Gennaio 21st, 2021 Riccardo Fucile
L’OPERAZIONE RESPONSABILI NON DECOLLA, IL CASO CESA LA COMPLICA, RENZI DISPERATO CERCA DI RIENTRARE DALLA FINESTRA
Passano i giorni e le ore, non passano senatori alla maggioranza. Il tempo scorre e tutto rimane immobile, la grande operazione per allargare la maggioranza non decolla. Palazzo Chigi vede rallentare il treno che avrebbe dovuto far affluire responsabili per sostituire Italia viva, il timore è quello che possa arenarsi definitivamente, il Pd ma anche il Movimento 5 stelle sono in pressing, il tempo stringe, più passa e più l’operazione rischia di crollare.
L’effetto Cesa ha indirizzato pesantemente la giornata in un mood negativo, la notizia deflagrata in mattinata di un avviso di garanzia della procura di Catanzaro per “associazione a delinquere aggravata da metodo mafioso” diretta al segretario dell’Udc è arrivata come un fulmine a ciel sereno a scompaginare, e in peggio, i piani del governo.
Perchè Lorenzo Cesa è (era?) uno dei possibili perni dell’operazione “responsabili”, i tre senatori dello scudocrociato se non sono determinanti per la sopravvivenza del governo poco ci manca.
“Il problema è che noi con Cesa trattavamo, così viene a mancare un interlocutore politico, ora con chi si parla?”, dice uno dei pontieri più attivi, che dà per perso De Poli, uno dei tre Udc a Palazzo Madama, considerato troppo organico al centrodestra, ma che vede dei margini ancora buoni sugli altri due, Saccone e Binetti.
Ma con l’indagine capitata tra capo e collo al segretario del partito tutto diventa maledettamente più difficile.
I 5 stelle hanno iniziato a ribollire. “A tutto c’è un limite”, è il messaggio che più si rincorre negli scambi tra i grillini. Nella war room pentastellata sono convinti che tutto ora sia complicato. Un senatore, parlando di suoi colleghi, allarga le braccia: “Ma tu pensi che l’ala nostra più barricadera ingoierebbe tranquillamente un governo con un partito il cui segretario è indagato per rapporti con la ‘ndrangheta? Va bene che stiamo ingoiando tutto, ma siamo pur sempre grillini. Ce lo vedi Lannutti a votare la fiducia?”. È Alessandro Di Battista ad entrare a gamba tesa, mettendo quella che sembra una pietra tombale su quella che fino a ieri era tra le ipotesi più concrete di allargamento della maggioranza: “Con chi è sotto indagine per associazione a delinquere nell’ambito di un’inchiesta di ‘ndrangheta non si parla. Punto”.
È l’intervento di Luigi Di Maio a mettere quella che sembra una pietra tombale su un possibile accordo con l’Udc: “Mai il M5s potrà aprire un dialogo con soggetti condannati o indagati per mafia o reati gravi – spiega il ministro degli Esteri, ancora oggi la figura di più peso nel mondo pentastellato – il consolidamento del governo non potrà avvenire a scapito della questione morale”.
Gli esegeti sottolineano come Di Maio si riferisca a singoli soggetti, non al partito, e continuano a credere nella possibilità che qualcosa si muova, ma è tutto incredibilmente difficile.
Viene a mancare un interlocutore chiaro, rischia di sfumare l’operazione che voleva attorno al simbolo dell’Udc la costruzione del gruppo di responsabili a Palazzo Madama.
Ne servono 170, come da asticella fissata da Dario Franceschini, ne basterebbero anche due o tre in meno per una navigazione appena tranquilla, sono comunque dieci in più rispetto a quanti martedì scorso hanno votato la fiducia, e il conto per ora è fermo a quota zero.
A Palazzo Chigi sono convinti che basterebbe un segnale, un piccolo smottamento di Italia viva, qualche altra defezione in Forza Italia: sarebbe la palla di neve che genererebbe quella piccola valanga che permetterebbe di mandare in porto l’operazione.
Per questo e per smuovere le acque dopo due giorni di totale immobilismo Conte ha deciso di cedere la delega ai Servizi segreti a un suo uomo di fiducia. Un alibi in meno a Matteo Renzi, ma soprattutto per quella pattuglia di senatori renziani che continuano a lanciare messaggi al proprio leader sul fatto che mai voterebbero la sfiducia al governo.
Una minoranza all’interno del gruppo di Iv, ma che possono cambiare le sorti della partita. Così come un segnale è la lunghissima lista di incontri messi in programma dal premier per discutere e migliorare il Recovery plan, dai sindacati alle Regioni, passando per imprese e enti locali.
L’ex rottamatore ai microfoni di Piazza Pulita lancia un appello che tra i 5 stelle bollano come disperato, “siamo ancora in tempo per fermarci e tornare a confrontarci”.
Un bollino, quello della disperazione, che vale oggi ma domani chissà .
Da Pera a Schifani passando per il transfugo Causin, Forza Italia è data in difficoltà , affannata a tenere unito un gruppo che ascolta le sirene provocanti di una legislatura che potrebbe continuare. Ma al momento nulla si muove, e il gran tessitore del Pd Goffredo Bettini ammonisce: “Se in queste settimane riusciamo a consolidare i numeri bene, altrimenti si tornerà a votare”. L’ipotesi del voto è quella che circola nel M5s, più per tattica che per convinzione: “Alla fine si tornerà con Renzi, vedrai, e noi dovremo ingoiarcela perchè nessuno vuole rischiare le urne”, dice un deputato alla seconda legislatura.
Ci sono solo cinque giorni per scongiurare il concretissimo rischio di andare sotto in aula al Senato sulle comunicazioni sulla giustizia di Alfonso Bonafede. Per Conte il nemico principale è il tempo.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 21st, 2021 Riccardo Fucile
IL RITORNO IN CLASSE PER I RAGAZZI NON PUO’ ESSERE SICURO, RIAPRIRE COSI’ NON AVEVA SENSO, MA VALLO A FAR CAPIRE ALLA AZZOLINA
In molte Regioni d’Italia le scuole secondarie di secondo grado hanno già riaperto. Una ripartenza a macchia di leopardo, perchè i governatori hanno chiesto più tempo per poter riorganizzare la didattica scaglionando gli ingressi e per aumentare le corse dei mezzi pubblici.
Ma in generale, secondo l’ultimo decreto, se nelle zone rosse la didattica è a distanza dalla seconda media in su, nelle zone arancioni e gialle i ragazzi sono tornati tra i banchi fino alla terza media, mentre quelli delle superiori fanno didattica in presenza al 50 per cento e fino a un massimo del 75 per cento.
Dopo la prima settimana in cui circa 642mila ragazzi hanno potuto ricominciare la scuola in presenza è tempo di bilanci.
Oggi la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha ribadito che la Dad è “lo strumento che ci ha permesso di salvare lo scorso anno scolastico senza interrompere brutalmente il rapporto tra insegnanti e studenti”.
Ha aggiunto però che non può che essere “limitata nel tempo”, perchè “il rischio zero non esiste, ma esiste la certezza che senza la scuola toglieremo un pezzo di futuro alle nuove generazioni”.
La titolare di Viale Trastevere ha visitato oggi l’istituto Gobetti-Volta a Bagno a Ripoli (FI), in compagnia del presidente della Regione Eugenio Giani, e ha potuto verificare che in Toscana fino ad ora il piano regionale per i trasporti ha dato buoni risultati: non si sarebbero create le situazioni a rischio che si erano verificate a settembre.
Tutto bene quindi? Non sembra.
Come risulta da molte segnalazioni arrivate a Fanpage.it all’ingresso degli istituti scolastici è praticamente impossibile evitare gli assembramenti: davanti alle scuole, all’esterno ma anche all’interni degli edifici, si formano capannelli di persone, e i ragazzi si assiepano senza rispettare le norme di sicurezza basilari, come il distanziamento sociale.
In una situazione di questo tipo è facile che possano generarsi nuovi focolai, che renderebbero inevitabile una nuova interruzione della didattica in presenza.
Sono fotografie scattate in Toscana, Emilia-Romagna, Lazio, provengono da grandi città come Roma, Bologna, Genova (qui la didattica è in presenza fino alla terza media), Reggio-Emilia, Grosseto, Rimini, Modena, Pistoia, Ravenna, ma anche da centri più piccoli come Pomezia (Rm).
Nonostante i protocolli e gli appelli lanciati dalle istituzioni, e nonostante le scuole siano state chiuse per mesi, non è stato evidentemente possibile organizzare in modo sicuro il ritorno degli studenti nelle aule, e dividere gli spazi in modo da evitare la folla all’ingresso e all’uscita, anche per le scale. Anche con una presenza dimezzata della popolazione studentesca le immagini parlano chiaro: nessuno si preoccupa del fatto che la salute di questi ragazzi è affidata al caso.
(da Fanpage)
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Gennaio 21st, 2021 Riccardo Fucile
VITA E OPERE DEL REGISTA DELL’INCHIESTA CHE HA COINVOLTO IL SEGRETARIO UDC CESA
Nel 2014 Matteo Renzi lo voleva ministro della Giustizia. È stato a un passo dal diventarlo. Poi il progetto si è fermato. Le voci, confermate dal diretto interessato anni dopo, narrano che a stopparlo fu l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Cinque anni dopo, agli albori del secondo governo Conte, qualche rumor su un suo possibile incarico ai vertici di via Arenula è circolato. Poi, invece, Alfonso Bonafede è rimasto nel posto che ricopriva già da più di un anno.
Non è entrato a far parte di alcun governo Nicola Gratteri, eppure il magistrato calabrese, dal 2016 al vertice della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, è sostenuto vigorosamente dai politici. Quale che sia il loro colore.
“Mi fido di Gratteri”, diceva, fieramente, senza aggiungere molto altro, Matteo Salvini, quando veniva raggiunto dalla notizia dell’inchiesta nei confronti di Domenico Tallini. Il presidente del consiglio regionale calabrese, di area centrodestra, è accusato dalla procura guidata da Gratteri di concorso esterno in associazione mafiosa e condotto a metà novembre agli arresti domiciliari.
Qualche settimana dopo il provvedimento cautelare è stato revocato. Le indagini andranno avanti, le accuse dovranno essere dimostrate. Tallini, intanto, si è dimesso. Tra gli applausi, trasversali, di buona parte della politica.
Magistrato dal anni ’80, Nicola Gratteri è sotto scorta da trent’anni per le tante minacce ricevute dalla criminalità organizzata. E la ‘ndrangheta è al centro anche dell’inchiesta della sua procura venuta alla ribalta oggi, con arresto dell’assessore regionale Francesco Talarico, accusato di associazione a delinquere con l’aggravante del metodo mafioso. Stessa accusa per Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’Udc.
Proprio nel momento in cui la sua compagine politica potrebbe avere un ruolo determinante negli estremamente instabili equilibri di governo. L’inchiesta ha coinvolto quasi 400 uomini delle forze dell’ordine. Cinquanta le misure cautelari notificate. Gli indagati sono 160 e i capi di imputazione tanti da riempire – parola di Gratteri – 150 pagine.
Se c’è una costante nella vita del noto magistrato anti-‘ndrangheta è quella dei grandi numeri. Delle centinaia di arresti in una notte. Delle maxi-operazioni da prima pagina.
Non sempre però, le tesi dell’accusa firmata Gratteri hanno trovato al 100% accoglimento nel processo che è seguito alle indagini.
Tante le inchieste condotte. La prima di grandi proporzioni è datata 2003. Il nome era Marine. Era notte a Platì, comune dell’Aspromonte, quando mille uomini delle forze dell’ordine arrivarono ad arrestare 125 persone, tra cui politici e notabili del posto. Le accuse erano gravi: associazione per delinquere di stampo mafioso, voto di scambio, abuso in atti d’ufficio, falso, estorsione.
Ma come finì poi il processo? Otto condanne con il rito abbreviato e 19 posizioni prescritte. Perchè in appello l’associazione di stampo mafioso è diventata associazione semplice. Non siamo in grado di ricostruire con dovizia di particolari i singoli passaggi, ma la differenza tra il numero degli arrestati e quello dei condannati con può che balzare all’occhio.
Passa qualche anno, nel 2008 è la volta dell’operazione Solare. In collaborazione con l’Fbi vengono arrestate più di 200 persone: “Scoperta struttura internazionale dedita al traffico di cocaina tra Sud America, Nord America e Europa”, è il sommario del Corriere della Sera del tempo. Il filone continua e si arricchisce di altre operazioni. Risultato: 23 condanne per un totale di 252 anni di carcere. In appello varie pene furono ridotte.
Nel 2010 Gratteri era ancora alla dda di Reggio Calabria quando questi uffici collaborarono con gli omologhi di Milano, per portare a termine un’operazione che condusse a 304 arresti tra Calabria e Lombardia, con l’impiego di migliaia di uomini delle forze dell’ordine. In questo caso l’impianto accusatorio della procura fu sostanzialmente validato. La Cassazione, nel 2014 e nel 2015 ha confermato più di 80, su 92, condanne di imputati che avevano scelto il rito abbreviato e tutte e 41 le condanne inflitte in Appello durante il rito ordinario.
Nel 2015, l’anno prima dell’approdo a Catanzaro, Gratteri conduce da procuratore aggiunto l’inchiesta Columbus sul narcotraffico tra Calabria e l’America. Il primo grado si conclude con cinque condanne e due assoluzioni.
Nel 2018 è la volta dell’operazione Stige, contro il clan di Cirò Marina. 169 gli arresti. Il processo ancora non è finito, ma per ora con il rito abbreviato sono state condannate 66 persone. 38 gli assolti.
Ed è dei primi giorni del 2021 la notizia dell’assoluzione, in primo grado, di Mario Oliverio. Imputato per corruzione e abuso d’ufficio dalla procura guidata da Gratteri, l’ex presidente della regione Calabria è stato scagionato “perchè il fatto non sussiste”.
Nei suoi confronti, sempre a Catanzaro, ci sono altre due inchieste. Ma l’assoluzione con formula piena fa rumore, anche alla luce delle conseguenze che quell’inchiesta ha avuto sulla sua carriera politica.
La vera partita della vita di Nicola Gratteri si sta giocando però in queste settimane. Il 13 gennaio è partito a Lamezia Terme – in un’aula bunker costruita ad hoc ed inaugurata alla presenza di Alfonso Bonafede – il processo seguito all’inchiesta Rinascita-Scott. Quella che lui stesso ha definito “numericamente la seconda più importante dopo il maxi-processo di Palermo”. E, anche qui, i numeri sono notevoli: 325 indagati, 438 capi d’accusa. Ai giudici del dibattimento il compito di capire se le ipotesi di reato saranno o no da confermare.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 21st, 2021 Riccardo Fucile
“IL CANDIDATO NON SARO’ IO”… E SU RASIA, INDICATO DA SALVINI: “PRIMA DI INTRONIZZARSI DOVREBBE ASPETTARE CHE QUALCUNO GLIELO DICA”
L’ex ministro e leader di Noi con l’Italia Maurizio Lupi non sarà il candidato sindaco del centrodestra a Milano: a dirlo è il diretto interessato, dopo settimane di voci su una sua possibile candidatura per la sfida dei prossimi mesi con Beppe Sala.
“Io non sono candidato a fare il sindaco di Milano, stiamo cercando il migliore” ma “non sono certo io il candidato sindaco – ha detto Lupi a Telelombardia – Ne abbiamo parlato anche ieri nel vertice di centrodestra a Roma, troveremo il candidato migliore da opporre a Sala perchè Milano merita di essere governata in maniera diversa, ma non sarà Lupi”.
La crisi di governo appena (forse) rientrata si incrocia con le scelte per Milano e con i dubbi nel centrodestra, tra ricerca di nomi forti e fascinazioni da candidati civici.
“L’ho già detto a tutti quelli che me lo domandano – ha spiegato Lupi durante il programma -, io sono una persona che, come Matteo Salvini e il presidente Berlusconi, ama la sua città e non può che essere grato a Milano. Però in questo momento il centrodestra deve trovare il miglior candidato sindaco da opporre a Sala perchè Milano merita una competizione in cui i milanesi possano scegliere il migliore, non il meno peggio. E il centrodestra lo sceglierà “.
L’unico a essersi fatto avanti, finora, era stato Roberto Rasia Dal Polo, 47 anni, capo della comunicazione del gruppo Pellegrini e sembra(va) gradito a Matteo Salvini. Lo scorso 1° gennaio si era fatto avanti con un post su Facebook dichiarando ufficialmente di esser pronto, ma da lì in poi passi avanti non se ne sono fatti. “Confido che la prossima settimana la situazione possa sbloccarsi così cominciamo”, dice lui.
Ma Lupi lo gela: “E’ uno dei candidati, se posso permettermi gli consiglio prima di ‘intronizzarsi’, di aspettare che qualcuno glielo dica, e poi vedremo”.
(da agenzie)
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Gennaio 21st, 2021 Riccardo Fucile
DAVANTI AL RIFIUTO DI INDOSSARE LA MASCHERINA, IL GIORNALISTA HA TOLTO IL COLLEGAMENTO
Niente mascherina? Ti taglio il collegamento.
È accaduto oggi alla Vita in diretta, su Rai1, dove un inviato sta intervistando un ristoratore ribelle, Fabio Martini, che rifiuta di indossare la mascherina.
Quando il conduttore, Alberto Matano, se ne accorge, taglia il collegamento per “ragioni di protocollo e di sicurezza”. Vane le proteste di Martini, che protesta, grida alla “censura di Stato”, si appella a un inesistente bavaglio.
Pronta e ferma la replica di Matano: “Nessuna censura. Noi siamo qui a documentare le vostre proteste e i vostri problemi, ma la mascherina è un presidio di sicurezza per tutti noi.”
Infine si rivolge direttamente ai telespettatori, scusandosi per l’errore e assumendosene tutta la responsabilità .
Un raro, tempestivo, esempio di servizio pubblico.
(da TPI)
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Gennaio 21st, 2021 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELLA RIVISTA SCIENTIFICA LANCET: “PADANIA, POLONIA E REPUBBLICA CECA LE PEGGIORI”
Brescia e Bergamo hanno il tasso di mortalità da particolato fine (PM 2,5) più alto in Europa. Lo dice uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Utrecht, del Global health institute di Barcellona e del Tropical and public health institute svizzero.
E i risultati, pubblicati sulla rivista “The Lancet Planetary Health”, non promettono bene neanche per altre città italiane.
Come detto, Brescia e Bergamo sono infatti in testa alla non invidiabile classifica di morti da particolato Pm2,5 prevenibili: se si seguissero le linee guida dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità ) rispetto ai valori di polveri sottili Pm 2,5 (quelle con diametro inferiore rispetto al Pm10, e che dunque penetrano più in profondità arrivando nei polmoni e nei bronchi), si potrebbero evitare 232 decessi all’anno a Brescia e 137 a Bergamo.
Tra le prime dieci ci sono anche Vicenza (al quarto posto) e Saronno (all’ottavo).
Lo studio, finanziato dal Ministero per l’innovazione spagnolo e dal Global health institute, analizza anche la mortalità da biossido di azoto (NO2): “Il più alto tasso di mortalità da No2 è stimato per grandi città e capitali nell’Europa dell’Ovest e del Sud”, si legge. È Madrid, in questo caso, la città in testa alla classifica, ma due città italiane figurano tra le cinque peggiori in quanto a tasso di mortalità : sono Torino (al terzo posto) e Milano (al quinto posto), dove rispettare i valori di No2 fissati dall’Oms consentirebbe di evitare 103 decessi ogni anno.
Lo studio pubblicato su Lancet prende in considerazione i decessi da Pm2,5 e da biossido di azoto (No2) in circa mille città europee, rivelando che attenersi alle linee guida dell’Oms potrebbe ridurre in generale 51mila decessi all’anno per quanto riguarda il Pm2,5 e 900 morti all’anno per esposizione a biossido di azoto. “La più alta mortalità da Pm2,5 è stimata per le città nella Valle del Po (nord Italia), Polonia e Repubblica Ceca”, si legge nello studio.
(da agenzie)
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Gennaio 21st, 2021 Riccardo Fucile
LA MOBILITAZIONE DELLA COMUNITA’: CI SONO ANCORA TANTI ITALIANI PER BENE… LE LACRIME DI RICONOSCENZA DEL RAGAZZO
Grande sorpresa per John, un nigeriano, da anni a Ciampino, che tiene pulite le strade vivendo delle offerte dei cittadini. Il gestore del Geff Caffè Cristian De Filippis, che conosce la sua storia e lo ha preso particolarmente a cuore, ha organizzato una raccolta fondi, per permettergli di tornare nel suo Paese d’origine, dopo la morte della madre, per poterla piangere.
In breve tempo il salvadanaio esposto sul bancone dell’esercizio commerciale si è riempito di monete e banconote, che i clienti, conoscendolo, gli hanno affettuosamente donato. Soldi che sono arrivati dalla città , ma anche da fuori.
Poi è arrivato il giorno tanto atteso, quello della consegna, il gestore del bar ha fatto entrare John all’interno del locale con una scusa, per poi consegnargli il salvadanaio, alla presenza di poche persone, che hanno assistito alla scena commovente, riprendendola e condividendola sui social network, per mostrarla ai tanti cittadini che, a causa del Covid, e alle restrizioni imposte dalla norme anti contagio, non hanno potuto esserci.
“Questo salvadanaio è per te John, da parte di tutta Ciampino” ha detto il gestore del bar, consegnandogli il prezioso regalo. Un gesto inaspettato, che lo ha fatto commuovere.
Alla vista del salvadanaio, John si è portato le mani alla testa, è scoppiato in lacrime e lo ha rotto, tra gli applausi dei presenti.
Al suo interno c’erano centinaia di euro, donati dai cittadini per consentirgli di prenotarsi un viaggio in aereo andata e ritorno, per andare a trovare sua madre deceduta in piena pandemia a causa del Covid, che non ha potuto raggiungere nè starle accanto perchè non aveva abbastanza denaro per lasciare l’Italia.
Tantissimi i messaggi di affetto e commenti al video da parte dei cittadini: “Soldi meritati, è un gesto che abbiamo fatto con il cuore”.
(da Fanpage)
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Gennaio 21st, 2021 Riccardo Fucile
“MENO 20% DELLE DOSI LA PROSSIMA SETTIMANA”
A causa dei ritardi nella consegna dei vaccini da parte di Pfizer l’Italia è passata da una media di 80mila persone vaccinate al giorno, con una punta di 92mila, ad una media di 28mila al giorno.
Lo ha detto il Commissario per l’emergenza Domenico Arcuri in conferenza stampa sottolineando che i ritardi hanno “rallentato significativamente la campagna vaccinale”.ù
Questa, ha aggiunto, ”è la conseguenza della necessità di tenere nei magazzini le dosi che servono per i richiami”.
Arcuri ha continuato: “Possiamo fare due cose: fare il tifo affinchè i vaccini disponibili aumentino e aspettare con ansia le conclusioni di Ema il 29 gennaio sul vaccino Astrazeneca, poi difenderci nelle sedi giuridiche deputate”.
(da agenzie)
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Gennaio 21st, 2021 Riccardo Fucile
NUOVO PROCESSO PER I DUE GIOVANI CONDANNATI IN PRIMO GRADO PER TENTATO STUPRO DELLA RAGAZZA PRECIPITATA DAL SESTO PIANO DI UN ALBERGO DI PALMA DI MAIORCA… MA LA PRESCRIZIONE SALVERA’ GLI IMPUTATI IN OGNI CASO
Quasi dieci anni dopo, i giudici della Corte di Cassazione hanno scritto la parola fine sulla morte di Martina Rossi ed escluso un nuovo inizio di dibattimenti, udienze, testimonianze. Il verdetto con cui hanno annullato la sentenza di assoluzione rimette al centro del processo i due 28enni di Castiglion Fibocchi che quel 3 agosto 2011 erano nella stanza 609 dell’hotel Santa Ana di Palma di Maiorca insieme a Martina: in primo grado ad Arezzo Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi erano stati condannati a sei anni per tentato stupro e per aver causato la morte, nella fuga, di Martina.
La studentessa
Martina Rossi il 3 agosto del 2011 aveva vent’anni, studiava architettura a Milano ed era alla sua prima vacanza da sola, a Palma di Maiorca con due amiche. Cadde dal balcone di un albergo e la polizia spagnola archiviò frettolosamente come suicidio.
Gli imputati
Per questo fatto in primo grado erano stati condannati a sei anni di reclusione i due giovani aretini, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, entrambi di Castiglion Fibocchi, accusati di tentata violenza di gruppo e morte come conseguenza di altro reato. Secondo il Tribunale di Arezzo, Martina precipitò dal balcone della camera dove alloggiavano i due ragazzi – nello stesso hotel della studentessa genovese – per fuggire a un tentativo di stupro.
In appello invece, lo scorso 9 giugno, Albertoni e Vanneschi sono stati assolti dall’accusa di tentata violenza sessuale mentre è stata dichiarata prescritta l’imputazione di morte come conseguenza di altro reato. i giudici non avevano saputo dare un perchè alla tragedia, ma avevano parlato di “un litigio, un malore, un approccio di natura sessuale o anche un tentativo di violenza che potesse aver innescato in lei la spinta a un gesto autolesivo o comunque uno stato psicologico di non pieno controllo di sè”.
La sentenza della Corte di appello di Firenze è stata impugnata dalla procura generale di Firenze per “indizi non valutati”, per “motivazione contraddittoria” e per una “valutazione frazionata e priva di logica degli indizi”.
La battaglia dei genitori
I due imputati oggi non sono venuti in Cassazione, sono rimasti a casa in contatto con i loro avvocati. In udienza c’erano, invece, come del resto ci sono sempre stati, i genitori di Martina. Bruno Rossi, una vita da camallo nel porto di Genova a lavorare e lottare per i diritti dei lavoratori, e Franca Murialdo, insegante. Entrambi in pensione, hanno passato gli ultimi due lustri della loro vita a “ricercare la verità per Martina e a ridarle dignità “.
Anche questa mattina, aveva detto Bruno mentre rientrava nel suo albergo della Capitale dove aspettava notizie, “abbiamo sentito dire delle enormi falsità sul nostra figlia. Che era drogata, che era depressa, che si era buttata giù per una delusione d’amore. Ma continuiamo a sperare”.
Il pg e gli errori
Il sostituto procuratore generale, del resto, come annunciato è stato molto duro, e ha chiesto di annullare le assoluzioni di Albertoni e Vanneschi. Nel ricorso depositato nei giorni ha scorsi ha messo nero su bianco, a proposito della sentenza di Appello, una “motivazione contraddittoria”, una “valutazione frazionata e priva di logica degli indizi”, un “travisamento di circostanze decisive”.
E ancora: “E’ stato commesso un evidente errore sul punto di caduta della Rossi che ha inficiato tutto il ragionamento probatorio, Nessuna certezza sugli esami tossicologici: collegare una sigaretta di hashish, fumata in due, al comportamento di Martina sembra esagerato”.
(da agenzie)
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