Luglio 17th, 2020 Riccardo Fucile
SCONTRO COME PREVISTO TRA NORD E SUD… MERKEL: “NON SO SE CI SARA’ ACCORDO”
Sorpresa: giacca dello stesso colore rosa salmone. Per Angela Merkel e Ursula von der Leyen salutarsi con il gomito, come fanno tutti i leader europei al vertice in corso a Bruxelles, è anche l’occasione per notare la coincidenza nell’abbigliamento.
Mascherine al volto che nascondono i sorrisi di chi si rivede dal vivo, dopo mesi di vertici in videoconferenza per via del distanziamento sociale imposto dal covid. Oggi è pure giornata di festa per la cancelliera tedesca e il premier portoghese Antonio Costa: entrambi compiono gli anni, scambi di auguri e regali.
Il Consiglio europeo convocato per trovare un’intesa sul recovery fund fa fatica a uscire da questa cornice pur pittoresca nella drammaticità della pandemia. La prima giornata passa lenta, con gli scontri tra i due avversari principali, l’olandese Mark Rutte e Giuseppe Conte, ognuno sulle sue posizioni. Dietro le mascherine e dietro ai sorrisi, il clima è di guerra fredda. La trattativa vera comincia nella notte. O addirittura domani.
“La temperatura non si scalda”, dice una fonte diplomatica europea, “sembra che i leader riservino le energie per domani”.
Come spesso succede quando i summit sono complicati — e questo certamente lo è — si rimanda il momento vero della trattativa, il momento della scelta se fare l’intesa o ammettere il fallimento.
L’unico risultato di questa prima giornata di discussioni sul pacchetto ‘Next generarion Eu’ proposto dalla Commissione europea per fronteggiare la crisi economica del covid è che esce di scena la richiesta dell’Olanda di affidare agli Stati membri le decisioni sull’erogazione dei soldi con un meccanismo di unanimità .
Cioè con potere di veto anche di un solo governo. L’Aja è isolata, nemmeno gli altri frugali la seguono su questo.
Ma il resto è tutto da fare. E l’unanimità esce di scena lasciando macerie tra nord e sud Europa: ai ferri corti, conferma il premier della Repubblica Ceca Andrej Babis in conferenza stampa. “Non c’è accordo sul volume totale del fondo, inutile andare avanti nei dettagli…”, dice pessimista e scontento perchè anche lui ha le sue rimostranze: chiede più soldi per Praga
“La tua proposta è incompatibile con i trattati e impraticabile sul piano politico”, attacca Conte verso Rutte in uno dei momenti più frizzanti del vertice. Scontro puro. “Non ce la beviamo! – gli risponde l’olandese – questa è una situazione eccezionale, che richiede una solidarietà eccezionale e per la quale si possono trovare soluzioni straordinarie. Occorre essere creativi”.
Sul tavolo resta una proposta di mediazione che non va bene a entrambi.
Vale a dire: la possibilità per uno Stato di chiedere al Consiglio europeo di discutere dell’erogazione dei fondi se i piani di riforma presentati non appaiono convincenti. Si tratta del cosiddetto ‘freno di emergenza’, ma per Conte, sostenuto dallo spagnolo Pedro Sanchez che gli siede accanto, non è accettabile.
Il premier insiste sulla proposta della Commissione che prevedeva il controllo di Palazzo Berlaymont sulle spese e un meccanismo di maggioranza qualificata inversa in Consiglio (i governi europei decidono se aprire i cordoni della borsa a meno che non ci sia una maggioranza qualificata contraria).
A sera il nodo è ancora lì tutto da sciogliere. Ed è il nodo principale, più delle stesse dimensioni totali del fondo, altro punto di tensione tra nord e sud.
Per Conte vedersi confermati i 750mld di recovery fund – fosse anche con tutti i 500mld dedicati ai sussidi, che è cosa molto difficile – non basta se poi la governance rende difficile e farraginoso poter disporre dei soldi. Come averli in una teca e non poterli toccare.
Ma i frugali chiedono garanzie sulle modalità di spesa. “Il nostro obiettivo — dicono fonti olandesi — è che quei soldi siano spesi per rimettere in sesto le economie degli Stati europei: ma che siano spesi bene!”.
I frugali fanno squadra sul bilancio pluriennale. Va avanti la Danimarca a chiedere che venga rivisto al ribasso: da 1.074 miliardi a 1.050mld. Cosa che provoca la reazione di Emmanuel Macron, il quale per tutta risposta attacca sui rebates. Il presidente francese chiede di eliminare gli sconti sui contributi al bilancio di cui godono i paesi ricchi del nord meno dipendenti dai fondi europei.
A questo punto è chiaro che si sta solo prendendo tempo prima della battaglia campale. Perchè sui rebates anche la proposta iniziale della Commissione prevede di non eliminarli, semmai solo gradualmente. Schermaglie che non producono passi in avanti o indietro.
Nel pomeriggio il presidente Charles Michel chiede di concentrarsi sullo stato di diritto, condizione che l’Ungheria chiede di rimuovere dai negoziati e anche questo è uno scoglio difficile .
E poi sulle risorse proprie per aumentare la capacità del bilancio, nuove tasse sui giganti digitali o sui paesi che esportano in Europa prodotti di industrie inquinanti.
E ancora sull’allocazione delle risorse: la proposta del presidente del Consiglio è di erogare il 70 per cento dei fondi nel biennio 2021-22 in base ai dati sulla disoccupazione del periodo 2015-19, il restante 30 per cento verrebbe erogato nel 2023 basato sul calo del pil alla fine di quest’anno e nel 2021. Se i criteri fossero questi, l’Italia figurerebbe tra i primi beneficiari. Ma Conte non è convinto, perchè è impossibile ora avere stime certe sul calo del pil dovuto alla pandemia.
“Le differenze sono ancora tante e non posso dire se raggiungeremo un accordo questa volta, ma servirebbe — dice Merkel al suo arrivo all’Europa building – Però servirebbe una disponibilità al compromesso da parte di tutti”.
Disponibilità che ancora non è maturata. Certo, il regalo di compleanno di Costa per Merkel non sembra proprio ben augurante: ‘Cecità ‘ di Saramago, bellissimo ma tenebroso. Lei per lui ha una antica mappa geografica di Goa, colonia portoghese sull’oceano indiano dalla quale provengono gli antenati del premier di Lisbona.
E in più il catalogo di una mostra curata dal Museo tedesco di storia sui marinai portoghese. Ecco, magari l’idea del mare porta aria fresca e creatività ai negoziati.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 17th, 2020 Riccardo Fucile
SULLE ALLEANZE PER LE REGIONALI OGNI COMPONENTE INTERNA GIOCA UNA SUA PERSONALE PARTITA
Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? Questo sketch di Totò fotografa la fase attuale del Movimento 5 Stelle.
C’è chi vuole restare al governo, chi invece no, chi dice “al governo con il Pd ma nelle regioni no”, chi obietta “al governo ni, ma in qualche in regione sì.”
Chi aspetta gli Stati generali per vedere il da farsi e chi gli Stati generali non li vuole più fare.
Questa è una fase da polvere di stelle, alla vigilia della campagna elettorale in sei regioni: Puglia, Campania, Liguria, Veneto, Marche, Valle d’Aosta e Toscana. A un mese dalla presentazione delle liste, i due partiti alleati nel governo, Pd e M5s, litigano e sembrano destinati ad allearsi solo in Liguria. Alleanza che in realtà appena è stata stretta ha già scricchiolato a causa delle diatribe grilline.
Mentre il segretario del Pd desidera creare un’intesa organica nei territori, nel Movimento 5 Stelle ci sono tante voci che si accavallano.
Una parte, quella governista vorrebbe trattare, e un’altra guidata da Luigi Di Maio, ma con un buon seguito nei territori frena.
Oltre alla Liguria, il cui caso è stato risolto con la conferma del candidato Ferruccio Sansa, la Puglia ne è l’esempio. Da fonti interne e ben informate si era appreso che nei prossimi giorni ci sarebbe stata riunione convocata da Vito Crimi per chiedere alla candida presidente M5s Antonella Laricchia di fare un passo indietro.
La voce si è sparsa tra gli attivisti locali che subito sono insorti contro un possibile accordo con il Pd a favore di Michele Emiliano. Il reggente, vittima di fuoco amico, è costretto a smentire: “La Puglia ha bisogno di un cambiamento vero. Non del solito valzer fra partiti di destra e sinistra che si scambiano poltrone senza cambiare nulla”. E conferma la candidatura, allontanando i sospetti piombati su di lui accusato di voler trattare con il Pd così come ha fatto in Liguria.
La guerra nei 5Stelle è tutta interna. Riguarda sì la successione, cioè chi dovrà guidare il Movimento dopo gli Stati generali, ma riguarda anche il perimetro entro cui si deve muovere, quindi i messaggi politici che bisogna lanciare in ottica campagna elettorale.
Di Maio, come è stato possibile appurare, guarda a un elettorale di centro con argomentazioni di centrodestra, restio per esempio a modificare i decreti sicurezza. Mentre un’altra fazione guarda al Pd per cementificare l’alleanza e garantire la durata del governo.
Passano da qui, dal nodo alleanze, i prossimi mesi. In vista ci sono gli Stati Generali. Vero passaggio nodale per la guida del Movimento le cui conseguenze sul governo saranno decisive. L’ala governista cercherà di fare argine alle manovre non combinate sia di Di Maio sia di Alessandro Di Battista. Questi ultimi puntano a spaccare da subito, come si sta vedendo in Liguria e in Puglia, ma anche nelle Marche, l’alleanza con il Pd.
Ecco quindi le Marche. “I parlamentari marchigiani metà sono per l’alleanza con il Pd e metà no. Se non c’è un intervento dall’alto tutto resta com’è”, dice un deputato.
Qui i 5Stelle stanno già tracciando la loro corsa in solitaria. Il Pd ha negato il bis al governatore uscente Luca Ceriscioli, perchè una fetta del partito non lo avrebbe appoggiato. E ha candidato il sindaco dem di Senigallia Maurizio Mangialardi, sostenuto anche da Italia Viva, Articolo 1, Azione di Calenda, i Verdi e +Europa. I grillini correranno con Mauro Marcorelli, ma non tutti sono d’accordo. Sono deboli e non hanno il controllo del territorio.
“La verità — spiega un parlamentare grillino — è che Zingaretti e Di Maio o chi per lui, Vito Crimi, devono decidere cosa fare perchè il ragionamento è politico”. Nel senso che sarà difficile vincere contro il candidato di centrodestra Francesco Acquaroli: “Si perde sicuro”, osserva un deputato: “Ma conta il segnale. Iniziare a costruire un’alleanza organica sui territori e collocarci politicamente a sinistra”.
Il problema però è uno. Luigi Di Maio, e parte degli attivisti, di collocarsi a sinistra non ne vogliono sapere.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 17th, 2020 Riccardo Fucile
FONDI LEGA, LE INTERCETTAZIONI SONO LE PRIME CREPE NEL MURO DEI MISTERI INTORNO AL FINANZIAMENTO DEL PARTITO
E’ un crescendo di tensione e insoddisfazione quella che porta Luca Sostegni, il prestanome di uno dei commercialisti più vicini alla Lega, Michele Scillieri, a provocare le prime crepe nel muro di silenzio eretto intorno al sistema di finanziamenti leghisti.
“Io innesco una serie di situazioni che poi non so dove si va a finire”, attacca Sostegni. Che allude poi ad altre pratiche oscure di cui sarebbe a conoscenza. “Perchè poi da questo si va alle cantine, dalle cantine si va al capannone, si va alla fondazione, si va alla Fidirev, si va ai versamenti, si va a tutto. Io per 30mila euro non so se ne vale la pena”.
Per mesi Sostegni – che domani mattina sarà interrogato nell’udienza di convalida del fermo – ha atteso che il suo ruolo di titolare della Paloschi srl, la società da cui è partita l’operazione di compravendita dell’immobile di Cormano che avrebbe ospitato la Lombardia Film Commission, venisse ricompensato adeguatamente.
Nella richiesta di fermo del procuratore aggiunto Eugenio Fusco e del pm Stefano Civardi, la Guardia di Finanza di Milano annota come Sostegni si sentisse “in qualche modo defraudato di quanto gli sarebbe spettato per la gestione della “vicenda Paloschi” avendo ricevuto a suo dire appena ventimila euro a fronte dei profitti enormi per gli altri, ma soprattutto ne reclamava perlomeno altri trentamila”.
Dopo il fermo, quando ha incassato altri 5mila euro, Bisogni ha fatto le sue prime ammissioni. Ha affermato di avere un accordo con Scillieri per avere mille euro ogni venti giorni, fino alla somma di trentamila euro, oltre i ventimila già incassati.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2020 Riccardo Fucile
PARLA IL CANDIDATO DI PD E M5S ALLE REGIONALI IN LIGURIA: “HO CRITICATO IN PASSATO M5S E PD, APPREZZO LA LORO AUTOCRITICA”… “DI MAIO NON MI VOLEVA? NON MI INTERESSA, GRILLO NON E’ CONTRARIO”… “CHE GOVERNATORE SAREI? L’OPPOSTO DI TOTI”
“Una telefonata ti allunga la vita”, diceva quella vecchia pubblicità con Massimo Lopez. O, come nel caso di Ferruccio Sansa, può salvare una candidatura. L’ultimo sì, quello più atteso e decisivo, è arrivato questa mattina proprio via telefono dal garante dei 5 Stelle Beppe Grillo, che in un colpo solo ha smentito Luigi Di Maio e ha dato il via libera definitiva alla candidatura di Sansa alle regionali liguri come anti-Toti, sostenuto da Pd, gli stessi grillini e la sinistra.
Il primo a confermarlo è lo stesso ormai ex giornalista del Fatto Quotidiano, uno che Beppe Grillo lo conosce bene, essendo da decenni suo vicino di casa a Sant’Ilario.
“Posso assicurare che Grillo non è contrario”, chiarisce Sansa a TPI. Poi si toglie un ultimo sassolino dalla scarpa. “Ho tre figli e un lavoro che mi piace da morire. Se mi dicono che hanno cambiato idea, me ne vado in vacanza domani mattina. Non vivo per questa candidatura, questo dev’essere chiaro”.
Per fortuna — o purtroppo — per lei, sembra che dovrà rinviare le vacanze, almeno fino al 20 settembre prossimo.
“Sembra proprio di sì, ora è ufficiale. È stata lunga e difficile, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Siamo pronti a cominciare”.
Nonostante Di Maio, che fino all’ultimo ha provato a far saltare tutto…
“Mi interessa poco, neanche lo conosco personalmente. Io so che il Movimento 5 Stelle è d’accordo con la mia candidatura, e tanto basta. In passato ho criticato duramente Di Maio, come ho criticato tutti, senza distinzioni, e paradossalmente mi hanno scelto proprio per questo. A differenza di Toti, che è stato scelto per quello che non ha mai detto da giornalista…”.
È già entrato in clima elettorale…
“Guardi, non farò una campagna contro Toti, ma per proporre un’idea di Liguria completamente opposta e alternativa alla sua”.
E su questo siete d’accordo. “Se volevano un candidato che rappresentasse l’esatto antipode della Liguria che vorrei io” ha detto il presidente della Liguria, “complimenti perchè l’hanno trovato”.
“Ha ragione. La nostra è una visione di rottura radicale rispetto ai suoi cinque anni fallimentari di governo, durante i quali non ha fatto nulla per l’economia, si è circondato di una ristretta cerchia di imprenditori, amici e finanziatori dimenticando gli altri. Non ha indicato alcuna vocazione di futuro per l’economia ligure oltre gli ombrellini e i tappeti rossi. La sua è stata la peggior gestione sanitaria degli ultimi decenni, come i dati devastanti del Coronavirus in Liguria hanno messo drammaticamente a nudo. Basti pensare che la Liguria ha registrato la più alta mortalità in Italia in rapporto al numero di abitanti, e questo anche grazie al modello lombardo di privatizzazione selvaggia che a Toti sta tanto a cuore”.
Ecco, partiamo da qui. Fermerete le privatizzazioni?
“Faremo di tutto per non privatizzare quegli ospedali del Ponente, su cui in molti si preparano a mettere le mani, ma penso anche al polo oncologico privato che vogliono realizzare agli Erzelli: un doppione di quello pubblico che finirà , come sempre capita, per fornire le prestazioni più remunerative, indebolendo ulteriormente il pubblico, mentre i privati si riempiono le tasche. Quando Toti spendeva 1 milione e mezzo di euro di soldi pubblici per la sua propaganda, i malati di tumore genovesi dovevano andare a Savona in pullman a curarsi perchè non c’erano i soldi per comprare una macchina per la radioterapia, che costava esattamente la stessa cifra”.
La Liguria significa anche Ponte Morandi, la cui inaugurazione ormai è imminente. Come giudica il fresco accordo del governo con Aspi?
“Positivamente, perchè evita le penali allo Stato e toglie, di fatto, ai Benetton la gestione di Autostrade. Io c’ero quella mattina del 14 agosto, pochi minuti dopo che è crollato il ponte. Ricordo ancora le urla delle vittime sotto le macerie, poi ho letto nelle carte dell’inchiesta cosa si dicevano per telefono i manager di Aspi. Ecco, quella gente non ha più la mia fiducia, come quella di tanti cittadini, soprattutto liguri”.
Sempre a proposito di infrastrutture, una critica ricorrente che le fanno è: “Sansa è quello del No a tutto, mentre la Liguria ha bisogno di correre”.
“Non è vero. Siamo assolutamente favorevoli a far partire il primo tratto della Gronda, ad esempio, e su questo c’è la massima condivisione di tutte le forze politiche di coalizione. Solo che la propaganda accecata si sofferma solo sulla Gronda, quando la cosa più importante di tutte è il nodo ferroviario di Genova, che doveva essere pronto nel 2018 e vedrà la luce, forse, nel 2023. E, quando sarà ultimato, non ci saranno i treni da far circolare, rendendolo di fatto inutile. Perchè Toti non parla anche di questo? Dov’è stato negli ultimi cinque anni lui, che ha diretta competenza in materia, mentre i ponti crollavano e i tunnel cadevano a pezzi? D’altra parte, Toti non è la persona giusta per dialogare con i concessionari, visto che è stato anche finanziato da alcuni imprenditori autostradali, e questo è noto”.
Altro tema chiave del suo programma: i parchi.
“Questa è una ferita che ancora sanguina e tra le prime cose di cui mi occuperò se sarò eletto. Toti è l’unico governatore in Italia che è riuscito a tagliare i parchi naturali e addirittura a bloccare il riconoscimento di Portofino come parco nazionale, che avrebbe portato 20 milioni di euro di finanziamenti e centinaia di posti di lavoro. Non significa solo difesa dell’ambiente, e quindi della salute, ma anche puntare su una nuova green economy in grado di attirare finanziamenti, imprese, rilanciare il turismo, che rappresenta il 15% del Pil regionale. L’ambiente è il petrolio ligure. Serve un taglio netto rispetto al passato che punti sul recupero dell’esistente e un piano cemento zero in grado di tutelare il nostro straordinario patrimonio ambientale e rilanciare l’intero settore, sul modello di quello che è avvenuto in Sardegna con Soru”.
Oltre a Soru, Sansa a chi guarda fuori Liguria?
“Esistono tanti modelli di governance regionale virtuosi. Penso all’Emilia-Romagna, alla Toscana, ma anche allo stesso Veneto di Zaia, amministrato da una destra molto diversa dal leghismo di Salvini o dal paraleghismo dello stesso Toti. E la gestione del Covid lo ha dimostrato in maniera chiara”.
A proposito di destra, perchè sull’altro fronte sono capacissimi a serrare fila e alleanze, mentre a sinistra permane la tendenza a scindere l’atomo? Quattro mesi per trovare un nome condiviso, ad appena 60 giorni dal voto, è stato un raro caso di tafazzismo…
“Il centrodestra in generale, e in Liguria in particolare, ha un collante straordinario, che è il potere. Attorno al potere si sta sempre incollati. Vero è che il centrosinistra ha il primato mondiale delle divisioni, ma è altrettanto vero che questa candidatura è un’idea di rottura e cambiamento profondi, perciò capisco le resistenze. Ma, al tempo stesso, apprezzo il coraggio e la capacità di autocritica da parte di Pd e M5S nell’aver scelto un candidato che in passato li ha criticati così aspramente. Tanto di cappello”.
Ha criticato anche i renziani, che non a caso, una volta ufficializzato il suo nome, si sono defilati. A loro cosa si sente di dire?
“Che non esiste una terza via alla Blair. Oggi qui o si sta con noi o si sta con Toti. Se corrono da soli, di fatto stanno con Toti”.
Spesso la Liguria in passato è stata laboratorio politico nazionale. Pensa che la sua candidatura possa fare da apripista a un nuovo progetto più ampio anche fuori regione?
“Penso che abbiamo di fronte una grandissima occasione. La Liguria rappresenta una sorta di avamposto, essendo l’unica regione in cui la coalizione di governo ha presentato un programma nato dalla convinzione e non solo dalla necessità o dalla disperazione. Se andrà bene qui, allora questo progetto può diventare un paradigma per altre regioni e forse anche per il governo. I liguri hanno in mano una scelta che non riguarda solo la propria terra, ma anche l’Italia”.
Consenta una nota personale: chi l’avrebbe mai detto che un giorno si sarebbe trovato dalla stessa parte della barricata con il suo arci-nemico Burlando…
“Credo che non fosse tra i miei sostenitori. Lo capisco, in passato l’ho avversato profondamente. Non so se e quanto mi sosterrà , questo dovreste chiederlo a lui. Ma, al di là delle questioni personali, l’unica cosa che conta è l’interesse della Liguria e su questo tutti dovremo misurarci nei prossimi due mesi e negli anni a venire”.
Che campagna elettorale sarà ?
“Sarà inevitabilmente breve, difficile, low cost (spenderemo circa un decimo rispetto a Toti) con piccoli finanziamenti basati sul crowdfunding, muovendoci tanto sul territorio per parlare con più persone possibili e con candidati provenienti da liste trasparenti e pulite al 100%: non candideremo nessuno che abbia avuto anche solo lontanamente rapporti con persone vicine alla criminalità organizzata”.
Cosa farà in caso di sconfitta? Tornerà con Travaglio al Fatto o farà il capo dell’opposizione?
“Con Marco ho parlato, mi ha incoraggiato e di questo gli sono molto grato. Al momento ho preso un’aspettativa dal mio giornale. Se vincerò, farò il presidente, altrimenti — se mi vorranno — farò il consigliere regionale per cinque anni. Dopodichè tornerò a fare il mio mestiere, che amo da morire”.
Vince Sansa. Cosa fa nei primi cento giorni da governatore della Liguria?
“Come primissima cosa rivedrò il Piano casa e i parchi. Poi vorrei dare finalmente il via libera a una legge contro le slot machine: una piaga devastante per questa regione”.
Sincero: crede nella vittoria?
“È un’impresa difficile, inutile girarci intorno, ma mi piacciono le sfide. Poi nella vita le battaglie le fai perchè ci credi a prescindere, e quella è e sarà la nostra forza. Ricordiamoci Italia-Germania del ’70. L’Italia partiva sfavorita e ai supplementari stava perdendo. A quel punto sono saltati tutti gli schemi e gli azzurri si sono gettati all’attacco, difensori compresi. È finita che ha segnato Burgnich e abbiamo vinto noi: uno dei momenti in assoluto più belli del calcio italiano perchè ha vinto la fantasia, l’improvvisazione. Ecco, la nostra campagna elettorale sarà come Italia-Germania del 1970. E noi siamo l’Italia”.
(da TPI)
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Luglio 17th, 2020 Riccardo Fucile
TRE ITALIANI SU QUATTRO A FAVORE DELL’EUTANASIA… FAVOREVOLI ALLE ADOZIONI DA PARTE DI COPPIE OMOSESSUALI IL 42%
La possibilità di contrarre matrimonio fra persone dello stesso sesso è accettata dal 59,5% dei cittadini italiani, una percentuale decisamente superiore a quella (40,8%) registrata nel 2015.
E’ uno dei risultati della ricerca “I temi etici: l’opinione degli italiani” curata dall’Eurispes. La possibilità di adozione anche per le coppie omossessuali trova invece contrari il 58% dei rispondenti, mentre i ‘si’ raggiungono il 42% (erano il 31% l’anno scorso e il 27,8% cinque anni fa).
I matrimoni gay
E’ il 63,1% delle donne intervistate a dirsi favorevole alla possibilità di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso; la percentuale maschile è notevolmente inferiore con il 55,8%, pur registrando un aumento, rispetto allo scorso anno, di quasi 10 punti percentuali (45,9%).
Contrari alla possibilità di adottare bambini anche per le coppie omossessuali sono il 55,1% delle donne e il 61% degli uomini.
A dire sì ai matrimoni gay sono il 77,1% dei 18-24enni (+17% rispetto ad un anno prima), il 70,1% dei 25-34enni, il 66,2% dei 35-44enni, il 55,7% dei 45-64enni e il 45,3% degli over 64.
Le droghe leggere
Nel 2020 solamente il 47,8% si dice favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere, contro un 52,2% di pareri contrari. Si evidenzia, tuttavia, una ripresa del numero dei giudizi positivi di quasi quattro punti percentuali rispetto al 2019. Da sottolineare, inoltre, che dal 2016 al 2019 si era registrato un decremento dei consensi, passando dal 47,1% di favorevoli al 43,9%.
L’eutanasi
Intanto continua a crescere in Italia il ‘partito’ dei pro eutanasia, la cosiddetta “buona morte” consistente nella somministrazione diretta di un farmaco letale al paziente: ben il 75,2% degli italiani si è espresso favorevolmente rispetto a tale pratica, attestando un forte incremento del consenso negli ultimi cinque anni (i favorevoli erano il 55,2% nel 2015). Nel 2020, con 6 punti percentuali in più rispetto al 2019, il 73,8% dei cittadini si dichiara favorevole al testamento biologico, quella norma che permette di redigere anticipatamente un documento con valore legale nel quale viene stabilito a quali esami, scelte terapeutiche o singoli trattamenti sanitari dare o non dare il proprio consenso nel caso di una futura incapacità a decidere o a comunicare.
Il suicidio assistito, invece (ovvero l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico), trova gli italiani in maggioranza contrari (il 54,6% contro il 45,4% dei favorevoli). Ma i contrari nel 2016 arrivavano al 70,1%.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2020 Riccardo Fucile
“CI HANNO PUNITO PER AVER DETTO LA VERITA'”: LA DENUNCIA DI HAMALA DIOP, EX OPERATORE SANITARIO ALL’ISTITUTO PALAZZOLO
“Ci hanno punito per avere detto la verità . Ma io denuncerei ancora, anche sapendo le conseguenze, anche adesso”. Hamala Diop, 25 anni, ex operatore sanitario all’Istituto Palazzolo della Fondazione Don Gnocchi, è stato licenziato dopo aver denunciato, insieme ad altri colleghi, presunte irregolarità nella gestione dell’emergenza coronavirus all’interno della struttura. Intervistato da Fanpage.it, spiega cosa lo ha spinto ad andare in Procura e conferma: “Anche se ora sono disoccupato, tornando indietro farei la stessa cosa”.
“Ci hanno mentito, assicurato che eravamo al sicuro, vietato di usare le mascherine. Poi ci hanno punito per avere detto la verità . Ma io denuncerei ancora, anche sapendo le conseguenze, anche adesso”.
Hamala Diop, 25 anni, è cresciuto a Milano e vive a Cormano. Per tre anni ha lavorato come operatore socio sanitario all’interno dell’Istituto Palazzolo della Fondazione Don Gnocchi di Milano. Fino a quando con altri colleghi ha denunciato la struttura per la diffusione del coronavirus tra ospiti e operatori, facendo partire le indagini della Procura di Milano. Così la cooperativa Ampast lo ha licenziato.
Anche gli altri lavoratori che hanno firmato la denuncia sono stati dichiarati “non graditi” dalla Fondazione, allontanati e trasferiti in altre sedi.
Ora Hamala, difeso dagli avvocati Romolo Reboa, Gabriele Germano e Roberta Verginelli, si è appellato alla normativa sui whistleblower e ha fatto causa per chiedere l’annullamento del licenziamento.
Quando avete iniziato a pensare che qualcosa non andava all’interno della struttura?
Per me è iniziato tutto con una riunione alla fine di febbraio. Un dirigente ci ha assicurato che l’Istituto Palazzolo era sicuro, ci ha detto che potevamo stare tranquilli e che, per non spaventare l’utenza, era meglio non mettere le mascherine. Ricordo che alcuni colleghi avevano i dispostivi e sono stati invitati a toglierli per non farsi vedere. In caso contrario avrebbero preso una lettera di richiamo. Noi ci siamo fidati e abbiamo fatto quello che ci hanno detto.
Quando avete saputo che il virus era arrivato anche tra voi?
Un paio di settimane più tardi. Il 14 marzo ci è stato comunicato che eravamo entrati in contatto con una persona infetta. Il contatto era avvenuto prima del 10 marzo.
È stato uno choc?
No affatto, noi già lo sospettavamo. Un collega era stato ricoverato in ospedale con sintomi, poi è venuto è venuto fuori che aveva il coronavirus. Poco dopo anche io non mi sono sentito bene: avevo dolori i tutto il corpo, giramenti di testa, mi bruciavano gli occhi. Mi sono messo in malattia e mi hanno invitato a fare il tampone, che è risultato positivo. Intanto anche altri colleghi avevano gli stessi sintomi, così abbiamo capito che l’avevamo preso tutti. A quel punto abbiamo deciso di denunciare.
Cosa vi ha spinti ad andare in Procura?
Il fatto che ci avevano mentito. Ci avevano detto che eravamo al sicuro, questo ci ha fatto veramente arrabbiare. Eravamo in 18, dopo la denuncia ci hanno sospesi. In seguito io sono stato licenziato, altre quattro persone che lavoravano a partita Iva sono state allontanate. Ma anche gli altri non se la stanno passando bene. Li hanno trasferiti a lavorare lontano da casa, tra Como e Varese.
Perchè lei è stato licenziato?
Hanno detto che ero comparso su testate giornalistiche e avevo divulgato la denuncia. Io ho risposto che non è vero, e comunque cercare di impedirmi di parlare con i giornali è grave e assurdo. Io so che ho ragione, so che non sto mentendo e non intendo tirarmi indietro.
Come si svolge la sua vita in attesa dell’esito della causa contro il licenziamento?
Adesso sono disoccupato, sono a casa dal 6 maggio. Ho mandato il curriculum a qualche azienda, cerco in qualsiasi ambito, intanto vedo come si mette la mia situazione. Ho il finanziamento della macchina e altre spese, devo trovare un modo di guadagnarmi da vivere. La disoccupazione non l’ho vista, ma spero almeno di ricevere i soldi per l’infortunio.
Si sente vittima di un’ingiustizia?
Non mi sento tutelato. Ci è stato detto che non si poteva essere licenziati durante il periodo del coronavirus. Io non ho mai preso richiami, il mio lavoro l’ho sempre fatto, ero tranquillo. Invece siamo stati puniti per aver detto la verità . Noi operatori sanitari ci prendiamo sempre la responsabilità per qualsiasi cosa, mentre l’azienda non lo fa per un fatto così grave. Mi fa rabbia, non riesco ancora a mandarla giù.
Tornando indietro, conoscendo le conseguenze a cui è andato incontro, denuncerebbe ancora?
Sì. Da questa storia ho imparato che devo sempre rimanere me stesso. Denuncerei ancora, anche sapendo le conseguenze, anche adesso. Non potevo fare finta di niente, molti sono stati male. Molti ospiti sono morti, persone che vedevo tutti i giorni. Ripeto: so che sto dicendo la verità .
Tornerebbe a lavorare al Don Gnocchi se dovesse vincere la causa?
Non lo so. Forse tornerei, ma le cose dovrebbero cambiare perchè i lavoratori non sono tutelati.
(da Fanpage)
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Luglio 17th, 2020 Riccardo Fucile
IL NEGAZIONISMO DI UN PRESIDENTE SOVRANISTA STA CAUSANDO MIGLIAIA DI MORTI INNOCENTI
Più che al ritmo leggero di samba, oggi il Brasile sembra muoversi sulle note cupe di un requiem. Secondo Paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, per numero di decessi da Coronavirus (ufficialmente 76.688 al 16 luglio), il Brasile sta pagando un prezzo altissimo per la sconcertante linea negazionista dei rischi imposta dal presidente Bolsonaro.
Il contagio continua a diffondersi minacciosamente non solo al Sud, nelle regioni come San Paolo, dove le capacità del comparto sanitario sono più avanzate.
L’emergenza si manifesta in misura crescente anche nelle aree rurali e negli Stati del Nord-Est, ben meno attrezzati per fronteggiare la pandemia. Gli effetti sono drammatici e la loro portata imprevedibile, se si considera tra l’altro che cinquanta milioni di brasiliani – un quarto della popolazione totale – vivono in abitazioni prive di reti fognarie o di acqua corrente.
Ora Bolsonaro, positivo anche al secondo test, si affida alla benevolenza di Dio e alla discussa terapia a base di idrossiclorochina, al pari dell’amico Trump.
Dal suo isolamento forzato nel palazzo presidenziale dell’Alvorada non appare disposto a cambiare idea. Che le attività proseguano regolarmente, “tanto prima o poi tutti dovremo morire”, ignorando gli appelli dei governatori dei ventisette Stati della Federazione, tutti favorevoli a misure restrittive di prevenzione. Scartata la scienza, preferisce la Provvidenza.
Tradotta in termini politici, l’ostinazione del capo dello Stato brasiliano significa incompetenza, irresponsabilità e ulteriore polarizzazione del Paese. Invece di aggregare e guidare, Bolsonaro divide e destabilizza, all’interno come all’estero. E’ questione di dna, non potrebbe fare altrimenti. Potrà andare avanti così fino alla scadenza del suo mandato, a dicembre 2022?
La disastrosa gestione della crisi del Covid, l’abbandono delle politiche di inclusione sociale e i limiti oggettivi della sua preparazione hanno abbassato, ma non di molto, il consenso dell’elettorato per il presidente.
La sua popolarità è intorno al trenta per cento. Quando Fernando Collor de Mello e Dilma Rousseff furono destituiti dalla presidenza della Repubblica, nel 1992 e nel 2016, il consenso personale di cui entrambi godevano era del quindici per cento.
Anche per questo, l’ipotesi di impeachment non sembra realistica, nonostante più d’una insidiosa accusa pendente a suo carico in un sistema che mantiene in ogni caso una corretta dialettica inter-istituzionale tra esecutivo, legislativo e giudiziario. Il Brasile non è il Venezuela.
Memore della scelta pragmatica di Lula, da presidente, di conquistare i settori più moderati con una serie di misure rassicuranti (“Lulinha paz e amor”), Bolsonaro cerca di allargare la sua base parlamentare ai variegati gruppi centristi, disponibili ad appoggi in cambio di contropartite più o meno esplicite.
Per riuscirvi, dovrà forse alleggerire il suo governo da qualche elemento più ideologico e radicale e dare maggiore spazio ai ministri più ragionevoli, tra cui figurano militari di buona preparazione, paradossalmente più duttili di alcuni colleghi di estrazione civile.
Assorbito da contrapposizioni e convulsioni interne, il Brasile perde colpi nella sua proiezione internazionale, autorevole con Cardoso e Lula, oggi evanescente. Sono lontani i tempi in cui ad esempio l’Egitto chiedeva al Brasile, in virtù della sua influenza sulla scena mondiale, di svolgere i buoni uffici su Shimon Peres in uno dei passaggi cruciali del contenzioso arabo-israeliano.
L’appiattimento prono dell’Itamaraty sulle politiche di Donald Trump ha dirottato il Brasile su un binario morto su scala globale.
Il tradizionale impegno multilaterale di Brasilia e il suo protagonismo sui temi dell’agenda globale hanno ceduto il passo a un isolazionismo compiaciuto e controproducente. Non è certo questo il Paese che possa coltivare l’ambizione, trascinata invano per anni, di ottenere un seggio permanente in Consiglio di Sicurezza.
Per il Brasile e per la sua agguerrita diplomazia, che quasi trenta anni fa a Rio de Janeiro elaborarono per primi l’idea dello sviluppo sostenibile nel quadro dei negoziati Onu sull’ambiente, è un motivo in più di disagio e di insoddisfazione per l’attuale deriva nazionalista, triste e inconcludente.
(da Huffingtonpost”)
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Luglio 17th, 2020 Riccardo Fucile
SOPRA LA SOGLIA SONO LOMBARDIA, PIEMONTE, VENETO, EMILIA-ROMAGNA, TOSCANA E LAZIO
Secondo gli ultimi dati sulla diffusione del contagio da Coronavirus a livello nazionale si registra un lieve aumento dei nuovi casi con un indice di trasmissibilità nazionale (Rt) che è tornato sopra 1, allo 1.01.
Questo indica che «la trasmissione nel nostro Paese è stata sostanzialmente stazionaria nelle scorse settimane». È quanto emerge dal monitoraggio congiunto dell ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità per la settimana del 6-12 luglio.
In quasi tutte le Regioni italiane sono stati registrati nuovi casi di contagio, con una crescita rispetto alla scorsa settimana.
Si segnala in alcune Regioni/PA la presenza di nuovi casi di infezione importati da altra Regione e/o da Stato Estero. La situazione epidemiologica è dunque «estremamente fluida».
Sono sei le regione con l’indice Rt sopra l’1. In base ai dati del monitoraggio quelle che hanno superato la soglia sono: Emilia Romagna (1,06), Lazio (1,23), Lombardia (1,14), Piemonte (1,06), Toscana (1,24) e Veneto (1,61).
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2020 Riccardo Fucile
IL GIOVANE STRANIERO RISIEDE REGOLARMENTE IN ITALIA E LAVORA… LA MAGISTRATURA VICINA A IDENTIFICARE ALTRI MALVIVENTI
Tre arresti per aggressione a sfondo razziale a Palermo. La Polizia di Stato ha eseguito nella notte la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di tre persone, ritenute “responsabili di più condotte penalmente rilevanti nei confronti di un giovane senegalese, aggredito e minacciato a più riprese sullo sfondo di uno subcultura fortemente discriminatoria”.
Gli arrestati sono Claudio Lucania Claudio, 31 anni, Roberto Ventimiglia, 31 anni Riccardo Salvatore 28 anni.
Il giovane cittadino senegalese risiede regolarmente in Italia e lavora.
In via Beati Paoli, il giovane straniero era stato quasi centrato da una vettura sportiva che a velocità sostenuta era sfrecciata sulle strade del centro città .
Le risentite ma garbate rimostranze rivolte dal pedone straniero all’autista della vettura, Lucania, avrebbero scatenato “un flusso di violenza nei suoi confronti che sarebbe andato bene al di là di un contenzioso stradale e sarebbe stato costellato da inequivocabili epiteti a sfondo razziale: l’autista della vettura ed un centauro suo amico, Ventimiglia, presto giunto a spalleggiarne la tracotanza e sfrontatezza, hanno picchiato il senegalese.
I palermitani hanno cercato, ancora una volta, di investire il senegalese, lo hano colpito con calci e pugni e Ventimiglia avrebbe addirittura indirizzato colpi di catena al capo della vittima, accompagnando la violenza con frasi discriminatorie.
Soltanto l’intervento “di un ecomiabile residente palermitano della zona, testimone della cieca violenza, avrebbe evitato peggiori conseguenze al senegalese”, dicono gli investigatori. Il residente, sceso in strada, si sarebbe infatti adoperato per calmare gli animi ed avrebbe condotto lo straniero al sicuro, in un luogo distante, prima e successivamente presso un nosocomio cittadino dove la vittima sarebbe stata refertata con una prognosi di 25 giorni.
A distanza di qualche ora dall’accaduto, lo straniero sarebbe stato raggiunto lungo le strade della movida cittadina da un nutrito gruppo di malviventi (i cui componenti sono in via di identificazione) all’interno del quale è risaltata per spregiudicatezza la minacciosa condotta di Ventimiglia. Questi, brandendo una spranga, avrebbe minacciato lo straniero di pesanti ritorsioni nel caso in cui egli avesse presentato una formale denuncia del violento pestaggio ed avrebbe cercato di condurre il giovane in un luogo appartato allo scopo di spiegargli ”come funziona a Palermo”. Ma i tre sono stati arrestati
(da agenzie)
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