Luglio 25th, 2020 Riccardo Fucile
AL DI LA’ DEI GUAI GIUDIZIARI PROPRI E ALTRUI, UN SALVINI BOLLITO INCHIODA LA LEGA AL SUO REPERTORIO VINTAGE… SI STA CREANDO UN NUOVO ARCO, DA ZINGARETTI ALLA MELONI, CHE TIENE FUORI DALLA PORTA SOLO LUI
Chi a Salvini vuol bene si faccia coraggio e glielo dica col cuore in mano: “Matteo, basta con questi modi. Troppa brutalità , troppa propaganda, troppo veleno. E non fissarti di nuovo sugli immigrati: cambia registro oppure la gente ti scanserà per strada”.
È sicuro che un discorso così non gli farebbe piacere. Lo vivrebbe come una provocazione. Mesi fa Giorgetti aveva tentato di farlo riflettere che è inutile battere sulla grancassa, tanto per altri due anni non si vota, meglio muoversi con sagacia; la sua reazione era stata alla Giulio Cesare, “tu quoque Giancarlo”, pure tu che ti proclami amico mi pugnali alle spalle.
Comunicazioni per lungo tempo interrotte. Ora il suo braccio destro ha rinunciato a insistere, il tentativo l’ha già fatto, risultati zero, ci provi qualcun altro.
Si muovano dunque i governatori, prendano l’iniziativa gli amministratori del Nord, i leghisti con i piedi per terra, e magari tutti insieme cerchino di convincere Salvini: anche se lui si offenderà , bisognerà pur fargli capire che in Italia qualcosa è successo, che non è più come un anno fa quando il vento gonfiava le vele del Capitano, qualunque cosa toccasse si trasformava in oro.
Da allora abbiamo avuto il Covid, il lockdown, la “fase due”. Siamo rimasti sepolti in casa, abbiamo pianto i morti, applaudito gli eroi. S’è rovesciata la psicologia di massa: da “gregge anarchico”, gli italiani si sono messi in riga da far invidia ai germanici, tutti disciplinatamente agli ordini del Governo.
L’avvocato del piano di sotto, Giuseppe Conte, s’è trasformato di colpo in Batman (e il fido Casalino nel suo Robin). Per giunta ha portato a casa il malloppo, per cui adesso la domanda è che ne sarà di questi 209 miliardi che pioveranno dall’Europa, in quali tasche andranno a finire, per fare cosa, e se verranno sperperati come spesso accade. Il resto, in questo momento storico, interessa meno.
E invece Salvini che fa? Prima va sostenendo che i soldi europei non servono perchè, come teorizza il suo mentore Alberto Bagnai i denari si raccolgono come le pere quando sono mature: scrolli i mercati e ne cade in abbondanza; poi, una settimana fa, scommette che tanto i fondi Ue non arriveranno mai e, lui sovranista, fa il tifo per l’antiitaliano Mark Rutte sperando in un fiasco del negoziato; infine, quando i miliardi inopinatamente arrivano, è l’unico al mondo che li considera una “fregatura”.
Prende d’aceto e vola due giorni a Lampedusa per riprendere in diretta gli sbarchi dei disperati, twittare che ci stanno invadendo, gli immigrati ci portano i virus e questo Governo con Lamorgese ministro al posto di Salvini è “complice dei criminali”: stesso repertorio vintage, identica voglia di fare leva su istinti inseparabili dalla nostra natura (paura, rabbia, aggressività ) e solo in parte mediati dalla civiltà .
Ma in politica i bis raramente riescono. Come le barzellette: fanno ridere la prima volta. T
ornando a battere sugli immigrati, sempre lo stesso chiodo, Salvini ricorda quei calciatori alla Piatek che sanno fare una sola giocata: dopo un po’ gli avversari li sgamano, gli spettatori sbadigliano.
Viene perfino il dubbio che l’ex ministro insegua l’ombra di se stesso come antidoto ai sondaggi in calo. Oppure alle tante inchieste in arrivo incominciando dalla “Open Arms” (su cui risponderà personalmente in Senato il 30 luglio) al mistero dei fondi russi, dai commercialisti in fuga verso le Americhe ai “camici bianchi” della Regione Lombardia.
Anche perchè la Lega è sempre più isolata. Giorgia Meloni, per non dire del Cav, si sta facendo gli affari suoi. Parla con Conte, riceve chiamate da Zingaretti, vuol far vedere che per il bene del Paese lei sarebbe pronta a trafficare con Belzebù in persona.
Pronta a riconoscere i meriti del premier sul Recovery Fund; prontissima a congratularsi giovedì con Sergio Mattarella, custode e garante della Costituzione, quando il presidente ha compiuto gli anni (Salvini, unico tra i leader, non gli ha fatto pubblicamente gli auguri).
Cosicchè poco per volta si sta formando un nuovo “arco costituzionale” che, diversamente da quello originale, stavolta tiene fuori dalla porta soltanto la Lega.
Che in questa splendida solitudine rischia l’irrilevanza, abbaiando alla luna.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 25th, 2020 Riccardo Fucile
COSA DEVE MAI RIMBORSARE SE IL COGNATO HA FATTO UNA DONAZIONE COME HA SEMPRE SOSTENUTO?… ADESSO AMMETTE CHE ERA UNA VENDITA A TRATTATIVA PRIVATA, FATTA DIVENTARE DONAZIONE UNA VOLTA SCOPERTO DA REPORT, E DI SUA TASCA HA VERSATO 250.000 EURO AL COGNATO
Il 19 maggio, allertato da un’intervista di report di quattro giorni prima, il governatore chiese all’Unione Fiduciaria di effettuare un bonifico da un suo conto personale in favore della Dama spa: 250mila euro, il mancato profitto della vendita dei dispositivi. Operazione che la fiduciaria ha segnalato alla Banca d’Italia come sospetta e che, scrive il Corriere, dimostra come il leghista fosse al corrente dell’operazione nonostante se ne dichiarasse totalmente estraneo
Al centro delle verifiche dei pm dell’aggiunto Maurizio Romanelli e della Guardia di Finanza c’è proprio il ruolo svolto dal governatore che, fino al 7 giugno, si era dichiarato estraneo alla procedura: “Non ne sapevo nulla e non sono mai intervenuto in alcun modo”.
Ma come racconta il Corriere della Sera, con parte dei soldi di un conto in Svizzera a suo nome, sul quale nel 2015 aveva fatto uno “scudo fiscale” per 5,3 milioni detenuti fino ad allora da due trust alle Bahamas, il leghista cercò di effettuare già il 19 maggio, allertato da un’intervista di Report quattro giorni prima, un bonifico sospetto da 250mila euro in favore della Dama spa del cognato e, per il 10%, della moglie Roberta: in poche parole, la cifra corrispondente al mancato profitto del parente causato dal provvedimento che Fontana prenderà il giorno dopo, ossia quello di trasformare la vendita dei 75mila camici alla Regione in donazione e la rinuncia dell’azienda a farsi pagare dalla Regione i 49.353 camici e i 7.000 set già consegnati.
Un’operazione che ha fatto scattare l’allarme nell’Unione Fiduciaria, incaricata da Fontana del bonifico, che così blocca il pagamento perchè in base alla normativa antiriciclaggio non ravvisa una causale coerente con il bonifico, disposto oltretutto da un soggetto “sensibile” per l’incarico politico.
E così la fiduciaria, in segreto, fa una segnalazione di operazione sospetta all’Unità di informazione finanziaria di Banca d’Italia, che la gira alla Guardia di Finanza e alla Procura che iniziano a indagare sul ruolo di Fontana nella vicenda.
Poco dopo, i finanzieri si recano nella sede dell’Unione Fiduciaria, acquisiscono gli atti e il 9 giugno ascoltano il responsabile della Funzione antiriciclaggio.
Due giorni dopo, l’11 giugno, Fontana chiede alla fiduciaria di non effettuare più il bonifico richiesto con grande urgenza. È lo stesso procuratore Romanelli a spiegare che “il fascicolo sulla fornitura dei camici viene aperto sulla base di una segnalazione di operazioni sospette trasmesso alla Procura di Milano dal nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza”.
L’ipotesi degli inquirenti è che quindi il governatore lombardo, a differenza di quanto dichiarato fino al 7 giugno, sapesse da almeno tre settimane cosa stesse succedendo con l’affare camici, pur continuando a dichiarare la propria estraneità ai fatti.
Se questo venisse confermato, costituirebbe una violazione del “Patto di integrità ” contro il conflitto d’interesse.
Secondo il Corriere, Fontana ha saputo fin da subito dell’affare, dato che a informarlo fu il suo assessore Raffaele Cattaneo, capo dell’unità di emergenza che cercava di reperire il maggior numero di camici possibili nei giorni dell’emergenza Covid.
“Quando è venuto a sapere della fornitura, per evitare equivoci gli ha detto di trasformarla in donazione e lo scrupolo di aver danneggiato suo cognato lo ha indotto in coscienza a fare un gesto risarcitorio”: lo ha spiegato all’ANSA Jacopo Pensa, legale di Attilio Fontana, indagato per frode in pubblica fornitura nell’inchiesta relativa ai camici alla Regione Lombardia
In pratica la conferma che non è mai stata una donazione e che senza l’inchiesta di Report l’azienda avrebbe incassato i proventi di una vendita privilegiata senza concorrenti.
(da agenzie)
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Luglio 25th, 2020 Riccardo Fucile
LAMORGESE LUNEDI VOLA TUNISI PER ARGINARE LE PARTENZE… MA ERA DI MAIO CHE AVREBBE DOVUTO INTERVENIRE PRIMA DELL’ESTATE FAVORENDO INVESTIMENTI ITALIANI IN TUNISIA, CON ACCORDI COMMERCIALI PER FAR FRONTE ALL’INSTABILITA’ ECONOMICA DEL PAESE
Tre o quattro giorni al massimo, il tempo di portare a termine la trattativa privata in corso, e al largo di Lampedusa arriverà la nave quarantena dove saranno trasportati molti dei migranti attualmente ospitati nell’hotspot dell’isola ormai al collasso.
È questa la soluzione su cui punta la Ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, per disinnescare la situazione esplosiva che si è creata negli ultimi giorni sull’isola e per la quale il sindaco Salvatote Totò Martello ha proclamato lo “stato di emergenza”. Gli sbarchi continuano, il centro di accoglienza con oltre mille persone – la struttura può contenerne al massimo duecento – scoppia, stamattina il primo cittadino ha lanciato l’ennesimo Sos, ribadendo la necessità di “nuovi e immediati trasferimenti”.
Appello raccolto dalla ministra che si muoverà proprio in questa direzione. “Nel giro di tre o quattro giorni – assicurano dal Viminale fonti di primissimo piano – arriverà a Lampedusa la nave sulla quale sarà trasportata buona parte dei migranti attualmente ospitati nell’hotspot”.
Bisognerà aspettare che si concluda la trattativa privata in corso perchè le due gare pubbliche indette in precedenza sono andate deserte. Sulla nave, che dopo essere stata individuata dovrà essere attrezzata adeguatamente, i migranti resteranno in quarantena per quattordici giorni nel corso dei quali verranno effettuati loro i tamponi necessari a verificare se siano o meno positivi al nuovo coronavirus. Si procederà direttamente con i tamponi per un motivo sostanziale.
“Si è visto che i test sierologici (fino ad ora effettuati ai migranti sull’isola, ndr) non servono a nulla, è capitato che persone arrivate, negative ai test sierologici a Lampedusa, siano poi risultate positive ai tamponi effettuati nei centri dei Comuni nei quali erano state trasferite”, puntualizzano dal Ministero dell’Interno.
Il riferimento è a quanto accaduto a Potenza, dove 26 bengalesi arrivati da Lampedusa con in tasca il certificato di negatività , si siano scoperti positivi dopo il tampone cui sono stati sottoposti nella struttura che li ospitava, sollevando le proteste del sindaco Mario Guarente che si è detto pronto ad innalzare “barriere umane qualora arrivassero altri migranti privi di certificato che ne attesti il reale stato di negatività ”.
La decisione del Viminale di puntare sui tamponi, dunque, mira pure a dare ai sindaci e agli amministratori, preoccupati – come ha spiegato ad HuffPost anche l’Anci – dal rischio che l’accoglienza possa incrementare la diffusione del contagio, le garanzie che chiedono e contestualmente a stroncare sul nascere eventuali polemiche e rimostranze.
Una pressione causata soprattutto dalla situazione di instabilità , politica e istituzionale, in cui è precipitata la Tunisia.
Parte da là , infatti, la maggior parte dei migranti arrivata negli ultimi giorni sull’isola, su barchini “che bisogna fermare alla partenza”, spiegano dal Ministero dell’Interno. L’emergenza che si sta riverberando sul nostro Paese sarà tra i temi principali che la ministra Lamorgese affronterà lunedì nella sua visita ufficiale a Tunisi, nella quale incontrerà il Presidente della Repubblica, Kais Saied, e il ministro dell’Interno uscente, Hichem Mechichi.
Ma il ministro degli esteri italiano avrebbe dovuto muoversi prima dell’estate e proporre investimenti al governo di Tunisi in modo da far abbassare il tasso di disoccupazione nel Paese.
I migranti che arrivano a Lampedusa sono quasi tutti tunisini che poi dovremmo pure mandare indietro in quanto sono migranti economici in cerca di lavoro.
Siamo riusciti invece persino a dare un colpo al loro turismo, impedendo che gli italiani possano andare in Tunisia per turismo quando le cifre del contagio in Tunisia sono ridicole.
Tutto per favorire “le vacanze in Italia”, salvo poi ritrovarsi migliaia di tunisini alle porte quando avrebbero potuto lavorare nel settore turistico nel loro Paese.
(da agenzie)
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Luglio 25th, 2020 Riccardo Fucile
OGGI A PRATO I SOLITI BACI E ABBRACCI SENZA PRECAUZIONI, MA MOLTI LEGHISTI ORA LO CRITICANO APERTAMENTE
Baci e abbracci, tutti ammassati, come se la pandemia non fosse mai esistita. È il doppiopesismo tipico di Salvini: ieri diceva che il Governo è criminale e importa i migranti infetti, oggi a Prato, in barba a qualsiasi regola, abbracciato alla sua candidata Susanna Ceccardi, Salvini dà vita all’ennesimo assembramento.
D’altronde, senza questi mezzucci il consenso non ha idea come costruirlo.
Salvini è ‘omo de panza’, deve stare in presenza, deve toccare, baciare, abbracciare. La retorica lui la sostituisce con i selfie, l’ha sempre fatto.
Sono bastati due mesi di isolamento forzato per fargli perdere sei punti percentuali, e le regole di sicurezza gli vanno strette, perchè i sondaggi sono impietosi: ormai Meloni lo marca stretto e non è lontano il momento in cui sarà l’amica-rivale di Fratelli d’Italia a rivendicare il suo ruolo di leader della Destra.
Al netto degli imbecilli per cui il pericolo è finito oppure – peggio – il virus è un’invenzione dei poteri forti, persino i fan più sfegatati del Capitano vedono cosa sta succedendo fuori dall’Italia. E
devono ammettere, seppur a denti stretti, che sono state le precauzioni e le chiusure e le regole a salvarci, mentre chi è stato troppo frettoloso è stato costretto poi a richiudere in fretta e furia.
E i commenti di biasimo cominciano a comparire anche sulla pagine del leader leghista, da parte di chi fino a ieri lo idolatrava
(da agenzie)
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Luglio 25th, 2020 Riccardo Fucile
“DA ANNI LE REGOLE NON ESISTONO PIU’, SI CERCA DI SCAVALCARE LA LEGGE”
Il guasto viene prima e va oltre la caserma di Piacenza: “In Italia il senso del rispetto delle regole e la considerazione stessa del Diritto sono state relativizzate fino al punto di spingerle nel campo della metafisica. Tutti chiedono il rispetto delle regole per gli altri, ma quando si trovano al cospetto dei doveri imposti dalla legge domandano l’eccezione. Quando questo principio viene accettato e legittimato, non solo nella società ma anche nelle istituzioni, il problema diventa di sistema e si apre la strada a comportamenti scandalosi come quelli dei magistrati del caso Palamara, oppure criminali come quelli dei carabinieri di Piacenza. In entrambi i casi, siamo davanti a un sacrilegio nei confronti dello stato di diritto”.
Da ex magistrato di formazione liberale, Carlo Nordio confessa lo “sgomento” che prova nell’apprendere i fatti — tortura, pestaggi, spaccio di droga — che i magistrati contestano ai carabinieri di Piacenza, e che per la prima volta nella storia italiana hanno portato al sequestro di una stazione delle forze dell’ordine, quella di Levante: “Ho lavorato per anni fianco a fianco con gli agenti dell’Arma dei carabinieri. Ho combattuto il terrorismo con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ho rischiato la vita insieme a molti di loro e ritengo che si tratti di un corpo dello Stato straordinario, un presidio della democrazia italiana. È proprio per la stima che nutro verso l’Arma che lo sconcerto che provo è altrettanto grande. Nella scala etica, un reato commesso da chi ha il compito di reprimerlo è molto più grave di un reato commesso da un cittadino comune, poichè autorizza a pensare: ‘Qui non ci si può fidare più di nessuno’. Per questo, ritengo che non si tratti di un peccato isolato: si tratta di un sacrilegio nei confronti della Repubblica”.
Dunque, non sono solo ‘mele marce’?
L’espressione ‘mele marce’ fa parte di un retorica che non mi appartiene. Premesso che i fatti sono da accertare — e, se accertati, da punire senza esitazioni — ci sono delle riflessioni che si possono fare sui controlli che vengono esercitati nell’Arma dei Carabinieri, della Polizia e della Finanza.
Quali?
Tempo fa, un alto dirigente dell’anti terrorismo venne da me e, quasi scusandosi, mi disse: ‘Non siamo riusciti ad arrestare nessuno’. Gli domandai: “Ma quanti attentati sono stati fatti nel vostro territorio?”. Mi rispose: “Nessuno”.
E allora?
L’errore è nei criteri di valutazione. Lo dissi a quell’ufficiale e lo ripeto. L’idea che più arresti fai, più vieni considerato efficiente, dunque ricevi onorificenze e scatti di carriera, è sbagliato. Per lo Stato, è molto più importante evitare che siano messe venti bombe, che arrestare venti persone che hanno messo venti bombe. L’idea di mandare in galera più gente possibile è una patologia, sulla quale si può innestare anche il sacrilegio dei carabinieri di Piacenza, i cui superiori chiudevano un occhio proprio perchè la statistica era dalla loro parte.
C’è una responsabilità anche più in alto?
Le responsabilità penali vanno accertate caso per caso. Man mano che si sale nella gerarchia, però, io credo che si possa parlare di una responsabilità morale, anche questa certamente da verificare, ma che si basa su un dato di fatto: i controlli dei superiori non hanno funzionato.
Perchè, secondo lei?
Perchè quando tu sei ossessionato dalle statistiche puoi tendere a trascurare tutti gli altri elementi di valutazione. Pare che tra questi carabinieri ci fosse un appuntato che aveva in garage undici auto e sedici moto. Possibile che nessun superiore gli abbia chiesto, anche in maniera bonaria: “Scusa, ma tu dove li prendi tutti ‘sti soldi?”. Io ho arrestato carabinieri, poliziotti e finanzieri. E, ogni volta, veniva fuori che su ciascuno di loro ‘girava voce che’. Intervenire prima, in questi casi, è un atto di tutela nei confronti dell’istituzione, ma anche dei sottoposti, i quali potrebbero essere fermati prima di rendersi indegni di indossare la divisa.
Prima dei carabinieri, c’è stato lo scandalo Palamara. Secondo lei, c’è un problema più generale nelle istituzioni?
Sono d’accordo con Mattia Feltri quando scrive che il problema è di sistema. Noi abbiamo assistito negli ultimi anni a un fenomeno di relativizzazione delle regole. Sia a destra, sia a sinistra, si rivendica sempre di più un principio superiore che consente di scavalcare la legge. A sinistra, abbiamo visto paragonare ad Antigone il gesto di un cardinale che l’anno scorso si è calato in un tombino per riattaccare la corrente elettrica a un palazzo occupato; mentre a destra c’è chi ritiene legittimo dire: ‘Perchè dovrei pagare le tasse se poi finiscono nel reddito di cittadinanza, oppure alimentano la corruzione’; più ci sono i mille chissenefrega delle regole che proteggono i detenuti, gli inquisiti, i sospettati. Sono buchi che si scavano nella diga dello stato di diritto e che pian piano la faranno crollare. Nel frattempo, stabilire il principio che le regole si possono violare, scatena nelle persone con maggiore tendenza a delinquere un senso di libertà e impunità . C’è anche questo, in quello che è accaduto nella caserma di Piacenza.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 25th, 2020 Riccardo Fucile
PUBBLICA TWEET INSENSATI, SEGNO CHE LE COSE SI METTONO MALE, E LANCIA ACCUSE CONTRO LA MAGISTRATURA (CHE FA SOLO IL SUO DOVERE)
“Attilio Fontana ”indagato” perchè un’azienda ha regalato migliaia di camici ai medici lombardi. Ma vi pare normale? La Lombardia, le sue istituzioni, i suoi medici, le sue aziende e i suoi morti meritano rispetto. Malagiustizia a senso unico e “alla Palamara”, non se ne può più.”
Come è infatti chiaro a tutti tranne che al segretario della Lega, “un’azienda” (e precisamente la Dama SPA, di proprietà del cognato e della moglie di Fontana) ha “regalato” camici soltanto dopo che è trapelata la notizia che li aveva venduti.
Quindi, in effetti, pare normale che la procura indaghi su questo curioso tipo di solidarietà differita.
In più, proprio perchè i morti della Lombardia “meritano rispetto”, c’è bisogno di capire dove siano finiti un terzo di quei camici che dovevano essere consegnati ma che poi, secondo le cronache, proprio quell’azienda ha tentato di vendere altrove.
Quando Salvini avrà finito di menare il Palamara per l’aia, con comodo potrà chiedere spiegazioni al suo presidente e fornirle. Sempre che non sia troppa fatica.
Nel frattempo dovrebbe smetterla di insultare e umiliare la magistratura italiana con frescacce, visto che è a processo per vilipendio per la storia di Rimborsopoli e di suo “fratello” Edoardo Rixi.
Qui tra fratelli e cognati la Lega sembra proprio una grande famiglia, nevvero?
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 25th, 2020 Riccardo Fucile
COS’E’ IL LINCOLN PROJECT E LO SLOGAN “O TRUMP O L’AMERICA”
O Trump o l’America. Questo è il motto di una delle più violente e dirette campagne di comunicazione che sia mai stata mossa contro un presidente degli Stati Uniti.
Ed è sorprendente il fatto che quelle parole non provengano dagli avversari che tutti ci aspetteremmo, cioè il Partito Democratico e il suo candidato alle presidenziali, Joe Biden. In questa campagna, resa molto animata dalle proteste del movimento Black Lives Matters e dal Coronavirus, il vero nemico di Trump sono gli stessi repubblicani. O almeno quelli riuniti nel Lincoln Project, la cui missione apertamente dichiarata è liberarsi del trumpismo.
Politici, strateghi, esperti di comunicazione politica, giornalisti, ricercatori, esponenti del mondo accademico accomunati da due caratteristiche: sono repubblicani e giudicano il loro attuale presidente un pericolo. Si tratta di una vera e propria azione persecutoria, più che una contro-campagna elettorale sembra di assistere al tentativo di minare la stabilità psicologica di Trump spingendolo a qualche passo falso sul piano politico e comunicativo. Una continua e costante provocazione che passa per YouTube, i social network e la televisione.
Una strategia di comunicazione diretta, forte, incentrata su un unico obiettivo: indicare come il modus operandi dell’attuale inquilino della Casa Bianca non abbia nulla a che vedere con il mondo e i valori del partito e dimostrare come sia il peggior presidente di sempre per gli Stati Uniti. L’approccio conferma l’intento quasi persecutorio: i video, che hanno la stessa durata media degli spot elettorali, vengono trasmessi esclusivamente nelle città in cui si trova Trump, nel momento in cui è presente sul posto (in genere Washington nei giorni feriali, Virginia o Florida nei festivi), sui canali televisivi che il presidente segue con maggiore assiduità e nelle fasce orarie in cui sono in onda le sue trasmissioni preferite.
Sono video su Trump, pensati per Trump. E sono costruiti come attacchi diretti al presidente richiamando quei valori repubblicani di cui non sarebbe più portavoce e infuocando il dibattito intorno a più macroaree, a cominciare dall’emergenza Covid. Pensiamo alle ormai celebri dichiarazioni del presidente sul numero di tamponi: più ne faremo, più casi troveremo. Quelle parole sono state oggetto di uno spot molto crudo del Lincoln Project, in cui Trump è accusato di essere un incosciente.
Viene così lanciato un hashtag diventato poi virale, #AmericaOrTrump. Nulla è lasciato al caso, tutto è studiato nei minimi dettagli. Trump ripete le parole “slow the testing down, please!”, creando una contrapposizione, sul piano sia visivo sia descrittivo, con le immagini che scorrono. La voce narrante racconta le conseguenze del negazionismo trumpiano sulle vite di migliaia di cittadini americani.
Dalla presenza di un nuovo hashtag alla durata da trailer (solo ventiquattro secondi), lo spot successivo comincia con una ripresa su sette sacchi per cadaveri di colore bianco. In sottofondo la voce del presidente Trump mentre, in una conferenza stampa di febbraio, dichiara che i casi di Coronavirus presto sarebbero stati vicini allo zero. Le parole “close to zero” rimbombano diverse volte con la voce che diviene sempre più distorta, mentre l’inquadratura si allarga al punto da rivelare una bandiera americana composta da un numero elevatissimo di sacchi. Le ultime parole sono una sentenza, “100.000 dead Americans. One wrong president”. Lo spot si chiude con il fischio del vento in un sottofondo, quasi a ricordarci un cimitero.
Il medesimo concetto viene ribadito con toni e immagini ancor più forti in un altro spot: il presidente ha ormai costruito il proprio muro, fatto non di mattoni, ma di bare. Anche in questo caso l’atmosfera è spettrale. Non si sentono voci, solo il silenzio tanto assordante quanto eloquente di una strada deserta. Le immagini e il testo che scorrono rendono il video una vera e propria spada di Damocle sulla testa di Trump, un’accusa esplicita di aver lasciato morire 140.000 connazionali.
E ancora, conoscendo quanto Trump sia ossessionato dalla fedeltà del proprio staff e dei propri familiari, e quanto sia terrorizzato dalle fughe di notizie, uno degli ultimi spot è stato interamente costruito per una sola persona: Trump, appunto. L’obiettivo è chiaro, costruire un pavimento fatto di cristallo pronto a crollare.
E non è da escludere che il rimpiazzo del campaign manager, Brad Pascale, non sia che una prima crepa ben visibile sotto i piedi del presidente. Negli ultimi giorni la quantità di video e spot ormai virali del Lincoln Project è aumentata notevolmente. Gli attacchi a Trump, così come i toni, sono sempre più feroci, segno di come la partita sia diventata davvero infuocata. I contenuti variano, attingono alla stretta attualità (si pensi allo spot che rende onore a John Lewis) e ampliano il bacino delle persone prese di mira, attaccando pedine per arrivare, in maniera trasversale, al re.*È difficile prevedere quanto le azioni del Lincoln Project stiano influendo e influiranno sull’esito della campagna elettorale. Una cosa è certa: la risposta dell’inquilino dello Studio Ovale non si è fatta attendere. Ha definito i fondatori del movimento “rinos”, dipingendoli come elitari che pensano ai suoi sostenitori come a esseri deplorevoli. Il punto però è un altro: l’unico a essere definito deplorevole dal Lincoln Project è lo stesso Trump. Nessuna parola contro i suoi sostenitori che restano pur sempre dei repubblicani. Insomma ancora una volta Trump esagera, ed esagerando sembra sbagliare bersaglio.
(da TPI)
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Luglio 25th, 2020 Riccardo Fucile
ERANO FONDI DESTINATI AL SOSTEGNO AL REDDITO: “CI SONO DECINE DI COMMERCIANTI CHE NON HANNO RICEVUTO UN EURO”… SANSA: “TOTI SPIEGHI DOVE SONO FINITI I SOLDI”
“Preoccupazione” della Corte dei Conti per la mancata erogazione di 13 milioni di euro destinati al sostegno al reddito, cifra avanzata dai 235 milioni di euro arrivati a Genova dopo il crollo del Ponte Morandi finalizzati al sostegno alle aziende in difficoltà .
Lo scrive il Secolo XIX.
A fronte di oltre 13 milioni avanzati, ci sarebbero decine di commercianti e negozianti di Certosa e Sampierdarena, le zone più colpite dalla crisi post crollo, che non hanno avuto un euro perchè esclusi dai criteri di assegnazione.
Secondo Massimiliano Braibanti, presidente del Comitato Zona Arancione, che risponde a una domanda sui fondi del Decreto Genova distribuiti per l’emergenza “Hanno sbagliato tutto, hanno dato i soldi a caso. A Certosa e Sampierdarena ci sono decine di negozianti e commercianti che non hanno ricevuto un euro. Molti hanno chiuso. Non siamo contrari a allargare gli aiuti – ha detto rispondendo alla domanda sull’ipotesi che quei 13 mln possano essere destinati agli aiuti post-Covid in tutta la Liguria – prima però dev’essere aiutato chi è rimasto qui. Chi è rimasto indietro”.
“Ci sono casi che purtroppo sono rimasti fuori dai criteri decisi dal governo – ha detto il governatore Giovanni Toti in un’intervista al Secolo XIX -. Senza un cambiamento normativo è impossibile saldare chi non ha chiuso o chi non rientra nelle forme societarie previste”.
Spiegazioni che non bastano allo sfidante alle prossime regionali, Ferruccio Sansa. “Se il presidente Toti aveva dribblato la procura della Corte dei Conti che gli contestava di non aver speso tutti i soldi per gli aiuti del post Morandi che il governo gli aveva affidato, ora cosa si inventerà di fronte all’inchiesta del Secolo XIX che rivela il volto più oscuro della gestione dei fondi nazionali?” scrive in una nota Sansa.
“Con meccanismi di difficile comprensione, invece di premiare commercianti e artigiani piegati dall’isolamento dovuto al crollo la Regione ha arricchito chi forse non se lo meritava. Toti, ora basta dribbling, spieghi dove sono finiti i soldi”
(da agenzie)
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Luglio 25th, 2020 Riccardo Fucile
ECCO COME FUNZIONANO E IN COSA DIFFERISCONO
“Basta il Recovery Fund”, no “il Mes è un’opportunità “.
Il dibattito sull’uso del Meccanismo europeo di stabilità , nella sua versione ad hoc per la risposta sanitaria alla crisi del Covid, resta aperto. Anche dopo l’accordo storico sul piano anti-coronavirus. Vediamo, per punti, in cosa si differenziano i due programmi.
Next Generation Eu e Mes: le risorse e le finalità
Le cinque notti e i quattro giorni di trattative sul Recovery Fund della scorsa settimana hanno portato a limare la proposta iniziale della Commissione europea sul piano straordinario d’intervento: i trasferimenti diretti sono calati da circa 500 a 390 miliardi mentre sono saliti i prestiti, da 250 a 360 miliardi. L’Italia ha ‘beneficiato’ della forte caduta del Pil, che ha acquisito peso nella nuova scelta di allocazione dei fondi. Per il Belpaese, il Next Generation Eu prevede circa 81 miliardi di trasferimenti e 127 miliardi di prestiti: il bilancino delle stime iniziali prevedeva 84 miliardi alla prima voce e 91 alla seconda. Il totale, sopra i 208 miliardi, fa dell’Italia il primo beneficiario dello strumento: a Roma è diretto il 28% dei fondi, un peso sul Pil intorno al 13%.
Quanto ogni Stato tirerà effettivamente dallo strumento comunitario, dipenderà dai Piani nazionali che dovranno esser sottoposti al vaglio degli organismi europei. Il ministro Gualtieri ha ribadito nei giorni scorsi che l’Italia sarà pronta col suo documento entro ottobre. Secondo l’accordo del Consiglio europeo, il Piano dovrà “esser coerente con le raccomandazioni specifiche per Paese e contribuire alla transizione verde e digitale”. In particolare, “i piani devono promuovere la crescita e la creazione di posti di lavoro e rafforzare la ‘resilienza sociale ed economicà dei paesi dell’Ue”. Sullo sfondo resta l’accento posto alle Raccomandazioni che l’Europa pone ciclicamente alle capitali. Per quel che ci riguarda, le ultime di fine maggio ci chiedevano: riforma del mercato del lavoro, riduzione della tassazione sul lavoro, riforma dell’istruzione e formazione professionale, riduzione dei tempi della giustizia, efficientamento della Pa.
Nel caso del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità , le risorse a disposizione per l’Italia sono di 36 miliardi (alcuni hanno notato l’analogia con la crescita di denari del Recovery Fund destinate a Roma durante la gestazione dell’accordo) su 240 miliardi complessivi (2% del Pil). Si tratta di uno strumento nato con la crisi finanziaria e dei debiti sovrani e che si è attivato per Irlanda, Spagna, Portogallo, Cipro e Grecia. In cambio dell’erogazione dei finanziamenti ha sottoposto le politiche economiche e fiscali dei Paesi che l’hanno chiamato in causa a stretta sorveglianza. Con la pandemia, la Commissione ha varato una nuova linea di intervento che rompe quei vincoli: gli stanziamenti “non hanno nulla a che vedere con i prestiti del passato – ha spiegato il segretario del Mes, Nicola Giammarioli, intervistato da Repubblica – Non portano a condizionalità ex post, austerity o ristrutturazione del debito”. I soldi si devono usare per coprire i costi sanitari “diretti e indiretti” legati al Covid: definizione che “va dai vaccini alla ricerca – parole ancora di Giammarioli – passando per la riorganizzazione della sanità e la ristrutturazione degli ospedali, ai contributi per le case di riposo fino ad un ammodernamento del sistema sanitario sul territorio e dei medici di base”.
I controlli sui soldi e la restituzione
La cabina di controllo dei fondi del Reco very è stato oggetto di aspro dibattito, ancor più dell’ammontare. La Commissione prevedeva un ruolo minimo per i governi nella validazione degli esborsi, poi intorno all’Olanda si è costituito un gruppo di Paesi che chiedeva un voto unanime del Consiglio. Alla fine la truppa dei frugali ha dovuto fare parziale retromarcia: per verificare che i singoli documenti siano in linea con gli indirizzi del programma è prevista una votazione del Consiglio – a maggioranza qualificata – sui documenti nazionali, su proposta della Commissione. I Piani saranno riesaminati nel 2022 e “l’erogazione delle sovvenzioni avrà luogo solo se sono conseguiti i target intermedi e finali concordati, stabiliti nei piani per la ripresa e la resilienza. Qualora, in via eccezionale, uno o più Stati membri ritengano che vi siano gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali, possono chiedere che il presidente del Consiglio europeo rinvii la questione al successivo Consiglio europeo”.
Una volta che gli Stati avranno messo in campo i programmi per spendere i soldi europei, si potrà stilare anche nel dettaglio il programma di restituzione dei soldi ricevuti (in un bilancio tra dare e avere) e che la Ue a sua volta chiederà ai mercati. L’agenda prevede che la fase dei rimborsi cominci solo dal 2026 (quindi a soldi già incassati) e su un orizzonte temporale molto lungo: al 2058. La base per i rimborsi sarà il quadro finanziario comunitario, che è alimentato in primis dai singoli Paesi membri. Per farsi carico delle emissioni di debito comune, ci dovrà poi esser un rafforzamento del bilancio di Bruxelles anche attraverso risorse proprie come la tassazione sulla plastica o digitale. La stima, per quel che riguarda la parte di contributi a fondo perduto, è che l’Italia finirà col versare un contributo sulla quarantina di miliardi al bilancio comunitario e che il beneficio si collocherà dunque nel range tra i 30 e i 40 miliardi. Quanto al rimborso dei prestiti, la convenienza è individuata nella lunga scadenza per la loro restituzione (a fronte di risorse incassate in breve tempo) e al tasso d’interesse favorevole, visto l’atteso alto gradimento dei mercati per queste emissioni comuni.
Nel caso del Mes, la polemica ha spesso ruotato intorno ai timori di vedersi materializzare la Troika. A questo dubbio, Giammarioli ha risposto in modo categorico: “Con le nuove linee di credito il Meccanismo non può imporre alcun genere di condizionalità ex post, austerity, Troika, taglio delle pensioni o del settore pubblico”. L’unica condizionalità è l’impiego per i fini sanitari. L’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, in un’audizione parlamentare ha spiegato che “l’Italia entrerebbe automaticamente in “sorveglianza rafforzata” (ex Regolamento 472/2013), ma Commissione ed Eurogruppo ci hanno assicurato che questa sarebbe limitata all’uso dei fondi per la sanità , che non ci sarebbero missioni di controllo aggiuntive e, inoltre, che non c’è intenzione di attivare la raccomandazione, possibile per i paesi in sorveglianza rafforzata, di presentare un programma di aggiustamento macroeconomico. Mi sembra ci si possa fidare”. La richiesta dei fondi Mes darebbe alla Bce la possibilità di ricomprendere i titoli di Stato sotto il suo ombrello (il programma Omt lanciato da Mario Draghi).
Gli ultimi elementi di riflessione sulla scelta di aderire o meno al Mes riguardano i costi e la reazione del mercato a una sua eventuale richiesta. Sul primo fronte, bisogna considerare che il Meccanismo si finanzia sui mercati a tassi negativi e che ai Paesi verrebbero dunque caricati di fatto solo un margine dello 0,1% annuo, una commissione una tantum dello 0,25% e una fee annuale dello 0,005%. Il calcolo è che l’Italia possa risparmiare circa 5 miliardi in un decennio, nel confronto con quel che pagherebbe agli investitori emettendo “normali” Btp. Altri ancora rimarcano che chiedere il Mes genererebbe stigma sui mercati, come una dichiarazione di incapacità di camminare sulle proprie gambe. Per Giammarioli “non ci sarebbero danni di fiducia sui mercati. Non si tratta di un salvataggio come quelli del passato, non è un soccorso lanciato durante una crisi finanziaria o per rimediare a scelte sbagliate di un governo. Si tratta di una linea di credito studiata per rispondere alla pandemia, fenomeno del quale nessuno ha colpa”.
Le tempistiche
Come ha spiegato il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, intervistato da Repubblica, “le erogazioni del Recovery inizieranno nella seconda parte del 2021 ad eccezione di un 10% che verrà anticipato con l’anticipazione del Piano” con il quale gli Stati membri dettaglieranno come spenderanno le risorse. L’impegno assunto al Consiglio europeo nel pacchetto 2021-2027 è di erogare il 70% delle risorse nel 2021 e 2022, mentre il restante 30% dovrebbe arrivare nell’anno successivo. Quel che potrebbe dar fiato al governo (in termini di cassa) per la scrittura della prossima Manvora è invece scritto al punto 17 dell’accordo, dove si indica che “il prefinanziamento del dispositivo per la ripresa e la resilienza verrà versato nel 2021 e dovrebbe esser pari al 10%” delle risorse. L’agenda per svolgere tutti i passaggi è comunque fitta: “Prima dobbiamo aspettare il percorso di ratifica dei Parlamenti – ricordava lo stesso Gentiloni -, quindi dovremo riuscire a rispettare il calendario con l’approvazione dei Piani di riforme dei singoli Paesi entro aprile e andare sul mercato con titoli europei comuni”.
Ben più snello l’iter del Mes, che a seguito dell’Eurogruppo di metà maggio ha subito attivato la linea pandemica: per richiederlo basta una lettera al board del Meccanismo. Segue una triangolazione tra Commissione, Bce e lo stesso Mes per validare la solvibilità del Paese richiedente e la finalizzazione di un Pandemic Response Plan condiviso con la capitale in causa, su un modello standard per tutti. La stima è che il tutto possa – compatibilmente con i tempi del dibattito del Paese richiedente – concludersi in due settimane. Lo stesso Mes ricorda che fare richiesta dei fondi non significa “tirarli”: possono esser utilizzati come forma di assicurazione nei confronti dei creditori. Quanto alle risorse, il meccanismo di erogazione prevede un flusso pari al 15% del totale accordato al mese: oltre 5 miliardi, nel caso italiano.
(da “La Repubblica”)
argomento: economia | Commenta »