Ottobre 28th, 2020 Riccardo Fucile
IN ITALIA SI LAMENTANO PERCHE’ LAVORANO DALLE 6 DEL MATTINO ALLE 18 DI SERA E INCASSANO PURE IL RISTORO DA 5.000 A 25.000 EURO…”NON CONOSCIAMO L’ORIGINE DEL 75% DEI CONTAGI”
La situazione descritta da Angela Merkel nell’incontro con i Là¤nder della Germania è davvero molto diversa rispetto a quella che è la vulgata di un Paese efficiente nei confronti del coronavirus e sicuramente molto più preparato di realtà come quella dell’Italia.
La cancelliera tedesca, infatti, ha affermato che le misure del cosiddetto lockdown soft — quello che prevede una stretta sui locali della movida — entreranno in vigore a partire dal 2 novembre.
Angela Merkel chiude e chiede alle regioni uno sforzo per non affrontare con pessimismo questa fase di restrizioni.
La cancelliera tedesca ha adottato una misura senz’altro più stringente rispetto a quella italiana: bar, ristoranti, birrerie chiusi dal 2 novembre, idem per discoteche locali notturni. «Ci saranno sacrifici da fare nel tempo libero: teatri, cinema, locali concerti chiusi» — ha aggiunto Merkel che ha anche limitato la presenza nei luoghi all’aperto a 10 persone o a due nuclei familiari.
Stretta anche sugli alberghi: i pernottamenti, infatti, saranno permessi soltanto in casi eccezionali.
Dunque, al di là delle attività scolastiche e delle attività lavorative, le strade della Germania — per difendersi dall’incremento della curva dei contagi — saranno praticamente deserte. Qualsiasi tipo di attività turistica o ricreativa o anche culturale sarà sospesa almeno per un mese.
«È un giorno difficile — ha detto la cancelliera — ma dobbiamo trovare il modo di non scivolare in uno stato di emergenza nazionale». Inoltre, è arrivata anche un’ammissione molto seria per quanto riguarda i focolai di coronavirus che si stanno sviluppando in Germania. In tanti — anche tra gli opinionisti e gli esperti italiani — hanno sempre segnalato il Paese come modello per il contact tracing. Ma questa circostanza è stata smentita categoricamente dalla stessa cancelliera, che ha avuto il coraggio di ammettere che ormai — anche in Germania — il 75% dei contagi ha un’origine sconosciuta.
L’obiettivo, in ogni caso, è molto chiaro: «Dobbiamo appiattire la curva — ha detto Angela Merkel — e far calare i contagi per ripristinare la tracciabilità dei casi con uno schema che possa essere limitato a 50 contagi ogni 100mila cittadini».
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2020 Riccardo Fucile
L’IMMUNITA’ DI GREGGE E’ FALLITA, SI VIAGGIA SUI 2.000 CASI AL GIORNO, DATI DISASTROSI RISPETTO AGLI ALTRI STATI SCANDINAVI
Quasi duemila nuovi casi di Covid 19 nelle ultime ventiquattr’ore: questa la situazione attuale in Svezia, Paese che conta in tutto 10 milioni di abitanti.
Si tratta di un record per la nazione scandinava, che batte quello dell’altro ieri di 1.870 positivi al virus, che a sua volta superava quello di 1698 registrato a giugno.
I contagi non accennano a frenare dunque e le vittime totali al momento sono 5918, il che fa della Svezia la dodicesima nazione al mondo per decessi da Covid ogni 100mila abitanti.
Secondo l’agenzia sanitaria locale, il picco ci sarebbe stato a primavera, ma in assenza di test su larga scala all’epoca non è stato possibile registrarlo.
La Svezia, l’unico Paese al mondo a non aver attuato il lockdown contro la pandemia, ha un tasso di mortalità pro capite molto più alto rispetto ai vicini nordici ma inferiore a quello di alcuni paesi europei, come Spagna e Gran Bretagna.
E mentre Francia e Germania annunciano l’ennesima chiusura generale, il Paese scandinavo continua ad affidarsi alla libera scelta dei cittadini.
Stoccolma è stata al centro delle polemiche in tutta Europa e nel mondo per la sua gestione della pandemia sin dalla scorsa primavera. Rispetto al blocco totale, si è infatti scelto un intervento più sostenibile sul lungo periodo, evitando di chiudere tutto e focalizzandosi sulla sensibilizzazione della popolazione, a cui era chiaramente raccomandato di non uscire in caso di sintomi, mantenere il distanziamento sociale ed evitare assembramenti.
L’esperimento però si è rivelato fallimentare e gli scienziati locali già a settembre imploravano il governo di fare marcia indietro. Rovinoso è stato anche il tentativo di affidarsi all’immunità di gregge: la Svezia puntava a un 40% della popolazione immune già a maggio, con conseguente crescita delle percentuali, mentre in realtà si è fermata al 15%.
Basti pensare agli altri Paesi della Scandinavia: su un milione di abitanti ha rispettivamente il triplo dei casi della Danimarca, il quadruplo della Norvegia (che raccomanda di evitare i viaggi in territorio svedese) e il quintuplo della Finlandia.
Come spiegava la rivista Science in un articolo pubblicato a inizio ottobre e dedicato alla risposta svedese al Covid 19: nel complesso della popolazione l’impatto dell’approccio svedese è inconfondibile. Oltre 94.000 persone sono state diagnosticate con Covid-19, e almeno 5.895 sono morte. Il Paese ha subito circa 590 morti per milione – analoghe a 591 per milione negli Stati Uniti e 600 in Italia, ma molto superiori alle 50 per milione in Norvegia, 108 in Danimarca e 113 in Germania.
L’ultimo a puntare il dito contro la strategia è stato Tom Britton, professore di matematica all’Università di Stoccolma e uno dei principali esperti di modelli epidemiologici del Paese, che già ad aprile aveva avanzato l’ipotesi che sarebbero potute morire fino a 20mila in Svezia.
In un’intervista al The Local ha spiegato che un lockdown avrebbe potuto salvare circa 4mila persone. “Penso che se avessimo fatto un blocco più serio, avremmo salvato più vite, ma probabilmente avremmo comunque avuto forse mille o addirittura 2mila morti”, ha detto, aggiungendo però di non credere che “avremmo potuto raggiungere i bassi numeri della Danimarca e, in particolare, della Norvegia”.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2020 Riccardo Fucile
DUECENTO PERSONE PER DUE GIORNI HANNO PRESO IN OSTAGGIO PIAZZA DEL POPOLO TRA BOMBE CARTA E CASSONETTI, DILEGUANDOSI DA UN’USCITA LARGA 5 METRI SENZA CHE LA QUESTURA PROVVEDESSE A “CHIUDERLA”
Ieri è andata in scena una nuova nuova pantomima a piazza del Popolo, dove le forze dell’ordine hanno inseguito per più di un’ora circa duecento persone, militanti di estrema destra di Forza Nuova e ultras, in particolare di alcuni della Curva Nord della Lazio.
Lo stesso identico copione andato in onda sabato sera, solo che questa volta si è anticipato un po’ l’orario preferendo all’inizio del coprifuoco la prima serata.
Nessun ristoratore disperato, nessun cittadino esasperato per l’incertezza del futuro o per la paura di perdere il lavoro, solo elementi minoritari nei numeri, politicamente e socialmente a cui per la seconda volta in tre giorni è stato permesso di fare il bello e il cattivo tempo.
Nessuna manifestazione o rabbia spontanea da gestire dunque, nessuna fiammata di protesta, nessun antagonismo sociale che attende una risposta, ma gruppi determinati e noti che da giorni provano a infilarsi e cavalcare qualsiasi manifestazione contro il governo a cominciare da quelle negazioniste dove Forza Nuova è stata protagonista. Una composizione quella di piazza del Popolo molto diversa da quella vista nelle piazze di Napoli, Milano e Torino, molto più omogenea, molto più organizzata.
Una gestione dell’ordine pubblico quella romana di queste ore anomala rispetto ai filtri, i controlli, le restrizioni a cui la questura e la prefettura ci hanno abituato negli ultimi anni.
Nessun intervento preventivo, nonostante gli organizzatori degli incidenti, chiamarli scontri sembra forse eccessivo non essendo manifestanti e forze dell’ordine venuti mai a contatto, siano protagonisti da anni della piazza romana.
C’è Giuliano Castellino di Forza Nuova a guidare la protesta, un personaggio che se non fosse sufficientemente pericoloso risulterebbe farsesco per le sue mille giravolte e per le inchieste in cui è stato coinvolto, da una truffa sul cibo per celiaci a quando è stato fermato con un etto di cocaina nello scooter che il giudice gli ha accordato essere “per uso personale”.
La situazione sociale è esplosiva. L’incertezza, la paura di fronte a un nuovo lockdown, le difficoltà per chi rischia di non avere una continuità di reddito, le conseguenze delle chiusure generano rabbia, scontento, disperazione. Il governo sembra in questo momento tentennare a prendere misure più drastiche perchè non saprebbe come gestirlo socialmente e dal punto di vista della crisi economica, anche se le conseguenze della crescita dei contagi sembrano essere di fronte agli occhi di tutti.
Nei prossimi giorni c’è chi anche a Roma manifesterà per chiedere più risorse subite per tutelare la salute collettiva. Vediamo come sarà la gestione della piazza. Perchè il punto quindi non è la legittimità o meno di manifestare, e non è neanche qualche cassonetto bruciato.
Il punto è chiedere conto a chi gestisce l’ordine pubblico a Roma del perchè un gruppuscolo sia lasciato libero di appropriarsi della scena.
Forse un cassonetto in fiamme è un buon deterrente per chi vuole manifestare le proprie ragioni senza essere accomunato all’estrema destra?
Lasciar fare nelle strade tifo organizzato e neofascisti serve a dissuadere chi in strada vorrebbe andare?
Domande a questo punto legittime dopo quello che è accaduto a Roma negli ultimi giorni
(da Fanpage)
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Ottobre 28th, 2020 Riccardo Fucile
“BISOGNA AGIRE SUBITO”
Alessandro Perrella, dirigente infettivologo del Cardarelli, componente dell’unità di crisi regionale in Campania, dipinge a tinte davvero fosche la situazione attuale della diffusione del Coronavirus. Secondo l’infettivologo se non si agisce subito neanche il lockdown sarà più sufficiente a frenare l’avanzata dei contagi.
Ecco cosa ha deto in un’intervista al Mattino:
Cosa dovremmo fare in questa situazione?
«Distanziarci sempre di più. E invece ci assembriamo in piazza per un presunto diritto alla libertà lesa. Libertà non capisco di cosa. Anche sui posti letto vedo miei colleghi parlare di contratto di lavoro dove invece serve senso di responsabilità . Siamo in guerra contro un nemico invisibile e molti non lo capiscono”.
Ne verremo fuori?
«Sì ma non in tempi brevi. Non tutti sono in grado di comprendere la gravità della situazione. Senza allarmismi dobbiamo dire che solo con unità di intenti ne veniamo fuori feriti ma non vinti».
Sarà il si salvi chi può?
«Questa logica ha mai portato a nulla, è l’antitesi della società ».
A che punto siamo?
«Stiamo arrivando al limite dell’utilità del lockdown oltre il quale applicarlo non sarebbe più utile».
Ci spieghi meglio.
«Quello che stiamo vedendo adesso è quello che c’era a dicembre e gennaio di un anno fa, la libera circolazione di molti asintomatici ma adesso diffusa e moltiplicata per dieci perchè il virus si è insediato nella comunità umana. Oggi dietro mille malati ci sono decine di migliaia di asintomatici. L’aumento è esponenziale. Potrei dirle i numeri che conoscono ma basta dire che per quanto possa essere impegnato il sistema sanitario nazionale la libera circolazione del virus farà superare ogni argine all’epidemia».
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2020 Riccardo Fucile
“NON SI CAPIRA’ SE LE MISURE ADOTTATE SONO EFFICACI PRIMA DI DIECI GIORNI”
“Non si capirà se le misure sono efficaci prima di dieci giorni e questo è molto preoccupante”. Massimo Galli non è d’accordo con chi contiene l’allarme.
Le misure prese nell’ultimo dpcm sono per lui una “discreta scommessa” e solo fra poco più di una settimana sarà possibile capire se “l’avremo vinta oppure persa”. Lo dichiara in un’intervista alla Stampa
“Se la curva non si flettesse ci troveremmo in una situazione difficile da gestire, e già ora in diverse regioni non si scherza checchè molti ne dicano. Cosa prevedo? Qualsiasi cosa dica sarebbe una semplice opinione. Solo il lockdown ha funzionato, il resto è sperimentazione e scopriremo solo vivendo come andrà a finire”.
Con queste parole l’infettivologo non vuole suggerire la necessità di un lockdown immediato, ma a suo parere altre misure più incisive andrebbero adottate.
“Sarebbe importante, come auspicato dal penultimo Dpcm, un maggiore contributo locale. Mi sembra per esempio che la situazione di Milano sia peggiore di altre e, senza farsi trascinare dall’emotività , bisognerebbe valutare qualche intervento sui mezzi pubblici”.
Ipotizzando che la curva scenda, Galli ipotizza come si possano tenere bassi bassi i contagi.
“Non ripetendo gli errori estivi, dunque mantenendo molte prudenze e limitando alcune attività . in molti quest’estate hanno alleggerito la gravità della situazione. Le discoteche, per esempio, non andavano aperte. In Italia abbiamo sprecato il sacrificio del lockdown con un’estate sconsiderata, speriamo di non ricascarci. Anche i contatti con l’estero andrebbero vigilati, perchè non siamo un’isola felice separata dal mondo. Sento poi parlare di immunità di gregge, ma senza vaccino è del tutto improbabile”.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2020 Riccardo Fucile
“I PRIMI RISULTATI CI SARANNO SOLO IN ESTATE”
L’arrivo del vaccino entro la fine dell’anno “tecnicamente è ancora possibile, ma è estremamente difficile se non improbabile”.
Così risponde al premier Conte Guido Rasi, direttore esecutivo dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco (con sede ad Amsterdam) che dovrà dare il via libera alla commercializzazione dei vaccini in Europa.
“Le case farmaceutiche”, continua Rasi in un’intervista a La Repubblica, “non ci hanno ancora presentato i dati clinici delle sperimentazioni e praticamente siamo a novembre. Se tutto andrà liscio potremo autorizzare i primi vaccini tra gennaio e febbraio. Ne abbiamo tre che hanno completato o stanno per completare la terza fase della sperimentazione: Moderna, AstraZeneca e Pfizer. Ora devono analizzare i dati e compattarli. Se entro fine novembre ci manderanno informazioni chiare e inequivocabili potremo farcela appunto tra fine gennaio e inizio febbraio. Poi si potrebbe iniziare a vaccinare subito le categorie a rischio”.
Più facile ipotizzare una data “per metà 2021. O meglio: entro l’estate inizieremo ad avere abbastanza vaccinati per vedere gli effetti sulla pandemia”.
Anche se, per rendere immune l’intero continente (la popolazione europea è di 400 milioni) serviranno “500-600 milioni di dosi e averle entro la fine del prossimo anno non sarà possibile”.
Ciò che è certo, secondo Rasi, è che “sicuramente a fine 2021 avremo una vita molto più gestibile, potremmo arrivare a sconfiggere del tutto il Sars-Cov2 con un’immunità di massa oppure le sue mutazioni potrebbero renderlo simile alla normale influenza, con la necessità di preparare un vaccino all’anno”.
Tutto, o quasi, dipende anche dal ruolo della politica: “Anche se oggi non è possibile prevedere quando arriveremo all’immunità di massa, sono certo che sconfiggeremo il virus. Ma la velocità dipende dall’efficienza dei vaccini, dalla bontà dei piani vaccinali dei governi, da quelli per la comunicazione mirata a convincere le persone a vaccinarsi e dal monitoraggio per tarare le strategie vaccinali e aumentarne l’efficacia”.
Guido Rasi è, inoltre, molto critico e scettico nei confronti dei vaccini russi e cinesi: “Se li vorranno commercializzare in Europa dovranno passare dell’Ema e dubito che con le nostre procedure otterranno il via libera prima di quelli già in via di sperimentazione da noi” ed intanto “hanno scelto di distribuire i loro vaccini in aree che non richiedono i nostri requisiti”, conclude il direttore dell’Ema.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2020 Riccardo Fucile
L’ACCORDO SUI PREZZI STA PER ESSERE FIRMATO
Fare un tampone rapido dal medico di famiglia costerà 18 euro se eseguito nello studio del professionista. Se invece verrà somministrato in una struttura delle asl al medico saranno pagati 12 euro.
Questo è ciò che prevede l’accordo con i sindacati dei medici convocati nel pomeriggio di ieri dalla Sisac (Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati). Il testo, che confluisce nell’Accordo collettivo nazionale stralcio (il contratto di lavoro dei medici convenzionati) ed è attualmente in attesa di sigla, prevede l’obbligatorietà per tutti i medici di medicina generale di eseguire i test rapidi.
Il nodo della trattativa, a quanto si è appreso, è proprio l’obbligatorietà per i medici di base di eseguire i tamponi. I sindacati infatti hanno insistito affinchè l’adesione sia esclusivamente su base volontaria. Vi sarebbero state invece delle modifiche del testo iniziale in relazione agli strumenti per la diagnostica che verranno consegnati dalle Regioni agli studi medici: non sarebbero più a carico dei professionisti la formazione e la manutenzione delle apparecchiature.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2020 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DEL DIRETTORE DELLA STAMPA: “TANTI SE NE VANNO SENZA UN ULTIMO SALUTO”
“Ho visto persone morire, è stata un’esperienza dura e ho deciso di non nasconderla”. A parlare è Massimo Giannini, direttore del quotidiano La Stampa che, in collegamento durante la trasmissione Otto e mezzo su La7, racconta la sua esperienza col Covid.
Il giornalista è stato ricoverato al Gemelli ed è stato dimesso da pochi giorni: “Mi considero fortunato, voglio testimoniare cosa succede lì dentro perchè c’è bisogno di capire. Ho cercato di capire cosa succede in quei 3 gironi danteschi: nel reparto pulito-sporco sono ricoverati i pazienti un po’ meno gravi, sono chiusi in stanze da cui non possono uscire”, ha detto.
E ancora: “La porta si apre solo quando entrano medici, infermieri e operatori sanitari. Entrano tutti bardati, poi escono e non li rivedi più fino alla volta successiva. Quello che mi ha colpito di più è stato vedere quanti giovani sono ricoverati, quante persone stanno male. Ho visto la procedura di pronazione, io sono stato solo con l’ossigeno e non sono andato oltre per fortuna”.
“Per i pazienti pronati non è sufficiente l’ossigeno: vengono sedati, intubati e per 16 ore vengono ricoverati sul lettino a pancia in sotto, in una posizione guidata da un rianimatore esperto. Per le successive 8 ore vengono collocati supini: 16 ore pronati, 8 supini, 16 pronati, 8 supini… Avanti così per giorni, i polmoni devono distendersi. Se succede, si viene estubati e al risveglio si può dire ‘sono salvo’. Se non succede, i pazienti se ne vanno senza accorgersene, senza nessuno che gli dia l’ultimo saluto”, aggiunge.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2020 Riccardo Fucile
IL “MODELLO LIGURIA” TANTO DECANTATO DA TOTI
La Liguria è piccola e i suoi tristi primati non sono noti in Italia, visto che l’informazione predilige i numeri grezzi.
Se però i dati dell’epidemia su contagi, ricoveri e decessi fossero valutati sulla base del numero di abitanti si scoprirebbe che la situazione ligure è preoccupante.
Nel capoluogo ligure alle prese con la seconda ondata di Coronavirus è nato il gruppo Facebook Covid-19 Genova — testimonianze, azioni, soluzioni.
Creato il 21 ottobre su iniziativa di alcuni cittadini, in meno di una settimana ha raggiunto mille iscritti e sfornato decine di testimonianze, per lo più agghiaccianti.
Una è quella di Maria Paola Cammarata, che abita a Genova e lavora nella didattica universitaria al Policlinico San Martino. Le abbiamo telefonato per farci raccontare la sua storia.
Il suo compagno un giorno arriva a casa dal lavoro con i brividi, prova la febbre: 38,4. Chiama il medico di famiglia al telefono, lui risponde subito, consiglia la Tachipirina. La febbre va su e giù, trascorre il fine settimana e non si vedono grandi miglioramenti. Il medico di famiglia fa domanda per il tampone e manda il codice della richiesta a Maria Paola, dicendole che sarebbe stata contattata dalla Azienda sanitaria locale e che avrebbero fatto poi il tampone anche a lei, per il tracciamento. Siamo al 13 ottobre.
Non si sente nessuno. La sera del 14 la febbre non c’è, ma il compagno di Maria Paola ha una crisi respiratoria: gli manca l’aria, chiamano l’ambulanza. L’ambulanza arriva nel giro di dieci minuti, alle 20.30 circa.
“Abitiamo in Valpolcevera — dice Maria Paola — quindi in tempi normali il mio compagno sarebbe stato portato a Villa Scassi” (l’ospedale di Genova Sampierdarena, ndr). Forse però l’ospedale era già in affanno e il malato viene portato al Galliera.
Aspetta diverse ore sull’ambulanza, in coda davanti al Pronto soccorso: l’ultima telefonata di quella sera a Maria Paola risale all’una di notte, e ancora non è riuscito a entrare. Il giorno dopo le dirà di esser entrato nel Pronto soccorso alle due del mattino. Gli fanno subito il tampone e la Tac, ma in reparto non c’è posto: passa la notte su una barella, con la maschera ad ossigeno.
Trascorre poi un altro giorno in Pronto soccorso ma in un’altra sala, su un letto un po’ più comodo della barella.
A Maria Paola dall’ospedale dicono che è in attesa di esser trasferito in reparto ma non c’è posto e manca il personale: ci sono solo due infermieri. Lei al telefono chiede che almeno gli venga svuotato il pappagallo, fa un po’ la voce grossa. Svuotano il pappagallo e lo portano nel reparto di Malattie Infettive, dove lo mettono sotto caschetto (il Cpap).
La situazione è delicata, Maria Paola lo sa: lavora da sempre a contatto con i rianimatori ed è consapevole che non ti mettono il caschetto se la tua situazione non è seria. “In tempi normali — mi dice — se stai così ti mettono in subintensiva”.
Fortunatamente il compagno di Maria Paola ha un fisico robusto, non è un fumatore, ha 55 anni e alle spalle una vita sana. Piano piano si sente meglio, e in ospedale servono letti: le dicono quindi che lo dimetteranno e la Asl lo seguirà da casa, perchè la terapia al cortisone ha fatto schizzare la glicemia.
Ma siccome il tampone è ancora debolmente positivo le raccomandano di stare attenta e usare bagni separati. Lei per fortuna ha la disponibilità di una casa vicino a quella dove abita.
Maria Paola nel frattempo non è mai stata contattata dalla Asl per fare il tampone: si è messa in autoisolamento da sola e appena potrà uscire ha già prenotato, privatamente, un test sierologico. Una strada che a Genova stanno percorrendo in molti, ma ormai anche i laboratori privati sono oberati e quindi per avere un tampone, anche se paghi, aspetti parecchio.
Il colpo di scena arriva il 26 ottobre: la Asl 3 chiama Maria Paola e le chiede se il suo compagno è in casa. Lei risponde che non c’è perchè è ricoverato per Covid-19 dal 15 ottobre. La Asl evidentemente non lo sapeva.
“La cosa veramente grave — mi dice Maria Paola — è che il mio medico di famiglia ha inoltrato la richiesta il 13 ottobre, scrivendo che il paziente era sintomatico. E la telefonata è arrivata dopo due settimane! Non mi lamento del medico di famiglia nè dell’ospedale, che ha fatto quel che ha potuto: sono stati anche gentili sia con me sia con lui. Però l’organizzazione non c’è stata”.
“Sono arrabbiata più che altro perchè il messaggio politico che viene passato ai cittadini non corrisponde al vero: vogliono far passare i liguri per degli stupidi terrorizzati che senza aver nulla vanno al pronto soccorso, ma non è così”, prosegue. “La verità è che le persone sono abbandonate a casa come nella scorsa primavera, ma stavolta il tempo per organizzarsi c’era: perchè non è stato fatto? Dove sono i protocolli per le cure domiciliari di cui parla la Regione? Siamo come in primavera, anzi peggio: perchè in primavera non conoscevo nessun positivo al Covid, ora ciascuno di noi conosce diverse persone contagiate. E nei Pronto soccorso genovesi ci sono pochissimi codici verdi, son quasi tutti gialli o rossi. Si vede dal sito”.
“Le persone non sono terrorizzate, sono arrabbiate”, fa notare Maria Paola. “Se si va al Pronto soccorso è perchè, in attesa del tampone, magari ci si aggrava e si va in crisi respiratoria e allora si chiama il 112 e ti portano lì, come è capitato al mio compagno. E arrivarci, come hanno detto, solo se si ha una crisi respiratoria, vuol dire arrivarci male, perchè in desaturazione. Infatti il mio compagno è finito sotto caschetto. Se dopo 13 giorni un sintomatico non è ancora stato contattato per il tampone, che cura domiciliare possono ricevere le persone? Neanche una telefonata viene fatta dalla Asl ai sintomatici, per monitorare la situazione. Altro che tracciamenti dei contatti stretti dei positivi”.
Abbiamo provato a sentire l’ufficio stampa della Asl 3 genovese in merito: dapprima ci ha risposto una gentile signora che però è passata all’Ufficio relazioni col pubblico e ci ha fornito altri numeri da chiamare.
Uno è sempre occupato, all’altro ci ha risposto — sempre gentilmente — un addetto che però si occupa delle pratiche, che ci ha detto che il momento è piuttosto intenso e ci ha fatti ritornare al secondo numero, che però è alternativamente occupato oppure squilla a vuoto.
(da TPI)
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