Gennaio 7th, 2021 Riccardo Fucile
QUALCUNO SOLIDARIZZA CON I DELINQUENTI, MOLTI SONO PRUDENTI, L’UNICO CHE HA LE PALLE E’ CROSETTO: “EROI E PATRIOTI QUESTI? SOLO GENTAGLIA, I PEGGIORI NEMICI” E VIENE DEFINITO “TRADITORE”
“Oggi è oltre. Da me nessuna difesa”. E se lo dice lui: Guglielmo Picchi, deputato leghista, ex sottosegretario agli Esteri, bocconiano e salviniano, tra i più accesi sostenitori di Trump, che il 4 novembre ci spiegava “perchè Donald ha vinto e i Democratici provano a rubare le elezioni”.
L’assalto a Capitol Hill spiazza e ammutolisce i fan italiani del presidente uscente.
Da “Stop the Steal” a “Stop the Violence”, ma con dichiarazioni pallide o tortuose.
Così in poche ore i trumpiani diventano trumpini.
Giorgia Meloni viene messa sotto assedio da sinistra per il pilatesco post in cui si augurava che “le violenze cessino subito come chiesto da Trump” quando Mitt Romney parla di “insurrezione incitata dal presidente Usa”. Poi gli auguri a Joe Biden per “riportare concordia in una nazione profondamente divisa”.
Cerchiobottista con sfumature nonsense Matteo Salvini: “La violenza non è mai la risposta, da Washington a Istanbul. Per me l’Italia e gli italiani vengono prima di tutto e tutti”.
Del resto, a qualcuno Jake Angeli, il “vichingo” con il cognome italiano e le corna di bisonte, è parso sbucare dalla Pontida del passato. Ma separare i fatti dai mandanti è arduo.
Non basta evitare con cura di pronunciare i nomi. Il populismo, già controvento, si ritrova in una bufera improvvisa. I social, impietosi, ritirano fuori tutto proprio mentre l’America discute se invocare il venticinquesimo emendamento per rimuovere un presidente “incapace di adempiere ai poteri e doveri della carica”.
Ecco la foto di Meloni, con la Casa Bianca sullo sfondo, e l’entusiasmo per la “ricetta” da importare. Ecco il Salvini-pensiero da “Trump sui brogli ha ragione, vigileremo su possibili fregature anche da noi” alla mascherina con il logo della campagna elettorale.
Giancarlo Giorgetti, responsabile Esteri nonchè inesausto sostenitore della “de-trumpizzazione” di Matteo, tace e chissà se si mette le mani nei capelli. L’unico che — come altre volte — accelera sul fronte moderato è Luca Zaia: “L’accaduto è scandaloso, è un attacco alla democrazia se non accetti il responso elettorale. Trump deve condannare”.
Gli ultrà contro il Deep State
Quattro morti, uffici devastati, parlamentari evacuati o bloccati dal Secret Service nelle loro stanze, esercito infine schierato. Twitter sospende il profilo di Trump. Persino la Fox è in imbarazzo, mentre c’è chi invita a boicottarla.
Non il fondatore di Forza Nuova Roberto Fiore: “Onore a Ashli Babbitt, uccisa vigliaccamente dalla polizia, prima eroina della rivoluzione popolare americana” contro il “potere corrotto e vile”.
Idem il leghista Silvano Pironi su Facebook: “All’assalto del Deep State — postava ieri – La controrivoluzione identitaria al grido di “Fight for Trump”. Assediato il Campidoglio per bloccare l’elezione farlocca di Biden. Gli Americani sono con Trump”.
E oggi: “Ashli Babbitt, veterana, disarmata. Le “femministe” tacciono? Difficilmente vedremo la Boldrini inginocchiarsi”.
Il deputato pisano Edoardo Riello la prende di lato, rispondendo all’allarme contro le fake news del grillino Toninelli: “Ora useranno la scusa della protesta di Washington per chiudere il teatrino della presunta crisi e blindare le poltrone”.
Sui fatti in sè, però, prudente silenzio. Cauto, ma non domo Simone Pillon, senatore leghista, neocatecumenale e già promotore del Family Day: “Resto fermamente convinto delle idee del programma di Trump e delle sue decisioni su valori, famiglia e vita nascente. Quanto è accaduto non può essere accettato, ma da qui a collegarlo con la volontà del presidente ce ne vuole”. Non crede che sia — come minimo – intervenuto tardi e debolmente?
“Prima ho letto i suoi tweet in cui invitava alla pace e al rispetto delle forze dell’ordine. Non entro nella dinamica dei fatti ma li condanno”. Picchi su Twitter è più articolato: “Ho apprezzato tagli tasse, politiche commerciali e migratorie. Da due mesi Trump ha buttato tutto via anche per noi. Se va via prima non sbaglia”. Poi: “Esaurita senza successo la fase (della contestazione, ndr) si va all’opposizione e ci si prepara per la volta dopo. Questo gli sfugge”.
Il deputato del Carroccio rilancia la tesi che quei violenti hanno fatto un “regalo alla sinistra Dem e nostrana”, ma “75 milioni di ragioni diverse dalla vostra sono ancora lì. Ma non sia vae victis”. Linea simile per Guido Crosetto: “Eroi questi? Gentaglia peggior nemico dei conservatori seri — cinguetta l’ex viceministro della Difesa — Uno spot per la sinistra nel mondo”. Che però, tra suprematisti bianchi, Proud Boys e milizie varie, sta andando in onda da un po’.
Poche parole sono comunque troppe per un certo mondo di ultradestra, che bolla Crosetto come traditore. Lui avvisa: “Il 45% degli elettori repubblicani è d’accordo con l’assalto. Significa decine di milioni di americani convinti che le elezioni siano state truccate”. Infine si stufa: “Vabbè, sembra che abbiano fatto il casino a Washington solo per utilizzarlo per le nostre polemiche interne. Non ne posso più. Amen”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 7th, 2021 Riccardo Fucile
SE SEI AFROAMERICANO VIENI SOFFOCATO DALLA POLIZIA, SE SE BIANCO PUOI ESPUGNARE CAPITOL HILL VESTITO DA VICHINGO
Il confine tra “patriot” e “riot” in America lo decide il colore della pelle.
Il diritto di vivere, di manifestare, di non ledere la libertà degli altri negli Usa, ancora oggi, lo decide il colore della pelle. Un’ingiustizia sociale che spacca il Paese da secoli e che, prepotentemente, continua a venire fuori: se essere nero nell’America del 2020 è ancora una sentenza di morte, in quella dei primi sei giorni del 2021 invece puoi assaltare il Congresso armato e vestito da vichingo, ma se sei bianco nessuno ti sfiorerà nemmeno con un dito.
Le due Americhe
L’emblema di questa frattura sociale, che è forse la più grande ferita della democrazia statunitense, ce lo restituiscono due immagini, entrambe difficili da dimenticare. Da una parte i sostenitori di Donald Trump che saccheggiano Capitol Hill proprio nel giorno della transizione dei poteri: l’arroganza dei piedi sul tavolo della speaker della Camera Nancy Pelosi, la sfrontatezza dei pugni sul petto in segno di possesso tribale, la cattiveria delle imitazioni della morte di George Floyd e la cecità nei cartelli complottisti QAnon. Il tutto rimasto impunito per ore.
Dall’altra parte, le truppe militari dispiegate per ogni manifestazione pacifica dei Black Lives Matter, il più grande movimento per i diritti degli afroamericani: le armi, i lacrimogeni, i manganelli. Ma soprattutto i morti e i feriti.
Law and Order, ma non vale sempre
“Law & Order” raccontava ai suoi durante tutta la campagna presidenziale Donald Trump, che significava anche non avere alcuna remora a mandare l’esercito in molte città dove le manifestazioni erano più partecipate. Ed ora, dopo aver invitato i suoi a protestare a Washington nel giorno della certificazione ufficiale della vittoria di Joe Biden, si meraviglia di come nessuno abbia difeso il santuario della democrazia. Trump non solo sapeva, ma è stato proprio lui, per quattro lunghi anni, ad agitare le masse.
Ben diversamente aveva risposto dopo l’omicidio di George Floyd da parte della polizia americana: il 2 giugno 2020 davanti al Lincoln Memorial, durante le proteste tenutesi a Washington, è intervenuta la Guardia Nazionale. E anche in molte altre città la polizia si è scontrata violentemente con i manifestanti.
Il Black Lives Matter Global Network ha descritto le rivolte di ieri come un “vero colpo di stato”. Aggiungendo che è stato “un altro esempio dell’ipocrisia nella risposta alla protesta da parte delle forze dell’ordine del paese”. “Quando i neri protestano per le loro vite, sono troppo spesso accolti dalle truppe della Guardia Nazionale o dalla polizia equipaggiati con fucili d’assalto, scudi, gas lacrimogeni ed elmetti da battaglia. Se ieri i manifestanti fossero stati neri, sarebbero stati attaccati con gas lacrimogeni, picchiati e anche colpiti”, ha detto il portavoce del gruppo. Si chiama supremazia bianca, non ha altro nome. E basta mettere a confronto alcuni eventi per vederne la terribile violenza
Manifestazioni a confronto: radiografia di un colpo di Stato
1. La Guardia nazionale solo in alcune occasioni
Lo scorso giugno membri della Guardia Nazionale, armati e con indosso uniformi mimetiche, sono saliti sui gradini del Lincoln Memorial, mentre folle di manifestanti stavano tenendo una protesta pacifica. Durante gli eventi di ieri invece, i rivoltosi erano già entrati nell’edificio prima che la Guardia Nazionale fosse attivata.
2. Diverso uso dei lacrimogeni e delle armi
Ancora, ieri mentre centinaia di manifestanti pro-Trump hanno preso d’assalto il Campidoglio, si potevano vedere agenti che distribuivano spray al peperoncino. A giugno invece, prima che Trump facesse le sue osservazioni al Rose Garden, la polizia vicino alla Casa Bianca ha lanciato gas lacrimogeni e sparato proiettili di gomma contro i manifestanti nel tentativo di disperdere la folla per la prevista visita del presidente alla chiesa episcopale di San Giovanni.
3. La probabilità di morire
Nell’assalto al Campidoglio di ieri quattro persone, tra cui una donna uccisa da colpi di arma da fuoco, hanno perso la vita durante le proteste e gli scontri. Ma bisogna rapportare questi numeri ai dati di Mapping Police Violence, secondo cui lo scorso anno 1.099 persone sono morte per mano delle forze dell’ordine di cui il 24 per cento neri, nonostante siano solo il 13 per cento della popolazione americana. Gli afroamericani hanno infatti il triplo delle probabilità di essere uccisi dalla polizia rispetto ai bianchi, sebbene siano, in media, il gruppo etnico meno armato (come abbiamo raccontato anche in questo reportage video esclusivo dal quartiere afroamericano di Chicago).
4. Due pesi e due misure per le conseguenze
Lo scorso giugno, i manifestanti a Washington DC, un solo pomeriggio di protesta ha portato a 88 arresti. In confronto, il capo del dipartimento di polizia metropolitana Robert Contee ha detto che mercoledì sera che la polizia ha effettuato solo 52 arresti, 26 dei quali sono stati effettuati in Campidoglio. Per non parlare degli omicidi di afroamericani rimasti impuniti, i dati fanno paura: negli Stati Uniti dal 2013 al 2019, il 99 per cento delle uccisioni compiute da agenti in servizio non hanno avuto ripercussioni penali.
(da TPI)
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Gennaio 7th, 2021 Riccardo Fucile
SONO 1.124 I GRUPPI NEONAZISTI NEGLI USA, 200.000 I MILITANTI, UN FLUSSO DI DENARO E ARMI… ECCO CHI SONO
“Una chiara linea di violenza e antisemitismo si estende da Charlottesville al Campidoglio, dall’agosto 2017 al gennaio 2021. Questa linea è la cosa più importante che la storia registrerà sulla presidenza di Donald Trump”.
A scriverlo su Haaretz è Amir Tibon, profondo conoscitore dell’arcipelago suprematista bianco americano. Vale la pena leggere le sue considerazioni a commento della notte della democrazia in America, quella dell’assalto a Capitol Hill, una battaglia provocata dagli “ariani” di Trump che ha provocato quattro morti e una ferita nel cuore degli Usa difficile da rimarginare per il neo eletto presidente Joe Biden.
Perchè quello che è andato in scena ieri a Washington (e replicato in Georgia) non è il gesto disperato, criminale, di un manipolo di folli suprematisti, ma un vero e proprio atto insurrezionale.
Lo sdoganatore dei neonazisti, le SS dell’”America first”.
“Il presidente Donald Trump è rimasto in silenzio per diverse lunghe ore, mentre violenti teppisti hanno marciato dal suo raduno davanti alla Casa Bianca verso il Campidoglio degli Stati Uniti e hanno preso d’assalto le sale del Congresso, minacciando l’incolumità di legislatori e poliziotti, sparando colpi di pistola nei corridoi più sacri della democrazia americana e costringendo a fermarsi nel processo di certificazione della vittoria di Joe Biden all’Electoral College — scrive Tibon -. Quando finalmente ha rilasciato una dichiarazione video, ore dopo l’assedio al Congresso, si è trattato di un breve messaggio scritto in cui ripeteva le sue bugie su un’elezione che gli era stata presumibilmente ‘rubata’, e chiedeva gentilmente alla folla di ‘andare a casa in pace’.
Tutto nasce a Charlottesville
“Quell’evento lo ha reso il primo, e si spera l’ultimo, presidente americano a legittimare e lodare i neonazisti che terrorizzavano i cittadini di una città americana — prosegue Tibon -. Il secondo evento è quello che è successo mercoledì, quando i suoi sostenitori più cerebrolesi e cospiratori hanno cercato – e per un breve periodo ci sono riusciti – di fermare con forza un dibattito al Congresso sui risultati delle elezioni presidenziali. Trump non ha solo ispirato questo attacco al Congresso condividendo, giorno dopo giorno negli ultimi due mesi, false teorie cospiratorie sulle elezioni.
Ha letteralmente detto ai suoi sostenitori, che si sono riuniti per una manifestazione fuori dalla Casa Bianca mercoledì scorso, che devono marciare sul Congresso. Non a caso, hanno fatto irruzione nell’edificio nello stesso momento in cui i media statunitensi hanno svelato una lettera del vicepresidente Mike Pence, in cui rifiutava la richiesta illegale di Trump di buttar via i voti validi del Collegio Elettorale che erano stati espressi per Biden.
I sostenitori di Trump si sono resi conto che il loro eroe aveva perso la sua ultima possibilità legale di ribaltare i risultati delle elezioni e sono passati ad azioni illegali. Trump non li ha denunciati per questo; al contrario, ha detto loro ‘vi amiamo’ e ha dato la colpa alla violenza ‘dall’altra parte’, che ora include non solo Biden e il Partito democratico, ma anche governatori repubblicani, funzionari elettorali, senatori e membri del Congresso che si sono rifiutati di partecipare al suo attacco alla democrazia.
Il grido di battaglia del raduno di estrema destra di Charlottesville era ‘Gli ebrei non ci sostituiranno’, e tre anni dopo, è ancora un messaggio che prospera sotto la superficie del movimento di culto di Trump.
Appena poche ore prima che i teppisti di Trump irrompessero in Campidoglio, la Georgia aveva eletto il suo primo senatore ebreo, spianando la strada all’elezione del primo ebreo americano a Speaker del Senato ,il tutto nello stesso giorno in cui Biden ha annunciato l’intenzione di nominare un giudice ebreo di spicco, Merrick Garland, come suo procuratore generale.
Per coloro che parlano in termini antisemitici come ‘globalisti e diffondono folli teorie cospirative che includono elementi antisemitici, non ci saranno compromessi mentre combattono per preservare il loro uomo al potere’. Quando dicono che gli ebrei non li sostituiranno, lo intendono, letteralmente. E sanno che nel suo cuore, Donald Trump è con loro, non importa quante volte i suoi parenti ebrei affermeranno il contrario”.
Radiografia dei gruppi dell’odio
A luglio scorso il direttore della polizia federale, Christopher Wray, ha assicurato che erano state aperte 850 inchieste per “terrorismo interno” e che i suoi agenti avevano effettuato cento arresti.
Di questo universo impastato di odio antisemita fa parte John Earnest, il diciannovenne autore dell’attacco, il 28 aprile 2019, alla sinagoga di Poway, nella contea di San Diego, California, che ha provocato un morto e tre feriti. Come i suoi “eroi” anche Earnest ha postato prima dell’attacco il suo “manifesto”.
Il manifesto di Earnest è zeppo di dichiarazioni d’odio contro ebrei, musulmani, africano-americani, ispanici, immigrati e femministe, così come altri gruppi e minoranze. Ogni ebreo è responsabile del genocidio meticolosamente pianificato della razza europea, delira il diciannovenne terrorista. Earnest ripropone anche la teoria, molto popolare negli ambienti di estrema destra americani, del “complotto giudaico”, e cioè del piano pilotato dagli ebrei di “sostituire” americani bianchi con immigrati provenienti da altri paesi. Nel documento, scrive il Washington Post, Earnest rivendica di aver dato fuoco a una moschea nella località californiana di Escondido, a poche miglia dalla sinagoga in cui è avvenuta la sparatoria. Gli estremisti del white power si passano il testimone, indicano a chi li vuole seguire cosa fare.
Gli attentatori suprematisti amano l’esibizione mediatica, agiscono rivolgendosi sempre a un’audience a un pubblico che credono ricettivo alle loro idee, hanno sempre contatti con gruppi più o meno radicali.
E a quel mondo appartiene anche Christopher Paul Hasson, 49 anni, tenente della Guardia costiera americana, arrestato nella cittadina di Silver Spring in Maryland con la grave accusa di terrorismo interno. A fermarlo l’Fbi e i servizi investigativi della Guardia costiera dopo che un’indagine federale aveva portato alla luce un piano criminale per un attacco terroristico su larga scala contro civili e personaggi noti. Nel mirino anche una lista di giornalisti e politici democratici.
La rete del terrore cresce
Tra le personalità della lista vi erano la Speaker, riconfermata, della Camera Nancy Pelosi, il leader dell’opposizione democratica al Senato Chuck Schumer, la deputata newyorkese Alexandria Ocasio-Cortez, ma anche i giornalisti della Cnn Don Lemon e Chris Cuomo e della MsnbcChris Hayes e Joe Scarborough.
Nell’abitazione di Hasson, non distante da Washington, gli inquirenti hanno ritrovato una consistente scorta di quindici armi da fuoco e migliaia di munizioni, ma anche steroidi e ormoni. Rinvenuti nel suo computer lettere e documenti impregnati di odio e piani omicidi.
Nella cronologia delle sue ricerche in rete c’erano “il miglior posto a Washington per vedere persone del Congresso” o anche “i giudici della Corte Suprema hanno la scorta?”.
L’uomo, che si è autodefinito un nazionalista bianco e filo-russo, era ossessionato da neonazismo. Hasson aveva anche studiato il manifesto di Anders Behring Breivik, il suprematista norvegese di cui era un ammiratore e che nel 2011 uccise 77 persone. Secondo la documentazione raccolta dalle forze dell’ordine e depositata al tribunale distrettuale del Maryland, l’obiettivo finale era quello di “stabilire una patria bianca”.
Attualmente sono 1124 i gruppi razzisti che sostengono idee come la supremazia bianca basata sulla teorica superiorità di questa razza su africano-americani, ispanici, arabi o ebrei. Queste credenze, basate sull’odio, hanno fondamenta politiche e sociali che a volte partono da una base religiosa spesso legata al cristianesimo fondamentalista. Nel biennio 2018-2019 secondo i dati americani, il sessanta-settanta per cento degli omicidi di stampo politico, ideologico o religioso sono stati messi in atto da suprematisti bianchi o da gruppi di estrema destra, neonazisti. E sono largamente superiori a quelli commessi dagli estremisti islamici.
È stato stimato che un numero tra le 150mila e le 200mila persone s’iscrivono a pubblicazioni razziste, partecipano alle loro marce e manifestazioni e donano denaro. Circa centocinquanta programmi radiofonici e televisivi indipendenti sono trasmessi settimanalmente e raggiungono centinaia di migliaia di simpatizzanti.
Saint Tarrant, il nuovo cavaliere crociato che “pulisce il mondo dalla feccia musulmana”. Ma anche James Mason, un membro del partito neonazista americano che idolatrava Hitler e Charles Manson, ispiratore del gruppo Atomwaffen, sospettato di diversi omicidi. O ancora il norvegese Andres Breivik, autore della strage di Utoya, o lo youtuber da 53 milioni di follower PewDiePie, accusato di antisemitismo.
Sono questi gli eroi dei lupi solitari che si radicalizzano in rete, nei canali come 8chan trovano manifesti preconfezionati per motivare le loro azioni e sul deep web comprano armi, abbigliamento militare per entrare in azione, magari utilizzando bitcoin per evitare di essere rintracciati o per finanziare le loro ricerche “sul campo”.
Negli Usa, i suprematisti bianchi sono cresciuti di numero dopo le presidenziali del 2016. Alcuni appartengono al gruppo Vanguard America, usano slogan razzisti, iconografie connesse a simboli del passato e ora sulla loro divisa, polo bianca e pantaloni kaki, molti hanno aggiunto il cappellino rosso con la scritta “Make America Great Again”, motto della campagna elettorale di Trump. Un’immagine che ha creato imbarazzo per la Casa Bianca.
Altro gruppo in crescita è quello dei Proud Boys, in prima linea nelle manifestazioni violente di queste settimane. E’ il gruppo che più si è impegnato nell’organizzare la guerriglia di Washington e l’attacco a Capitol Hill.
All’interno del movimento bianco suprematista, i gruppi neonazisti hanno registrato la crescita maggiore, aumentando del 22 per cento. I gruppi anti-musulmani sono saliti per un terzo anno consecutivo. In South Carolina, ad esempio, secondo il Southern Poverty Law Center, operano almeno diciannove “hate groups”, cioè i gruppi che fanno dell’odio la propria cifra.
Tra quelli che operano attivamente sono compresi: neonazisti, miliziani del Ku Klux Klan, nazionalisti bianchi, neoconfederati, teste rasate di taglio razzista, vigilanti frontalieri. I gruppi neonazi nel 2008 erano 159, otto anni dopo sono saliti a 1384. Tra i più attivi: American Front, American Guard, Hammerskins, National Alliance, National Socialist American Labor Party, National Socialist Vanguard, Nsdap/Ao, White Aryan resistance. Un altro gruppo suprematista bianco, neonazista e neofascista in ascesa è il Patriot Front, nato da una scissione di una sigla analoga, Vanguard America, dopo il raduno suprematista “Unite the right” del 2017 a Charlottesville, in Virginia. Durante l’evento, un neonazista lanciò la sua auto su contro-manifestanti uccidendo una giovane donna.
Il suprematismo bianco viaggia anche sul web. Un recente studio del Simon Wiesenthal Center ha identificato più di dodicimila gruppi di odio xenofobo e antisemita sul web. La League of the South sul proprio sito avverte: “Se ci chiamerete razzisti, la nostra risposta sarà : e allora?”.
Ecco chi sono i miliziani di Trump. Hanno assaltato Capitol Hill perchè in odio non hanno il neo presidente democratico. Il loro odio è contro tutto ciò che è democrazia, i suoi simboli, le sue istituzioni. Odiano gli ebrei, schifano i musulmani, considerano i latinos dei subumani, si considerano gli ariani di America. Come le SS di Hitler. Da “Sieg Heil a “Stop the Steal”.
(da Globalist)
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Gennaio 7th, 2021 Riccardo Fucile
UN ALTRO FUORI DI TESTA, DIVENTATO SUPREMATISTA DOPO CHE IL PADRE SI E’ SUICIDATO PERCHE’ LA MOGLIE LO TRADIVA… FA LA COMPARSA E TIENE “SEMINARI” SU YOUTUBE… LA PROSSIMA VOLTA INVITATELO A PONTIDA
«Siamo cresciuti insieme, era il mio vicino di casa, l’ultima volta che l’ho incontrato era al matrimonio di mio fratello, nel 2016. Abbiamo sempre litigato perchè era contro l’educazione scolastica e su YouTube ha un canale dove tiene certi “seminari” così li chiama», scrive Gary Trubl su Twitter.
«Si è completamente instupidito ma non è stato sempre così. La sua storia ha preso una brutta piega quando sua madre ha tradito il padre e quello si è suicidato. Ha cominciato a farsi di droghe pesanti, ha cambiato nome e poof: all’improvviso è diventato così», prosegue l’amico d’infanzia. Ecco quello che sappiamo di Jake Angeli (ma il suo vero cognome è Chansley, non è chiaro se Angeli sia effettivamente un nome di famiglia), 32 anni, da Phoenix, Arizona.
L’uomo che ieri ha dato l’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti a petto nudo nonostante il freddo intenso, il volto dipinto — manco a dirlo, senza mascherina — il megafono in mano e una finta pelle di bisonte cornuto sulla testa, la cui immagine oggi è su tutti i giornali e siti del mondo, è un aspirante attore che a volte svolge lavoretti da doppiatore, ma sogna di fare il cantante: come si racconta lui stesso sul sito Backstage.com.
Ma sui social è conosciuto soprattutto come “lo sciamano di QAnon”: sì i complottisti convinti che Hillary Clinton e Barack Obama sono parte di una setta satanica di pedofili che stuprano i bambini nel sottoscala di una pizzeria di Washington Dc, protetti dal “Deep State”, sorta di Stato nello Stato di cui Donald Trump è l’unico, acerrimo nemico.
Qualcuno ieri ha tentato di dire che probabilmente era un infiltrato, un antifà , cioè un antifascista accorso solo per aizzare la folla e screditare President Trump.
Ma in realtà è un volto molto noto della galassia complottista, animatore di diverse manifestazioni di estrema destra, dove si presenta sempre con un costume diverso: indiano, bandito, cacciatore.
“Accessori” che poi è possibile acquistare sul suo canale YouTube. Ieri, al termine delle scorribande che lo hanno visto mettersi in posa anche sul podio del Presidente del Senato Mike Pence, ha preso lo stesso megafono con cui aveva incitato i suoi compagni a scalare il Congresso e ha invitato la folla a tornare a casa.
«La depressione è una brutta cosa» twitta ancora l’amico Gary.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 7th, 2021 Riccardo Fucile
L’ETERNA DEBOLEZZA INTERNA DEGLI USA
Sette colpi in cinque secondi. Tanti ne riuscì a sparare John Hinckley al presidente Ronald Reagan nel 1981. Quel mancato assassinio fu perfino più grave dell’omicidio Kennedy, perchè dimostrò l’assoluta perforabilità della sicurezza attorno all’uomo più potente del mondo. A Dallas, infatti, il killer sparò dal sesto piano, a centinaia di metri di distanza. A Washington, invece, Reagan fu colpito da pochi metri.
Quarant’anni dopo, il problema è sempre lo stesso. Quant’è vulnerabile l’impero americano? Gli Stati Uniti dominano il pianeta, spendono 800 miliardi di dollari ogni anno per le forze armate (Cina ed Europa 260, la Russia 70).
Eppure centinaia di pazzoidi addobbati da bisonti cornuti riescono a entrare nel cuore del loro sistema, il palazzo del Congresso, proprio mentre Camera e Senato sono riuniti in sessione congiunta per una delle occasioni più sacre: la proclamazione del nuovo presidente.
Così, blindatissimi all’esterno, gli Usa si ritrovano indifesi all’interno. Gli americani, allibiti, scoprono che a proteggere il Campidoglio c’è una forza apposita, la Capitol police, forte di duemila agenti. I quali tuttavia ieri erano impotenti quanto i vigili urbani. Dotati di manganello, ma impediti dall’usare “lethal force” contro l’onda di assalitori.
Un video di HuffPost Usa mostra un povero agente di colore che arretra davanti agli energumeni provvisti di aste di bandiera: scappa su per le scale, non osa menare la prima randellata perchè sa che avrebbe la peggio.
Mai sottovalutare l’idiozia della burocrazia. Nella sola Washington coesistono ben sei corpi di polizia locale.
Con lo stesso affiatamento che affratella e coordina i nostri carabinieri e poliziotti. Poi c’è l’Fbi federale. Poi la Guardia nazionale, che però dipende dal Pentagono. Quella di Washington ha solo mille effettivi, quindi ieri sera (dopo ore e ore) sono scesi in campo gli stati vicini, Virginia e Maryland. Fino alla mossa comica del governatore di New York, che ha inviato un suo contingente.
Gli Usa spendono ogni anno 115 miliardi per le varie forze dell’ordine. Ma a controllare le manifestazioni politiche ci sono anche i servizi segreti. E qui, ecco l’ulteriore barzelletta: l’intelligence statunitense è divisa in sedici agenzie. Cia, Dia, Nsa, sicurezza interna ed esterna, ogni arma ha le proprie spie, e poi il ministero dell’Energia, e volete mettere la Home Security, il nuovo ministero dell’Interno federale messo in piedi dopo l′11 settembre 2001? Il suo bilancio è di altri 50 miliardi, più i 78 totali dell’intelligence.
Quanto all’intelligenza, quella vera, non poteva prevedere che il capo dei nuovi terroristi all’assalto del Palazzo in questo inverno non fosse un imam islamista, ma un vecchio signore che ieri ha aizzato per un’ora 40mila persone, invitandole ad andare poi al Congresso a dimostrare. E quelli hanno dimostrato, mandati dal capo dei poliziotti che avrebbero dovuto fermarli.
Il nero George Floyd è stato fermato per un biglietto falso da venti dollari, lo scorso maggio. È finito soffocato. La povera Ashli Babbit, penetrata nel Senato contro il voto “rubato”, ieri è stata uccisa da un poliziotto terrorizzato. Ora anche i trumpiani potranno sventolare la loro martire.
Ma “legge e ordine”, lo slogan di Trump, non è più utilizzabile dalla destra Usa: i “patrioti” cospirazionisti si sono fatti male da soli.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 7th, 2021 Riccardo Fucile
PENCE PER LA COSTITUZIONE PUO’ GUIDARE IL PAESE PER GLI ULTIMI 13 GIORNI
Nell’arco di quattro anni, si è scritto tanto e soprattutto si è parlato tanto della destituzione del Presidente Trump dalla sua carica, ma mai come nelle ultime 24 ore. Dopo averlo visto incitare i suoi sostenitori a protestare al Campidoglio, non resta che l’ultimissima occasione per riflettere sulle implicazioni di un passo così definitivo; così, ci ritroviamo ancora una volta a digitare su Google le parole del giorno.
E quelle parole, sia nell’ambito delle riunioni ai vertici di Washington che sulla bocca di molti americani, sono “venticinquesimo emendamento”. I democratici in particolare hanno sciolto la riserva e si dicono pronti ad appellarsi alla norma pur di far fuori Trump. ”È il momento di invocare il venticinquesimo emendamento e rimuovere “immediatamente” Donald Trump”, ha detto Chuck Schumer, leader dei dem al Senato. Secondo il Washington Post, inoltre, sarebbero almeno una trentina i parlamentari democratici che avrebbero chiesto l’impeachment.
Ma cosa prevede questo emendamento? Prevede che il vicepresidente Mike Pence possa chiedere di guidare l’amministrazione a soli tredici giorni dalla scadenza del mandato presidenziale. Mike Pence, un uomo la cui unica qualità almeno fino a ieri è stata rimanere (spesso in silenzio e senza discutere) all’ombra del suo comandante in capo, ora si ritrova a decidere se Donald Trump continuerà a essere un enorme pericolo per la repubblica, restando in carica, o se potrà essere tenuto sotto controllo per altre due settimane, cioè fino a quando non diventerà ex presidente.
La decisione spetta a quei pochi che ancora lo circondano.
Secondo la costituzione, il venticinquesimo emendamento prevede una procedura che consente di sollevare il presidente dalla sua mansione con il passaggio di poteri al suo vice grazie a una lettera scritta e firmata da una maggioranza dei capi di gabinetto. L’emendamento fu inserito nella costituzione negli anni ’60 dopo l’omicidio del presidente Kennedy, così da definire una procedura chiara per la cessione dei poteri al vicepresidente, sia per un breve lasso di tempo (come nel caso di un presidente che subisce un intervento chirurgico), sia in caso di dimissioni come fu con Nixon.
Ma stavolta si discute dell’emendamento a proposito di un presidente che è incapace di adempiere ai suoi doveri non per via di impedimenti fisici, di una morte improvvisa o di dimissioni, ma perchè il suo stato mentale potrebbe rappresentare un pericolo per la nazione e per quanti lo circondano.
Detto altrimenti, sarebbe un colpo messo in atto da alcuni fra i più stretti collaboratori del presidente e non vi sono abbastanza pareri costituzionali nè precedenti storici che possano orientarli in questa gravosa decisione.
Coloro che non vivono nel terrore di Trump, e accetterebbero di farsi carico di questo onere, potrebbero essere troppo pochi per andare fino in fondo; se anche Mike Pence, un tempo il più improbabile golpista d’America, decidesse di provarci sul serio, dovrebbe ottenere per forza il sostegno e il consenso degli altri capi di gabinetto.
Sin dai primi giorni dell’amministrazione di Trump, i detrattori hanno messo in dubbio la sua idoneità all’incarico, la sua abilità intellettiva, la forza mentale nonchè la solida capacità di giudizio, condizioni necessarie per guidare il paese. Ma mai prima d’ora il presidente aveva palesato una mancanza di rispetto così spiazzante nei confronti del suo mandato e dei cittadini che governa.
Da quando ha perso le elezioni contro l’avversario Joe Biden, quasi tutte le sue azioni hanno avuto come scopo quello di dimostrare la tesi secondo la quale avrebbe ottenuto una vittoria schiacciante al voto 2020 e che l’elezione gli sarebbe stata rubata.
Senza contare il fatto che la nazione non ha superato la crisi e che il coronavirus continua a decimare le comunità di tutto il paese, o che il suo governo è riuscito a stento ad approvare una legislazione di emergenza per assistere i milioni di americani in difficoltà economiche a causa della pandemia, o ancora che la tanto attesa consegna del vaccino sia stata ostacolata da problemi di distribuzione, a riaccendere il dibattito sulla rimozione del presidente sono state le azioni delle ultime ventiquattr’ore, culminate nell’assalto al Campidoglio e al Congresso degli Stati Uniti.
Di fronte allo spettacolo dei manifestanti che si arrampicano sui muri, che rompono finestre e invadono le sale del Congresso, e alla notizia di una donna ferita a morte all’interno del Campidoglio, gli americani sono rimasti sconvolti, smarriti e arrabbiati. La domanda adesso è: Trump durerà per gli ultimi tredici giorni o dovrebbe essere licenziato per il bene e per la sicurezza della nazione?
(da agenzie)
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Gennaio 7th, 2021 Riccardo Fucile
IL DOCUMENTO AVEVA CARATTERE DI URGENZA
Un anno fa 700 psichiatri scrivevano al Congresso: “Temiamo l’instabilità mentale di Trump, può diventare un pericolo per gli Usa”. Una lettera precisa in cui si i medici dicevano: “Abbiamo un presidente degli Stati Uniti che è psicologicamente e mentalmente sia pericoloso che inadatto al ruolo che ricopre. Il modo in cui si presenta indica una persona che, quando viene messa in discussione la sua immagine o contrastato il suo bisogno emotivo di adulazione, deve necessariamente dimostrare la sua supremazia e comando sugli altri”.
Questo è il testo iniziale della petizione che 700 psichiatri americani avevano sottoscritto e inviato al Congresso degli Stati Uniti, contrassegnando il documento come “urgent communication”. Un documento con carattere di urgenza.
I medici temevano che “Trump potesse diventare un pericolo, una minaccia per la sicurezza della nostra nazione. Le conseguenze — aggiungevano — potrebbero essere catastrofiche”.
Gli autori dell’articolo: Bandy X. Lee, professore di psichiatria presso la Yale University School of Medicine; Jerrold Post, ex analista presso la Central Intelligence Agency (CIA); e John Zinner, uno psichiatra della George Washington University, hanno avvertito che “non monitorare o non comprendere gli aspetti psicologici” del processo politico contro Trump “o non tenerne conto, potrebbe portare a risultati catastrofici”.
“Abbiamo deciso di parlare proprio ora — ha detto Lee al giornale The Independent — perchè le false percezioni di Trump su teorie di cospirazione aumentano. I suoi ripetuti tweet — ha aggiunto — mostrano crudeltà e desiderio di vendetta. Non rappresentano più semplici bugie, ma seri disturbi mentali”.
La petizione si concludeva con due richieste urgenti:
1. Le udienze di impeachment devono procedere più speditamente
2. Se possibile, il Congresso dovrebbe rafforzare le leggi esistenti che limitino la capacità di un presidente da solo di fare la guerra o avviare azioni militari”.
La verità è che Donald Trump ha passato 4 anni di presidenza ad aizzare i suoi sostenitori. Oggi arriva la resa dei conti. Mentre la folla dei suoi seguaci assaltava Capitol Hill, il presidente sconfitto alle elezioni del 3 novembre ha perso autorità .
Le manifestazioni senza precedenti al Congresso da lui implicitamente istigato da giorni ha ritardato solo di alcune ore la certificazione della vittoria di Joe Biden che tra 14 giorni gli darà lo sfratto definitivo dalla Casa Bianca.
(da agenzie)
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Gennaio 7th, 2021 Riccardo Fucile
QUEL CHE RESTA DEI REPUBBLICANI IN MACERIE
Una lunga camminata nel deserto, senza un orizzonte a cui mirare nè un briciolo di unità su dove andare dopo Trump.
Per il partito repubblicano, il risveglio dal giorno più buio della storia recente d’America ha i tratti emaciati e stralunati degli zombie. Perchè ora che i quattro anni di idolatria trumpiana hanno prodotto il loro risultato più tragico — eppure più prevedibile — per nessuno nel GOP sarà più possibile mimetizzarsi dietro al corpaccione e alle invettive del leader.
Ora che il Congresso ha ratificato la vittoria di Joe Biden e i repubblicani hanno perso tutto, compresa la maggioranza in Senato, il partito si ritrova ad affrontare la crisi più profonda nei suoi 167 anni di storia: da oggi in poi nessuno potrà più eludere il bivio, con Trump o contro di lui.
Tra le macerie si aggirano i protagonisti di ieri e di oggi, alcuni irrimediabilmente compromessi, altri meno.
Tutti, tranne rare eccezioni (si legga Mitt Romney) in qualche modo complici di un clima che ha reso possibile lo scempio alla democrazia trasmesso ieri in mondovisione. Uno scempio che The Donald ha intenzione di portare avanti, sotto forma di “lotta per rendere di nuovo grande l’America”.
Partiamo dai due repubblicani più alti in grado nella catena di comando dell’era Trump: il vicepresidente Mike Pence e il leader del Senato Mitch McConnell.
Dal punto di vista formale, nelle ultime ore Pence non si è sottratto ai propri doveri istituzionali: come previsto dal suo ruolo, è stato lui a certificare la vittoria del democratico con 306 grandi elettori contro i 232 di Trump. Con il Parlamento sotto l’assedio – sgangherato e terribile – dei Trump Boys, Pence ha condannato su Twitter “la violenza e la distruzione”, promettendo “il massimo della severità per le persone coinvolte nell’attacco”.
Ma sulle sue spalle pesano responsabilità oggettive e macchie indelebili, a cominciare dall’aver espresso sostegno per l’iniziativa dei lealisti di Trump di presentare obiezioni durante la sessione di conteggio dei voti, la mossa politica che ha alimentato il discorso incendiario del presidente.
Il Washington Post consegna un’analisi lucida e impietosa delle responsabilità di Pence come di McConnell, entrambi impresentabili come sfidanti di Trump “dopo anni di sottomissione”.
Nel caso di Pence — scrive il WP — l’accordo implicito con Trump era cristallino: l’allora candidato alla presidenza lo salvò da una corsa tutta in salita per la riconferma a governatore dell’Indiana, e lui ripagò la gentilezza con una “incrollabile sottomissione, legandosi inestricabilmente a un uomo noto per esigere fedeltà assoluta e raramente ricambiare in cortesia”.
Rimanendo fedele al suo ruolo di volto apparentemente più presentabile del ticket presidenziale, Pence è stato la spalla che ha consentito a Trump di debordare in qualsiasi aspetto del suo mandato
Il 78enne Mitch McConnell, considerato il repubblicano più potente a Washington, ha tirato fuori gli artigli contro Trump fuori tempo massimo, scontrandosi con la pervasività del messaggio sovversivo di Trump.
Dopo aver ufficializzato lo strappo con il presidente a metà dicembre, chiedendo ai senatori repubblicani di evitare un’inutile e autolesionista battaglia al Congresso, l’ex falco Mitch ha parlato con voce rotta al Senato mercoledì, avvertendo che “la nostra democrazia entrerebbe in una spirale di morte” se la parte perdente in un’elezione fosse in grado di ribaltare un risultato equo con accuse infondate. “Gli elettori, i tribunali e gli Stati hanno tutti parlato”, ha detto McConnell. “Se annullassimo i loro pronunciamenti, danneggeremmo per sempre la nostra Repubblica”
Rispetto a Pence, all’ormai ex leader della maggioranza McConnell va riconosciuto di essersi dissociato da Trump su alcune questioni chiave.
Ad esempio, ha condannato vigorosamente il violento raduno dei suprematisti bianchi del 2017 a Charlottesville, in un modo che Trump non ha fatto, dichiarando che “non ci sono neo-nazisti buoni”.
E dopo che Trump non è riuscito a dissociarsi dagli estremisti di destra Proud Boys, McConnell ha detto che era “inaccettabile non condannare i suprematisti bianchi”, pur non menzionando Trump per nome. Allo stesso tempo, però, McConnell ha anche usato il presidente, che è entrato in carica senza un chiaro programma legislativo, per perseguire i propri obiettivi, inclusa la spinta a nominare oltre 220 giudici federali conservatori, insieme alle tre nomine della Corte Suprema.
In un’intervista con il giornalista Bob Woodward, Trump si è vantato che lui e McConnell “hanno battuto ogni record” con i giudici, spiegando: “Sai qual è la cosa più grande di Mitch nel mondo intero? I suoi giudici”.
Su scala più ampia, l’accordo con cui il partito repubblicano si è consegnato a Trump ha comportato l’assecondare i capricci e le passioni antidemocratiche del presidente, in cambio della promessa di un guadagno politico e della speranza di evitare le sue ire. Alcuni, continuando a sostenerlo fino in fondo nella sua battaglia eversiva, si sono candidati come gli eredi di un sentimento reazionario e populista che ha trovato in Trump la sua massima espressione.
Qui il pensiero va subito a Ted Cruz, il senatore del Texas che più di ogni altro si è esposto nel portare avanti la faida di Capitol Hill, insieme a Josh Hawley del Missouri. Per Jonathan Allen, analista di Nbc News, su di loro pesa la colpa di aver sostenuto ogni oltre limite le falsità di Trump. Le loro azioni hanno dimostrato che l’eredità duratura di Trump non riguarderà le grandi vittorie alle urne o nell’arena legislativa, ma piuttosto il suo totale dominio sui compagni repubblicani che cercano disperatamente di essere visti come suoi eredi politici.
Hawley e Cruz, ad esempio, sono entrambi ampiamente considerati potenziali candidati per la nomina presidenziale repubblicana del 2024. Entrambi hanno sostenuto gli sforzi dei membri del Congresso di ribaltare la volontà dell’elettorato mercoledì, insieme a una folta schiera di parlamentari i cui nomi sono incisi in questa brutta pagina di storia: si tratta di 6 senatori e 121 deputati, rimasti fino all’ultimo sotto l’ala di Donald.
Nella geografia disastrata del GOP alla fine della presidenza Trump spicca la voce da sempre critica di Mitt Romney. “Una parte enorme dell’opinione pubblica americana è stata ingannata dal presidente sull’esito delle elezioni”, ha detto il senatore dello Utah in un colloquio con The Atlantic. “Puoi essere un estintore o un lanciafiamme. E il presidente Trump è stato un lanciafiamme ”.
Anche il senatore della Florida Marco Rubio ha respinto con forza l’uso del termine ‘patrioti’ per descrivere la razzia al Campidoglio: “Non c’è niente di patriottico in ciò che sta accadendo a Capitol Hill. Questa è anarchia anti-americana in stile terzo mondo”, ha twittato il 49enne ex candidato alla nomination repubblicana, declinando in altro modo il giudizio dell’ex presidente George W. Bush, che ha parlato di “scene disgustose da repubblica delle banane, uno spettacolo disgustoso che spezza il cuore”.
Ora, dopo l’epilogo più assurdo eppure più logico del mandato di Trump, si moltiplicano le voci dei repubblicani che come zombie si risvegliano da un incubo di cui finora hanno accettato di far parte. La violenza senza precedenti di mercoledì — scrive Bloomberg — ha stimolato un’ondata di critiche repubblicane al presidente, suggerendo la possibilità che il GOP si allontani sempre di più da lui.
Tom Cotton, senatore dell’Arkansas e alleato di lunga data di Trump, ha dichiarato in una nota: ”È tempo che il presidente accetti i risultati delle elezioni, smetta di fuorviare il popolo americano e ripudi la violenza della folla”.
Anche se in extremis, alcuni sostenitori del tentativo di Trump di convincere il Congresso a respingere i voti del Collegio hanno affermato di aver cambiato i loro piani dopo le violenze di ieri.
La senatrice Kelly Loeffler, sconfitta nel ballottaggio in Georgia, ha dichiarato di non poter più sostenere “in buona coscienza” le obiezioni a cui aveva aderito fino a qualche ora prima.
Il senatore Richard Burr della Carolina del Nord ha attribuito la colpa dell’irruzione a Capitol Hill direttamente a Trump: “Il presidente è responsabile degli eventi di oggi per aver promosso le teorie del complotto infondate che hanno portato a questo punto”, ha detto in una nota, osservando che i tribunali avevano già respinto gli sforzi di Trump per ribaltare la sconfitta.
Il senatore Roy Blunt del Missouri, membro del gruppo dirigente del GOP della Camera, ha detto ai giornalisti: ”È un giorno tragico e lui ne ha fatto parte”. L’ex governatore del New Jersey e sostenitore di Trump, Chris Christie, ha segnalato che il presidente e suo figlio avevano parlato alla folla e che la violenza che ne è seguita ”è il risultato delle loro parole”, intenzionale o meno.
Ora la domanda, per tutti, è dove andare dopo Trump, mentre si fa strada l’ipotesi che il presidente venga ‘cacciato’ dalla Casa Bianca prima della scadenza naturale del mandato, il prossimo 20 gennaio. La leva per rimuovere dal suo incarico il presidente uscente potrebbe essere il 25esimo emendamento della Costituzione americana, ipotesi che in queste ore sarebbe al vaglio di molti nell’amministrazione e in Congresso.
Nel dettaglio prevede che il vicepresidente prenda i poteri del Commander in chief come facente funzioni nel caso il presidente muoia, si dimetta o sia rimosso dal suo incarico per incapacità manifesta o malattia. A differenza dell’impeachment, dunque, le norme del 25esimo emendamento consentono di rimuovere il presidente senza che sia necessario elevare accuse precise. E’ sufficiente che il vicepresidente e la maggioranza del governo trasmettano una lettera al Congresso sostenendo che il presidente non è più in grado di esercitare i poteri e i doveri legati al suo incarico. Per il GOP, si tratterebbe dell’ultima faida prima di affrontare un futuro che non è mai stato così incerto.
(da agenzie)
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Gennaio 7th, 2021 Riccardo Fucile
“DIVERSO TRATTAMENTO DELLA POLIZIA NEI CONFRONTI DEI MANIFESTANTI DI COLORE”… I DEMOCRATICI CHIEDONO LA RIMOZIONE IMMEDIATA DEL CRIMINALE
Il presidente eletto torna a parlare alla nazione dopo gli eventi che ieri hanno sconvolto gli Stati Uniti. Per Joe Biden, l’assalto al Campidoglio, nel giorno del procedimento di ratifica della sua vittoria alle ultime elezioni, è il «risultato dell’attacco di Trump alla democrazia». L’irruzione nel luogo più simbolico della politica statunitense ha rappresentato uno «dei giorni più bui della storia americana», un «assalto alla nostra democrazia», ha dichiarato Joe Biden.
«Donald Trump ha incitato l’attacco al Congresso», ha detto Biden, evidenziando che il presidente uscente «non è al di sopra della legge».
Ma l’attenzione dell’opinione pubblica è anche concentrata sulle azioni confuse della polizia: «È inaccettabile il diverso trattamento fra i manifestanti di Black Lives Matter e i sostenitori di Donald Trump», ha detto Biden che ha poi definito «terroristi domestici» i dimostranti che hanno assaltato il Congresso.
“Ci piacerebbe poter dire che” l’assalto dei manifestanti pro Trump al Campidoglio “non poteva essere previsto ma lo avevamo previsto” in quanto è conseguenza di “quattro anni in cui il presidente ha manifestato disprezzo per la nostra democrazia, la Costituzione e il rispetto della legge in tutto quello che ha fatto”.
Il leader dei democratici al Senato, Chuck Schumer, ha chiesto l'”immediata” rimozione di Trump invocando il 25esimo emendamento. “Quello che è successo è stata un’insurrezione incitata dal presidente. Questo presidente non dovrebbe restare in carica un giorno di più”, ha detto. “Il modo più rapido ed efficace per rimuovere questo presidente dall’incarico sarebbe che il vice presidente invocasse immediatamente il 25esimo emendamento”.
Alle sue parole hanno fatto seguito quelle di Nancy Pelosi, leader democratica al Senato: “E’ un’emergenza, è pericoloso. Non può restare”, ha detto del presidente. Pelosi ha poi affermato di aspettarsi una decisione rapida da Pence sulla possibile rimozione.
(da agenzie)
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