Luglio 20th, 2020 Riccardo Fucile
LA PLENARIA IN NOTTATA… L’ITALIA AVREBBE, RISPETTO ALLA BOZZA INIZIALE BEN 35 MILIARDI IN PIU’ (+ 38,8 DI PRESTITI, – 3,8 DI SUSSIDI)… INOLTRE BLOCCA I FRUGALI SULLA LORO RICHIESTA DI UNANIMITA’ PER L’EROGAZIONE DEI FONDI… IL PROBLEMA SARA’ POI COME VERRANNO SPESI
Raccontano che Giuseppe Conte si è battuto fino all’ultimo a Bruxelles per mantenere l’ammontare totale del recovery fund sui 750mld di euro, stabiliti dalla proposta von der Leyen.
Altri leader si sarebbero accontentati di 700mld, sfiancati dalle trattative in corso da venerdì: questo rischia di essere il Consiglio europeo più lungo della storia recente dell’Ue. Almeno dal 2000, quando a Nizza, sull’omonimo Trattato, i leader restarono riuniti dal giovedì mattina fino all’alba del martedì seguente. Conte però in questa battaglia si è giocato tutto: reputazione europea e stabilità di governo nazionale.
Alla fine riesce a ottenere una bozza finale di accordo (sempre che sia l’ultima), stilata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che conferma i 750mld e non tocca i capitoli che più interessano all’Italia.
Sempre che domattina il quadro resti in questi termini: mentre scriviamo, la plenaria che dovrà esaminare il tutto e dare eventualmente il via libera all’unanimità è in corso, più volte rimandata nella giornata.
In sostanza, rispetto alla proposta Michel di sabato scorso (750mld totali, 500mld di sussidi e 250mld di prestiti), dalla nuova ripartizione (750mld totali, 390mld di sussidi e 360 di prestiti), l’Italia riesce a ottenere una disponibilità maggiore di prestiti pari a +38,816mld (127,4mld rispetto agli 88,584mld che avrebbe avuto con la prima bozza) e vede ridursi la quota dei sussidi di soli 3,842mld (81,4mld contro gli 85,242mld della prima proposta).
Il saldo tra sovvenzioni e prestiti è positivo: quasi 35mld in più per l’Italia (da 173,826mld a 208,8mld). Un calcolo che trova spiegazione nel fatto che i due capitoli del pacchetto ‘Next generation Eu’ dai quali l’Italia prenderà le maggiori percentuali di sussidi, il ‘Recovery and resilience facility’ (20 per cento) e ‘React Eu’ (32 per cento), non vengono toccati o ridotti di poco.
E poi c’è la questione della ripartizione di queste risorse negli anni: 70 per cento nel 2021-22 e 30 per cento nel 2023, ma tutto basato sul calo del pil per quest’anno e l’anno prossimo. Roba che, ahinoi, per via della pandemia ‘premia’ l’Italia, la più colpita di tutta Europa dal covid.
La delegazione italiana incrocia le dita.
La bozza di Michel di fatto limita le pretese dei frugali. Olanda, Svezia, Danimarca e Austria riuscirebbero a ottenere un aumento degli sconti ai contributi sul bilancio europeo (rebates) e un meccanismo di governance che gli assegna un certo controllo di come verranno spesi i soldi dagli Stati membri, ma non otterrebbero l’unanimità per far passare l’erogazione dei fondi in Consiglio Ue.
L’unanimità era la battaglia, per molti versi in solitaria, dell’olandese Mark Rutte, il falco di questo Consiglio, il premier che ha bloccato l’intesa riuscendo a trascinare gli altri frugali, il leader col quale Conte ha più discusso di più nelle trattative a oltranza.
E sta proprio qui l’altro aspetto politico della battaglia del presidente del Consiglio italiano, sempre che la notte non cambi le carte in tavola ancora una volta. Oggettivamente, Conte è riuscito a piegare le pretese dei frugali, in particolare sull’unanimità , meccanismo che avrebbe trasferito il controllo delle risorse dalla Commissione europea ai governi nazionali, attribuendo agli Stati un potere di veto che avrebbe tradito i trattati europei.
Il recovery fund è bottino del premier e della delegazione italiana, che a Bruxelles include il ministro agli Affari europei Enzo Amendola, per parlare solo dei ruoli di governo cui vanno sommati quelli diplomatici.
E’ una battaglia iniziata all’inizio della pandemia, quando ancora l’Europa non aveva capito la gravità della situazione, quando Angela Merkel faceva squadra con i frugali e Ursula von der Leyen si ostinava a mandare avanti la sua agenda sul Green deal senza variazioni di percorso, come se nulla stesse accadendo.
La notte dirà se è tutto oro quel che luccica. Per ora lo è. E’ andata bene per Conte e il suo governo, che ora dovrà occuparsi dei piani di investimento e riforma per fare tesoro dei fondi Ue. Il Mes? A fronte dei quasi 39mld di prestiti in più ottenuti con l’ultima bozza, il Salva Stati potrebbe non essere necessario. Ma attenzione: i soldi del Meccanismo europeo di stabilità sono disponibili da subito, quelli del Recovery fund dall’anno prossimo.
(da “Huffintonpost”)
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Luglio 20th, 2020 Riccardo Fucile
“ABBIAMO UN RECORD DI RIFORME APPROVATE E POI SMONTATE E ABBANDONATE”… “SU QUOTA 100 CONTE RICONOSCA L’ERRORE”… “NELLE PIEGHE DELLA SPESA PUBBLICA TROPPE FURBIZIE DEGLI ITALIANI”
Professoressa, sono ore decisive per il Recovery Fund ma anche per l’Europa. Uno strascico c’è già , a prescindere dall’esito: i Paesi frugali, Olanda in testa, non si fidano dell’Italia. Hanno torto?
Gli olandesi hanno detto all’Italia quello che anche la Germania e la Francia avrebbero comunque detto in maniera più soft, meno brutale, al momento della distribuzione delle risorse, e cioè che l’Italia deve utilizzare queste risorse per riavviare la crescita. Purtroppo provvedimenti come quota 100 hanno dimostrato che l’Italia non è troppo coerente nell’affrontare il tema delle riforme.
In Italia sta montando il dibattito sulla posizione tenuta da Conte in Europa: alle spalle anni di riforme incompiute e allo stesso tempo l’impuntatura sull’avere più soldi senza che gli altri ci possano dire come spenderli. Lei crede che la crisi siamo noi?
Io mi metto tra coloro che credono che le riforme non si fanno per compiacere altri ma per necessità del nostro Paese (e questo per rispondere ad alcuni ministri di questo Governo che indicavano come “servi” della Germania ministri di altri governi impegnati nel difficile compito di realizzare riforme). Con gli alleati si parla, si discute, non si vantano primati che non si hanno. Nessuno è perfetto e ovviamente neanche i governanti stranieri lo sono ma noi andiamo dicendo all’Europa che ce la possiamo fare da soli e allo stesso tempo chiediamo ingenti risorse, come credito o come aiuti, e senza alcuna condizionalità . Non è perciò stupefacente se qualcuno dice che il nostro grado di affidabilità nel fare le riforme va messo in discussione. Abbiamo un record di riforme approvate ma rinviate al futuro, parzialmente smontate, abbandonate.
Perchè deteniamo questo record?
Nel Paese è diffusa un’idea sbagliata di riforme, come provvedimenti normativi che quasi come una bacchetta magica risolvono i problemi del Paese. E che richiedono sacrifici, almeno nell’immediato. Quindi facciamo le riforme presentandole in maniera distorta, pensando che non saranno veramente realizzate o che altri le cambieranno alla prima occasione. Negli altri Paesi, ma soprattutto in Germania, tutto ciò non accade. Negli ultimi venticinque anni abbiamo fatto importanti riforme del mercato lavoro, delle pensioni, della pubblica amministrazione e della scuola, ma i risultati deludenti sono sotto gli occhi di tutti. Sono state in larga misura inefficaci e mal tollerate. All’Europa ora interessa che l’Italia, un Paese fondatore, intraprenda questo percorso più seriamente di quanto ha fatto fino ad ora.
Secondo lei, però, uno dei precedenti più recenti – quota 100 – non è stato un bel biglietto da visita. Perchè?
Per l’appunto: l’Europa ha visto quota 100 come controriforma, come un rifiuto di quelle riforme – tra le quali quella che porta il mio nome – che andava incontro a esigenze indotte dall’invecchiamento, da un lato, e dalla generosità eccessiva nelle formule pensionistiche, dall’altro. Dico “generosità eccessiva” non in assoluto ma rispetto ai contributi versati e alle possibilità del Paese. È stato un passo indietro non motivato da ragioni reali bensì da motivazioni di consenso elettorale.
Guardiamo avanti. I soldi arriveranno, ma dobbiamo fare le riforme. Manterremo la promessa?
Di fronte a noi vedo un sentiero molto stretto che possiamo percorrere solo se gli italiani saranno consapevoli del valore sociale delle riforme. Quelle a costo zero sono inesistenti o quasi. Le riforme economiche implicano sempre, in maniera più o meno diffusa, dei sacrifici oggi per avere benefici domani. In questo senso, si tratta di investimenti sociali. Coloro che sostengono, soprattutto in politica, che le riforme hanno benefici immediati e generalizzati mentono sapendo di mentire.
Di che sacrifici parla?
Lavorare di più, più a lungo, è un sacrificio. Lo si è presentato come una sottrazione di opportunità di lavoro ai giovani, ma questo solo per la nostra incapacità di fare del mercato del lavoro un’istituzione inclusiva. I Paesi che hanno il più alto di occupazione della popolazione anziana, tra i 60 e i 70 anni, sono i Paesi anche che hanno anche il più alto tasso di occupazione giovanile. Non è impossibile realizzare un mercato del lavoro inclusivo ma occorre cambiare priorità .
Quindi niente staffetta generazionale?
La sostituzione tra lavoratori anziani e giovani avviene, ma mantenere età di pensionamento come se la longevità non fosse aumentata è un errore. Quando l’economia funziona bene, tutte le persone in età da lavoro, donne, giovani e non giovani, hanno un’opportunità . Il paradigma “esci tu ed entro io” è sbagliato.
Torniamo alle riforme. Perchè questa volta dovrebbe andare a finire diversamente rispetto agli ultimi 25 anni?
Non possiamo più rinviare una discontinuità nella concezione delle riforme. Le riforme non sono mai percepite come patrimonio comune per migliorare il Paese ma come qualcosa che ci è imposto, magari a vantaggio di altri. Manca una visione condivisa della necessità di promuovere quei cambiamenti che servono a fronteggiare trasformazioni strutturali che comunque avvengono, e dai quali, con le riforme, noi potremmo trarne benefici, anzichè averne solo costi (penso alla globalizzazione, all’invecchiamento, alla robotizzazione ecc). Ci vuole poi continuità di intenti tra i governi che si alternano per cui il governo successivo tende sempre a cancellare le riforme fatte da quello precedente, facendo intendere che si fa tutto nell’interesse degli italiani, anche quando l’obiettivo è aumentare il proprio consenso elettorale. Noi dobbiamo far sì che siano gli italiani a essere convinti che solo seguendo un percorso di riforme coerenti e condivise possiamo dare una chance alle generazioni future. Altrimenti continueremo il declino degli ultimi vent’anni.
Il problema è il come.
Dobbiamo correggere alcuni difetti strutturali che ci portiamo dietro dagli anni passati. Dobbiamo considerare prioritario il lavoro delle persone, e questo senza dimenticare l’equità e la solidarietà . Questo Governo tende ad accentuare proprio uno di questi difetti dando l’impressione che si possa migliorare il benessere generale attraverso il debito pubblico e i sussidi invece di puntare sulle cose che veramente contano come l’istruzione, la formazione professionale, l’innovazione, la ricerca, le infrastrutture e gli investimenti, che sono alla base del lavoro e del lavoro produttivo. È questo percorso che ci è venuto a mancare e così è aumentato il debito pubblico.
A proposito di debito e della crisi che siamo stati noi stessi a creare con la nostra incapacità di riformare il Paese. Nella pancia del debito c’è una spesa per le pensioni che è tra le più alte in Europa. La riforma delle pensioni attesa a Bruxelles in che direzione deve andare?
Conte deve riconoscere che quota 100 è stato un errore, e ha il dovere di essere trasparente rispetto a quello che sarà dopo il 2021. Fino ad ora il Governo ha solo detto che quota 100 arriverà fino al 2021, cioè a scadenza. Ma poi? Nel Governo c’è un po’ di furbizia come se arrivare alla scadenza di quota 100 permettesse poi al governo di dire: “non possiamo tornare alla riforma Fornero, per lo scalino che si creerebbe nell’età di pensionamento e quindi dobbiamo sostanzialmente mantenerla, anche se in forma attenuata.
In concreto cosa dovrebbe fare il Governo?
Deve presentare il suo piano di riforme e deve dire se mantiene quota 100, come la corregge e cosa ne farà .
Insomma un’operazione verità nei confronti degli italiani. Mi tolga una curiosità . La sua riforma delle pensioni è nata anche per un’esigenza di risparmio. Ma non è che sono gli italiani a essere i veri frugali?
Gli italiani come persone sono frugali per natura, l’attaccamento al risparmio c’è. Quello che non c’è è l’attaccamento a un uso responsabile delle risorse pubbliche. Faccio l’esempio della proprietà della casa, che per gli italiani è molto importante mentre in Germania assai meno. Gli italiani si sentono sicuri quando hanno una casa di proprietà e per questo obiettivo sono disposti a fare sacrifici. Nei confronti delle risorse pubbliche l’atteggiamento è però molto diverso, vorrei dire meno responsabile.
Formiche con i propri soldi, cicale con quelle di tutti?
È evidente che gli italiani non hanno interiorizzato i conti pubblici. Si vede dall’evasione fiscale che non è limitata a pochi ricchi. Pensiamo ad esempio che sia giusto ottenere un sussidio anche quando non se ne ha necessità o quando non si hanno i requisiti. Pensiamo che un po’ di furbizia non faccia male e che non sia peccato. E nelle pieghe della spesa pubblica vi sono anche molte furbizie degli italiani. Anche questo era base della necessità , della quale non si parla più, di realizzare tagli alla spesa pubblica.
In che senso?
Oggi non si parla più di tagliare la spesa improduttiva. È stato giusto aumentare la spesa perchè siamo in emergenza, ma bisognerebbe iniziare a guardare a quali spese ridurre per fare spazio ad altre che servono per la crescita. Non possiamo finanziare tutto a debito. Non sarebbe giusto nei confronti delle generazioni giovani e future alle quale diciamo di essere interessate ma per le quali abbiamo fatto e continuano a fare troppo poco. E’ anche questo il messaggio del nuovo fondo europeo che noi chiamiamo Recovery Fund ma che, saggiamente e non a caso, Ursula von der Leyen ha chiamato Next Generation EU”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 20th, 2020 Riccardo Fucile
AUMENTATI DI 7,8 MILIARDI GLI SCONTI SUI CONTRIBUTI AL BILANCIO UE PER AUSTRIA, OLANDA, DANIMARCA E SVEZIA
Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz lo aveva detto: “Non basta, vogliamo ancora di più”. Lo hanno ottenuto.
Il negoziato sulla nuova proposta di Recovery Fund presentata dal presidente del Consiglio Ue Charles Michel non è ancora concluso ma un dato è certo: dopo aver tenuto in ostaggio le trattative dei Ventisette per ben quattro giorni, i Frugali si portano a casa per i prossimi anni più di 26 miliardi di euro.
Soldi puliti che finiscono direttamente nelle casse statali e che non hanno nulla a che fare con il fondo per la ripresa legato al Covid: si tratta dei famosi “rebates”, gli sconti ai contributi che i quattro Paesi (Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca, insieme alla Germania) versano come tutti al bilancio dell’Unione Europea nel prossimo quadro finanziario 2021-2027.
Gli Stati guidati dai leader più intransigenti nelle ultime 96 ore di incontri, Olanda e Austria, hanno ottenuto un’attenzione particolare da parte di Bruxelles.
C’è da ricordare che alla vigilia dello scontro sul Recovery Fund, molti Stati in Europa avevano messo ripetutamente in dubbio la legittimità di questi sconti e, nelle scorse settimane, si era addirittura parlato di una possibile soppressione di quello che molti, in particolare gli Stati del Sud, vedono come un privilegio immotivato.
I rebates invece sono entrati a pieno titolo nel negoziato sul Recovery Fund reso particolarmente ostico dall’atteggiamento dei Frugali che hanno lavorato a ridurne la portata e a incrementare i vantaggi per se stessi.
Alla fine, quindi, i rebates non solo sono stati confermati ma sono anche aumentati. Del suo contributo al budget Ue, la Danimarca riceverà indietro 322 milioni di euro l’anno. Con i vecchi sconti invece riceva “solo” 197 milioni. Anche la Svezia ci ha guadagnato nel far squadra con i Stati più “avari”: il suo sconto annuale è passato da 798 milioni a 1,06 miliardi.
Come detto però a sorridere di più sono Sebastian Kurz e Marke Rutte. Il primo può vantare un risultato notevole, essendo riuscito a raddoppiare lo sconto annuale per il suo Paese. L’Austria infatti riceverà un rimborso di 565 milioni di euro, un bel risparmio se si tiene conto che prima le tornavano indietro solo 237 milioni.
I Paesi Bassi guidati dall’avaro Rutte pure possono gioire, riceveranno 1,9 miliardi di euro.
È un gran risultato per l’Aja se si pensa che con la prima proposta di mediazione presentata da Michel il suo “vecchio” sconto non veniva incrementato (era di 1,5 miliardi annui) ma in cambio si lasciavano al 20% i costi di raccolta dei dazi doganali per conto dell’Ue, anzichè ridurli al 10%.
Concessione non da poco per un Paese che ha il porto di Rotterdam, principale punto di ingresso per le merci importate nell’Unione.
In questo modo i “Frugali” hanno ottenuto un notevole risparmio sul loro contributo al bilancio Ue. Vuol dire che la strategia di tenere sotto scacco fino a notte fonda gli altri 22 Paesi, ponendo veti e facendo infuriare persino Angela Merkel ed Emmanuel Macron, alla fine è servita.
In soldoni portano a casa per il prossimo bilancio pluriennale circa 26 miliardi e mezzo, con un incremento netto di 7,8 miliardi rispetto a quello precedente. Mica male per chi si fa chiamare “frugale”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 20th, 2020 Riccardo Fucile
DIMISSIONI A PIOGGIA NEL PARTITO DELLA MELONI NI CALABRIA, PARTITO NEL CAOS CON UN CONSIGLIERE REGIONALE E IL CANDIDATO IN PECTORE A REGGIO INDAGATI PER RAPPORTI CON LA ‘NDRANGHETA
Che Fratelli D’Italia in Calabria navighi in pessime acque è ormai fatto arcinoto, come altrettanto di dominio pubblico risulta la netta presa di distanza della leader Giorgia Meloni dai candidati di partito proposti dal Pollino allo Stretto.
Troppi i problemi, anche dopo l’estromissione del delegato alle liste elettorali per le elezioni regionali Edmondo Cirielli e il “lascito” del Partito regionale in mano all’unica deputata eletta nel 2018, Wanda Ferro.
Tra tutte, la provincia di Reggio Calabria è quella considerata più scottante in quanto è lì che è emerso più di un “incidente di percorso” nel radicamento del Partito con gli arresti eccellenti dell’ex candidato in pectore di Reggio Calabria, Alessandro Nicolò e del consigliere regionale neo-eletto Domenico Creazzo (entrambi indagati per concorso esterno in associazione mafiosa in due diverse indagini della Dda di Reggio Calabria).
Al posto di Creazzo è subentrato nel consiglio regionale calabrese Raffaele Sainato, il cui nome (senza essere indagato) è comparso negli atti dell’inchiesta “Mandamento Jonico” che ha svelato il potere elettorale di alcune cosche nella locride.
Anche lui, come Creazzo, transfugo del centrosinistra a livello regionale (si era candidato nel 2014 con la lista ‘Autonomia e Diritti’ di Agazio Loiero a sostegno di Mario Oliverio, esponente PD), ma vicesindaco di Locri dal 2013 in una amministrazione locale guidata da un Sindaco marcatamente di centrodestra.
Lo stesso Sainato lo scorso 9 giugno si è dimesso dalla carica di vicesindaco e di assessore (ma non da consigliere) della cittadina di Locri, ufficialmente, come da lui dichiarato: “Per svolgere al meglio, con assoluta dedizione il suo nuovo ruolo di Consigliere Regionale”. Aggiungendo poi: “Ho svolto il ruolo di vicesindaco sempre con l’idea alta della politica e per trasmettere ai giovani ed ai miei figli l’importante umiltà dell’agire per il bene pubblico”.
Parole di circostanza già sentite per chi mastica la politica calabrese che si uniscono a quelle, di pari natura, del Sindaco Giovanni Calabrese.
Ma dietro i canonici salamelecchi nella cittadina locridea sono arrivate, in breve tempo ed in sequenza, altre due dimissioni: quelle delle assessore comunali vicine all’area politica facente capo a Raffaele Sainato, Anna Baldessarro e Anna Sofia (sua capostruttura in consiglio regionale).
Scaramucce locali? In realtà no, perchè pare esserci di più.
Dietro a questi smottamenti locali sembra esserci una questione riguardante il teatro comunale inaugurato, dopo molti anni d’attesa, il 20 gennaio 2018. “Le missioni impossibili diventano realtà quando si lavora con impegno e passione”, dichiarò il Sindaco di Locri nell’annunciarne l’imminente apertura.
L’assurda storia dell’ascensore
A lavorare con impegno e passione, però, è stata anche la Procura, che giusto dieci giorni prima delle dimissioni di Raffaele Sainato dal ruolo di vicesindaco e assessore, ha notificato ad alcune persone un avviso di conclusione delle indagini preliminari (a firma del Sostituto procuratore presso il Tribunale di Locri Michele Permunian) per il furto dell’ascensore, acquistato con soldi pubblici e destinato proprio al teatro comunale, che è stato poi, successivamente, installato in un’abitazione privata.
Nell’indagine, oltre a tre tecnici, tra cui il responsabile dell’area tecnica manutentiva e urbanistica del Comune, accusati di falso ideologico per aver redatto nel 2015 un certificato di collaudo omettendo l’assenza dell’ascensore (che dalle indagine si evince fosse stato rubato nel 2012, tre anni prima), spunta come autore del furto Domenico Sainato, cugino di primo grado del consigliere regionale di Fratelli D’Italia.
L’accusa è di aver prelevato, in concorso con persone ignote, l’ascensore del Teatro comunale e di averlo installato presso l’abitazione del suocero previo pagamento da parte di quest’ultimo della somma di 7.500 euro.
Il reato contestato è furto aggravato dalla violenza sulle cose e dall’aver commesso il fatto su cose destinate ad un servizio pubblico. All’epoca del furto — 2012 — Raffaele Sainato si era appena candidato Sindaco alle amministrative del maggio 2011, venendo eletto consigliere comunale d’opposizione, mentre quando era stato redatto il collaudo tecnico amministrativo e statico (presunto falso), con il presunto coinvolgimento del relativo responsabile d’area del Comune — 29 aprile 2015 — l’attuale esponente regionale dei sovranisti era già vicesindaco da due anni.
L’avvocato di fiducia del denunciante, Pino Mammoliti (condannato in primo grado per favoreggiamento nel processo a seguito della citata inchiesta Mandamento Jonico) in un post su Facebook dello scorso 31 maggio ha dichiarato di aver accompagnato personalmente il suo assistito, titolare dell’impresa Ieromedia s.r.l. che svolse i lavori al teatro comunale, a denunciare “un aguzzino che per anni lo ha spremuto facendogli credere che lo avrebbe aiutato a sistemare uno dei tre figli”, riferendosi (come emerso dai pubblici commenti al post social) a Domenico Sainato. Quest’ultimo, però, di professione svolgeva — e svolge — l’attività di geometra ed operaio. Non si comprende, quindi, come possa “sistemare” chicchessia.
In ogni caso, l’emergere di questa indagine potrebbe aver spinto Raffaele Sainato alle dimissioni (e all’estromissione di tutta la sua area) dalla giunta comunale di Locri, dato che durante i comizi tenuti durante la campagna elettorale per le elezioni regionali dello scorso gennaio escludeva categoricamente che avrebbe lasciato tale incarico.
La questione è stata tenuta sottotraccia, non facendo trapelare i nomi messi nero su bianco nelle carte della Procura di Locri, ma l’imbarazzo della vicenda, che pare abbia già avuto ripercussioni politiche in ambito locale, è destinata ad ampliarsi, con ulteriori notti insonni per Giorgia Meloni.
(da TPI)
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Luglio 20th, 2020 Riccardo Fucile
IERI BORSELLINO, OGGI DE CRESCENZO: L’IGNOBILE SPECULAZIONE DI CHI DOVREBBE VERGOGNARSI SOLO A NOMINARLL… METTI LE FOTO DEI BAMBINI FATTI AFFOGARE NEL MEDITERRANEO
Polemiche a Napoli, dove Severino Nappi — candidato alle regionali in Campania per la Lega — ha utilizzato un’immagine di e una citazione dello scrittore napoletano Luciano De Crescenzo per un manifesto elettorale del partito.
L’ex assessore al Lavoro della giunta di centrodestra di Caldoro dal 2010 al 2015 ha visto la sua bacheca Facebook invasa da commenti e da polemiche per questa scelta.
Quel «Napoli, l’ultima speranza dell’umanità » e quella foto non sono piaciuti affatto alla famiglia dello scrittore, i cui membri si sono dissociati comunicando che procederanno presso le sedi competenti.
Sul manifesto insieme alla citazione e alla foto ci sono i loghi di Lega-Salvini Premier, «Prima gli italiani» e «Campania il nostro posto». Quest’ultimo è il nome del movimento civico fondato da Nappi stesso.
Sono moltissimi i commenti di dissenso arrivati sotto la il manifesto della lista civica di Nappi, tra chi parla di «un’offesa al maestro» che era «lontano anni luce dalle idee della Lega» e chi parla di «orrore e blasfemia».
De Crescenzo, tra i tanti, è simbolo di una napoletanità che non vuole essere abbinata alla propaganda elettorale della Lega. Ricordiamo, infatti, come il capo del partito Matteo Salvini nel 2009 intonasse cori razzisti nei riguardi dei partenopei.
La famiglia dello scrittore si è detta contro l’utilizzo dell’immagine di De Crescenzo per fini elettorali: «Non autorizziamo e ci dissociamo da qualsiasi utilizzo a fini politico-elettorali dell’immagine di Luciano De Crescenzo che tuteleremo in tutte le sedi opportune».
Alessandro Amitrano del M5S ha parlato di una «Lega per anni ha insultato i napoletani e ora ricorre ad una becera strumentalizzazione politica del Professore. La propaganda e il populismo non dovrebbero mai precipitare a livelli così bassi».
La risposta di Nappi : «Se la famiglia ha interpretato questo mio omaggio a Luciano come un tentativo di appropriarmi di un simbolo. Non era mia intenzione».
Come no, ci crediamo tutti
(da agenzie)
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Luglio 20th, 2020 Riccardo Fucile
IL VENDITORE DI FIORI DEL BANGLADESH RIESCE COSI’ A MANDARE I SOLDI A CASA PER MANTENERE LA MOGLIE E CINQUE FIGLI
Sahabuddin non vende più rose. Dalla notte in cui due ventenni lo hanno scaraventato nel Naviglio, senza una parola nè un motivo, non è più tornato sui Navigli, tra i tavolini dei bar dove lui e i suoi amici del Bangladesh raccolgono le briciole della movida milanese.
Sahabuddin Chokdar non vende più rose perchè ha paura. Di incontrare di nuovo i due ragazzi che l’hanno spinto in acqua, e rivivere quei pochi attimi di terrore quando ha pensato di morire.
“Erano italiani, ma era buio – racconta ora col poco italiano che conosce, ricordando i fatti della notte tra l’11 e il 12 luglio -. Io ero di spalle all’acqua, quasi sul bordo della Darsena. Sono arrivati, mi hanno spintonato e buttato giù senza dire nemmeno una parola. Io so nuotare ma ho avuto paura di morire. Ho ripensato alla Libia, nemmeno quando sono stato in carcere lì o sul barcone per raggiungere l’Italia, ho provato le stesse cose. È stato così veloce che non riuscivo a risalire. Stavo annegando, avevo solo un braccio fuori dall’acqua. Poi mi sono sentito afferrare un polso, era un ragazzo che mi tirava fuori. L’ho ringraziato tanto. E anche i poliziotti sono stati gentilissimi con me”.
Dal Bangladesh all’Italia, tra prigionia e torture
Sahabuddin ha 55 anni. Ha lasciato il suo villaggio a Madaripur otto anni fa. Ha salutato la moglie e i cinque figli, ed è partito verso la Turchia, poi nel 2012 è arrivato in Libia. “Volevo venire in Italia perchè ci sono tanti connazionali che riescono a guadagnare qualcosa. In Bangladesh lavoravo nei campi, raccoglievo pomodori e cipolle, ma non riuscivo a mantenere la famiglia. In Libia ho lavorato come muratore, come scaricatore di televisori nei magazzini, ma sono stato anche in carcere per mesi”. Poi piega la testa e mostra le cicatrici tra i capelli. “Eravamo detenuti e picchiati senza ragione”.
Dopo lo sbarco in Sicilia, ha vissuto in un centro di prima accoglienza ad Aosta e ora ha un permesso di soggiorno per motivi umanitari che sta rinnovando. Da due anni è a Milano, una città che ancora oggi conosce pochissimo. Ai poliziotti che sono intervenuti sulla Darsena non ha saputo nemmeno dire il suo indirizzo. E confonde ancora oggi il nome della sua via con quello di una strada vicina. Ora vive in affitto nella portineria di un palazzo popolare, non lontano dai Navigli, con altri bengalesi. Un bilocale al pianoterra, una sola finestra senza vetri sbarrata da una saracinesca, una bombola a gas collegata a una cucina arrugginita. E le stanze piene di trolley, cibo in scatola, brandine e letti a castello.
Meno di 20 euro il guadagno di un giorno
“Guadagniamo meno di venti euro a sera. Riusciamo a pagare l’affitto, ma non riesco a mandare tanti soldi a casa. Ora sono tutti in giro a vendere, ma io non più ripreso. Per ora resto qui”. Quando Sahabuddin è stato tirato fuori dall’acqua si è accorto di non avere più il cellulare, l’unico contatto col suo mondo. “Per una settimana non ho potuto chiamare la mia famiglia. Hanno pianto tutto il tempo, pensavano che fossi morto. Poi i miei amici hanno fatto una colletta e mi hanno comprato un telefonino usato. La memoria interna è stata recuperata”.
Ha chiamato casa ed erano tutti disperati. “Mia moglie piangeva, i miei figli piangevano. Il più grande ha vent’anni, il più piccolo dieci. Quando sono partito ne aveva solo due. Spero un giorno di tornare da loro”.
(da agenzie)
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Luglio 20th, 2020 Riccardo Fucile
“E’ LA MIGLIORE RISPOSTA A CHI CI HA CRITICATO”
In un fine settimana, i visitatori degli Uffizi sono aumentati del 25% rispetto allo stesso periodo di tempo della settimana precedente.
Dopo la visita di Chiara Ferragni agli Uffizi, infatti, il direttore del museo fiorentino Eike Schmidt ha registrato 9312 visitatori accorsi tra venerdì e domenica; nello scorso fine settimana, i visitatori erano stati 7.511.
Effetto Chiara Ferragni? Probabile, anche se occorre valutare anche altre variabili: si sta entrando nel cuore della stagione estiva e, dunque, sono sempre di più (anche se non stiamo parlando degli esodi degli anni precedenti) le persone che visitano le città d’arte come meta delle loro vacanze.
Un dato, però, sembra balzare all’occhio più di tutti gli altri. Sempre rispetto al fine settimana precedente, i giovani fino ai 25 anni sono stati il 27% in più. Qui, la concordanza con la visita di Chiara Ferragni, l’aumento dei like sui social network degli Uffizi e una sorta di evoluzione del brand sembra essere più evidente.
Per questo motivo, c’è soddisfazione anche da parte del direttore degli Uffizi, Eike Schmidt che — finalmente — ha la possibilità di togliersi più di un sassolino dalla scarpa: «In questo fine settimana abbiamo visto, letto e sentito un sacco di tuttologi che ci hanno insegnato di tutto e di più — ha dichiarato -. Alla luce di questi numeri — conclude Schmidt — posso solo dire che mi dispiace per loro».
Ma a cosa si riferiva Eike Schmidt? Al momento della visita privata di Chiara Ferragni al museo fiorentino, sui social network si erano scatenate vere e proprie polemiche, sia per la gestione della comunicazione dell’istituzione (con un paragone tra Chiara Ferragni e la Venere di Botticelli), sia per i privilegi concessi all’influencer di fama internazionale. Tuttavia, l’operazione di marketing e di brand reputation degli Uffizi — indispensabile in un momento in cui tutto il settore mussale è in difficoltà — pare abbia avuto successo. Chissà se l’onda lunga della visita di Chiara Ferragni (e delle polemiche annesse) continuerà a durare per tutta l’estate.
(da agenzie)
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Luglio 20th, 2020 Riccardo Fucile
“L’ACQUISTO DEL CAPANNONE DI CORMANO NON AVEVA UTILITA’ PUBBLICA MA NATURA APPROPRIATIVA”
L’acquisto del capannone di Cormano in provincia di Milano da parte di Lombardia Film Commission come sua futura sede, non aveva utilità pubblica ma “natura sostanzialmente appropriativa, concretizzando di fatto l’impossessamento” da parte dell’allora presidente Alberto Di Rubba, commercialista ed ex revisore contabile della Lega, “e dei suoi sodali, del capitale giacente sul conto della fondazione, vincolato alla destinazione pubblicistica e versato alla società Immobiliare Andromeda”, gestita da Michele Scillieri. Lo scrive il gip Fanales nell’ordinanza che conferma la custodia cautelare in carcere di Luca Sostegni, “prestanome” di Scillieri.
L’operazione immobiliare, scrive il gip, è priva di “una reale giustificazione economica” e si presenta, invece, come uno “schermo giuridico dietro al quale occultare l’unico intendimento perseguito, ossia la distrazione del fondo erogato dall’ente pubblico” a “favore dell’allora presidente Di Rubba e dei suoi complici”.
La Regione aveva stanziato 1 milione di euro e dalle casse della fondazione uscirono 800mila euro per comprare l’immobile da Andromeda, che poco prima l’aveva acquistato per 400mila euro dalla società Paloschi, di cui era liquidatore Sostegni.
Il Gip mette in fila i versamenti seguiti alla compravendita, ossia dove finiscono parte dei soldi arrivati ad Andromeda nel dicembre 2017: prima un bonifico di circa 178mila euro da Andromeda verso la “Sdc srl”, da cui partono “due bonifici, in favore di Di Rubba” per 50mila euro.
Altri due bonifici per un totale sempre di 50mila euro vanno da Sdc ad Andrea Manzoni, anche lui ex revisore contabile del Carroccio. Oltre 44mila euro arrivano allo “Studio CLD”, amministrato prima da Manzoni e poi da Di Rubba. Studio che bonifica, poi, 45mila euro “in favore della propria controllante Studio Dea Consulting srl”, che fa capo a Di Rubba e di cui è socio Manzoni. Si tratta “di movimenti finanziari”, secondo il gip, “volti a garantire la restituzione di una consistente porzione della provvista al presidente Di Rubba ed ai suoi sodali”. Spiega oggi Repubblica
Di Rubba e Manzoni, commercialisti quarantenni, stessa età , stesso territorio del deputato Giulio Centemero che li aveva individuati come «affidabili riferimenti», sono stati revisori contabili rispettivamente al Senato e alla Camera del Carroccio ultima generazione, e continuano a collaborare con la Lega.
Scillieri, più anziano, loro “maestro”, è il professionista nel cui studio è stato battezzato, e domiciliato, il partito di Salvini.
Il gip ricostruisce così il flusso del denaro verso il cerchio magico leghista. Almeno 150mila euro finiscono a Di Rubba e Manzoni, altri 260mila transitano dai conti di Sostegni.
Che, però, rimane al verde, accusa i commercialisti di averlo dimenticato, e minaccia. «Scoperchio il pentolone, può fargli danni assurdi» dice, intercettato, al dominus delle società . C’è appena il tempo di uscire dal lockdown, risalgono a giugno gli avvertimenti via cellulare a Scillieri: «Non ti vorrei coinvolgere, ma quale strada ho? Ecco.. l’imbecille di Manzoni no».
Non si capacita che i tre preferiscano risparmiare quei «pochi soldi» piuttosto che rischiare una slavina che sarebbe devastante, se vuotasse il sacco. Dopo i primi 20mila euro, Sostegni attendeva gli altri 30mila pattuiti. La Finanza trova nel suo bagaglio non solo i biglietti per la fuga, ma anche il pizzino con la contabilità delle sue pretese: «25.000 (5.000) — mercoledì 15 Euro 7.000 — rimanenza 18.000 — a partire dal 20 settembre — ogni 20 gg circa». Ogni tre settimane, per lui, gli uomini d’oro della Lega avrebbero dovuto ricomprarsi il suo silenzio
In questa brutta storia ieri, Sostegni — difeso dal legale Daniela Pulito dello studio Lepre e interrogato prima dal gip e poi dai pm coi quali ha fatto ammissioni e ha iniziato a collaborare — ha spiegato, però, che quei soldi che chiedeva gli spettavano in virtù di accordi con Scillieri e gli altri. A suo dire, dunque, non fu un’estorsione.
Vista la decisione di fuggire all’estero, scrive il gip, “malgrado l’acquisita consapevolezza della pendenza di accertamenti di polizia giudiziaria nei suoi confronti, ogni misura diversa da quella carceraria si dimostrerebbe inadeguata”.
Data “la gravità delle minacce utilizzate e considerato l’ammontare di denaro pubblico personalmente percepito — spiega ancora il giudice — la misura si presenta proporzionata alla gravità in concreto dei fatti”. Sostegni parlando sempre con Scillieri gli diceva che avrebbe abbandonato “presto il territorio nazionale, senza riferire a terzi (le autorità pubbliche e i giornali) informazioni sul loro operato, purchè ricevesse quanto dovutogli”. E ancora il 20 giungo, si legge, Sostegni incontrò Scillieri e tale “Davide Colomba” per concordare il modo con cui doveva ricevere i soldi: “salvo il pagamento immediato” di 5mila euro (gli vennero trovati addosso quando fu fermato mercoledì scorso) “il residuo sarebbe stato versato, a mezzo del circuito Western Union, avvalendosi di terzi compiacenti, dopo la partenza del Sostegni alla volta del Brasile”.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 20th, 2020 Riccardo Fucile
NONOSTANTE LE PRECAUZIONI E LE DISTANZE RISPETTATE
Il Best Sushi a Savona lo conoscono tutti, o quasi. E’ un all you can eat con 200 coperti in Corso Vittorio Veneto ed è aperto dal 2017. Più di un milione di fatturato l’anno di media, aveva chiuso per il Covid prima ancora delle disposizioni regionali: il 23 febbraio. Il 5 giugno, il ventottenne proprietario del locale, Chen, aveva riaperto con tutte le precauzioni: distanziamento dei tavoli, misurazione della febbre, dispositivi per il personale.
Eppure qualcosa è andato storto. I giornali hanno parlato di “nuovo cluster partito da Best Sushi l’8 luglio” e in effetti è così: 17 contagiati accertati (tra cui il pallanuotista della nazionale Matteo Aicardi che aveva pranzato lì), centinaia di tamponi fatti a clienti, persone entrate in contatto con clienti e dipendenti, una mappatura certosina e moltissime persone in isolamento domiciliare.
Ma come è stato possibile? Cosa è successo al Best Sushi?
Cerchiamo di ricostruire l’accaduto con Chen, il proprietario, che spiega subito “il bollettino” di quell’8 luglio: 4 clienti ammalati, più un cameriere, uno chef e una persona alla cassa. Il resto dei contagiati scoperti dopo sono clienti successivi all’8 luglio o loro contatti esterni.
Chiedo intanto quanti siano stati i tavoli coinvolti quel giorno maledetto.
“Due tavoli vicini, sebbene a un metro di distanza come prevede la legge. Uno era da 9 persone e uno da 4, a destra del ristorante. Il tavolo 9 era all’angolo tra l’altro, di fianco non c’era nessuno, quello da 4 era una sorta di divano”.
In quanti si sono ammalati nei due tavoli?
Una persona in quello da 9, il nuotatore, e tre nell’altro tavolo da 4.
E del personale?
Uno chef, un cameriere e la persona alla cassa
Il cameriere che si è ammalato serviva quell’ala destra del ristorante?
Sì, lui era addetto a quella parte della sala, noi siamo molto grandi, qui lavorano 24 persone e facciamo anche 200 coperti. Lui è anche volontario della Crocerossa, è un sudafricano molto bravo”.
Il personale stava tutto bene?
Sì, nessuno aveva sintomi. Finchè non ci ha chiamati la Asl per noi andava tutto bene.
E quindi, cercando di ricostruire la catena del contagio, da chi sarebbe partito il tutto?Lo dirà la Asl, ma andando a logica, la mia idea è che la persona ammalata fosse l’infermiera dell’ospedale San Paolo al tavolo da 4 che è venuta a cena l’8 luglio. Nel suo tavolo si sono ammalate altre due persone.
Poi il cameriere avrebbe preso piatti e bicchieri dell’infermiera per sparecchiare…
Sì, ha anche pulito il tavolo e le sedie, e si è contagiato. Poi il cuoco, forse, ma lui i piatti li mette subito nella lavastoviglie. Magari il cameriere ha attaccato il Covid a chi stava la cassa e chi stava alla cassa al cuoco, questo è più difficile da capire. L’unica certezza che è partito tutto da quel lato della sala. E il ragazzo dell’altro tavolo, il nuotatore Credo lo abbia preso dal cameriere. O mentre pagava il conto.
Vi immaginavate che potesse succedere una cosa simile?
Dal primo giorno in cui abbiamo riaperto abbiamo capito tutto, ovvero che per quante precauzioni puoi usare tutto può succedere.
In che senso?
Perchè finchè il mondo non guarisce siamo sempre sul filo. Hanno fatto il tampone a 450 persone ieri che hanno mangiato da noi e sono positive 10 o qualcuno di più, ma il Covid potrebbero averlo preso ovunque. Qui a Savona è tutto riaperto a partire dalle spiagge, da me sono passate 2800 persone in due settimane. Ogni giorno ho almeno 250 clienti.
Eravate aperti da poco.
Dal 5 giugno. Avevamo chiuso il 23 febbario, prima del resto della Liguria, ci aveva spaventati il caso dell’hotel di Alassio con i contagiati arrivati da Milano.
Ora la situazione qual è?
Dovrà avvenire la sanificazione del locale da parte della Asl, nel frattempo io e tutti i dipendenti siamo in isolamento, dopo la quarantena faremo i tamponi. Se saremo negativi riapriremo. Ma ad agosto sarà peggio, ci sarà tantissima gente. La paura è che possa succedere di nuovo e che inizi tutto daccapo.
Che precauzioni usavate nel ristorante?
Tavoli distanti 1 metro, guanti, mascherine cambiate tre volte al giorno per tutti i dipendenti. Misuriamo la temperatura, l’avevamo misurata anche all’infermiera e non aveva la febbre. Bisognerebbe usare le mascherine FFP3 ma costano troppo per poterle dare a 24 dipendenti ed è anche difficile reperirle.
Lei è dispiaciuto, immagino.
Certo, ma è capitato anche a un altro ristorante qui. Per fortuna stiamo tutti bene, nessuno dei contagiati pare stia male. Stiamo facendo un nuovo lockdown ma siamo abituati, dopo che abbiamo chiuso per 104 giorni.
Teme che qualcuno possa non venir più da voi?
Ho 28 anni. Paghiamo tante tasse e diamo lavoro a tre camerieri italiani. Ci sono 16 sushi a Savona, se noi abbiamo tanto successo è perchè siamo seri e il nostro pesce è buonissimo, torneranno. Poteva succedere ovunque e finchè il virus non sarà sparito non saremo l’unico caso.
(da TPI)
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