a sostenere convintamente nel centrodestra (insieme a qualche collega di Forza Italia) la necessità di un accordo ambizioso sul Recovery Fund. È stato fatto un grande lavoro diplomatico da parte dell’Italia. Cosa diranno ora Matteo e la Giorgia Nazionale? Che spieghino agli italiani da dove avrebbero preso i soldi, loro”.
Il post attacca Salvini dicendo che il suo partito “era un tempo la Lega” — e quindi accusandolo, come hanno fatto altri, di tradire le istanze e le battaglie sulla cui base era nato il Carroccio — e poi elogia addirittura il governo, facendo persino al Capitano così come a Meloni — che in verità oggi è stata più moderata nel giudicare l’accordo — dove avrebbero trovato i soldi per il rilanc
Tra i commenti al post precedente c’è chi in effetti la accusa di aver rimosso un post (ovvero proprio quello di cui stiamo parlando)
L’eurodeputata non ha smentito di essere effettivamente l’autrice del post e le sue parole, se confermate, sono prova diretta della grande tensione delle ultime ore nel centrodestra.
(da agenzie)
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Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
PER AVERE PIU’ SICUREZZA CI VOGLIONO PIU’ CONTROLLI, MA LUI I CONTROLLI NON LI VUOLE, QUINDI NON VUOLE PIU’ SICUREZZA PER I LAVORATORI: FINE DELLA PAGLIACCIATA QUOTIDIANA
La morte di due operai a Roma, precipitati da un’altezza di 20 metri, ha colpito senz’altro tutti e anche Matteo Salvini ha voluto ricordare le famiglie di quelle che comunemente vengono indicate come morti bianche.
Nella giornata di ieri, il leader della Lega ha scritto su Twitter: «Due preghiere per i lavoratori deceduti e le loro famiglie, ma non basta: bisogna investire di più e meglio per la sicurezza sui luoghi di lavoro, non si può morire così».
Un ragionamento perfettamente condivisibile. Già i costi del lavoro in Italia sono altissimi, per gli imprenditori e anche per i lavoratori: i primi pagano molte tasse, i secondi — schiacciati da questo meccanismo — non hanno salari all’altezza e, spesso, sono costretti a lavorare anche in situazioni di scarsa sicurezza, preludio inevitabile a tragedie come questa.
Eppure, Matteo Salvini sembra di avviso diverso quando il governo, all’inizio del mese di maggio, per verificare la sussistenza delle condizioni di sicurezza sui posti di lavoro all’indomani del rientro in azienda dopo la pandemia da coronavirus, voleva implementare la platea degli ispettori del lavoro, in modo tale da effettuare controlli più estesi e capillari.
In quella circostanza, Matteo Salvini — che evidentemente stava seguendo il trend degli imprenditori che volevano riaprire e che spingevano per farlo — aveva scritto, sempre su Twitter: «Invece di soldi, mascherine e regole chiare, il Pd pensa di mandare in tutte le aziende gli ispettori del lavoro. Ma questi vogliono far fallire le imprese italiane?».
Ieri si chiedeva più sicurezza, ma per avere più sicurezza occorrono più controlli. Salvini, invece, i controlli non li vuole. E allora come fa a volere la sicurezza?
Seguire i trending topic sui social può portare consenso nell’immediato: ma come si fa quando questi ultimi sono in contraddizione tra loro?
(da agenzie)
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Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
ANCHE TRA I FAN DI SALVINI C’E’ CHI STORCE IL NASO PER I POST DOVE MANGIA PANZEROTTI E MOZZARELLE: “MA ALMENO UN GIORNO NON LAVORA MAI?”
“Ma che ne sanno i “frugali”? Mozzarella e panzerotti pugliesi, olio buono, frutti di una terra stupenda che tutto il mondo ci invidia. Orgoglio italiano, sempre!”.
Lo scriveva Matteo Salvini ieri dalla Puglia, e in molti stanno facendo notare, sotto l’hashtag #Salvinisomaro, che “Mentre si negozia in Europa per il recovery fund lui parla di mozzarella e olio”.
Insomma, una vita in vacanza per Matteo Salvini, che non è stato fermato nemmeno dal Covid-19 per il suo tour estivo.
Certo, oggi non ha lesinato critiche – solo in tutto il panorama della destra italiana, in cui persino Giorgia Meloni ha dovuto ammettere che Conte ha fatto un buon lavoro – ma anche tra gli incrollabili fan di Salvini qualcuno comincia a storcere il naso: perchè da uno che blatera continuamente di lavoro ci si aspetterebbe che si lavori, almeno un giorno.
(da agenzie)
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Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
COSI’ VEDIAMO SE I RENZIANI E QUALCHE GRILLINO VOGLIONO GARANTIRE L’IMPUNITA’ A CHI SEQUESTRA PER 19 GIORNI 151 ESSERI UMANI
Matteo Salvini andrà a processo con l’accusa di sequestro di persona a Catania, per i fatti relativi alla nave Gregoretti della Guardia Costiera, bloccata prima dell’ingresso nel porto con 135 migranti a bordo.
La notizia di oggi, invece, riguarda l’altra richiesta di autorizzazione a procedere per Matteo Salvini, quella legata al caso Open Arms quando, lo scorso anno, il leader della Lega e allora ministro dell’Interno decise di bloccare al largo di Lampedusa per 19 giorni i 151 migranti a bordo.
Il voto in Senato — dopo che la Giunta per le autorizzazioni aveva dato parere negativo — è stato calendarizzato per il 30 luglio.
Come si arriverà a quella data? Innanzitutto con molte divisioni all’interno della maggioranza. Il 26 maggio scorso, quando il voto era arrivato in giunta, i senatori di Italia Viva non si erano presentati e due ex grillini votarono per salvare il sequestratore di persone.
Pertanto, con la minoranza che votò compatta, i rappresentanti della maggioranza andarono sotto e la giunta ha inviato il suo parere contrario all’aula, che in ogni caso dovrà decidere indipendentemente da quanto successo nella sua commissione.
In caso di voto compatto della maggioranza in Senato, Matteo Salvini dovrà affrontare — oltre a quello della Gregoretti — un nuovo processo. Una piccola differenza tra i due casi: mentre il caso Gregoretti riguardava una nave battente bandiera italiana della Guardia Costiera, il caso Open Arms riguarda una imbarcazione di una ong spagnola. Al di là di questa singola fattispecie, i due episodi sono piuttosto simili nelle loro dinamiche.
(da agenzie)
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Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
GLI INDUSTRIALI: “ORA PIANI SERI E MES”
“L’esito del Consiglio europeo sul Recovery Plan rappresenta un buon risultato. È frutto di lunghe mediazioni, l’Europa risponde al Covid come non era avvenuto con le crisi del 2008 e del 2011”. Questo il commento di Confindustria in merito all’accordo raggiunto al vertice di Bruxelles.
“Si tratta di un risultato ottenuto anche grazie all’azione del Governo italiano, in linea con il paziente ma fermo traino esercitato da Germania e Francia. Ora è il tempo di predisporre al più presto piani d’impiego delle risorse che siano seri e credibili, volti al rilancio dell’economia, dell’impresa e del lavoro” – sottolinea Confindustria.
“Gli obiettivi, i tempi e le risorse vanno stimati ex ante con grande precisione, puntando innanzitutto alla crescita degli investimenti, ed evitando, al tempo stesso, un aumento della spesa pubblica corrente”, proseguono gli industriali.
“Visto che nell’accordo finale risultano purtroppo tagliati rilevanti fondi che dovevano far espandere il bilancio comunitario a favore della ricerca, delle nuove tecnologie, della sostenibilità ambientale, della digitalizzazione e della competitività delle imprese europee, riteniamo ancor più di prima che sia primario interesse dell’Italia usare il Mes per 37 miliardi a fini sanitari, in aggiunta alle risorse necessarie all’economia produttiva”, conclude Confindustria.
(da agenzie)
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Luglio 21st, 2020 Riccardo Fucile
SOLO LA LOGICA DELLE POLTRONE TIENE UNITI LEGA, FDI E FORZA ITALIA, SUL RECOVERY FUND OGNUNO LA PENSA IN MODO DIVERSO
Ricorso al Mes, riforme necessarie, idea di sovranismo: tre partiti, tre posizioni diverse. L’accordo in extremis al vertice europeo rafforza il premier Giuseppe Conte, solleva il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fa felici i partiti di governo.
E non spacca il centrodestra ma lo incrina e ne fa emergere le distanze. Per ora tattiche, ma domani strategiche.
A partire dal Mes: per Matteo Salvini, che ribadisce il no del suo partito, il Recovery Fund non è altro che “una fregatura” e “un super-Mes”.
Mentre Silvio Berlusconi dice alle telecamere del Tg5 che accedere al meccanismo salva-Stati è “assolutamente indispensabile” come lo è “coinvolgere le opposizioni”.
Diverso anche l’approccio alla road map che sarà necessaria per beneficiare dei contributi a fondo perduto e dei prestiti. Il leader di Forza Italia batte sulla necessità di riforme, in senso liberale e non “di tipo assistenziale o statalista”.
Mentre il capo del Carroccio ha già cominciato a cavalcare il malcontento di commercianti, piccoli imprenditori, popolo delle partite Iva, per le tasse in scadenza, tambureggiando sul fatto che i miliardi promessi arriveranno soltanto l’anno prossimo mentre gli esborsi per i cittadini sono hic et nunc.
In mezzo si posiziona Giorgia Meloni, che in una lunga nota premette di “aver tifato per l’Italia in ogni momento” e “con la coscienza a posto” promuove Conte pur con debito formativo: “E’ uscito in piedi ma poteva e doveva andare meglio”. Onore delle armi, insomma, ma poca soddisfazione. Si è battuto contro “le pretese egoistiche dei Paesi nordici — riconosce la Meloni – ma le condizionalità , a partire dal freno di emergenza, rischiano di tradursi in un “commissariamento delle scelte di politica economica”.
Prossimo passo: l’incontro con Conte a Palazzo Chigi, già rinviato per il misunderstanding sugli inviti — Meloni contattata per prima, Salvini solo dopo che dice no – che aveva fatto saltare i nervi al centrodestra.
All’ordine del giorno ci sarà l’agenda politica ma soprattutto economica e sociale del centrodestra nei prossimi mesi e i rapporti con la maggioranza. E ci andranno tutti insieme, come ha ribadito il leader leghista in conferenza stampa.
Tutto bene, allora? Non proprio.
Intanto, il Cavaliere, nell’intestarsi praticamente il via libera al fondo, ha allungato uno schiaffo agli alleati: “Noi avevamo puntato sin dal principio sul Recovery Fund, io personalmente mi sono battuto perchè fosse approvato senza cambiamenti di rilievo ed in effetti così è accaduto. Certamente questo difficile compromesso deve far riflettere sul futuro, sui pericoli per l’Europa e sul condizionamento che i partiti sovranisti esercitano sulla politica di diversi paesi Ue”.
Partiti come quelli della sua coalizione, con cui tra due mesi esatti si presenterà al voto in sei Regioni.
Del resto, la rappresentazione plastica dell’effetto del Recovery Fund sul centrodestra sta nell’isolamento di Salvini e nel martellamento di Forza Italia sulle opportunità , tutte da sfruttare, del neonato accordo. In una parola: riforme.
Mara Carfagna, vicepresidente azzurra della Camera, su HuffPost parla addirittura di “una nuova speranza” e mette in mora gli alleati: se sarà “la coalizione tra Lega, FdI e FI a gestire l’enorme massa di denaro del Recovery Fund e forse anche del Mes: il Paese ha il diritto di sapere se, una volta al governo, remeremo contro o a favore di questa opzione o se davvero pensiamo sia possibile una soluzione “autarchica” alla crisi. Personalmente sono convinta che sia ora di abbandonare il vecchio scontro con la Ue e valorizzare un nuovo patriottismo della concretezza.
(da agenzie)
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