Luglio 10th, 2020 Riccardo Fucile
PROPOSTA MIGLIORATIVA AL GOVERNO SU TARIFFE E SOLDI
L’immagine che raffigura l’ultima mossa è quella delle riunioni dei due consigli di amministrazione.
Entrambi nello stesso giorno, entrambi lunghissimi. Quello di Autostrade per l’Italia e quello della casa madre Atlantia. È nel combinato disposto delle decisioni maturate ai due tavoli che prende forma il tentativo di provare a raggiungere un accordo in extremis con il Governo e evitare così lo scenario della revoca, della cacciata.
Mossa doppia. Due lettere. In una Autostrade presenterà all’esecutivo una nuova offerta su soldi, tariffe e manutenzioni, migliorativa rispetto a quella che nelle ultime ore Giuseppe Conte ha bollato come “non accettabile”. La seconda missiva partirà da Atlantia: dentro ci sarà scritto che i Benetton sono disposti a perdere il controllo di Autostrade. Ma non ad azzerare la loro quota, non a uscire, come chiedono i 5 stelle che pongono questa condizione come l’unica alternativa possibile alla revoca.
Sarà una notte di conteggi, di tabelle e di scrittura quella che i tecnici di Autostrade passeranno tra venerdì e sabato per mettere a punto la proposta che sarà inviata al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
La volontà espressa dal consiglio di amministrazione della società è quella di continuare a dialogare con il Governo, di rispondere sì alla richiesta che i capi di gabinetto del Mit e del Tesoro, insieme al segretario generale di palazzo Chigi, hanno avanzato all’incontro di giovedì. In quella sede il Governo è stato chiaro: non va bene l’ultima offerta di Autostrade, datata 30 giugno e pari a 2,9 miliardi tra taglio delle tariffe, ulteriori investimenti e manutenzioni e soldi freschi anche per Genova. Servono – è la richiesta dell’esecutivo – 500 milioni in più, bisogna quindi mettere sul piatto non 2,9 miliardi ma 3,4 miliardi. E poi una riduzione dei pedaggi strong, tra il 5 e il 10%, spalmata sì su più anni ma in maniera più consistente da subito. E poi ancora soldi di risarcimento danni e la rinuncia ai ricorsi.
I numeri dell’offerta saranno messi nero su bianco solo sabato, quando i tecnici avranno trovato la quadra sulle indicazioni arrivate dal board. In ogni caso l’offerta sarà migliorativa. E questa è la prima mossa per provare a pacificarsi con il Governo.
La seconda mossa, quella che politicamente vale di più perchè legata ai Benetton, è la volontà di lasciare il controllo di Aspi da parte della famiglia. Atlantia, il cui socio di riferimento è la società Edizione dei Benetton, ha l′88% di Autostrade. La controlla. La decisione assunta è quella di diluire la quota, scendendo sotto il 51%, ma non di uscire dai giochi.
Quindi cessione del controllo, ma non azzeramento della quota come vogliono i 5 stelle. Le ragioni e i paletti di questa volontà , anticipati da Huffpost, sono riconducibili a una logica di compartecipazione aziendale. Autostrade oggi soffre e parecchio. Ha bisogno di un rilancio industriale e di liquidità .
I Benetton, in tal senso, sono disposti a farsi meno ingombranti e a farsi affiancare da un investitore statale. Lo schema del futuro assetto è già tratteggiato con l’ingresso del fondo F2i e la partecipazione (ancora da sbloccare) della Cassa depositi e prestiti che potrebbe fare un’operazione di conversione del debito. Ma ci sono anche altri soggetti interessati, come il fondo Macquarie.
Questo però è il secondo tempo. Prima bisogna affrontare il primo, quello che passa dalla nuova offerta su tariffe e manutenzioni. Solo così, infatti, si potrà definire con esattezza il valore della quota di Atlantia e provare a trovare un accordo sul secondo tempo, che per i Benetton deve essere disciplinato da una regola. Questa: la nuova Autostrade dovrà nascere da un aumento di capitale. I soldi, quindi, ce li mette F2i o chi per lui e per tutta la società , dove i Benetton ci saranno ancora, seppure in minoranza.
Il primo tempo potrebbe risolversi positivamente se il Governo arrivasse a ritenere idoneo il nuovo impegno di Autostrade. Ma il secondo tempo è in bilico. Perchè i grillini vogliono giocarlo solo se i Benetton diranno prima che al termine lasceranno il campo. E per sempre.
Una partita dentro un’altra partita, quella che gioca dentro al Governo, con il Pd che spinge per un accordo che può contemplare anche solo la discesa in minoranza dei Benetton e non l’azzeramento. Questa partita si giocherà al Consiglio dei ministri di martedì. Fino ad allora si tratterà ancora. Dentro e fuori.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 10th, 2020 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA AVREBBE NECESSITA’ DI ACQUISTARE UN ATLANTE GEOGRAFICO, FORSE SI RENDEREBBE CONTO DELLE CORBELLERIE CHE SCRIVE
Alt, sei straniero e quindi arrivi col barcone. Questa deve essere l’idea di geografia del leghista Alessandro Morelli che, in un post pubblicato su Facebook, sgretola la crosta terrestre e dice che i cittadini del Bangladesh arrivano in Italia attraverso i barconi.
Una ricostruzione molto fantasiosa (considerando che i flussi migratori via mare verso in nostro Paese sono perlopiù composti da cittadini del Nord Africa e della parte più Mediterranea del Medio Oriente), tanto per cavalcare la polemica degli ultimi giorni.
Il post social pubblicato da Alessandro Morelli su Facebook mostra una foto con alcuni migranti soccorsi a bordo di un gommone, con un testo che recita: «Voli chiusi ai bengalesi, tanto arrivano coi barconi». Il tutto accompagnato dal lancio: «Siamo alle comiche».
E, probabilmente, Alessandro Morelli ha ragione a dire che siamo alle comiche. E spieghiamo il perchè partendo da una piccola mappa geografica.
Questa mappa mostra la distanza tra i due Paesi. Prendiamo per buona la ricostruzione di Alessandro Morelli e proviamo a trovare un itinerario logico: i cittadini del Bangladesh si imbarcano sui barconi partendo da un porto nel Golfo di Bengala, circumnavigano l’Africa passando dall’Oceano Pacifico fino ad attraversare l’Atlantico occidentale.
Poi passano per lo Stretto di Gibilterra e si trovano nel Mediterraneo e, alla fine, arrivano in Italia.
Diciamo che, al netto dei Cristoforo Colombo moderni (ma con rotte più esatte) questo non può accadere.
Potrebbe succedere, però, che i cittadini bengalesi partano dalle loro città , attraversino l’India, il Pakistan, l’Afghanistan, l’Iran, la Siria per poi scegliere se passare anche in Egitto e Libia o imbarcarsi nei pressi della Turchia. E poi arrivano in Italia.
Insomma, non proprio terre semplici da attraversare. Ma, secondo Alessandro Morelli, cittadini del Bangladesh non arrivano in Europa con i voli, ma con i barconi.
Ma, per fortuna, viviamo in un mondo reale.
(da Giornalettismo”)
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Luglio 10th, 2020 Riccardo Fucile
NEANCHE L’ALLARME DI LAMORGESE SULLE TENSIONI SOCIALI SCUOTE IL PALAZZO
Et voilà , siamo a un nuovo volta-pagina di questa storia. Per esperienza, prudenza, per evitare il rischio di aggiungere allarmismo all’allarme è buona regola attendere le classiche 24 ore prima di esprimere il giudizio.
Ebbene sono passate, da quando il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese — prefetto di esperienza, donna prudente, solitamente taciturna, l’opposto del predecessore — ha messo agli atti una dichiarazione molto impegnativa sul rischio “concreto” di “tensioni sociali a settembre”: la crisi, la recessione, le saracinesche abbassate, dunque la rabbia, se prima non si agirà con velocità e determinazione perchè, da che mondo è mondo, l’immobilismo in tempi di emergenza è un detonatore di conflitti sociali.
Parole impegnative, evidentemente supportate da informazioni ed evidentemente seguite da atti concreti, in termini di allerta e di preparazione alle evenienze che si porranno.
Chi la conosce interpreta questa frase come una sorta di avviso ai naviganti, a futura memoria, quando si porrà il tema di chi è responsabile e chi no dell’autunno caldo.
E giudica questo atteggiamento come molto comprensibile, anche alla luce del pregresso, di quando cioè è stata ascoltata come persona informata dei fatti, nell’ambito delle indagini sulla mancata chiusura di Alzano e Nembro, dopo che, in pieno lockdown e relativo accentramento di poteri nelle mani del premier, su quei fatti e su altri non c’è stato uno spasmodico coinvolgimento del Viminale, in relazione alle decisioni da prendere.
Ecco, l’informazione fornita, a proposito di un nuovo possibile fatto, è agli atti, non contestata da nessuno, anzi qui il paradosso: condivisa quasi come un appuntamento ineluttabile con l’Apocalisse, fissato nell’agenda collettiva senza che le agende individuali prevedano altri appuntamenti per farli saltare.
È così che se, con la pazienza del cronista, vai a capire cosa accadrà al cdm di lunedì, appuri che di Autostrade forse si parlerà a quello del giorno dopo e che non ne sanno nulla neanche i capidelegazione del governo, mentre tutti sono impegnati ad attribuire, in un’orgia di spin e voci da sottoscala, la paternità dei veleni forniti alle iene dattilografe sulla presunta irritazione del premier verso il Pd e il ministro De Micheli.
Se invece, tanto per dirne un’altra, provi a capire se qualcuno, dopo la figuraccia al Senato sulla Libia, ha messo la testa al dossier prima che la prossima settimana vada in scena il bis alla Camera, con numeri che da quelle parti sono ancora più eclatanti, ti imbatti nelle solite chiacchiere sul voto.
L’umore pessimo di Nicola Zingaretti, inascoltato nella sua sollecitazione a sciogliere qualche nodo prima che sia troppo tardi, è diventato un caso.
Forse confidando troppo nella riservatezza altrui, il segretario del Pd si è lasciato andare a qualche sfogo su quando sarebbe bello e liberatorio se si potesse andare a votare.
Parole che, nei racconti di seconda e terza mano, sono state prese come una strategia politica nella delegazione di governo dei Cinque stelle, con più di un ministro che ha chiamato Luigi Di Maio, per chiedere: “Ma davvero Zingaretti ha deciso di rompere?”.
Se poi provi a scavare su come qualcuno sta cercando di disinnescare l’altra miccia del potenziale incendio, ovvero il voto sulle regionali, per evitare che vinca la destra, ti imbatti in un altro tassello di questa fase, diciamo così, penultima prima del patatrac annunciato.
E cioè che la dichiarazione di Conte sulla necessità di fare fronte comune nelle regioni ha sortito l’effetto opposto, in Liguria, nelle Marche, in Puglia. Il Pd ha lusingato ovunque i riottosi pentastellati, offrendo un giro in marina con la promessa di far vedere il bel mondo — vicepresidente, assessori, incarichi — ma più forte è stata la spinta territoriale all’autonomia, col paradosso, anche in questo caso che l’unico posto dove l’alleanza si è fatta è Pomigliano D’Arco, a casa Di Maio.
E chissà se c’entra qualcosa lo zampino di Casaleggio, orso di cui si è venduta frettolosamente la pelle, perchè, da quelle parti, conta ancora il legame tra la piattaforma Rousseau e le voci dei territori.
In tempi normali sarebbe il racconto di una coalizione inconcludente, nè la prima nell’ultima degli ultimi lustri.
Di questi tempi — l’ultimo dato dopo Bankitalia, Istat, Ocse è il debito pubblico al 170 per cento, mentre pende un nuovo scostamento di bilancio — senza voler essere iettatori è la fotografia di una tempesta perfetta.
I nostri eroi, per esorcizzarla pur nella consapevolezza che si avverte più di un refolo — si affidano alla riproposizione dello Stato di eccezione, prolungando lo Stato l’emergenza, e dunque l’accentramento dei poteri nelle mani del premier, fino alla fine dell’anno e al soccorso del vecchio Silvio sul Mes, riabilitato come padre della patria. Dunque, per smentire le fosche previsioni della Lamorgese, si deve auspicare di poter scrivere un pezzo dal titolo Menomale che Silvio c’è.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 10th, 2020 Riccardo Fucile
POLEMICHE SIA DA MAGGIORANZA CHE DA OPPOSIZIONE
Sarà prorogato di altri sei mesi, fino a fine anno, lo stato di emergenza proclamato il 31 gennaio. Il premier Giuseppe Conte conferma e la questione subito diventa politica.
“Se il Governo vuole prorogare lo stato di emergenza, venga prima in Parlamento a spiegarne le ragioni”, dice il deputato Stefano Ceccanti, dalle file del Pd. Il provvedimento, del quale si sarebbe già discusso negli ultimi incontri a Palazzo Chigi con i capi delegazione, “è in corso di valutazione” spiegano all’HuffPost dal Ministero della Salute. Considerato, però, che le disposizioni assunte all’inizio dell’anno scadranno il 31 luglio, le riserve dovrebbero essere sciolte a breve.
Ma da dove nasce la decisione, preludio di altri decreti del presidente del Consiglio dei ministri? È proprio necessario estendere lo stato di emergenza? “Se non lo prorogassimo, non avremmo più neppure i mezzi e gli strumenti per continuare a monitorare, per poter intervenire”, specifica il premier sottolineando che la decisione va comunque assunta in Consiglio dei ministri.
All’esecutivo ha fatto riferimento Ceccanti chiedendo il passaggio in Parlamento: “Non si può dubitare che l’esecutivo se ha questo orientamento abbia solide motivazioni”. Già , ma quali sono queste motivazioni?
Il ragionamento che circola al Ministero della Salute sull’opportunità della decisione – e del provvedimento conseguente – è basato sull’ipotesi che, decaduto lo stato di emergenza verrebbero a cadere anche tutte le misure varate per il contenimento del contagio e della circolazione del Covid19.
In un momento in cui il virus, come ricordano ogni giorno la cronaca e i numeri del bollettino della Protezione civile, è tutt’altro che scomparso, anzi ha già riacceso focolai in diverse aree del Paese. Per tacere dei casi di Covid di importazione: per fermarne l’ascesa ieri Speranza, con i ministri dell’Interno, degli Esteri e dei Trasporti, ha varato una nuova ordinanza che impone il divieto di “ingresso e transito” per chi negli ultimi quattordici giorni ha soggiornato o è transitato nei tredici Paesi inseriti in una “black list” – Armenia, Bahrein, Bangladesh, Brasile, Bosnia Erzegovina, Cile, Kuwait, Macedonia del Nord, Moldova, Oman, Panama, Perù, Repubblica Dominicana. E dunque, stante l’evidenza che l’emergenza non è finita, la proroga dello stato di emergenza sarebbe giustificata dal punto di vista sanitario.
Ma c’è anche chi, tra gli scopi della decisione “in corso di valutazione” annovera la possibilità per il Governo di varare in tal modo misure urgenti come i Dpcm evitando di passare per il Parlamento e per la Protezione civile di acquistare mascherine, o ciò che servirà per far fronte alla situazione nei sei mesi a venire, bypassando procedure di gara o concorsi.
Sarà per questo che si vuole estendere l’emergenza per altri sei mesi? Quel che è certo è che, a differenza di quanto è stato sempre fatto finora quando si trattava di assumere decisioni tanto rilevanti, stavolta il Comitato tecnico scientifico della Protezione civile non è stato coinvolto.
Nessuno – nè il premier nè il ministro Speranza – ha chiesto un parere agli esperti, sovente tirati in ballo, soprattutto da Conte, per giustificare la necessità delle misure restrittive via via assunte per contenere l’avanzata del contagio.
“In Cts non ne abbiamo mai parlato”, conferma ad HuffPost una fonte di primissimo piano, ribadendo che “comunque la scelta spetta al decisore politico”. La previsione, anche nel Cts, è che si opterà per il “sì”, che l’emergenza verrà prolungata fino al 31 dicembre. E loro, gli scienziati, si tengono “pronti a una decisione di questo tipo”
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 10th, 2020 Riccardo Fucile
PRESENTATO IL RAPPORTO SULLO STATO DEI SISTEMI GIUDIZIARI UE
Troppe cause civili e commerciali pendenti, pochi giudici in proporzione agli abitanti.
E una percezione dell’indipendenza della magistratura migliore solo di quella di Croazia e Slovenia.
Vista dalle stanze della Commissione europea, la giustizia italiana si presenta così: con qualche miglioramento rispetto agli anni scorsi, ma con tante cose da cambiare ancora.
“Abbiamo proposto al Consiglio di mandare delle particolari raccomandazioni a sette Paesi”, ha detto Didier Reynders, il commissario europeo alla Giustizia, presentando il rapporto annuale sullo stato dei sistemi giudiziari Ue. E tra questi Stati, forse non bocciati ma sicuramente rimandati, c’è l’Italia.
“Rispetto al 2012 ci sono stati dei miglioramenti, ma i procedimenti restano ancora molto lunghi”, ha ricordato Reynders. E, a guardare i grafici inseriti nelle 63 pagine del rapporto, i dati confermano le sue parole. Si stima, infatti, che per arrivare a una sentenza – in materia civile o commerciale – di primo grado ci vogliano poco più di 500 giorni. Un po’ meglio rispetto al 2012, quando si sfioravano i 600 giorni, ma comunque un tempo troppo lungo. Soprattutto se paragonato a quello degli altri Stati.
I tempi diventano biblici se per caso si vuole arrivare in Cassazione. Nessuno fa aspettare un cittadino o un’impresa quanto l’Italia per una sentenza definitiva. Nel 2018 è stato sfondato il tetto dei 1200 giorni: tre anni e quasi quattro mesi. Perchè tutta questa lentezza? Una delle ragioni è nei numeri: i casi da risolvere sono troppi. Circa quattro ogni 100 abitanti. Meglio del 2012, quando erano quasi sei. Ma comunque tanti, soprattutto se si pensa che la Finlandia – che dalle tabelle sembra essere il Paese meno litigioso dell’Ue – rasenta lo zero e la Francia, che pure non è propriamente ai primi posti, non arriva a due.
E se i processi sono troppi, i giudici sono pochi.
Secondo i dati diffusi dal Csm, al 7 marzo 2017 i magistrati italiani erano 9408. Una cifra non troppo diversa da quella attuale. Ma, per la Commissione Ue, troppo bassa. L’Italia fa un po’ meglio di Francia e Spagna ma molto peggio della Germania, per prendere come termini di paragone dei Paesi vicini. Un numero ristretto di toghe, in proporzione agli abitanti, non aiuterà a velocizzare la giustizia civile, già provata dai tanti fascicoli arretrati. Ma, per l’esecutivo comunitario, è il momento di cambiare.
Come risolvere questi problemi? Reynders non ha dubbi: è necessario cambiare le leggi. “Oggi più che mai – si raccomanda – abbiamo bisogno di buone riforme della giustizia. Servono ai cittadini e alle imprese, ma sono importanti anche per l’Unione europea”.
C’è poi un altro aspetto rilevante e riguarda il modo in cui i cittadini guardano la magistratura. Il potere giudiziario italiano, reduce dagli scandali nati dall’inchiesta di Perugia sul ‘mercato’ delle nomine nelle procure, se la passa piuttosto male. Meglio solo di Slovenia e Croazia.
Sono pochissime, secondo le stime della Commissione Ue, le persone che ritengono che l’indipendenza della magistratura italiana sia molto elevata. Una vasta fetta di cittadini mostra scetticismo, quando non addirittura diffidenza. I motivi? Secondo i dati dell’Eurobarometro, molti cittadini credono che i giudici subiscano pressioni dal governo o, comunque, dalla politica. Altri, invece, ritengono che le interferenze arrivino dal mondo dell’economia.
Se per rendere più veloci i processi il ruolo più importante dovrà giocarlo il legislatore, alle toghe spetterà dimostrare – nella nuova fase promessa dopo gli scandali del 2019 e il loro lunghissimo strascico – che la percezione dei cittadini non corrisponde al vero.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 10th, 2020 Riccardo Fucile
I FAMILIARI DELLE VITTIME SI RIVOLGONO ALLA CORTE EUROPEA: TRE GRAVI ERRORI, LA RIAPERTURA DELL’OSPEDALE DI ALZANO, LA MANCATA ZONA ROSSA, IL TRASFERIMENTO DEI PAZIENTI NELLE RSA
C’è l’ipotesi di crimini contro l’umanità , secondo il comitato ‘Noi Denunceremo’, nella gestione dell’emergenza coronavirus da parte della Regione Lombardia. In una lettera che verrà spedita lunedì il comitato, che chiede verità e giustizia per le vittime di Covid-19, domanderà alla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e al presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo Ròbert Ragnar Spanò di vigilare sulle indagini attualmente in corso in Lombardia per determinare le responsabilità delle autorità sulla gestione dell’epidemia.
Si parla, in particolare, di tre scelte effettuate dalla Regione Lombardia che avrebbero esposto la cittadinanza a un maggiore rischio di contagio. Innanzitutto la riapertura dell’ospedale di Alzano Lombardo, dopo che lo stesso si rivelò essere uno dei più importanti focolai del nuovo coronavirus.
Quindi, la decisione di mantenere aperte (in concorso col governo) le attività produttive tra Alzano Lombardo e Nembro, nella Bergamasca, e la zona di Orzinuovi nel Bresciano, nonostante l’Istituto Nazionale della Sanità avesse consigliato all’esecutivo di chiudere anche quelle aree già dal 2 marzo. Infine, la gestione da parte delle Ats dei pazienti ricoverati, molti dei quali spostati dagli ospedali alle Rsa, nonostante già si conoscesse il livello di mortalità del virus, in particolar modo tra le fasce di popolazione più anziana.
Per il comitato guidato da Luigi Fusco, infatti, spostare pazienti positivi al coronavirus in ambienti dove al personale medico non erano stati forniti i dispositivi di protezione personale, come mascherine o guanti, è stata una mossa che, invece di limitare la propagazione del virus, ne avrebbe aumentato i contagi, condannando molti pazienti alla morte.
Gli articoli citati nella lettera, a cui fa appello il comitato, sono l’1, il 2 e il 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che riguardano il diritto alla dignità umana e alla vita, nonchè all’integrità fisica e psichica. Inoltre, viene citato anche l’articolo 32 della Costituzione italiana, secondo cui “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività , e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2020 Riccardo Fucile
RICEVUTI DAL MINISTRO SPERANZA; “SONO L’ITALIA PIU’ BELLA”… HANNO SOSTITUITO I MEDICI DI FAMIGLIA IN QUARANTENA
«Mariateresa, Luca e Paolo sono tre giovani medici di famiglia. Nelle ore più dure a Vo’ Euganeo si sono offerti volontari per sostituire i colleghi medici messi in quarantena. Erano gli unici a entrare e uscire dal Paese tenendo i contatti tra famiglie isolate. Hanno visitato i bambini rimasti senza pediatria e curato chi aveva ferite ma non poteva andare in ospedale. La loro dedizione e passione è un pezzo dell’Italia più bella e conferma le potenzialità e la forza del nostro servizio sanitario nazionale».
Questo il messaggio del ministro della Salute Roberto Speranza che, su Facebook, ha ringraziato i tre giovani dottori che erano andati a Vo’ Euganeo (Padova) per assistere tutti i pazienti rimasti senza medici di base, tutti in quarantena a causa del Coronavirus.
Premiati dal presidente della Repubblica
«Ci hanno chiesto la disponibilità di domenica pomeriggio e l’indomani mattina eravamo già operativi, sul nuovo posto di lavoro» ha raccontato a Open Mariateresa Gallea, 34 anni, che in quei giorni ha lavorato insieme a Paolo Simonato e Luca Sostini. Una «squadra forte», come l’ha definita lei. Tutti e tre sono stati insigniti dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica
Rischio default a Vo’ Euganeo
Intanto a Vo’ Euganeo, piccolo comune di Padova, si rischia il default a causa di tutte le spese sostenute per far fronte all’emergenza sanitaria. Vo’ è stata la prima zona rossa d’Italia il 22 febbraio, primo paese ad avere un morto per Coronavirus.
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2020 Riccardo Fucile
“LA BESTIACCIA NON VA VIA E NELLA GENTE C’E’ CALO DELL’ATTENZIONE”
La preoccupazione di Giancarlo Bosio è legata sì ai numeri, ma soprattutto agli uomini e alle donne che lo hanno affiancato nella grande emergenza, “quando i morti erano all’ordine del giorno e in 24 ore contavamo fino a cento polmoniti”.
All’Ospedale di Cremona in sei giorni il numero dei ricoverati per Covid è salito da 2 a 11 e il primario di pneumologia, che dirige anche il Dipartimento di Medicina, riflettendo sull’ipotetica evoluzione della situazione pensa ai suoi colleghi medici, agli infermieri, agli operatori sanitari
“In quei mesi hanno sostenuto una prova eccezionale, non so quanto sia ripetibile se si tornasse a quella situazione”, spiega. Per una decina di giorni non c’erano stati pazienti “positivi”, poi il virus ha colpito di nuovo. Da 2 a 11 in sei giorni: uno è stato dimesso, quindi oggi ci sono 10 ricoverati, 8 nel reparto di Malattie infettive, 2 in Pneumologia, il suo. Sono un 30enne e un 60enne, arrivano dall’area di Casalmaggiore e della vicina Viadana, in provincia di Mantova. La zona dalla quale proviene la gran parte dei lavoratori della “Parmovo” dove è stato localizzato uno dei nuovi focolai che si sono accesi di recente in Italia.
A Viadana abita il direttore sanitario dell’Azienda socio-sanitaria territoriale di Cremona, Rosario Canino, che non vuole cedere al pessimismo nè all’allarmismo. “Stanno facendo i tamponi ai residenti nelle strade in cui erano stati geolocalizzati i positivi, mi risulta ci sia stata una buona adesione”, racconta ad HuffPost. “Bisogna aspettare l’esito dei test” per capire come sta la situazione, “che comunque non si può dire sia sotto controllo perchè questa bestiaccia – sbuffa – fa quello che le pare e piace e perchè si nota in giro un calo dell’attenzione sulle regole per prevenire il contagio, tanta gente è convinta che il virus non ci sia più”.
Doveroso continuare a stare in allerta, quindi, specie se il numero dei pazienti aumenta in pochi giorni, in una provincia, risultata in termini percentuali la più contagiata dal Covid. La stessa considerazione da cui parte Bosio, che in ospedale sta facendo i conti con quello che definisce “un ritorno di fiamma, tutto sommato prevedibile”.
Perchè prevedibile?
La regressione di un evento naturale di tale portata non segue mai una linea retta. Certo, potrebbe essere anche una ripresa. I prossimi giorni saranno fondamentali per capire se sono piccoli focolai che si autolimiteranno o se sono inneschi che porteranno a onde ben più grandi. In fondo a Codogno tutto è partito con uno, due casi.
Lei che pensa?
Sono ottimista di natura, anche se i dati oggettivi dicono che dobbiamo valutare con molta attenzione.
È preoccupato dalla situazione che si è creata negli ultimi giorni?
Sì, le truppe sono stanche. Da comandante penso ai miei uomini. Nei mesi dell’emergenza hanno sostenuto una prova eccezionale, non so quanto sia ripetibile se si tornasse a quella situazione. Ora sono più preparati, più capaci di gestire un evento imprevisto e drammatico come quello determinato dal Covid, ma psicologicamente sono molto provati. In 40 anni di professione, 20 da primario, non ho mai visto una pandemia dalle conseguenze tanto gravi. La polmonite è sempre seria, importante. Ma così tante, tutte insieme non le avevo mai viste. Siamo arrivati a contarne cento al giorno.
Le polmoniti dei ricoverati di oggi sono diverse da quelle dei pazienti che avete curato nell’emergenza?
I due ricoverati nel reparto di Pneumologia hanno polmoniti uguali a quelle che abbiamo visto in passato. In un caso sta evolvendo verso il bene, per l’altro siamo molto preoccupati. In alcuni casi nei pazienti contagiati abbiamo visto polmoniti molto estese che coinvolgevano gran parte del polmone. Il virus c’è e circola, su questo fronte non è cambiato molto.
E sul fronte delle cure?
Abbiamo imparato tanto. Gli antivirali, per esempio, sulla fase iniziale della polmonite hanno un uso terapeutico assai limitato, mentre antinfiammatori e sostegno respiratorio sono più validi. L’arma per eccellenza è l’utilizzo degli anticorpi delle persone guarite che hanno donato il plasma. Noi abbiamo iniziato a farlo, dopo aver firmato un protocollo con Mantova e Pavia e ho visto risultati eclatanti. E poi l’uso del plasma è l’inizio della strada per il vaccino, che mi auguro arrivi il prima possibile.
Nel frattempo, dottore, non crede che l’attenzione per le regole anti Covid si sia un po’ allentata?
Non so. Di certo posso dirle che tutte le malattie è meglio prevenirle che curarle. Atteso che la prevenzione completa contro il nuovo coronavirus arriverà con il vaccino, nel frattempo dobbiamo fare in modo quanto più possibile di non entrare in contatto col virus. Il solo risparmiare qualche vita dà senso ai sacrifici, alla battaglia e alla stanchezza.
Lei è stanco, dottor Bosio?
Durante l’emergenza, in due mesi e mezzo non ho fatto un giorno di riposo. Paradossalmente, quando ero a casa ero più preoccupato di quando ero in reparto. Però sa una cosa?
Cosa?
Stiamo rivedendo i pazienti guariti e sono molto ottimista sull’evoluzione dell’infezione. Ne abbiamo visitati 250, nessuno ha insufficienza respiratoria, si stanno riprendendo bene. E allora ne è valsa la pena. La battaglia non è finita, ma non possiamo fermarci. Bisogna continuare a combattere.
(da agenzie)
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Luglio 10th, 2020 Riccardo Fucile
LA PROPRIETARIA DEL BRAND: “E’ SOLO LA LUCE DOPO LA PIOGGIA, NON C’ENTRA NULLA CON LA BANDIERA LGBT”: ORMAI NON C’E’ PIU’ LIMITE AL RIDICOLO TRA GLI INTEGRALISTI RELIGIOSI
Il presidente Putin è stato sollecitato affinchè vieti la vendita di un gelato multicolore chiamato Rainbow da un’ex deputata e capo della Russia’s Union of Women, Yekaterina Lakhova.
La donna afferma che la pubblicità del gelato dai colori arcobaleno potrebbe «abituare» i bambini alla bandiera LGBTQ, la famosa bandiera arcobaleno. Secondo la donna questa marca di gelato andrebbe a violare il divieto di propaganda omossessuale che vige in Russia.
La sola esistenza e la pubblicità di un gelato dai colori arcobaleno, quindi, sarebbe propaganda omosessuale — secondo l’alleata di Putin — che va a ledere i valori tradizionali del paese.
La proprietaria del brand, Chistaya Liniya, ha ribattuto che per lei e i suoi «l’arcobaleno è solo la luce dopo la pioggia, nulla a che vedere con la bandiera LGBT», sottolineando che il brand rimane devoto alla famiglia tradizionale. Recentemente Putin ha anche commentato la scelta dell’ambasciata USA di esporre la bandiera arcobaleno negativamente.
Continuando in questa fiera dell’assurdo l’ex deputata ha anche affermato, come riporta il Times, che — nel suo personale sentire — «la bandiera arcobaleno susciti gli stessi sentimenti negativi della svastica».
Lakhova ha affermato in una precedente intervista: «Non mi piace l’arcobaleno proprio come non mi piace la svastica», mettendo sullo stesso piano due simboli che più agli antipodi di così non potrebbero essere.
(da agenzie)
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