Luglio 30th, 2020 Riccardo Fucile
TRADIMENTI E TRABOCCHETTI SULLE COMMISSIONI MANDANO IN FRANTUMI IL MOVIMENTO, TRUPPE AMMUTINATE CONTRO I GENERALI
“Qui dentro non c’è più nulla, è esploso tutto”. Un deputato del Movimento 5 stelle sospira: “Ormai fare accordi con i nostri vertici, da quelli parlamentari a quelli politici, significa non farli con nessuno”.
Il Movimento 5 stelle è terra limacciosa sotto il diluvio che viene giù. Una poltiglia sbrindellata in cui chi parla per conto di chi e per fare cosa non è chiaro a nessuno e per nessuno.
Il caos sul rinnovo dei presidenti delle Commissioni parlamentari è stata la classica goccia, il vaso è traboccato. “È evidente che il ruolo del ‘capo’, lo avete esercitato in maniera egregia, creando però spaccature enormi all’interno del gruppo”, ha scritto tra gli altri Leonardo Donno, che ha sbattuto la porta e lasciato il suo ruolo di capogruppo nella Bilancio.
Intorno alle 20 di ieri il capogruppo alla Camera Davide Crippa si è messo in contatto con Vito Crimi. La situazione prospettata al capo reggente del partito era drammatica: qui viene giù tutto, i nostri non votano il renziano Luigi Marattin alla guida della Finanze.
Nella bolla di sospetti in cui vivono i 5 stelle è partito lo psicodramma. Qualche ora prima un gioco di antipatie, veleni e veti incrociati avevano fatto saltare la testa prima di Pietro Lorefice, designato presidente pentastellato della commissione Agricoltura del Senato, quindi di Pietro Grasso, il candidato di Leu alla guida della Giustizia.
Al loro posto due leghisti. E non servirebbe aggiungere altro, se non che Marattin aveva dovuto ripiegare sulla Finanze dalla Bilancio, vero obiettivo di Italia viva, e che se fosse successo un pasticcio pure a Montecitorio ci si sarebbe avvicinati a un punto di non ritorno.
Crimi e Crippa si consultano. Poi i nuovi capi del Movimento che voleva aprire la scatoletta di tonno del Senato finiscono per pescare a strascico le loro stesse sardine, con una decisione, questa sì, senza precedenti nella storia della Repubblica: dieci deputati considerati riottosi vengono presi per le orecchie dalla commissione Finanze e forzosamente sostituiti da esponenti più docili. “Una forzatura che va contro la Costituzione”, tuona il sottosegretario all’Economia Villarosa.
L’ala sovranista che fa capo a Raphael Raduzzi e Alvise Maniero non ci sta. I 5 stelle impallinano il proprio stesso candidato alla Giustizia, Mario Perantoni.
La ruota si inceppa di nuovo. Viene eletto Catiello Vitiello, ex pentastellato oggi con Iv. Raccontano di una paradossale telefonata di scuse ricevuta dai renziani proprio dal direttivo 5 stelle. Davide Tripiedi non ci sta: “Per me basta così”, ha detto a un collega subito prima di dimettersi da capogruppo della commissione Lavoro.
Crippa e Gianluca Perilli, capo dei senatori, sono sotto schiaffo. Lo è soprattutto Crimi, definito “capo di niente”. Un suo collega a Palazzo Madama ci va giù duro: “Non riesce a contare niente nemmeno al Viminale, dove è vice dell’unico ministro tecnico, figuriamoci qui dentro”.
I leghisti gongolano, e raccontano di cellulari che hanno ricominciato a squillare. I miasmi salgono su, fino a Palazzo Chigi. “Conte sta facendo promettere mari e monti a tutti – dice un onorevole – lo fa per blindarsi, ma non capisce che così magari un gruppetto lo segue, ma sfascia il Movimento. O magari lo capisce…”.
Con Perilli e Crippa boccheggianti, è dovuto intervenire Federico D’Incà nella trattativa per le presidenze. Il ministro dei Rapporti con il Parlamento ha tentato di esercitare il suo garbo e la sua paziente moral suasion, con risultati altalenanti.
Perchè anche grazie al suo intervento l’accordo si è chiuso, per poi franare poche ore dopo. Ma soprattutto è stato il segnale di un interesse e una preoccupazione del governo in una trattativa prettamente parlamentare.
E a nessuno è sfuggito che D’Incà ricopre sì il dicastero che più ha attinenza con le Camere, ma che è anche uno degli uomini vicini al premier. “Questi stanno promettendo posti di governo e sottogoverno – dice un pasdaran dei duri e puri – Guardate la Azzolina. Appena si sono diffuse le voci di rimpasto hanno mollato qualche parolina e la gente si fa i film”. Sotto accusa soprattutto Riccardo Ricciardi, vicecapogruppo con un passato vicino a Roberto Fico e oggi considerato il “capo dei contiani” in Parlamento: “Lui e Crippa sono schiacciati sul Pd, Carla Ruocco sta giocando la sua partita, siamo allo sbando”, scrive in una delle chat che spuntano come strani funghi estivi un onorevole.
Federica Dieni e Mattia Fantinati hanno promosso la convocazione di un’assemblea di gruppo. E subito è partita una raccolta firme per sfiduciare il direttivo. Oltre trenta i firmatari, ma il pallottoliere racconta di un bacino potenziale che sfiora i cento. Per cercare di evitare il peggio, è intervenuto il vertice: ok all’assemblea, ma non drammatizziamo la situazione, ne va del futuro di tutti. Il compromesso è che l’assemblea si farà , ma la prossima settimana. Martedì 4 i parlamentari si riuniranno su Zoom, si annuncia uno sfogatoio degno di una telenovela da prima serata.
Crimi e Perilli devono fronteggiare le accuse di essersi fatti infilare il Mes sotto il naso nella risoluzione di maggioranza che ha accompagnato lo scostamento di bilancio.
Un pasticcio di cui gli stessi 5 stelle al governo si sono accorti quando ormai era troppo tardi per tornare indietro, una manciata di minuti prima del voto. Sergio Battelli e Emanuale Dessì hanno dato segnali di apertura sul Fondo salva stati. La maggioranza silenziosa sarebbe anche pronta a votarlo per salvare la poltrona, ma sono più di cinquanta gli onorevoli cittadini pronti a far saltare il banco.
Se collassa il principale partito di maggioranza, collassa il governo. Crimi, insieme a Paola Taverna, ha provato a rinviare più in là possibile gli Stati generali, scialuppa di salvataggio per poter ridare un senso a questa storia, dovendo alla fine cedere.
Circola la data del 4 ottobre, praticamente la prima finestra utile dopo il referendum sul taglio dei parlamentari e le elezioni regionali. E’ Villarosa, non senza qualche ragione, a dire che “con un vero capo politico tutto questo non sarebbe successo”.
Lorenzo Fioramonti da sinistra e Gianluigi Paragone da destra stanno lavorando a due nuove formazioni diventate improvvisamente attrattive per molti parlamentari. La kermesse autunnale è vista come ultima chiamata per ricucire il tessuto di una forza politica disgregata. “Crimi chi?”, chiede un senatore interpellato al telefono. La deputata Yana Ehm cita Brecht: “Il Comitato Centrale ha deciso: poichè il popolo non è d’accordo bisogna nominare un nuovo popolo”. Sempre che non sia troppo tardi.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 30th, 2020 Riccardo Fucile
E’ LA STESSA PERSONA PER LA QUALE FONTANA ERA GIA’ STATO INDAGATO PER ABUSO D’UFFICO NEL FILONE “MENSA DEI POVERI”
Un incarico in Aler, l’azienda lombarda per l’edilizia residenzale, con consulenza da 22mila euro per l’ex socio dello studio legale di Attilio Fontana, Luca Marsico.
È il nuovo caso emerso in Regione Lombardia, già nella bufera per le numerose inchieste giudiziarie legate alla gestione dell’emergenza coronavirus
A rischiare di mettere nuovamente in difficoltà il governatore leghista è lo stesso Luca Marsico per il quale, un anno fa, Fontana era stato indagato per abuso d’ufficio in un filone dell’inchiesta “mensa dei poveri”.
Allora nel mirino degli inquirenti c’era un presunto tentativo di Fontana di piazzare l’amico in un ente regionale. La Procura aveva poi chiesto l’archiviazione e lo stesso Marsico aveva difeso Fontana.
Ora il nome di Marsico, come riportato ieri dal quotidiano La Stampa, spunta in una delibera del 28 maggio.
Ancora nel pieno dell’emergenza coronavirus, e mentre stava per scoppiare il caso dei camici ordinati dalla centrale acquisti regionale all’azienda del cognato di Fontana, la delibera di Aler nominava nell’organismo di vigilanza (che ha il delicato compito di controllare la gestione del disastrato patrimonio edilizio dell’azienda, i cui bilanci sono da anni in profondo rosso) l’avvocato Luca Marsico “quale membro esterno” per un compenso annuo “determinato in 22.000,00 euro più Iva”. La nomina parte dal primo giugno 2020 e ha durata triennale.
Oltre a Marsico, nell’organismo entrano anche Cristoforo Vinci e a Carmine Pallino, quest’ultimo è l’ex commissario della Fondazione Molina di Varese, una delle tre più importanti case di riposo della Lombardia, fondazione privata il cui Presidente e Consiglio di Amministrazione vengono nominati dal sindaco di Varese. Che fino al 2016 è stato Attilio Fontana.
Nulla di illegale nella nomina, ma un nuovo elemento su cui le opposizioni battono per sottolineare la discussa abitudine giunta Fontana di nominare “vecchie conoscenze” per incarichi ben remunerati.
“Questo è il sistema Lega, che nomina sempre gli stessi e usa il potere in modo inaccettabile. E il sistema che va mandato a casa”
(da Fanpage)
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Luglio 30th, 2020 Riccardo Fucile
“SE LA SITUAZIONE PRECIPITA AIUTERO’ IL GOVERNO, IO PENSO AL BENE DEL PAESE, LE BANDIERINE LE LASCIO AD ALTRI”
“Una grande occasione mancata, questo voto sullo scostamento di bilancio, in un momento drammatico. Per il governo, ma anche per il centrodestra. Diciamo per il Paese. Il presidente Mattarella aveva chiesto coesione e condivisione. E invece”: così il deputato di Forza Italia, Renato Brunetta, in un’intervista a La Repubblica.
“Il governo ha commesso i suoi errori, ignorando le richieste dell’opposizione — ha aggiunto il responsabile economico del partito azzurro — ma anche noi, dopo aver votato i due precedenti scostamenti da 20 e 55 miliardi senza chiedere nulla, adesso eravamo chiamati a maggior senso di responsabilità ”.
“Nei primi due scostamenti non ci siamo fatti problemi perchè lo chiedeva il Paese. Ma lo chiede anche ora. E io mi sento in colpa verso il Paese”, ha aggiunto.
Alla domanda se in caso di crisi a settembre, Fi sarebbe disponibile a dare una mano al governo, Brunetta ha risposto: “Io sulla linea della razionalità e del dialogo ci sono. Anche perchè, se alla conflittualità imposta dalle regionali si somma quella parlamentare e infine lo scontro sociale frutto della crisi, siamo alla bancarotta. A quel punto ognuno farà la propria scelta. Io, a 70 anni, penso solo al bene del Paese. Le bandierine le lascio ad altri. Qui ci giochiamo il futuro”.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2020 Riccardo Fucile
MA EVITA DI PARLARE DI SALVINI SENZA MASCHERINA
Oggi il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha partecipato alla cerimonia di inaugurazione del robot ‘Da Vinci Xi’ all’ospedale di Schiavonia.
Zaia si è rivolto ai negazionisti del coronavirus in uno dei centri medici che sono stati più provati dall’epidemia di Covid-19 in Veneto: “Lo dico per i negazionisti: noi qui abbiamo visto i malati e abbiamo visto la gente morire”.
Il governatore del Veneto ha parlato ai medici e agli amministrativi presenti, ribadendo come la Regione abbia saputo affrontare con grande professionalità la battaglia alla pandemia. “Il Madre Teresa di Calcutta di Schiavonia si conferma un ospedale strategicamente importante della rete ospedaliera veneta, capace di dare risposte sempre più qualificate ai cittadini della Bassa Padovana”.
Zaia ha fatto indubbiamente bene a redarguire chi adotta comportamenti pericolosi o può essere di cattivo esempio asserendo che quella Covid-19 è una “falsa pandemia ed è un progetto di governo mondiale.”
Ma cosa è successo il giorno dopo il convegno in Senato, quando un giornalista ha chiesto a Zaia di commentare la decisione del leader della Lega Matteo Salvini di rifiutarsi di indossare la mascherina?
Per coerenza il governatore avrebbe dovuto stigmatizzare anche le parole del suo leader. Invece si è limitato a un pilatesco: “Non entro in questo dibattito”, pur ribadendo la necessità di indossare la mascherina quando ci si trova in luoghi chiusi o comunque a meno di un metro di distanza dalle altre persone.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2020 Riccardo Fucile
I CARABINIERI ARRIVANO SUL POSTO E SCOPRONO CHE I DUE AGGRESSORI SONO POLIZIOTTI
“Sono stato picchiato senza motivo da un poliziotto in borghese. In una delle strade più frequentate di Roma. Guardate come mi ha ridotto”: è questa la denuncia di Marco, un ragazzo romano di 23 anni. La procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine in relazione alla denuncia. Il procedimento, in cui si ipotizzano i reati di tentata rapina e lesioni, è stato affidato al pm Roberto Felici che ha ricevuto nelle scorse ore la prima informativa dei carabinieri.
A Leggo, il giovane ha raccontato in esclusiva il suo incubo, iniziato quando – di ritorno da una serata a Trastevere – uno scooter affianca l’auto sulla quale viaggiava con un amico.
«Era una 500 XL con a bordo due uomini. Mi fissano e mi urlano “ma che cazzo ti guardi?”. Io rispondo per le rime e continuiamo a battibeccare per qualche secondo. Quando pensavo fosse tutto finito si scatena l’inferno».
Stando a quanto riportato, il 23enne non credeva di trovarsi di fronte ad un poliziotto.
«Ci tagliano la strada, bloccando lo scooter e quello alla guida si avvicina a me. Mi urla in faccia parolacce e minacce di ogni tipo. Poi mi colpisce con due schiaffi fortissimi. In pieno viso. Ero pronto a reagire quando tira fuori il tesserino e mi dice di esser un poliziotto. E urla ancora “e mo che fai?”. A quel punto mi blocco. Non credevo ai miei occhi. Mi urlava “ti arresto”, “ti faccio sparare” e altre frasi rabbiose. Inizio a parlare chiedendo loro perchè si stavano comportando così e per tutta risposta mi sferra un pugno in pieno volto».
Arriva l’ambulanza e volanti della polizia che raccolgono la sua versione. Nonostante i cinque punti sul labbro, il giovane è deciso a fare giustizia e il giorno dopo, secondo quanto riporta Leggo, ha dennciato il fatto ai carabinieri di Porta Portese.
Sul posto sono giunte varie pattuglie dei carabinieri che hanno proceduto all’identificazione dei due aggressori, risultati poliziotti in borghese, e delle vittime.
“In data odierna, dalla lettura di articoli pubblicati su ”Il Fatto Quotidiano” e ”Leggo” si è appreso di ulteriori e non conosciuti aspetti relativi a due diversi interventi espletati da personale dipendente della Questura di Roma avvenuti rispettivamente in data 13 aprile e 25 luglio. Per gli episodi rappresentati, sono state subito promosse attività ispettive interne volte a ricostruire l’esatta dinamica ed accertare le eventuali responsabilità connesse”, si legge in una nota della Questura di Roma in merito a due distinti casi, riportati oggi su alcuni organi di stampa, in cui due ragazzi sarebbero stati picchiati da agenti della Polizia di Stato.
”Si rappresenta che sono state tempestivamente inoltrate per il necessario prosieguo di legge le comunicazioni all’autorità giudiziaria con le informative di reato — continua la nota — Nell’ambito della consueta collaborazione con l’autorità giudiziaria sono stati inviati gli articoli di stampa, uno dei quali corredato dal video che riproduce le immagini della perquisizione, attesa che è condivisa la volontà di fare piena luce sulla dinamica di entrambi i fatti”.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2020 Riccardo Fucile
IL CLAMOROSO SVARIONE DELLA GIORNALISTA PARLAMENTARE SPADORCIA… LE SCUSE DELLA DIREZIONE DEL TG2
La diretta, a volte, può giocare brutti scherzi. È il caso del servizio del Tg2 che, proprio in una diretta dal Senato a pochi secondi dalla chiusura delle votazioni sul caso Open Arms, ha annunciato “il colpo di scena”.
“Salvini non andrà a processo, non è stata concessa l’autorizzazione”. La giornalista era nella sala dei Postergali, quella usata per le dirette nella quale non ci sono agenzie, non ci sono computer e non ci sono nemmeno schermi dai quali seguire i lavori in Aula.
“lo spoglio si è concluso pochi istanti fa – ha annunciato la conduttrice del Tg2 – in diretta dal Senato abbiamo Maria Antonietta Spadorcia”.
La cronista posa il telefono e prende la parola. “È proprio di ora il risultato, non è passata l’autorizzazione a procedere…” è stato l’incipit del servizio della cronista di Palazzo Madama. Pare che l’errore di interpretazione del voto dell’Aula le sia stato suggerito al telefono, pochi istanti prima della diretta, dal suo caporedattore.
“Sembrava un voto scontato – prosegue lo sfortunato servizio – visto anche il sì di Iv. E invece no, ci sono stati 141 voti favorevoli ma 149 no. Quindi Salvini non andrà a processo. Questo è davvero un colpo di scena perche tutta la maggioranza era compatta per dire che non c’era interesse generale”. “Ma il centrodestra compatto ha detto no: Salvini ha fatto l’interesse generale”.
Protagonista della clamorosa gaffe una giornalista parlamentare con vent’anni di esperienza e scrittrice. Suo il libro “Di corsa e di carriera”, edito da Macchioni, prefazione Vittorio Sgarbi.
Questa volta, ironia della sorte, andare in onda di corsa ha procurato alla conduttrice un inciampo di carriera. Il suo svarione non è passato inosservato. E come avrebbe potuto non essere notato, del resto, vista tra l’altro l’enfasi con cui annunciava che “il centrodestra, compatto, ha detto che Salvini ha fatto l’interesse generale”.
“Nell’edizione del Tg2 delle 18.15, subito dopo l’annuncio della presidente del Senato Casellati del risultato della votazione sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, durante un collegamento abbiamo erroneamente detto che con il voto l’autorizzazione a procedere non sarebbe stata concessa, mentre il Senato ha autorizzato il processo al senatore Salvini”.
Così, in una nota, la direzione del Tg2. “È stato un grave errore di interpretazione del risultato, che abbiamo corretto qualche minuto dopo con un vivo del conduttore. Ci scusiamo comunque – conclude la direzione del Tg2 – per aver indotto in errore i nostri ascoltatori”.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2020 Riccardo Fucile
ORA, COME PER TUTTI I CITTADINI NORMALI, SI DOVRA’ DIFENDERE IN TRIBUNALE
Matteo Salvini può andare a processo con l’accusa di plurimo sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio: dal Senato è arrivato il sì all’autorizzazione a procedere sulla vicenda Open Arms, la nave della ong spagnola rimasta per 20 giorni nel Mediterraneo con a bordo 164 migranti ad agosto 2019, quando Salvini era ministro dell’Interno e bloccò lo sbarco.
A Palazzo Madama sono stati 149 i sì all’autorizzazione a procedere. Viene bocciata quindi la relazione della Giunta delle immunità che era contraria al processo: ha ricevuto solo 141 voti favorevoli (ne servivano 160, ne ha preso uno in meno del previsto)
Dopo la decisione del Senato di concedere l’autorizzazione a procedere per Salvini, il procedimento torna ora alla Procura di Palermo che dovrà chiedere il rinvio a giudizio del leader della Lega.
Il gup fisserà l’udienza preliminare al termine della quale i pm potranno chiedere il processo o il proscioglimento dell’ex ministro.
L’imputato — Salvini assumerà questa veste dopo la richiesta di rinvio a giudizio — potrebbe scegliere riti alternativi come il patteggiamento o l’abbreviato.
L’udienza preliminare si concluderà con il rinvio a giudizio o con il proscioglimento. Nel primo caso il processo passerà al tribunale ordinario del capoluogo e si svolgerà secondo le norme del codice di procedura penale.
(da agenzie)
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Luglio 30th, 2020 Riccardo Fucile
DUE ORE PRIMA DELLA “DONAZIONE”, IL COGNATO TENTA DI RIVENDERE I 25.000 CAMICI MAI CONSEGNATI
Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera spiega il motivo del sequestro dei 25mila camici avvenuto ieri nella ditta Dama SPA del cognato Andrea Dini e il collegamento con l’accusa nei confronti di Fontana: nella storia adesso c’entra un messaggio whatsapp delle 9 del mattino del 20 maggio, che secondo il quotidiano serve a fondare la convinzione dei pm di «un preordinato inadempimento» contrattuale «per effetto di un accordo retrostante» tra la Regione Lombardia e l’imprenditore varesino Andrea Dini (fratello della moglie del presidente della giunta regionale Attilio Fontana), che il 16 aprile era stato affidatario diretto con la propria «Dama spa» di una commessa da 513.000 euro per la fornitura di 75.000 camici e 7.000 set sanitari alla centrale acquisti regionale «Aria spa» diretta da Filippo Bongiovanni.
Come abbiamo ricordato, dalla partita trasformata in donazione “sparirono” 25mila camici che Dini cercò di vendere a un altro ente.
Due ore prima di mandare la mail con cui annunciava alla centrale acquisti del Pirellone di voler trasformare la fornitura a pagamento in donazione contattò con un Whatsapp («Ciao, abbiamo ricevuto una bella partita di tessuto per camici. Li vendiamo a 9 euro, e poi ogni 1000 venduti ne posso donare 100») alle 9,18 del mattino l’interlocutrice commerciale E. R.:
Il giuridichese è orribile, ma vuol dire che, se Dini cercava di vendere i 25.000 camici già due ore prima di proporre alla Regione la donazione, e dunque a maggior ragione senza nemmeno sapere se la Regione l’avrebbe poi accettata (cosa che formalmente non accadrà mai), era perchè Dini era già sicuro, per sottostanti accordi con qualcuno in Regione, di poter contare sul fatto che la Regione non pretendesse più i 25.000 camici restanti.
Ovvio che il whatsapp avrebbe questo valore solo se offerti fossero davvero stati quei camici della fornitura regionale, e non altri: ascoltata come teste, il 18 giugno la donna ha rafforzato questa interpretazione dei pm, aggiungendo che invece in aprile Dini le aveva detto «di dover vendere alla Regione» in forza di «un contratto in via esclusiva».
Intanto, sul tentativo di Fontana di «risarcire» il cognato il 19 maggio con un bonifico di 250.000 euro, la newsletter Domani inquadra la tecnica dell’operazione «segnalata sospetta» da Unione Fiduciaria e bloccata:
Dal conto svizzero Ubs «a nome della fiduciaria italiana» a «un conto omnibus intestato alla fiduciaria presso la Banca Popolare di Sondrio», e da qui alla società di Dini. Senza mai che Fontana comparisse in «un trasferimento formalmente disposto da una società fiduciaria (ma di fatto da Fontana) tramite un’operazione domestica (ma di fatto proveniente da un conto estero)».
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 30th, 2020 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE AVEVA SEMPRE SOSTENUTO CHE IL CONTO NON ERA OPERATIVO DA ANNI… SI FA STRADA L’IPOTESI DIMISSIONI
Ci sono 600mila euro in più nel conto svizzero di Attilio Fontana: sono entrati tra 2013 e 2015 e potrebbero servire a ritenere “curiosa” (eufemismo) l’affermazione del presidente di Regione Lombardia riguardo il conto a Lugano «non operativo dagli anni Ottanta», come ha detto lui.
Repubblica spiega oggi la vicenda partendo dal casus belli, ovvero il tentativo di inviare tramite bonifico 250mila euro alla ditta di Andrea Dini, nata, secondo quanto detto dal governatore, dalla necessità di fare beneficenza (al cognato) e per il suo avvocato Jacopo Pensa come “un atto di solidarietà al cognato che in forza di quella parentela aveva solo avuto danni”.
Fontana sembra aver cercato di occultare la provenienza di quei soldi visto che, come ha scritto oggi anche il Corriere della Sera, i soldi si sarebbero mossi dal conto svizzero Ubs «a nome della fiduciaria italiana» a «un conto omnibus intestato alla fiduciaria presso la Banca Popolare di Sondrio», e da qui alla società di Dini.
Senza mai che Fontana comparisse in «un trasferimento formalmente disposto da una società fiduciaria (ma di fatto da Fontana) tramite un’operazione domestica (ma di fatto proveniente da un conto estero)».
Come abbiamo già raccontato, a giugno del 2015, alla morte della madre 92enne che di professione faceva la dentista e secondo Fontana non ha mai evaso il fisco, il governatore eredita 5,3 milioni di euro, depositati nel conto svizzero protetto da due trust, basati alle Bahamas e creati dalla madre, di professione dentista, nel 1997 e nel 2005.
Il che è tipico di chi non evade mai il fisco, converrete.
Ereditato il denaro (insieme a immobili tra Varese e Como) Fontana approfitta dello scudo fiscale. Nel 2015 denuncia i soldi svizzeri alle Agenzie delle Entrate aderendo alla voluntary disclosure. E indicando come provenienza unica «eredità familiare». In un’intervista al Foglio racconta di aver scoperto dell’esistenza del trust soltanto alla morte dei genitori: «Escludo che mia madre sia mai stata alla Bahamas. Da quanto ne so io, i soldi sono sempre rimasti a Lugano dove ogni tanto si recavano per curarne la gestione». Eppure di quel trust lui era beneficiario, dopo essere stato, dal 1997 al 2005, anche delegato a operare sul patrimonio.
«Comunque quel conto (aperto presso la Ubs Switzerland di Lugano, ndr) non era operativo da decine di anni, penso almeno dalla metà degli anni Ottanta», sostiene Fontana nell’intervista a Repubblica.
L’analisi dei flussi finanziari contenuta negli allegati della volontary disclosure però racconta altro.
Nel 2010 il saldo del conto si ingrossa di 129.000 euro, nel 2011 diminuisce di mezzo milione, nel 2012 cresce di 442.000 euro, e di altri 200.000 euro nel 2013.
Il documento dell’Agenzia delle Entrate si ferma a quell’anno, non va oltre. Già così ce n’è abbastanza per incuriosire i finanzieri del Nucleo di polizia valutaria, delegati alle indagini dalla procura milanese.
Intanto: da dove provengono i soldi (circa 800 mila euro) in entrata? E dove è andato a finire il mezzo milione uscito nel 2011?
«Il presidente ribadisce di non aver mai operato su questo conto. Se variazioni ci sono state nel corso degli anni, sono dovute a performance positive o negative degli investimenti», dice Jacopo Pensa, avvocato difensore di Fontana.
Che, a proposito, del bonifico da 250mila euro svelato dalla newsletter di Domani, aggiunge: «Lui non sa nulla di queste tecniche bancarie».
Infine, spiega il quotidiano, il conto di Lugano si ingrossa di altri 600 mila euro circa:
Nel 2013 ammonta a 4,7 milioni, due anni dopo Fontana ne dichiara 5,3 nella voluntary disclosure. Da dove arriva quella somma in più?
Se fossero guadagni dello stesso governatore, si configurerebbe per lui il reato di “falso in voluntary”. Al momento è solo un sospetto, non ci sono prove.
Il Messaggero intanto scrive oggi in un articolo a firma di Emilio Pucci che nei giorni scorsi Fontana per un attimo ha pensato di lasciare, amareggiato per gli attacchi personali. Ma Salvini gli ha ripetuto nuovamente di andare avanti, di non farsi intimorire da quella che considera una vera e propria macchina del fango in movimento.
Il segretario difende il governatore lombardo a spada tratta ma — riferisce un big della Lega — ha voluto un chiarimento, un quadro ben definito per non trovarsi sui giornali nuovi particolari dell’inchiesta e conoscere tutti i risvolti giudiziari
Insomma da un lato il leader del partito di via Bellerio lo invita a resistere, dall’altro vuole spiegazioni per capire in maniera completa ogni aspetto su cui la magistratura sta indagando. Con il convincimento che il “caso camici” non porterà a nulla.
(da “NextQuotidiano”)
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