Luglio 1st, 2020 Riccardo Fucile
SUL SEMPLIFICAZIONI ANCORA CONTRASTI SU APPALTI E ABUSO D’UFFICIO… UN SENATORE PASSA DA FORZA ITALIA A ITALIA VIVA
“Che facciamo, pure il decreto semplificazioni lo rimandiamo a settembre?”, dice sorridendo un dirigente del Partito democratico.
La risposta puntuta di Giuseppe Conte sul Mes ha impattato ancora una volta su quella parte del Pd esasperata dalla conduzione della fase post crisi del premier.
La lettera in dieci punti di Nicola Zingaretti non ha sortito gli effetti sperati. Nessuna risposta da Palazzo Chigi, fino a quando il presidente del Consiglio ha deciso, dopo il question time alla Camera, di andare a “cercare” i cronisti. Una mossa voluta, per consegnare un messaggio tanto cauto quanto puntuto: “Non ho cambiato mai idea, non dobbiamo ragionare su astratte valutazioni. Sulla base di conti e regolamenti si va in Parlamento e si decide”.
Girando attorno al tema, ha anche spiegato come il voto sul fondo Salva stati non sarà a stretto giro: “Dobbiamo chiudere il negoziato sul Recovery fund, non è attendismo, ma chiarezza di linea, fini e obiettivi”. I punti sollevati da Zingaretti, spiegano fonti vicine a Conte, non tengono conto che la maggior parte delle misure che propone sono strutturali, e, una volta esauriti i fondi del Mes, graverebbero sui conti dello stato.
Nonostante ciò il segretario del Pd ha offerto un’apertura di credito a Palazzo Chigi. “Nel decreto Semplificazioni ci sono ottime scelte – ha detto a margine di un evento a Roma – Può cambiare come tutto, ma finalmente le cose possono cambiare in meglio e questo è un segnale molto concreto e positivo delle promesse che si fanno e degli impegni che si mantengono”.
Sulla linea su cui ha battuto in queste settimane con tutti i suoi interlocutori, “il governo va avanti se fa le cose”, al Nazareno hanno guardato con interesse alle accelerazioni sia sul decreto, ma anche su Alitalia e sui decreti sicurezza, entrati finalmente dopo un anno nell’orizzonte delle cose da fare.
Il Mes rientra tra queste. “Non è un problema ideologico così come lo vogliono affrontare i 5 stelle – spiega chi ha sentito Zingaretti nelle ultime ore – Il punto è che prima risolvi alcuni nodi, prendi decisioni, stabilisci indirizzi, meglio vai avanti. E Nicola ha detto esattamente questo”.
Al Nazareno fanno spallucce sui timori pentastellati che Conte voglia aspettare settembre per forzare la mano, spaccare il Movimento e puntellarsi con i voti di Forza Italia: fantasie di chi vive dei propri fantasmi, le definiscono.
Il pezzo di partito che guarda a Dario Franceschini ha morso il freno di fronte a quella che hanno letto come l’ennesima risposta dilatoria. “Ma siamo consapevoli che votare sul Mes a settembre causerebbe meno danni, ci rendiamo conto che è un ragionamento sulla difensiva, ma con questa maggioranza che vuoi fare”, spiega un senatore Dem.
Al Nazareno sono convinti che i 5 stelle si piegheranno all’ovvio, cioè accettare i 36 miliardi messi a disposizione dall’Europa, pur rimanendo assai perplessi sulle capacità di leadership di Conte che non siano quelle di attendere e logorare l’interlocutore.
La mette giù così il vicesegretario del Pd Andrea Orlando: “Non credo che il premier sia in grado di governare la complessità di M5s, ma rappresenta una figura forte in grado di condizionare delle scelte”.
La controprova la si avrà in autunno, ma il presidente del Consiglio sta cercando di battere un colpo con una forte accelerazione sul decreto Semplificazioni, inizialmente previsto in Consiglio dei ministri tra la fine della prossima settimana e l’inizio di quella successiva.
Anche per potersi presentare con qualcosa di concreto in mano nel mini tour europeo che farà tra Spagna, Portogallo e Germania prima del prossimo Consiglio europeo. Un’inversione di passo anche nel metodo: per rispondere a chi lo ha accusato di solipsismo il capo del Governo ha convocato due vertici di maggioranza, l’ultimo dei quali andato avanti diverse ore anche oggi, allargando l’elenco dei partecipanti ben oltre il perimetro dei soli capi delegazione. E scrivendo a Matteo Salvini come segnale di apertura alle opposizioni, un primo passo verso un incontro per discutere il piano rilancio.
Dopo aver bloccato il condono e un’infornata di assunzioni, sul semplificazioni i nodi rimasti aperti sono due.
Italia viva spinge per un’elenco di opere da affidare a commissari per una realizzazione rapida, con un’inaspettata consonanza con i 5 stelle che perorano il modello Genova. Più cauto il Pd, mentre Loredana De Petris per Leu spiega che ci sono dubbi sull’estensione di fatto “della trattativa privata fino a 5,2 milioni, sulle procedure semplificate sopra soglia, sulla parte sulle certificazioni antimafia, su cui bisogna essere molto attenti, perchè l’esperienza ci dice che gli appalti sono luoghi di infiltrazioni”. Aperta ancora la discussione sulle modifiche dell’abuso d’ufficio e del danno erariale, che verrà affrontata domani nel terzo round del vertice, con l’obiettivo di portare in aula un testo condiviso tra giovedì e venerdì.
Il passaggio, ufficializzato in serata, del senatore Vincenzo Carbone da Forza Italia a Italia viva è stato accolto con un sospiro di sollievo dall’intera maggioranza. “Una piccola buona notizia, siamo ancora attrattivi”, dice il capogruppo Dem Andrea Marcucci.
Un piccolo puntello ai traballanti numeri al Senato, tanto basta di questi tempi a far sorridere il governo.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 1st, 2020 Riccardo Fucile
ORA E’ PIENO DI ELOGI PER IL CAPO DELLO STATO
«È un grande Presidente, un apostolo», diceva il geometra Luciano Calboni in uno dei film del celebre Fantozzi.
Una captatio benevolentiae che, ancora al giorno d’oggi, è diventata un modo di dire comune per sottolineare una celebrazione nei confronti di un personaggio che, invece, non viene proprio stimato.
Ovviamente questo non sembra essere il caso del leader della Lega che, da alcuni giorni a questa parte, invia (a mezzo stampa e social) messaggi di stima al Presidente della Repubblica.
L’ultimo dei tanti la lettera Salvini a Mattarella sulla Scuola. Insomma, una stima inattaccabile, ma qualche anno fa non era proprio così.
Partiamo dagli ultimi avvenimenti. Nei giorni scorsi Matteo Salvini ha ringraziato, più volte, pubblicamente il Presidente della Repubblica per la sua visita a Codogno, ma anche per gli inviti fatti al governo per una collaborazione tra maggioranza e opposizioni. Poi la lettera scritta oggi e rivolta a Sergio Mattarella in qualità di Capo dello Stato e anche di ex Ministro dell’Istruzione.
Una missiva in cui si dice preoccupato per la situazione della Scuola e dell’Istruzione in Italia. Insomma, un attacco — con parole molto più morbide rispetto a quanto afferma tra social e comizi vari — a Lucia Azzolina (e al governo).
Tutto giusto, tutto legittimo. Soprattutto per quanto riguarda la conferma nella fiducia dell’operato del Presidente della Repubblica.
Sta di fatto, però, che la lettera Salvini a Mattarella arrivi dopo anni bui in cui il leader della Lega non aveva lesinato critiche — sfociate anche in insulti — nei confronti del Capo dello Stato.
Ma quattro anni fa, Salvini diceva parole diverse su Mattarella
Solo quattro anni fa, Mattarella veniva definito un «complice e venduto». Oggi diventa una persona stimata e stimabile per il suo ruolo e il suo equilibrio.
E quelle parole del leader della Lega vennero ribadite anche successivamente quanto, rispondendo alle polemiche, rincarò la dose: «Il Presidente degli italiani, che tale non mi sembra — disse intervenendo alla Telefonata di Maurizio Belpietro — prima di parlare di frontiere e confini aperti dovrebbe difendere la sua gente ed il lavoro della sua gente. Non mi riconosco in lui». Il tutto accompagnato da un appellativo rivolto al capo dello Stato: «chiacchierone». Ma, evidentemente, il tempo appiana i contrasti.
Così come l’opportunismo politico.
(da agenzie)
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Luglio 1st, 2020 Riccardo Fucile
GALLERA TRAGICO: ANNUNCIA ESAMI NECESSARI GRATIS “IN ATTESA DELL’ESENZIONE NAZIONALE”… MA L’ESENZIONE C’ERA GIA’, E’ STATA LA REGIONE A NON ATTIVARLA, FACENDO PAGARE TUTTO AI CITTADINI
Stamattina abbiamo parlato delle esenzioni per visite «infettivologiche, pneumologiche, cardiologiche, neurologiche, fisiatrica ed ematologica con gli esami diagnostici ad esse collegate» e anche per il colloquio psicologico clinico che ieri l’assessore al Welfare di Regione Lombardia Giulio Gallera ha illustrato spiegando che l’esenzione “prevede che i cittadini facciano gratis esami e visite con prescrizione medica, beneficiando dello “sconto” regionale in attesa che il governo introduca quello nazionale“.
Quello che non sapevamo — e che ha spiegato sulla sua pagina facebook Vittorio Agnoletto — è che il governo ha già introdotto un’esenzione nazionale per le visite legate a COVID-19 ma la Lombardia non l’ha voluta utilizzare fino a ieri: i cittadini hanno pagato e nessuno li rimborserà .
Informazione n.2: la delibera regionale approvata ieri ha stabilito che i cittadini che sono stati colpiti dal Covid non pagheranno il ticket per i controlli, in particolare per le visite infettivologiche, pneumologiche, cardiologiche, neurologiche, fisiatriche ed ematologiche, nè per gli esami diagnostici ad esse collegate. Il codice di esenzione sarà il D 97
La bugia: l’assessore Gallera ha dichiarato che questa è una decisione transitoria in attesa che il governo stabilisca l’esenzione su tutto il territorio nazionale. Ma la verità è un’altra (come documentato dal mio post del 16 giugno “Il danno e la beffa”) l’esenzione era già possibile utilizzando, come avvenuto in varie regioni, il codice P01: prestazioni specialistiche finalizzate alla tutela della salute collettiva, disposte a livello locale in caso di situazioni epidemiche (ex art. 1 comma 4 lett. b del D.Lgs. 124/1998 — seconda parte). Ma la Lombardia non l’ha voluto utilizzare e i cittadini, fino ad ora, hanno pagato e nessuno li rimborserà .
A pagina 5 del documento riepilogativo delle esenzioni infatti è presente l’esenzione P01 che riguarda le “prestazioni specialistiche finalizzate alla tutela della salute collettiva disposte a livello locale in caso di situazioni epidemiche”.
E quindi l’esenzione, che in altre regioni è stata attivata a marzo anche in modo retroattivo per le spese a partire da gennaio, per i lombardi sarà utilizzabile soltanto a partire da oggi, primo luglio.
(da “NextQuotidiano“)
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Luglio 1st, 2020 Riccardo Fucile
IL GIURISTA MUSACCHIO: “RISCHIO CHE DENARO PUBBLICO SIA SPESO SENZA CONTROLLI PER LA GIOIA DEI MAFIOSI”
La bozza del dl Semplificazioni, che dovrebbe arrivare giovedì 2 luglio in Consiglio dei ministri, contiene al suo interno anche norme che permettono di svolgere, a determinate condizioni, appalti senza gara, con l’affidamento diretto o la trattativa diretta al di sotto di determinate soglie .
Le nuove regole, che puntano a velocizzare la realizzazione di cantieri e opere, aprono tuttavia a maggiori rischi sulla possibilità di infiltrazioni criminali e mafiose negli appalti.
Per rendere più rapide le fasi d’appalto, il governo propone delle deroghe in vigore fino al 31 dicembre 2021 che consentirebbero di procedere senza gara ma con l’affidamento diretto per le opere fino a 150mila euro e con la trattativa diretta con almeno 5 operatori per quelle di importo superiore.
La gara vera e propria rimarrebbe invece solo per le opere sopra i 5 milioni.
La Presidenza del Consiglio, inoltre, potrebbe individuare opere di rilevanza nazionale per le quali saranno introdotte procedure a trattativa ristretta.
Un’altra novità sarebbe la nascita del Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche, di cui potrebbero beneficiare le stazioni appaltanti, allo scopo di evitare che la mancanza temporanea di risorse pubbliche (ad esempio nell’attesa dell’erogazione di un finanziamento) possa ostacolare la realizzazione dell’opera. Infine, una deroga specifica riguarderebbe il rilascio della certificazione antimafia, che fino a luglio 2021 verrebbe rilasciata con una procedura d’urgenza e controllata solo ex post.
Il rischio concreto è che con queste deroghe diminuiscano i controlli sulle modalità con cui vengono spesi i fondi pubblici, con il conseguente pericolo di agevolare le infiltrazioni della mafia negli appalti pubblici, un settore storicamente oggetto di questo tipo di attività criminali.
“A prima vista mi paiono deroghe eccessive e semplificazioni troppo ampie oltre alla questione dei subappalti e delle stazioni appaltanti dove il rischio di infiltrazioni mafiose è alto”, sottolinea a questo proposito Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, in un articolo pubblicato su Antimafia Duemila.
L’esperto ricorda quindi le centinaia di inchieste giudiziarie (a partire da quelle del giudice Giovanni Falcone) che hanno indagato in questa “zona grigia” divenuta una “grande mangiatoia di clan mafiosi e faccendieri”.
“Se ci sarà la conferma del Parlamento nel prossimo anno molto denaro pubblico corre il rischio di essere speso senza controllo per la gioia del mafioso di turno che potrà beneficiarn”, prosegue Musacchio.
“La presenza di numerose stazioni appaltanti, la parcellizzazione dei contratti e il ricorso eccessivo al subappalto, renderanno difficile i controlli da parte della magistratura e delle forze dell’ordine. È evidente”, sottolinea, “che questa modifica normativa che regola il sistema degli appalti pubblici ha delle lacune perlomeno molto rischiose”.
La preoccupazione è che, oltre al rischio di infiltrazioni, a essere pregiudicata sia la qualità finale dell’opera e il rispetto delle norme della sicurezza nei luoghi di lavoro, e che i controlli dell’Anac siano resi difficili da fattori come l’elevato numero di imprese, il numero di appalti inferiori a 150mila euro, la parcellizzazione dei contratti e il ricorso eccessivo al subappalto.
(da TPI)
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Luglio 1st, 2020 Riccardo Fucile
INCREMENTATO ANCHE L’ACQUISTO DI FARMACI
Durante l’emergenza Covid Caritas ha assistito quasi 450.000 persone, di cui il 61,6% italiane. Di queste il 34% sono “nuovi poveri”, cioè persone che per la prima volta si sono rivolte alla Caritas.
È questo quanto emerge dal rapporto pubblicato dall’organismo Cei riguardo i mesi più difficili della pandemia. In questo periodo 92.000 famiglie in difficoltà hanno avuto accesso a fondi diocesani, oltre 3.000 famiglie hanno usufruito di attività di supporto per la didattica a distanza e lo smart working, 537 piccole imprese hanno ricevuto un sostegno.
Dalle rilevazioni effettuate proprio da Caritas, condotte dal 3 al 23 giugno, si sono rivolti ai centri diocesani per lo più disoccupati in cerca di nuova occupazione, persone con impiego irregolare fermo a causa della pandemia, lavoratori precari e saltuari che non godono di ammortizzatori sociali.
Non solo: hanno chiesto aiuto lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione ordinaria o cassa integrazione in deroga, lavoratori autonomi o stagionali in attesa del bonus.
Tra i nuovi poveri anche pensionati, inoccupati in cerca di prima occupazione, persone con impiego irregolare, casalinghe. I dati raccolti si riferiscono a 169 Caritas diocesane, pari al 77,5% del totale.
Non solo povertà
Un’emergenza sanitaria, quella da Covid, che ha fatto emergere disagi e problematiche latenti e che ha reso problemi già esistenti ancora più marcati. Dai problemi burocratici e amministrativi, alle difficoltà delle persone in situazione di disabilità o handicap. La Caritas ha evidenziato mancanza di alloggi in particolare per i senza dimora, diffusione dell’usura e dell’indebitamento, violenza maltrattamenti in famiglia, difficoltà a visitare o mantenere un contatto con parenti e congiunti in carcere. Inoltre, ha preso il largo la diffusione del gioco d’azzardo e le scommesse.
Il ruolo della Caritas
«Piccoli segnali positivi arrivano dal 28,4% delle Caritas che, dopo il forte incremento dello scorso monitoraggio, con la fine del lockdown hanno registrato un calo delle domande di aiuto», racconta Caritas Italiana.
«Complessivamente, grazie al fiorire di iniziative di solidarietà e al contributo che la Conferenza Episcopale Italiana ha messo a disposizione dai fondi dell’otto per mille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, i servizi forniti — conclude Caritas — sono stati molteplici: dispositivi di protezione individuale e fornitura igienizzanti, pasti da asporto e consegne a domicilio».
Sono poi nati servizi di ascolto e accompagnamento telefonico, è stato incrementato l’acquisto di farmaci e prodotti sanitari. È nata un’attività di sostegno per nomadi, giostrai e circensi. E ancora: sportelli medici telefonici, aiuto per lo studio e il doposcuola, presenza in ospedale e nelle Rsa e servizi di accoglienza per infermieri e medici.
(da agenzie)
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Luglio 1st, 2020 Riccardo Fucile
“INCITAMENTO ALL’ODIO” AGGRAVATO DAL FATTO CHE MARIO GIORDANO NON SI E’ DISSOCIATO
Alla fine è arrivata. A comunicare e celebrare la questione è Sandro Ruotolo, che sottolinea come lui e Maurizio De Giovanni avessero ragione alla diffida per il programma di Mario Giordano su Rete 4.
AGCOM condanna tramite comunicato stampa quanto detto non solo da Vittorio Feltri in merito ai «meridionali inferiori» in data 21 aprile 2020 ma anche quello che Iva Zanicchi ha affermato più di recente — il 16 giugno — sugli immigrati.
Oltre a questi due specifici episodi il comunicato parla di «un’analisi complessiva dell’intero ciclo della trasmissione al fine di individuare l’eventuale natura sistematica di violazione dei principi di cui agli art. 3, 4 e 32 del Tusmar.
Sandro Ruotolo ha pubblicato su Twitter il comunicato stampa di AGCOM in cui si parla della diffida a Fuori dal coro: si parla di «violazione del regolamento di contrasto all’hatespeech nei confronti dell’emittente in relazione a quanto accaduto nella puntata del 21 aprile 2020 della trasmissione Fuori dal coro che per l’occasione ospitava il giornalista Vittorio Feltri».
In particolare AGCOM scrive di aver rilevato «che il conduttore della trasmissione Mario Giordano non si è adeguatamente dissociato dalle dichiarazioni di Feltri riguardo i “meridionali”».
Si parla anche di «ripetitività e gravità dell’insieme degli episodi già contestati all’emittente per la medesima trasmissione».
Nel comunicato si parla anche dell’episodio avvenuto a fine giugno sempre a Fuori dal coro, stavolta con protagonista Iva Zanicchi. La donna ha affermato — parlando con Mario Giordano — che i «giovani africani che vengono qua, qualcuno poverino forse farà pure tenerezza, non vedi che non hanno rispetto? Sono prepotenti, pretendono, vogliono. Cosa fanno? Vanno in città , spacciano, se possono stuprano».
Troppo debole la reazione di Giordano, AGCOM ha condannato il comportamento di Giordano anche in questo caso.
(da agenzie)
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Luglio 1st, 2020 Riccardo Fucile
IL MEMORANDUM VIOLA IL PRINCIPIO DEL NON RESPINGIMENTO, IL DIRITTO INTERNAZIONALE E IL DIRITTO DEL MARE
Le politiche migratorie intraprese dai governi italiani a partire dal 2016 sono state una risposta alla pressione dei partiti politici di destra e dell’opinione pubblica a seguito alla cosiddetta ‘crisi migratoria’.
Per rispondere a questa pressione, il governo italiano ha deciso di perseguire una strategia di esternalizzazione alla guardia costiera libica delle operazioni di ricerca e salvataggio nel Mar Mediterraneo centrale.
Tale politica di esternalizzazione è stata formalizzata dalla firma di un memorandum d’intesa tra la Libia e l’Italia firmato il 3 luglio 2017.
L’accordo prevedeva tra l’altro: la fornitura di attrezzature e addestramento per la guardia costiera libica, un importante sostegno finanziario, e l’istituzione di centri di detenzione in Libia gestiti esclusivamente dal Ministro dell’interno libico.
Inoltre, l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti ha introdotto un codice di condotta che regola il salvataggio dei migranti da parte delle Ong e, in tal modo, ha spianato la strada alla criminalizzazione delle Ong perchè accusate di rappresentare un pull factor e un promotore del traffico di esseri umani attraverso il Mediterraneo centrale.
Questo tipo di politica di gestione dei flussi migratori fa parte di una più ampia strategia europea che va nella direzione del ‘controllo a distanza’.
Per garantire questo tipo di strategia, i paesi adottano accordi bilaterali o multilaterali in forma di soft law al fine di esternalizzare le attività di gestione del fenomeno migratorio a paesi come la Libia, la Turchia, il Niger e il Marocco.
Nelle politiche di Salvini, la giurisdizione non è territoriale, ma sembra essere perseguita solo su decisione diretta del Ministro dell’Interno attraverso un ordine esecutivo senza alcun rispetto per il diritto internazionale e del diritto del mare. Vedi gli ormai famosi casi Diciotti e Sea Watch.
Veniamo ora all’attualità . Il 2 luglio sarà un giorno cruciale per il destino di migliaia di migranti africani. Prenderanno infatti il via i colloqui tra Italia e Libia sulla gestione dei flussi migratori.
L’annuncio è stato dato da Luigi Di Maio, il ministro degli Esteri italiano, che, di ritorno dal Tripoli, ha dichiarato all’agenzia Ansa: “Il presidente Al-Serraj mi ha consegnato la proposta libica di modifica del memorandum d’intesa in materia migratoria. Ad una prima lettura si va in una giusta direzione, con la volontà della Libia di applicare i diritti umani. Anche nelle fasi più drammatiche dell’epidemia, il dialogo dell’Italia con la Libia non si è mai interrotto. La Libia è una priorità della nostra politica estera e della sicurezza nazionale”.
Le autorità libiche, secondo quanto riporta l’Ansa, avrebbero consegnato a Di Maio una serie di proposte nelle quali la Libia “si impegna nell’assistere i migranti salvati nelle loro acque, a vigilare sul pieno rispetto delle convenzioni internazionali attribuendo loro protezione internazionale così come stabilito dalle Nazioni Unite”.
Tuttavia, le violazioni dei diritti umani in Libia sono denunciate da numerosi rapporti dell’Unione europea, dell’Onu e delle Ong.
La responsabilità dell’Italia da Minniti a in poi è significativa. L’Italia è ben consapevole delle condizioni dei migranti nei centri di detenzione ignorando consapevolmente le condizioni disumane vissute dai migranti nei circa 33 centri di detenzione libici. In tal modo, le condizioni stabilite nel memorandum, in particolare la protezione dei diritti umani dei migranti, sono materialmente inefficaci.
In effetti, come sottolineato dal recente giudizio del Tribunale di Trapani, l’Italia consegnando alla guardia costiera libica i migranti, in pratica, sta commettendo un respingimento collettivo dei migranti in uno stato che non è considerato sicuro dalla maggior parte delle organizzazioni internazionali. Di conseguenza, si può dire che il memorandum viola il principio di non refoulment, il diritto internazionale consuetudinario, e il diritto del mare.
Dopo quasi 3 anni dalla sua firma sono state commesse evidenti violazioni dei diritti umani. Ciò che emerge è un quadro inquietante, in cui il governo italiano continua a delegare al governo libico il pattugliamento del Mar Mediterraneo centrale e la gestione dei centri di detenzione come previsto dal memorandum, che può essere definito solo inefficace.
In effetti, molte disposizioni mancano di un’applicazione sostanziale. Si può quindi parlare, ragionevolmente, di un verificarsi di inefficacia materiale e di complicità per la partecipazione a un atto illecito di un altro stato fornendo aiuti e assistenza alla Libia
Alla luce degli ultimi sviluppi, il ministro Luigi Di Maio sembrerebbe voler rinnovare il memorandum con la Libia senza passare dal voto parlamentare previsto dalla Costituzione (art. 80) per gli accordi internazionali che prevedono finanziamenti diretti.
Ancora una volta il governo Italiano preferisce operare con strumenti di soft law per aggirare le responsabilità internazionali che emergerebbero da una discussione parlamentare dell’accordo.
Nel frattempo, il Partito democratico sembra perdersi in discussioni da consorteria. Ancora una volta, dobbiamo augurarci che un tecnico come la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese riprenda in mano il dossier libico per salvare una politica che volta la faccia dall’altra parte per un misero cinismo politico di breve periodo.
I flussi migratori sono inarrestabili. Solo una netta inversione di rotta potrebbe salvare il governo Italiano dalle accuse di complicità di violazioni di diritti umani per aver continuato a finanziare la guardia costiera e i lager libici. Il tempo stringe.
Nel frattempo Putin e Erdogan si dividono la Libia e probabilmente la protezione dei i diritti umani dei migranti non sarà una priorità e il governo italiano ne sarà complice.
(da Globalist)
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Luglio 1st, 2020 Riccardo Fucile
CON L’ANNESSIONE DA PARTE DI ISRAELE, 25.000 BAMBINI RISCHIANO DI RIMANERE SENZA UN TETTO
Sono 25mila i bambini che rischiano di restare senza una casa e di essere esposti al rischio di conflitti e insicurezza in Cisgiordania se il governo israeliano si impossesserà in modo permanente del territorio palestinese occupato, annettendo zone che oggi ospitano circa 80mila palestinesi.
“Ho paura che non avremo più spazio per vivere e crescere. Avremo spazio per correre e giocare senza sbattere contro un checkpoint?”, si chiede Niveen, 12 anni, la cui testimonianza — pubblicata in esclusiva da TPI — è stata raccolta dall’Organizzazione internazionale Save the Children insieme a quelle di altri bambini della Cisgiordania.
Nel territorio palestinese, dove, le demolizioni sono già in aumento e dall’inizio dell’anno le distruzioni di proprietà dei palestinesi sono già cresciute del 250 per cento, l’attuazione del piano del governo sull’annessione rischia sradicare ulteriormente questi bambini e le loro famiglie.
“Quando vedo soldati, armi, missili e posti di blocco provo molta paura. Vorrei soltanto potermi sentire libera e al sicuro”, dice Ola, 14 anni. “Quando penso al mio futuro, vedo tante mancanze. Mancanza di diritti, mancanza di sogni”, racconta invece Ashraf, 13 anni, che con l’annessione rischia di perdere la propria casa.
“Nell’ambito delle relazioni internazionali contemporanee sono pochi gli esempi di una svolta di questa portata storica e che, secondo molti osservatori, infliggerebbe un colpo fatale alla prospettiva di una soluzione a due Stati”, afferma a proposito dell’annessione Filippo Ungaro, portavoce di Save the Children. “Per decenni, la soluzione a due Stati è stata vista da molti come il modo per risolvere il conflitto e garantire l’autodeterminazione per entrambi i popoli che lo rivendicano come proprio. È anche l’unica soluzione che tiene conto delle prospettive delle generazioni di palestinesi che vivono in queste terre da secoli”.
“Il diritto internazionale parla chiaro sull’annessione: è illegale”, prosegue il portavoce. “Inoltre, metterebbe in pericolo i diritti dei bambini, il loro diritto a sopravvivere, alla salute, all’istruzione e alla protezione”.
Il rischio è che, con la possibile dissoluzione dell’Autorità Palestinese (PA) vengano meno servizi vitali per i bambini, come acqua, sanità , istruzione. Oltre il 70 per cento delle scuole in tutto il territorio palestinese occupato infatti è gestito dal governo e rischia di chiudere se l’Autorità Palestinese dovesse cessare di esistere.
“Il mio appello al mondo è di ascoltare la mia voce e la voce di ogni bambino palestinese. Se ci ascoltate, vi preghiamo di liberarci”, dice Khaled, 12 anni.
“Facciamo appello a Israele, ai palestinesi e ai leader mondiali affinchè ascoltino le voci dei bambini, non diano seguito all’annessione e si impegnino invece a portare avanti negoziati seri per raggiungere un accordo duraturo che garantisca sicurezza e dignità a tutti”, dichiara Ungaro.
“Generazioni di bambini palestinesi sono cresciute conoscendo nient’altro che conflitti e occupazioni. L’annessione negherebbe loro la possibilità di un futuro diverso. Azioni unilaterali di vasta portata come l’annessione rischiano di provocare conseguenze imprevedibili e dannose per i bambini sia israeliani che palestinesi. L’unico modo per dare ai bambini palestinesi e israeliani il futuro al quale hanno diritto è quello di seguire un processo di pace che includa i palestinesi e che abbia a cuore i diritti e il superiore interesse di tutti i bambini”.
Il governo israeliano aveva indicato il 1 luglio come la data a partire dalla quale procedere con l’iniziativa unilaterale di annessione della Valle del Giordano e di 235 insediamenti illegali che costituiscono quasi un terzo della Cisgiordania.
Ieri tuttavia il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il governo “continuerà a lavorare” sull’annessione di parte della Cisgiordania “nei prossimi giorni”, lasciando intendere che la scadenza da lui stesso fissata non verrà rispettata.
L’annuncio è arrivato dopo che Netanyahu ha incontrato l’ambasciatore Usa a Gerusalemme, David Friedman, e l’inviato speciale americano per il Medio Oriernte, Avi Berkowitz, per discutere dell’annessione nel quadro del piano di pace in Medio Oriente del presidente statunitense Donald Trump. In mancanza dell’ok degli Usa, la decisione è stata quindi rinviata.
Intanto il movimento di resistenza islamico Hamas, che governa la Striscia di Gaza, ha indetto oggi una ‘giornata della rabbia’ contro l’iniziativa israeliana. Migliaia di palestinesi hanno accolto l’appello e sono quindi scesi in piazza a manifestare. “La resistenza vanificherà il piano del nostro nemico per dividere la nostra patria”, ha affermato il portavoce di Hamas, Hazim Qasim.
L’annessione unilaterale della Cisgiordania da parte di Israele porterebbe i palestinesi a lasciare le proprie case e le proprie terre natie per far posto alle famiglie israeliane che si trasferirebbero nell’area.
Al rischio di restare senza un tetto e un lavoro, per le famiglie palestinesi si affiancherebbe anche quello di una recrudescenza del conflitto.
Oggi l’Ong Amnesty International ha esortato Israele ad abbandonare i piani di annessione di parte della Cisgiordania “che violano le leggi internazionali e aggravano decenni di sistematiche violazioni dei diritti umani contro i palestinesi”.
(da Open)
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Luglio 1st, 2020 Riccardo Fucile
LE TESTE DI CUOIO DELL’ESERCITO VERRANNO RISTRUTTURATE, UNA COMPAGNIA DISSOLTA E TRE SOTTO OSSERVAZIONE
Le forze speciali dell’esercito tedesco, verranno radicalmente ristrutturate, una delle loro compagnie dissolta e le altre tre sottoposte a stretta osservazione, dopo la conferma di una forte presenza nelle loro file di elementi dell’estrema destra radicale e ultranazionalista, sia tra i soldati che tra gli ufficiali.
Lo racconta sul Corriere della Sera il collega Paolo Valentino che scrive:
“Lo ha annunciato il ministro della Difesa, Annegret Kramp-Karrenbauer, secondo cui «l’unità d’èlite si è parzialmente resa autonoma» dal resto della Bundeswehr a causa della «cultura tossica di certe persone alla loro guida». Di conseguenza, secondo la ministra, le KSK «non possono più continuare a esistere nella loro forma attuale».
Nell’immediato la seconda compagnia, quella dove la deriva neo-nazista è apparsa più grave e diffusa, verrà disciolta e non sarà rimpiazzata. Ma fino a quando la verifica interna e l’operazione di rinnovamento non verranno completate, probabilmente in ottobre, le teste di cuoio tedesche rimarranno in quarantena, col divieto assoluto di partecipare a esercitazioni e tantomeno alle missioni internazionali.
reate nel 1996 sul modello delle SAS britanniche, forti di circa 1700 uomini, le Kommando Spezialkrà¤fte sono da anni al centro di polemiche. Già nel 2003 il loro primo comandante, Reinhard Gà¼nzel, fu costretto a dimettersi, dopo un discorso nel quale aveva definito gli ebrei «popolo assassino».
Ma le scoperte più inquietanti risalgono agli ultimi anni, in coincidenza con l’ondata di violenze neo-naziste registrata in Germania.
Nel 2017 alla festa d’addio per un ufficiale, erano state lanciate in aria teste di maiale e tutti i partecipanti si erano congedati col saluto nazista. A gennaio scorso, un rapporto riservato dei servizi militari ha rivelato che 20 membri delle KSK sono sotto inchiesta, sospettati di essere estremisti di destra, una percentuale 5 volte più grande che nel resto della Bundeswehr.
Mentre in maggio si è scoperto che dai depositi delle forze speciali sono spariti 48 mila munizioni e 62 chili di esplosivo, mentre negli appartamenti di due soldati sono stati trovati veri e propri arsenali illegali di armi da combattimento.
«Il muro del silenzio sta per rompersi», ha detto Kramp-Karrenbauer, che oggi terrà una conferenza stampa. La ministra ha avvertito che se in autunno «le KSK non avranno colto questo avviso preventivo, allora una riorganizzazione più vasta dell’unità sarebbe inevitabile»”.
(da agenzie)
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