Luglio 13th, 2020 Riccardo Fucile
LA PARTITA NON E’ PIU’ SOLO ITALIANA, IL PRESSING DEGLI INVESTITORI ESTERI… IN BALLO IL LAVORO DI 7.000 DIPENDENTI E IL RISCHIO DEFAULT… L’IMBARAZZO PER LA BATTUTA DELLA MERKEL E UNA TRATTATIVA CONDOTTA DAL GOVERNO CON DOLO
La scena che svela e anticipa l’ennesimo rinvio della grande promessa di Giuseppe Conte, quella di togliere le autostrade ai Benetton, prende forma in Germania.
Castello di Meseberg, conferenza stampa con Angela Merkel. Il premier è arrivato in terra tedesca portando in tasca la certezza di un Consiglio dei ministri ad horas decisivo, con un esito autocompilato e annunciato al mattino sui giornali: il Governo toglierà la concessione ad Autostrade.
Partono le domande dei giornalisti. Conte parla solo di “un’informativa”, derubrica la linea dura a una decisione “collegiale”. Ma il clou della scena arriva alla fine. La Cancelliera chiude con una battuta: “Si è parlato tanto di autostrade oggi qui. Sono proprio curiosa di sapere come andrà questo Consiglio dei ministri di domani”.
Conte la guarda imbarazzato, poi scendono insieme dal podio e guadagnano l’uscita. Anche martedì non sarà il giorno della scelta.
La battuta della Cancelliera non passa inosservata. Proprio lei che tradizionalmente è ben attenta a non parlare in pubblico di questioni proprie di un altro Paese.
Ma qualcosa, anzi più di qualcosa, dicono le sue parole. Ed è un qualcosa che esula dal fatto che abbia discusso o meno del tema nel faccia a faccia con Conte (cosa che lo staff del premier smentisce).
Il punto è che Autostrade è diventato comunque un tema anche tedesco. Il mondo finanziario ha alzato la soglia dell’attenzione e della pressione proprio sulla Cancelliera. E a cascata sul governo italiano.
Il rischio in campo è elevato. Ci sono parecchi fondi istituzionali che hanno sottoscritto una fetta abbondante dei bond di Autostrade e della casa madre Atlantia.
Schroder, Cardiff, Deka. Se il Governo procede con la revoca, Autostrade rischia di andare in default, cioè di fallire, e quindi di lasciare questi fondi creditori senza un euro. In ballo ci sono 19 miliardi.
E poi c’è Allianz, il colosso tedesco delle assicurazioni, che ha il 6% di Atlantia. Qui il rischio è di uscire dai giochi e perdere tutto.
È questo uno dei motivi che frenano la possibilità per Conte di chiudere la partita. Il fronte della maggioranza, renziani esclusi, è compatto nel tirare dritto.
Anche il Pd si è convinto che si può virare sulla revoca e arrivare finalmente a decidere a quasi due anni dal crollo del ponte Morandi a Genova. Insomma, i problemi vengono da fuori. E sono parecchi.
L’irritazione dei fondi tedeschi non è isolata. Silk Road Fund, il fondo governativo cinese che detiene una quota attorno al 5% di Autostrade, ha chiesto spiegazioni all’ambasciatore italiano a Pechino. Tutti i creditori sono in allarme.
L’insolvenza della società avrebbe strascichi pesantissimi su grandi istituzioni finanziarie come la Banca europea per gli investimenti, ma anche su tutti gli altri creditori, dalle banche italiane come Intesa, UniCredit e Mps, a quelle straniere, come Hsbc e Bnp Paribas, a un colosso degli affari come Goldman Sachs.
Farebbe malissimo anche alla Cassa depositi e prestiti, quindi di fatto allo Stato, che vanta un credito di 3,1 miliardi. Il crollo del titolo in Borsa a -15,9% e 1,7 miliardi bruciati sui mercati hanno già presentato un antipasto amaro ben chiaro.
La pressione che piomba sul tavolo del Governo è fortissima. Sullo sfondo ci sono i rischi di un contenzioso decennale che può costare alle casse dello Stato fino a tredici miliardi.
Subito il futuro dei settemila dipendenti di Autostrade e le tasche di 17mila piccoli risparmiatori. Anche questo pesa sulla decisione finale del Governo.
Oramai spazi di trattativa con i Benetton non ce sono più. Perchè quando i vertici di Autostrade e di Atlantia hanno letto le interviste che Conte ha rilasciato a due quotidiani sono sobbalzati sulla sedia. Il ragionamento dice grosso modo così: prima abbiamo trattato con il Governo, negli scorsi giorni la società ha messo sul piatto più soldi per i risarcimenti e miliardi di investimenti, e ora il premier dice che la condizione per evitare la revoca è che i Benetton escano da Autostrade, azzerando la quota dell′88% che detengono attraverso Atlantia.
Insomma, il sospetto di una trattativa con dolo. Anche perchè, come ha ribadito nel comunicato accompagnato alla pubblicazione della proposta migliorativa, la società aveva già comunicato al Governo la disponibilità di Atlantia a scendere fino al 37 per cento. Non a zero però.
E di arrivare a zero non si era parlato all’ultimo incontro, quello dove era presente anche Roberto Chieppa, il segretario generale di palazzo Chigi. Insomma quella condizione è arrivata dopo. A trattativa chiusa e sui giornali.
Per questo Autostrade rivendica di aver ottemperato alle richieste del Governo “dopo un anno di confronto” e per questo chiede a Conte di scegliere sulla base di aspetti di tipo “giuridico, tecnico, sociale ed economico”. Ora che non si può trattare più, l’ultima mossa è quella di scrivere nero su bianco quello che succederà se si procederà con la revoca: il rischio default, il futuro dei 7mila dipendenti, i soldi in fumo di 17mila piccoli risparmiatori.
Con il fallimento salterebbero anche le 800 procedure di gara per lavori e servizi che Autostrade ha in corso. Valgono 4,5 miliardi.
Quello che dice il peso del pressing è la necessità per Conte di prendere tempo. Il Consiglio dei ministri, inizialmente fissato per le undici di martedì mattina, a mercati aperti, viene spostato a sera. Per un’informativa. Perchè tra i ministri nessuno si aspetta una decisione. Uno di loro si lascia sfuggire la previsione: “Sicuramente non decideremo domani”. Il premier vuole chiudere la questione una volta per tutte, ma al tavolo del Cdm siederà anche un convitato di pietra. Sono le conseguenze velenose che porta nella pancia la scelta della revoca.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 13th, 2020 Riccardo Fucile
IL PROBLEMA E’ CHE L’ITALIA VUOLE SOLO SOLDI A FONDO PERDUTO E SPENDERLI COME GLI PARE, GLI ALTRI PAESI TEMONO CHE VENGANO SPUTTANATI E VOGLIONO CONTROLLARE
A pochissimi giorni ormai dal fatidico Consiglio europeo del 17 e 18 luglio, l’incontro di Giuseppe Conte con Angela Merkel nella elegante residenza tedesca di Meseberg, a 70km da Berlino, prometteva potenzialità di svolta nelle trattative sul recovery fund.
E invece no. Nessun passo in avanti. Conte chiude così il suo tour per le capitali europee alla ricerca di un’intesa sugli strumenti anti-crisi da covid. Più volte in conferenza stampa, la cancelliera ammette: “Non so se raggiungeremo un accordo nel vertice di venerdì e sabato. Qui siamo solo in due, lì saremo 27 leader e serve l’unanimità … Sarei lieta se bastasse un vertice, ma può darsi che sia necessario incontrarci un’altra volta prima dell’estate”.
Clima cordiale, foto e sorrisi in giardino prima del bilaterale: a Meseberg i leader stranieri vengono sempre accolti in giardino prima del vertice vero e proprio.
L’ultimo è stato Emmanuel Macron, qualche settimana fa. I tavolini all’aperto sotto gli ombrelloni, le piante e i fiori sullo sfondo, il sole estivo rendono un’atmosfera rilassata che però non rispecchia le posizioni dei rispettivi interlocutori. Divergenti su vari punti, ma non sulla necessità che la risposta alla crisi sia “poderosa”, dice Merkel, e che il fondo di ripresa non esca “troppo ridimensionato” dalle trattative.
Malgrado l’ostentazione di un rapporto privilegiato con la cancelliera, l’insistenza a chiamarla per nome, “Angela”, in conferenza stampa, a Meseberg Conte non la spunta sulla richiesta che in questo momento gli preme di più: che il meccanismo di governance degli aiuti del recovery fund non sia affidato al Consiglio europeo, che vuol dire Stati membri. Teme i veti del nord.
Al premier italiano non piace il meccanismo proposto dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, secondo cui l’erogazione degli aiuti da parte della Commissione europea potrebbe essere bloccata anche dagli Stati piccoli: basterebbe che rappresentassero il 35 per cento della popolazione europea. Si tratta di una concessione da parte di Michel ai paesi ‘frugali’ del nord, preoccupati di come l’Italia spenderà i soldi e interessati a inserire tutte le condizionalità possibili per stabilire un controllo sulle risorse.
“Ben vengano i criteri di spesa e governance per rendere responsabili i paesi — sottolinea Conte con Merkel – ma questi criteri devono permettere un’effettività della reazione”. Il premier però si ritrova davanti una cancelliera che difende la proposta di Michel.
“Prevede che i singoli Stati membri, sulla base del semestre europeo, trattino con la Commissione su come spendere i soldi del recovery fund e poi il Consiglio europeo deve decidere, con maggioranza qualificata — spiega Merkel — E’ una buona soluzione che potrei sostenere perchè so che Conte ha dimostrato di essere proattivo con la sua agenda di riforme, su come uscire dalla situazione. Anche noi rifletteremo ma la proposta di Michel non è un ostacolo, va bene”.
Conte invece non nasconde la sua contrarietà . La proposta di Michel “per me è un buon punto di partenza che recepisce il livello di ambizione politica, ma ci sono criticità che affronteremo venerdì. L’Italia è per criteri di spesa chiari, non stiamo chiedendo fondi per poterli usare in modo arbitrario: discrezionale sì, ma non arbitrario. Stiamo lavorando a un piano di rilancio, vogliamo che abbia l’approvazione delle istituzioni europee e che ci sia un costante monitoraggio sulla coerenza tra i programmi annunciati e la loro attuazione. Ok alle regole della governance, ok al coinvolgimento del Consiglio ma la fase attuativa non è di competenza del Consiglio europeo”.
Resta aperta la possibilità che il recovery fund venga ridotto a soli 500mld di euro di sussidi, opzione sostenuta da Germania e Francia sulla quale potrebbero ritrovarsi anche l’Italia, la Spagna, il Portogallo e i paesi più in difficoltà con la crisi economica del covid. Per Conte l’importante è che non venga ridotta la quota di sovvenzioni a fondo perduto. Ma anche su questo non c’è ancora il disco verde dei frugali, che restano scettici sui sussidi: vorrebbero che la proposta von der Leyen di un fondo di 750mld di cui 500mld di sussidi e 250mld di prestiti fosse rivista a favore dei secondi.
“L’arte consiste nel gettare ponti”, insiste Merkel con il sorriso di chi ha la consapevolezza di aver lavorato sodo per un accordo che però ancora sfugge. E spinge ancora sul concetto che un’intesa dovrebbe essere interesse di tutti: “Anche la Germania, come l’Italia ha interesse a che il mercato unico funzioni. Abbiamo visto che, se le catene di valore aggiunto non funzionano, vengono distrutte, questo colpisce noi tutti. Siamo responsabili per uscire positivamente da questa situazione per l’Ue e per tutti gli Stati membri. Non dobbiamo tutelare solo la salute, ma ricostruire economicamente” i paesi dell’Unione.
La cancelliera si complimenta con gli italiani che “hanno avuto davvero una disciplina ammirevole, una grande pazienza” alle prese con la pandemia. Si sforza di chiudere con ottimismo: “Non vedo possibilità che si possa mettere in pericolo il progetto, ma non dovremo mettere in dubbio una posizione negoziale o l’altra…”. Della serie: nessuno coltivi pregiudizi nei confronti degli altri Stati, l’Italia verso il nord e viceversa.
E’ poco per l’intesa. Ma questo è, per ora. Riflettori puntati comunque sull’Italia, anche per il caso Autostrade che preoccupa gli investitori stranieri, la tedesca Allianz e i cinesi di ‘Silk road’. Merkel lo dice con una battuta: “Volevo evitare di usare la parola autostrade…”, precisa in finale di conferenza stampa riferendosi alle tante domande per Conte sulla vicenda Benetton-Atlantia. “Sono molto curiosa di sapere come andrà il consiglio dei ministri domani…”, sorride, sorniona.
Durante la conferenza stampa Merkel usa più volte la metafora del “costruire ponti” tra i leader Ue per arrivare ad un accordo sul Recovery Plan e sull’Mff 2021-27.
Conte riprende lo stesso filo: “Dobbiamo servirci, più che di ponti, delle autostrade che già esistono”, per arrivare ad un accordo, “fermo restando, e qui ritorno alla questione italiana, che se ci sono ponti, e questi ponti crollano, dobbiamo poter sanzionare chi è responsabile di questo crollo”. Secondo fonti di palazzo Chigi, Merkel e Conte non avrebbero affrontato questo tema nell’incontro di oggi.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 13th, 2020 Riccardo Fucile
NON DECIDE LEI, DECIDE LA SCORTA
L’accusa riguarda una di quelle pratiche odiose nelle quali spesso incappano i politici nostrani. Sarebbe accaduto ieri sera, 12 luglio, in un ignoto aeroporto: l’ex ministro Carlo Calenda in religiosa fila in attesa dell’imbarco sull’aereo si vede superare dall’attuale ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina.
Un po’ perchè la cosa è antipatica in sè, un po’ perchè è su battaglie contro i privilegi come il volo in business e gli accessi riservati che il Movimento Cinque stelle si è fatto strada, Calenda decide di non tacere e scrive un tweet al vetriolo: «Sono stato al Governo 5 anni. Mai, dicasi mai, sono salito su un aereo prima dell’inizio dell’imbarco saltando file e check in come ho visto fare stasera alla Ministra Azzolina. Ma si sa, noi delle èlite siamo antiquati nei comportamenti».
Insomma, arrivati al potere anche i Cinque stelle approfittano dei privilegi? Non proprio, ribatte la ministra con una replica molto difficile da smontare.
A chiederle di entrare per prima in questa circostanza, ma altre volte per ultima, è stata la sua scorta, che punta ad evitare il contatto molto ravvicinato con gli altri passeggeri: «Che pena questo commento. Volo in economy, non salto le file, non salto il check-in (non è possibile saltarlo), salgo sull’aereo secondo le disposizioni della scorta: stasera per prima, due giorni fa per ultima».
La polemica è diventata virale sui social ma nessuno dei due protagonisti ha più commentato i fatti.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2020 Riccardo Fucile
IL PERICOLO SEMMAI LO CORRONO I MIGRANTI CHE ARRIVANO IN ITALIA… PER NON PARLARE DEGLI SCIACALLI CJHE APPESTANO L’ARIA PIU’ DEL COVID
In Italia in questo momento ci sono 13.179 persone ufficialmente positive al Covid-19. 13.179 persone che sono potenzialmente infettive e pericolose per la salute pubblica.
In Lombardia, tanto per fare un esempio partendo dalla regione più colpita, sono 8.004 di cui ben 7.813 in isolamento domiciliare.
Avete letto bene: in Lombardia 7.813 persone sono a casa propria (o in una struttura messa a disposizione) a convivere con il virus e si spera che tutte le 7.813 persone rispettino l’isolamento e non scorrazzino in giro, non mettano nemmeno il naso fuori dalla porta visto che è dal naso che il Coronavirus prolifica e si moltiplica
In Piemonte quelli in isolamento domiciliare riconosciuti positivi sono 859, in Emilia Romagna sono 1.077 e, per andare sulle regioni meno colpite, in Campania sono 233, in Sicilia 118, in Abruzzo 128 e in Calabria 53.
Tutti numeri di cui la politica nazionale e la stampa parla poco o quasi niente: in effetti sono numeri risibili rispetto a quello che abbiamo passato nei mesi peggiori e del resto si spera che i controlli e il senso di responsabilità prevalgano, sempre.
È bastato vedere quanto si sia arrabbiato il presidente della Regione Veneto Luca Zaia quando un suo cittadino, con i sintomi Covid, ha deciso allegramente di partecipare a feste, compleanni e funerali fregandosene di tutto e di tutti e mettendo a rischio decine di persone.
La situazione è molto delicata e anche un’equilibrata narrazione (da parte dell’informazione e della politica) può evitare allarmismi e troppa leggerezza, tenendo quel sottile equilibrio che permette di non trasmettere fobie ma allo stesso tempo di tenere alta la guardia sui pericoli della pandemia.
Bene, ora andiamo a Roccella Jonica, Calabria, dove tra alcuni migranti sbarcati sono stati trovati 28 positivi al Covid che proprio in queste ore sono stati distribuiti sul territorio. Anche questa è una soluzione delicata: bisogna garantire sicurezza ai cittadini e bisogna organizzare un isolamento che garantisca sicurezza a tutti.
Ora provate ad ascoltare come questi 28 (paragonati ai numeri generali) siano raccontati da certa stampa e da certa politica.
Ricordatevi anche che in Italia, purtroppo, è iniziata la pandemia occidentale e ricordatevi per quante settimane siamo stati noi gli untori agli occhi del mondo.
È il solito caos strumentale su alcune situazioni particolari che non tiene conto della situazione generale. È il solito sciacallaggio che riformula la realtà per un pugno di voti.
(da Tpi)
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Luglio 13th, 2020 Riccardo Fucile
NICOLA FRANZONI INSULTO’, CON RIFERIMENTI SESSISTI, LA GIORNALISTA, PUBBLICANDO I SUOI DATI SENSIBILI
Il suo nome salì agli onori (chiamiamoli così) per un gesto fuori da ogni rigor di logica. Eppure quella mossa — fare la pipì sulle mura esterne di Palazzo Chigi, condito da risatine — è diventata virale anche grazie a un video condiviso sui canali social dello stesso uomo che organizzò la ‘marcia su Roma’ lo scorso 30 maggio.
Le Iene, insieme a molte altre testate, raccontarono di questo gesto, ma l’uomo se la prese soprattutto con Giulia Innocenzi che ne aveva parlato anche sui suoi canali social.
Post e video al veleno da parte di Nicola Franzoni, con riferimenti — anche sessisti — alla carriera della giornalista. Ora, però, Giulia Innocenzi querela Nicola Franzoni.
La stessa Giulia Innocenzi ha raccontato sui social i motivi che l’hanno spinta alla sua denuncia. «Ho presentato querela contro Nicola Franzoni.
Per chi non lo conoscesse è l’organizzatore della “marcia su Roma” (sì, avete capito bene), gilet arancione che ha fatto la pipì fuori la presidenza del Consiglio al grido di “questo è il rispetto che ho di voi” e che ha detto ai microfoni di mezza Italia che il coronavirus ‘è un bluff’». Un evento che venne anche immortalato in un video.
«Le nostre strade si incrociano quando alcuni suoi dipendenti mi contattano per raccontarmi che mentre Franzoni va a Roma a chiedere più diritti per i lavoratori, loro venivano pagati anche in nero. Rendo pubblica la storia e la procura apre un’inchiesta nei suoi confronti per omessi versamenti per un valore di 255.000 euro (!!!). Nel frattempo la Digos lo denuncia, fra le altre cose, per vilipendio e apologia del fascismo — scrive Giulia Innocenzi -. Lui non la prende benissimo e comincia a dedicarmi diverse dirette Facebook. Nella prima rivolgendosi a me dice: ‘Vediamo cosa hai fatto te santarellina in passato per diventare una giornalista. Non scendo negli aspetti personali, ma magari qualcosina hai fatto per diventare una giornalista delle Iene, sei anche carina magari qualcosina hai fatto…’. E ancora: »Non è che mi spaventi con quella vocina aulica, perchè se io mi dovessi confrontare con te giornalista sono sicuro che non apri bocca perchè sei mezza ignorante. Fai ridere il sistema ti paga per farmi la guerra, è finito il vostro momento, è finito il momento dei giornalisti di regime’».
Poi altri video ancora più diretti, con allusioni rivolte alla stessa Giulia Innocenzi. Poi la pubblicazione di altre fake news contro di lei e anche le immagini con la sua visura camerale e l’esposizione dei suoi dati sensibili
(da “Giornalettismo”)
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Luglio 13th, 2020 Riccardo Fucile
DAL 1960 AD OGGI LE TEMPERATURE SONO AUMENTATE PIU’ DEL DOPPIO RISPETTO AL RESTO DEL MONDO
Una corsa contro il tempo per evitare il baratro. Entro il 2030 la temperatura del Pianeta non deve crescere di 2° rispetto all’era pre-industriale. È questo l’ambizioso obiettivo siglato a Parigi nel 2015, per limitare il surriscaldamento globale del Pianeta.
Oltre quella soglia, avvertono gli scienziati, le conseguenze sarebbero irreversibili per tutti noi. Un monito che ha portato ad auspicare l’obiettivo (irrealistico) di limitare l’impatto addirittura a + 1.5°.
E se queste sono le premesse, l’Italia sta già perdendo la sfida. Lo confermano i nuovi dati dell’ultimo rapporto Ispra sul clima.
In particolare, prendendo come base la media delle temperature comprese tra 1961 e 1990 e quelle del 2018, l’Italia fa registrare un incremento di +1.71°. Siamo quasi un grado sopra il resto del globo dove la temperatura è aumentata poco meno di un grado centigrado (+0.98°).
E in molti comuni italiani la situazione è anche peggiore.
Lo evidenzia uno studio realizzato dall’European Data Journalism Network che ha tracciato l’evoluzione della temperature in tutti i comuni italiani mettendo in relazione il decennio compreso tra 1960 e 1969 e quello tra 2009 e 2018. In questo intervallo il termometro nelle province italiane è aumentato di + 2.15° dal 1960, mentre ci sono comuni in cui la temperatura è aumentata addirittura di oltre 4°.
«L’Italia è al centro del Mar Mediterraneo e il Mare Nostrum si sta surriscaldando: è ormai diventato un hotspot, un caso di studio per vedere cosa sta succedendo nel mondo.Questo è un fattore che influisce ovviamente anche nell’aumento delle temperatura a casa nostra» chiarisce Edoardo Zanchelli, vicedirettore di Legambiente.c
Città e montagna: perchè soffrono di più?
Sono le aree urbane quelle a soffrire maggiormente, in particolare Roma dove la temperatura è aumentata di +3.65° dal 1960, seguita da Milano (+3.34°) e Bari (+3.05°). Un fenomeno ben conosciuto, che presenta molti rischi: «Si chiama, tecnicamente, effetto ‘isola di calore’ — spiega Edoardo Zanchini- ed è legato essenzialmente a tre fattori.
Il primo è l’impermeabilizzazione dei suoli: la cementificazione di strade e palazzi non permette più la traspirazione del suolo.
Il secondo è che il cemento assorbe calore.
La terza è che in città ci sono auto e soprattutto condizionatori che d’estate buttano aria calda, contribuendo in maniera determinante al surriscaldamento.
La somma di questi tre fattori può portare a differenze di temperature anche di 3 o 4 gradi centigradi all’interno della stessa città . È una dinamica che ha anche enormi ripercussioni sociali: se si incrocia il dato climatico con quello socio-economico sulle aree più povere, si ottiene un quadro esatto delle zone dove in estate si riscontrano i tassi di maggiori mortalità , specialmente tra la popolazione anziana. Anche se non se ne parla spesso c’è un aumento della mortalità impressionante legati all’aumento delle ondate di calore».
Ma il problema del riscaldamento non è una prerogativa delle città . Sono anche le nostre montagne a non essere più le stesse. Succede che tra i dieci comuni in cui la temperatura è aumentata maggiormente in Italia sei sono in provincia di Sondrio, e più precisamente in Valtellina, uno è in Valle D’Aosta, mentre l’incremento record si registra a Martello, comune della provincia di Bolzano, dove la colonnina di mercurio ha fatto registrare un incremento di +4.5° dal 1960.
Un fenomeno sul quale ancora non si hanno certezze scientifiche, ma si possono fare ipotesi. «La spiegazione più logica è che ci sia un ‘effetto cappa’ che non permette un’efficiente ricircolo dell’aria proprio a causa degli alti rilievi e della particolare posizione geografica di aree come la Valtellina, situate al ridosso di zone altamente industrializzate — spiega Zanchini- la Pianura Padana presenta percentuali enormi di smog e polveri sottili che si possono incuneare e ‘ristagnare’ anche nelle valli alpine. La differenza di pressione e di temperatura porta spesso ad ‘aspirare’ quell’area calda. Del resto se gli esseri umani sono sottoposti a confini, l’aria non lo è».
E se queste sono le premesse c’è da registrare, anche in questo campo, la tragica arretratezza del nostro Paese, come sottolinea il vicepresidente di Legambiente: «Il nostro è l’unico paese europeo che non ha ancora un piano nazionale di adattamento al clima. Solo il comune di Bologna e quello di Milano hanno piani urbani di adattamento, ed è un ritardo che non ci possiamo più permettere».
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2020 Riccardo Fucile
ARRIVANO MENO IMMIGRATI, AUMENTANO GLI EMIGRATI
L’Italia continua a spopolarsi, anno dopo anno.
Al 31 dicembre 2019 la popolazione residente in Italia è inferiore di quasi 189 mila unità (188.721) rispetto all’inizio dell’anno.
Il persistente declino avviatosi nel 2015 ha portato a una diminuzione di quasi 551 mila residenti in cinque anni. Lo certifica l’Istat nel Bilancio demografico nazionale 2019.
Il numero di cittadini stranieri che arrivano nel nostro Paese è in calo (-8,6%), mentre prosegue l’aumento dell’emigrazione di italiani (+8,1%).
Il record negativo di nascite dall’Unità d’Italia registrato nel 2018 – spiega l’Istituto nazionale di Statistica – è di nuovo superato dai dati del 2019: gli iscritti in anagrafe per nascita sono appena 420.170, con una diminuzione di oltre 19 mila unità sul 2018 (-4,5%). Il calo si registra in tutte le ripartizioni, ma è più accentuato al Centro (-6,5%).
I fattori strutturali che negli ultimi anni hanno contribuito al calo delle nascite sono noti e si identificano nella progressiva riduzione della popolazione italiana in età feconda, costituita da generazioni sempre meno numerose alla nascita – a causa della denatalità osservata a partire dalla seconda metà degli anni Settanta – non più incrementate dall’ingresso di consistenti contingenti di giovani immigrati.
Negli ultimi anni si assiste anche a una progressiva diminuzione del numero di stranieri nati in Italia, così che il contributo all’incremento delle nascite fornito dalle donne straniere, registrato a partire dagli anni duemila, sta di anno in anno riducendosi.
Nel 2019 il numero di stranieri nati in Italia è pari a 62.944 (il 15% del totale dei nati), con un calo di 2.500 unità rispetto al 2018 (-3,8%).Il peso percentuale delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati è maggiore nelle regioni dove la presenza straniera è più diffusa e radicata: nel Nord-ovest (21,1%) e nel Nord-est (21,2%). Un quarto dei nati in Emilia-Romagna è straniero (25,0%), in Sardegna solo il 4,3%.
Il tasso di natalità del complesso della popolazione residente è pari al 7,0 per mille. Il primato è detenuto dalla provincia autonoma di Bolzano (9,9 per mille) mentre i valori più bassi si rilevano in Liguria (5,7 per mille) e in Sardegna (5,4 per mille).
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2020 Riccardo Fucile
“VIGILARE SULLE INDAGINI, CAPIRE I MOTIVI DELLA MANCATA CHIUSURA DEL PRONTO SOCCORSO DI ALZANO E DELLA MANCATA ZONA ROSSA”
“Lo scorso marzo il mondo ha espresso vicinanza al dolore delle nostre comunità di Bergamo e Brescia che, da sole, contano undicimila vittime di coronavirus. Uno scenario unico e senza precedenti sull’intero pianeta. Vi scriviamo per chiedere la vostra supervisione sulle indagini in corso in Lombardia, che stanno seguendo centinaia di denunce legali presentate ai pubblici ministeri in tutta la regione. In Lombardia, sembrano esserci segni di indicibili crimini contro l’umanità “.
Inizia così la lettera che il comitato ‘Noi Denunceremo – verità e giustizia per le vittime di Covid-19’ ha inviato alla presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al presidente della Corte Europea dei diritti dell’uomo Ròbert Ragnar Spanò.
Una lettera-denuncia, per chiedere alle istituzioni europee di vigilare sulle indagini in corso – l’inchiesta aperta dalla procura di Bergamo – su quanto avvenuto in questi mesi nelle terre più colpite dall’epidemia.
E soprattutto su due scelte cardine: la mancata chiusura del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo e la mancata istituzione di una ‘zona rossà – come quella subito operativa nel Lodigiano – tra Alzano e Nembro, ai primi segnali di quella che, poi, è diventata una strage.
“Come parenti delle vittime vi sollecitiamo a supervisionare le indagini in corso sull’epidemia di coronavirus in Italia, con un occhio vigile sulle potenziali violazioni di alcuni articoli inclusi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In particolare, se deliberate decisioni politiche hanno violato il diritto alla vita di migliaia di membri delle nostre comunità (art. 2); il diritto all’integrità fisica e psicologica dei nostri anziani (art. 3); insieme al diritto alla loro dignità umana (art. 1), oltre che l’art. 32 della Costituzione Italiana”.
È una cronistoria di quanto accaduto, quella che il comitato ha inviato a von der Leyen e Spano. “Il 2 marzo e il 5 marzo l’Istituto Nazionale della Sanità ha consigliato al governo di chiudere Alzano Lombardo, Nembro in provincia di Bergamo e Orzinuovi (Brescia). Il prudente sindaco di Orzinuovi e senatore della Repubblica (Gianpietro Maffoni, eletto con il centrodestra, ndr) ha dovuto presentare una interrogazione parlamentare dopo essere venuto a scoprire, leggendo il giornale, che c’erano istruzioni specifiche relativamente alla chiusura preventiva della sua città dopo i primi casi riportati. Sembra tuttavia che queste istruzioni non le abbia mai ricevute. Allo stesso tempo, Alzano Lombardo e Nembro non furono mai chiuse nonostante l’esercito fosse pronto a ricevere la direttiva sull’applicazione della zona rossa”. Le indagini della procura di Bergamo, coordinate dalla procuratrice aggiunta Maria Cristina Rota, hanno portato ad ascoltare nelle scorse settimane il premier Conte, i ministri Lamorgese e Speranza, il governatore Fontana e l’assessore regionale Gallera proprio per ricostruire chi prese quelle decisioni e perchè.
“Se i pubblici ministeri dovessero stabilire che le mancate zone rosse appartengono alla sfera della politica piuttosto che al diritto penale, risulterà chiaro come la decisione di non contenere la diffusione del virus, in accordo con i pareri della comunità scientifica, sia stata intenzionale: una decisione deliberata di sacrificare vite umane, decine di migliaia di vite, per evitare le ripercussioni politiche derivanti dalla messa in sicurezza di tre città economicamente produttive del Nord Italia”, scrivono ancora i 34 firmatari della lettera. Che continua: “Uno scenario ancora peggiore emergerebbe se il pool di consulenti scientifici nominati dal Tribunale di Bergamo (tra loro c’è anche il virologo Andrea Crisanti, che ha avuto un ruolo importante nella gestione dell’epidemia del focolaio veneto, ndr) potesse dimostrare mediante analisi epidemiologiche che l’intero Paese dovette essere bloccato a causa dei ritardi delle autorità politiche nel prendere una decisione sul destino di queste tre città . Un blocco nazionale che ora sta causando ulteriori incertezze finanziarie in un’economia già stagnante”.
Ci sono quindi decisioni multiple che si sono incrociate. Quelle del governo e quelle della Regione Lombardia: “Il virus ha decimato i nostri anziani nelle case di cura, gli stessi anziani che hanno costruito la prosperità del nostro paese dopo la seconda guerra mondiale. Lo ha fatto in parte grazie a una direttiva regionale approvata l’8 marzo che suggeriva agli ospedali di trasferire i pazienti con coronavirus a basso rischio in case di cura per liberare alcuni letti e far fronte alla incessante domanda durante tutta l’emergenza. Tale direttiva è stata approvata in totale contraddizione con i dati scientifici a disposizione delle autorità pubbliche, che mostravano chiaramente come il virus si stesse dimostrando letale, in particolar modo per i membri più anziani e più vulnerabili della nostra società . A Bergamo, il 32,7% degli ospiti nelle case di cura ha perso la vita durante i primi quattro mesi dell’anno, mentre 1.600 è il numero riportato nell’intera provincia di Brescia, solo nelle case di cura per anziani. Il governo della Regione Lombardia afferma di non poter essere ritenuto responsabile di questo massacro. Le case di cura non avrebbero dovuto accogliere i pazienti con coronavirus a basso rischio nelle loro strutture senza attuare le direttive sulla sicurezza dei loro ospiti che le autorità sanitarie locali competenti avrebbero dovuto avere il compito di stabilire. Sempre la Regione Lombardia ha emanato la delibera n° XI / 2986 del 23/03/2020, attraverso la quale è stato impedito ai medici di base di intervenire a visitare i pazienti non ospedalizzati qualora presentassero sintomi riportabili al virus covid-19, lasciando un monitoraggio esclusivamente telefonico. Questa delibera era stata pensata utilizzando il pretesto di evitare la diffusione del virus, ma in molti hanno l’impressione che si volesse utilizzare per coprire il fatto che i medici erano stati lasciati senza dpi (i dispositivi di protezione come guanti, mascherine e camici, ndr), i quali avrebbero dovuto essere forniti proprio dalla Regione. Ci sembra che con tale delibera si sia violato l’art. 32 della Costituzione Italiana, ben sapendo che l’intervento tempestivo dei medici su pazienti che presentavano le prime avvisaglie di Covid avrebbe potuto contenere i ricoveri ospedalieri e il collasso delle terapie intensive. Alla luce di questi fatti ha anche senso presumere che l’intervento della medicina preventiva dei medici di medicina generale sul territorio avrebbe potuto contribuire ad evitare il collasso delle strutture ospedaliere deputate alla medicina di cura”
Torna, a questo punto, lo scontro, il rimpallo di responsabilità tra governo centrale e locale: “Allo stesso tempo, la Regione Lombardia sostiene che spettava al governo centrale dichiarare la zona rossa ad Alzano Lombardo, Nembro e Orzinuovi. Al contrario, il governo centrale afferma che anche la regione Lombardia avrebbe potuto farlo se lo avesse voluto, addirittura avrebbero potuto intervenire direttamente i sindaci, in base alla legge 833/78, art. 32. Il rimpallo delle responsabilità a cui stiamo assistendo ci fa comprendere come sia ragionevole pensare che possano sussistere prove di illeciti per i quali nessuno vuole essere ritenuto responsabile. Lasceremo che i pubblici ministeri stabiliscano se tali illeciti rientrano nel diritto penale o si limitano alla sfera politica. Nel frattempo, i parenti delle vittime cercano giustizia. E lo fanno consapevoli del fatto che l’Italia è un paese in cui l’establishment politico è particolarmente abile nell’insabbiare inchieste e creare capri espiatori”.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2020 Riccardo Fucile
“CI AUGURIAMO CHE LE DECISIONI SIANO ASSUNTE SOLO SU ASPETTI GIURIDICI, TECNICI ED ECONOMICI” (SOTTO INTESO “NON PER ODIO PRECONCETTO”)… E SI SCOPRE CHE CONTE HA AVUTO LA FACCIA DI CHIEDERE LA MANLEVA DA RESPONSABILITA’ DEL MINISTERO DEI TRASPORTI (QUELLO CHE NON SI E’ ACCORTO CHE IL PONTE POTEVA CROLLARE)
La proposta formulata da Autostrade per l’Italia ”è l’esito di un confronto di un anno e recepisce le richieste dei rappresentanti dell’esecutivo”. È la replica della concessionaria autostradale del Gruppo Atlantia alle dichiarazioni di Giuseppe Conte che sembrano avvicinare la revoca delle concessioni.
L’azienda “auspica che le decisioni che verranno assunte siano basate esclusivamente su aspetti di tipo giuridico, tecnico, sociale ed economico” si legge in una nota, che lascia così intendere che ci possano essere altre motivazioni alla base della decisione che il Governo dovrebbe adottare nel corso del Cdm convocato per martedì alle 11.
Autostrade per l’Italia pubblica sul proprio sito la proposta inviata sabato al Governo, nella quale aumenta da 2,9 a 3,4 miliardi l’importo a proprio carico per le riduzioni tariffarie, gli interventi di manutenzione e la ricostruzione del viadotto sul Polcevera. La società non ha accettato la proposta di manleva a fronte di danni civili che potrebbero essere richiesti da terzi al Governo per le responsabilità sul crollo del Ponte Morandi.
Autostrade per l’Italia, “per garantire la massima trasparenza verso il mercato, investitori e finanziatori e l’opinione pubblica rende nota la lettera dell′11 luglio 2020 indirizzata ai ministeri competenti, di cui la stampa ha riportato ampi stralci”.
La proposta formulata da Aspi l′11 luglio ”è l’esito di un confronto negoziale iniziato circa un anno fa e che ha visto la società formulare diverse proposte, sempre migliorative, con oltre 10 lettere inviate all’Esecutivo. La missiva dello scorso sabato aderisce alle ultime richieste del governo, a riprova dell’impegno complessivo profuso dalla società verso l’interesse pubblico”.
La lettera fa seguito all’incontro tenutosi il 9 luglio presso il Mit – volto alla definizione della procedura del presunto grave inadempimento in corso – e recepisce le indicazioni ricevute in tale sede dai rappresentanti istituzionali. Nello specifico, in caso di accettazione della proposta, Aspi ha aumentato da 2,9 miliardi a 3,4 miliardi l’importo totalmente a proprio carico da destinare a riduzioni tariffarie, a interventi aggiuntivi di manutenzione e a interventi per la ricostruzione del viadotto sul Polcevera. Verrebbe inoltre recepito il regime tariffario regolato dalle delibere dell’Art, sulla base delle risultanze concordate al tavolo tecnico svoltosi al Mef, con l’impegno ad aggiornare il Piano Economico Finanziario entro 7 giorni dall’accettazione della nuova proposta. È stata formulata anche una proposta di ridefinizione dell’art. 9 della Concessione relativa alla regolamentazione dei casi di inadempimento e decadenza – previa verifica con esperti indipendenti con comprovata esperienza delle condizioni di bancabilità del piano degli investimenti previsti – ed è stata comunicata la volontà di rinunciare a tutti i ricorsi presentati nei confronti della parte pubblica.
La società ha inoltre dato disponibilità a valutare l’apertura del proprio capitale a investitori terzi pubblici e privati, a supporto del rilevantissimo piano degli investimenti previsto dal Piano di Trasformazione.
La società non ha aderito invece alla richiesta di manleva formulata al tavolo a favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Mit e del Mef, a fronte di danni civili che potrebbero essere richiesti da terzi a tali istituzioni per loro eventuali responsabilità come conseguenza del tragico crollo del Viadotto sul Polcevera. Con ciò nella prospettiva che ciascuno risponda per le proprie responsabilità , ove fossero accertate, nell’ambito della distinzione dei ruoli tra Concedente e Concessionario.
Autostrade per l’Italia auspica dunque che le decisioni che verranno assunte siano basate solo ed esclusivamente su aspetti di tipo giuridico, tecnico, sociale ed economico e tengano conto del patrimonio industriale unico rappresentato dalla società e degli interessi dei suoi 7.000 lavoratori, dei 17.000 piccoli risparmiatori – che detengono una quota del debito – e delle migliaia di creditori commerciali e fornitori, che rappresentano una quota assolutamente rilevante del comparto produttivo del Paese.
(da “Huffingtonpost”)
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