Gennaio 25th, 2021 Riccardo Fucile
NELLE CONSULTAZIONI DETERMINANTI QUATTRO ATTORI: CHI SARANNO I “RESPONSABILI”, RENZI, LE MOSSE DI BERLUSCONI E IL M5S
Dunque Conte si dimette, anzi è costretto a dimettersi, cedendo al pressing di quanti, tra Pd e Cinque stelle, suggeriscono di “non cadere in Aula” perchè logica vuole che se uno cade in Aula, poi difficilmente può giocarsi il “reincarico” per la formazione di un nuovo governo.
E da domani inizia un altro film: dimissioni, consultazioni, percorso che porterà alla formazione di un altro governo.
Quella che si apre con le dimissioni di Conte non è una “crisi pilotata”, di una maggioranza che è tale, dove una forza politica chiede una “svolta”, un “cambio di passo”, un “nuovo programma” (chiamatelo come volete”) e un nuovo assetto. E lì arriva.
È una crisi in cui i “piloti” hanno già deragliato, e una maggioranza che tale non è cerca di consolidarsi proprio nella crisi.
L’idea con cui si entra alle consultazioni è quella di arrivare a un “Conte ter”: Conte si dimette, Pd, Cinque Stelle, Leu indicano il suo nome per un nuovo governo, il premier uscente ottiene un reincarico e nel frattempo si appalesa un gruppo di responsabili disponibile a sostenerlo, il che dovrebbe portare alla nascita di un nuovo governo, magari anche con Renzi, ma non più in una posizione determinate.
Queste le intenzioni.
Il problema però è che tra le dimissioni e l’eventuale reincarico ci sono di mezzo le consultazioni e cioè un quadro nuovo in cui in cui agiscono più attori.
Il primo attore è proprio il gruppo che dovrebbe nascere, di cui va innanzitutto verificata la consistenza numerica e la compatibilità politica con l’appello alla nazione che Conte farà nel tentativo di allargare il suo sostegno parlamentare.
La formula che userà è “governo di salvezza nazionale”, per favorire l’avvicinamento di quei pezzi di centrodestra, dall’Udc al gruppo Cambiamo di Giovanni Toti, il che non è un dettaglio in termini politici, perchè ha come conseguenza una revisione di politiche e di assetti.
Ad esempio, in un governo del genere, può rimanere al suo posto il ministro Bonafede? Purtroppo la relazione sulla giustizia non è come Autostrade o gli altri dossier di cui si è celebrata l’arte del rinvio. Prima o poi dovrà andare in Aula.
E dunque la crisi si gioca anche su un terreno delicato e dirompente come la prescrizione, proprio quello su cui era iniziata un anno fa prima dell’emergenza, quando il governo era sul punto di cadere.
Il secondo attore è Renzi, che un Conte ter lo aveva proposto subito dopo le elezioni americane, come percorso condiviso, ma che evidentemente adesso giocherà a formare un altro governo senza Conte, consapevole che, nel nuovo quadro, saltato il tappo anche nei partiti nei prossimi giorni si svilupperanno dinamiche nuove perchè nei Cinque stelle non tutti sono disposti ad appiccarsi a Conte e nemmeno nel Pd. L’apertura formale della crisi sposta cioè la discussione da “Conte o morte” a “Conte ter o nuovo governo”.
Il terzo attore è Berlusconi, la cui dichiarazione odierna sull’“unità nazionale” come alternativa alle urne manifesta una novità politica e una differenziazione all’interno del centrodestra sovranista col suo “al voto, al voto”. Non è questione di poco conto perchè proprio il vecchio Silvio, fautore di un approccio non convenzionale ai limiti dell’antipolitica è colui che dà una risposta più di sistema, senza farsi risucchiare nè nel gorgo governista (la famosa maggioranza Ursula con Conte) nè nel gorgo populista, neanche dopo le lusinghe di una sua candidatura al Quirinale da parte di Salvini, in cambio del sostegno al voto.
Il quarto attore sono i Cinque stelle, che al primo giro certamente chiederanno il reincarico a Conte, ma già hanno fatto capire che il sostegno dura fin quando l’alternativa non è con la propria sopravvivenza che le urne metterebbero a rischio. I sospetti all’interno del Pd attorno a un accordo tra Renzi e Di Maio per un governo guidato da quest’ultimo sono indicativi proprio delle preoccupazioni sulla loro tenuta, qualora dovesse franare il tentativo di una maggioranza chiara attorno a un Conte ter.
Tutto questo pone un problema più di fondo, destinato a manifestarsi alle consultazioni. Se cioè siamo di fronte a una crisi politica di una legislatura difficile o se si manifesteranno tutti i segni di una più complicata crisi di sistema, dalla quale si esce solo con una risposta di sistema.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2021 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA RISCHIA DI SPACCARSI, BERLUSCONI CERCA DI EVITARE LA FUGA E MEDIA… OBIETTIVO DI CONTE: ARRIVARE A 161 AL SENATO, COSI’ RENZI NON SARA’ PIU’ DETERMINANTE
“Oggi sono più ottimista. Le cose prendono corpo, la situazione si sta sbloccando. La strada per un’ampia maggioranza che arrivi fino al 2023 si può imboccare”.
Il sottosegretario Ricardo Merlo è uno dei traghettatori di “responsabili” in Senato grazie al nuovo gruppo esplicitamente contiano “Maie-Italia 23”.
Sa bene che c’è un pezzo di Parlamento pronto a dare il “soccorso centrista” al premier, ma a condizioni date.
Da giorni Paola Binetti, professoressa e anima più governista del trio Udc, lancia messaggi in bottiglia: “Conte si deve dimettere, deve nascere un governo nuovo con un’operazione politica. Sostenerlo? Sì, ma il premier ci dia dignità ”.
E’ quest’ultima la parola magica. Significa che, in linea con i desiderata del Quirinale e poi a scendere, la “discontinuità ” deve essere incarnata da una quarta gamba della coalizione visibile, ben delineata e non da “un’accozzaglia di voti raccogliticci” come spiega un pontiere.
Palazzo Chigi tra ieri e oggi sta cercando di stringere le maglie della rete in cui potrebbero finire due Udc (con Binetti, Saccone, mentre De Poli resiste al corteggiamento), un paio di senatori di Forza Italia (che smentiscono), e i tre “totiani”, anch’essi però molto alla finestra in attesa di vedere composizione dell’eventuale squadra, tasso di discontinuità , varie ed eventuali.
Paolo Romani e Gaetano Quagliariello si dicono pronti a un esecutivo di salvezza nazionale, ma scettici sul potenziale innovatore e riformatore di un Conte Ter. Si intravvede, dunque, con Sandra Lonardo e i due azzurri già acquisiti (Mariarosaria Rossi e Andrea Causin), una pattuglia che potrebbe scavallare votazioni urgenti o fiducie, ma non in grado di garantire una navigazione tranquilla per oltre due anni di legislatura.
E, soprattutto, che non si manifesterà prima del voto di questa settimana sulla giustizia: gli ultimi calcoli fissavano a 146-148 i Sì della maggioranza (che sulla fiducia a Conte si erano attestati a 156, comunque sotto la maggioranza assoluta di 161), con l’obiettivo psicologico di “quota 150” ma con il rischio sulla carta di finire sotto per colpa della saldatura di centrodestra e “garantisti” contro il Guardasigilli, Alfonso Bonafede. Prospettiva che tanti disinnescano chiamando in causa l’incrocio di assenze e astensioni, ma che terrorizza l’esecutivo.
Ecco perchè a Conte è arrivato forte e chiaro il segnale di Pierferdinando Casini, colomba governista: dimettersi e riaprire il canale con Matteo Renzi non è una scelta, è l’unica via per restare in sella. Trattare con Italia Viva, accogliere i segnali di “disponibilità ” che da Ettore Rosato a Teresa Bellanova si susseguono.
Un cedimento che Conte ancora non digerisce, e che i pontieri più avveduti come Bruno Tabacci cercano di portare avanti da una posizione di forza. A Palazzo Madama i reclutatori si muovono lungo due direttrici: “Bisogna portare la maggioranza del Conte Ter a 161 senza i renziani. In modo che quando si aggiungeranno, una parte o tutti, non saranno comunque determinanti”. Al “Conte dimezzato”, pronunciato da Renzi, il premier vuole rispondere — alla peggio – azzoppando il potere negoziale dell’avversario. Le quarantott’ore si consumano e la guerra di nervi continua.
Le dimissioni di Conte sono il nastro di partenza, ma il traguardo è tutt’altro che unitario. “Il premier si dimetta e apra una fase nuova” ha ribadito la capogruppo a Montecitorio Mariastella Gelmini. Quale però? Lo scenario del Conte Ter con innesti centristi e rientri renziani o il sospirato governissimo con tutte le forze responsabili dentro?
Dall’inizio della crisi Forza Italia è il partito più bersagliato da sospetti, illazioni e tentazioni. Le voci di uno smottamento dei gruppi azzurri sono ormai un sottofondo della trattative sui “responsabili”.
Al punto che per chiudere ogni spiraglio di “soccorso azzurro” a eventuali Conte Ter oggi è intervenuto direttamente Silvio Berlusconi (irritato per le telefonate arrivate a diversi singoli parlamentari). Anche per “scagionare” Gianni Letta, capo delle colombe insieme a Renato Brunetta: “Nè io nè miei collaboratori o parlamentari abbiamo in corso trattative di qualsiasi tipo per sostenere il governo in carica. Ci rimettiamo a Mattarella: o governo di unità nazionale o voto”. Spingendosi oltre: “Garantisco io l’assoluta unità del partito”.
Un impegno che ha ribadito a chi lo ragguagliava sulle correnti che agitano Forza Italia: un terzo dei novanta deputati e una decina di senatori sono in agitazione.
La mossa di presentarsi al Colle per chiedere le elezioni, sull’onda delle istanze leghiste e FdI, è stata letta da molti come “un harakiri”. Sterzare sul governissimo “se ce lo chiederanno, ma finora hanno detto loro di no” non ha calmato gli animi. Le perplessità restano.
Eppure, Forza Italia è un barilotto di dinamite a cui manca l’innesco. Le smentite di defezioni (per ora) fioccano. Anche malpancisti più a disagio per l’Opa salviniana, come Osvaldo Napoli o Daniela Ruffino, si chiamano fuori da avventure spericolate. Mara Carfagna, data in partenza per lidi centristi insieme a Giovanni Toti, non si muoverà prima che Conte cali le sue carte.
A Montecitorio si parla molto di una decina di deputati “anche giovani” con le valige in mano.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2021 Riccardo Fucile
DOMATTINA AL QUIRINALE SPERANDO DI FORMARE UN NUOVO GOVERNO… COSA SI STA MUOVENDO
Prova l’ultima spericolata mossa che lo mantenga in sella. Giuseppe Conte domani mattina riunirà alle 9 il Consiglio dei ministri e comunicherà l’intenzione di dimettersi. Poi salirà al Quirinale.
Quel che succederà quando il premier dimissionario uscirà dal portone del Colle è nelle mani di Sergio Mattarella, ma la mossa del premier nei suoi piani è funzionale a una crisi lampo e un reincarico, dalla quale uscire con una nuova maggioranza di governo.
“È convinto di avere in mano una pattuglia di senatori di area centrodestra”, spiega a sera una fonte dell’esecutivo.
L’intento è chiaro: certificare un passaggio formale a un nuovo governo che marchi la discontinuità con la maggioranza giallorossa, costruire in fretta un nuovo programma e una nuova squadra, e risalire al Quirinale per un nuovo mandato.
I margini sono strettissimi. Se è vero che proprio sulla discontinuità e l’apertura di una strada verso un Conte-Ter è stata la richiesta di molti degli interlocutori annoverati tra i possibili responsabili, è anche vero che fino ad adesso la caccia non ha dato alcun frutto.
Il premier confida nell’effetto attrattivo che confida la mossa possa avere.
Le voci di un drappello di senatori disponibili a Palazzo si rincorrono senza sosta, chi ne accredita quattro, chi otto, chi si spinge fino a undici.
L’ideale per il premier sarebbe quello di chiudere la partita in 24, 48 ore al massimo, un gruppo omogeneo che gli consenta di risalire al Quirinale con una maggioranza non posticcia e avendo sostituito Matteo Renzi al governo.
Una strada rischiosa, perchè il capo del Governo sa che le possibilità di non rimettere piede a Palazzo Chigi sono concrete. Ma è anche l’unica chance che ha per non venire travolto dal voto previsto al Senato sulle comunicazioni di Alfonso Bonafede, che ne avrebbe definitivamente azzoppato le velleità di sostituire, per la seconda volta, se stesso.
La decisione è stata tormentata. Il premier non avrebbe voluto arrivare a tale passo, perchè sa che dal momento in cui rimetterà l’incarico nelle mani di Mattarella non dipenderà più da lui il timing e il tentativo di ricomposizione della crisi.
Ma il pressing del Pd e di ampia parte del Movimento 5 stelle, e le richieste in tal senso da parte di molti fra i responsabili, senza i quali il voto sul Guardasigilli sarebbe stato letale (voto che, a seguito delle dimissioni, non si terrà ) l’hanno portato verso una decisione che l’insuccesso della campagna di reclutamento ha reso obbligato.
La mossa è studiata nei minimi dettagli. Fin dal mattino trapelano spifferi su una salita serale al Colle, l’entourage del presidente del Consiglio non si dimette, dai partiti di maggioranza parte una batteria di dichiarazioni in sua difesa che coinvolgono tutti i leader (Zingaretti, Crimi, Speranza).
Alle 19.20 gli spifferi vengono azzerati da una nota ufficiale: ”È convocato per domani mattina alle ore 9 il Consiglio dei ministri nel corso del quale il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, comunicherà ai ministri la volontà di recarsi al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni. A seguire, il presidente Conte si recherà dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella”. È il segnale di discontinuità che i responsabili chiedevano, l’ultimo appello per cercare di far quadrare il cerchio.
“Conte passerà tutta la notte a gestire in prima persona le trattative”, spiega un esponente del governo. I contatti tra il premier e Gianni Letta non sono un segreto, un filo rosso che in questi giorni non si è mai interrotto.
Nella lista da spuntare figurano almeno due dei tre senatori dell’Udc, Binetti e Saccone, mentre sul terzo, De Poli, non si coltiverebbero speranze.
Poi i tre esponenti di Cambiamo, Romani, Quagliariello e Berutti, ai quali si unirebbero almeno cinque o sei azzurri, portando il conto a quei dieci/dodici elementi che sono fondamentali per l’operazione.
Nella migliore delle ipotesi, Conte punta a chiudere le trattative prima di salire al Quirinale, per presentare al presidente della Repubblica un quadro già delineatosi in suo favore.
Ma basta che uno delle tessere dell’azzardo salti, per far crollare il piano e aprire una terra incognita fatta di consultazioni e manovre dei partiti. Un terreno dove giocherebbe la sua partita anche Matteo Renzi, al quale oggi Zingaretti ancora una volta chiude la porta, intestandogli la responsabilità della crisi. Ma sono molti nel Pd a non voler legare il destino del governo e della legislatura alla figura del premier, e una sua sostituzione in ragione della ricucitura con l’ex rottamatore è un elemento ricorrente nei conciliaboli dei parlamentari Dem.
L’ultima carta è quella più rischiosa per Conte, al quale arrivano anche dagli ambienti a lui più affini frecciate piene di rancore: “È una crisi iniziata due mesi fa – dice un parlamentare M5s – È vero che Renzi ha fatto uno strappo senza senso, ma è anche vero che da dicembre Conte non ha fatto nulla per fermarla, si è rinchiuso nel solito immobilismo”. Nel tardo pomeriggio si riuniscono ministri e sottosegretari pentastellati, fanno il punto sulla situazione, squadernano il piano di Conte, ancora appeso ai responsabili. Uno di loro sibila: “Così comunque non arriviamo a fine legislatura”. Ma per Conte e per la sua maggioranza sarebbe già tanto capire come si arriverà a domani sera.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2021 Riccardo Fucile
CONTE DOVREBBE RICEVERE DA MATTARELLA L’INCARICO PER VERIFICARE UNA NUOVA MAGGIORANZA
Non bisognerà aspettare mercoledì 27 gennaio, giorno della votazione sulla relazione del ministro Alfonso Bonafede a Palazzo Madama, per sapere se il governo ha i numeri per andare avanti.
Giuseppe Conte, martedì 26 gennaio, salirà al Colle per aggiornare il presidente della Repubblica sugli sviluppi della crisi di governo. Da Mattarella, il premier rassegnerà le dimissioni e poi, verosimilmente, accetterà un nuovo mandato per cercare di comporre una maggioranza a sostegno il cosiddetto Conte ter.
Il personale del Palazzo del Quirinale ha allestito le sale dove sarà ricevuto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte già dalla mattina del 25 gennaio.
Dopo ore convulse, fonti di Palazzo Chigi hanno fatto sapere alla stampa che il Consiglio dei ministri è stato convocato alle 9 del 26 gennaio. Conte comunicherà le sue dimissioni prima ai membri del governo, come da prassi istituzionale, e poi andrà al Quirinale per rimettere il mandato al presidente della Repubblica.
Nella serata di oggi, invece, il Dem Dario Franceschini ha indetto una riunione con gli altri ministri Pd. All’incontro partecipa anche il segretario Nicola Zingaretti.
Il Partito democratico ha definitivamente abbandonato la linea del “mai più con Renzi”. Le possibilità che Italia viva torni in maggioranza crescono e, contestualmente, aumenta anche il numero di Dem che mettono in discussione la leadership di Conte.
Un parlamentare del Pd, in anonimato, dice a Open: «Finalmente si ritorna a un percorso ordinato per risolvere la crisi: la palla torna al Quirinale, evitando forzature in aula. Adesso si può verificare davvero chi ha voglia di stare al governo e chi no, senza l’azzardo della conta alla Camera e al Senato e con la garanzia che sia il Quirinale a tenere le fila della crisi».
(da Open)
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Gennaio 25th, 2021 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DI JACOPO FO CHE HA UNA STRUTTURA RICETTIVA E UNA COMPAGNIA TEATRALE PER LA QUALE HA RICEVUTO ALTRI 25.000 EURO
“Noi abbiamo ricevuto tutti i ristori previsti: oltre 32mila euro totali che arriveranno a 45mila con la terza tranche. E’ una cosa che non era mai successa in passato: dire che il governo non ha fatto nulla mi pare ingiusto“.
Mentre da Milano a Roma piccoli gruppi di ristoratori protestano contro le chiusure compensate con aiuti definiti “ridicoli”, l’attore e scrittore Jacopo Fo descrive per esperienza diretta un quadro diverso.
Le restrizioni anti contagio hanno fermato tutti i corsi in presenza della Libera Università di Alcatraz, l’associazione culturale sulle colline umbre che comprende alloggi e un ristorante, e le attività della compagnia teatrale Fo Rame.
E i contributi a fondo perduto calcolati in percentuale rispetto al fatturato perso durante il lockdown — e raddoppiati per il mese di novembre — sono arrivati puntualmente sul conto, come del resto è successo a circa 3 milioni di attività cui l’Agenzia delle Entrate ha versato in totale oltre 10 miliardi. In attesa del quinto e ultimo decreto Ristori, atteso a giorni.
“Per le attività di ospitalità e ristorazione di Alcatraz abbiamo preso 14.640 euro, che supereranno i 20mila con la tranche per il mese di dicembre”, spiega Fo. “Più 18.042 per la compagnia teatrale, che arriveranno a 25mila con la terza tranche”.
E la seconda, quella messa in campo per sostenere chi ha dovuto chiudere a novembre, “è arrivata in automatico“, così come a tutti i ristoranti e alle altre attività (comprese quelle “nel campo della recitazione”, altro codice Ateco incluso nella lista) che avevano già ottenuto la prima tornata. “In più abbiamo ottenuto due prestiti da 25mila euro (quelli garantiti al 100% dallo Stato e da restituire in dieci anni, ndr)“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 25th, 2021 Riccardo Fucile
NON AVEVAMO DUBBI, ALTRIMENTI NON CI SAREBBE STATA LA CRISI DI GOVERNO
Confindustria affonda il colpo: “Il piano non è conforme alle linee guida di Bruxelles, bisogna fare le riforme strutturali”. E poi un’altra spina nel fianco: non si può sfuggire dalla questione della governance, di chi cioè gestirà i soldi. Tema delicatissimo, che ha aperto la querelle con i renziani, e che il premier ha rinviato a data da destinarsi.
Nella lunga lista delle cose che non vanno di Confindustria, quella principale è lo scollamento tra la direzione che la Commissione europea ha indicato venerdì, con le nuove linee guida, e quella del piano italiano messo a punto negli scorsi giorni.
Scrive l’associazione degli industriali di viale dell’Astronomia: “Le riforme strutturali devono essere quelle indicate da anni nelle raccomandazioni periodiche all’Italia, quindi prima di tutto quelle del mercato del lavoro, della Pa e della giustizia e ogni intervento va progettato seguendo questa metodologia”.
Quindi vanno bene le sei missioni contenute nel Recovery plan, va bene anche un dettaglio maggiore di come i soldi saranno spesi, ma – è il ragionamento – tutto si tiene e tutto ha senso solo se si fanno quelle riforme che Bruxelles raccomanda all’Italia da anni. E che non sono mai state fatte. Un concetto che qualche minuto dopo l’incontro con Bonomi, ribadisce anche il presidente di Confapi Maurizio Casasco: “Prima le riforme, poi i soldi”, aggiungendo alla lista di Confindustria un’altra riforma organica e altrettanto spinosa, quella delle pensioni.
Perchè la partita sul Recovery si è complicata per Conte lo spiega bene questo punto. Per due ragioni. La prima: lo stato dell’arte del Governo. Già si fa fatica a tenere blindato il decreto Ristori 5, figurarsi mettere in cantiere le riforme strutturali.
La seconda, che si collega alla prima: mettere mano ai temi come la flessibilità nel mondo del lavoro o all’assetto del lavoro degli statali significa andare a toccare interessi, questioni molto più ampie. Soprattutto bisogna godere di un consenso molto ampio quando si passa dalle parole ai fatti.
Ora l’Europa dice che queste riforme vanno fatte, aggiungendo una condizione che questa volta non può essere elusa dall’Italia: niente riforme, niente soldi.
L’Italia, come tutti gli altri Paesi, deve indicare quali riforme intende fare per garantire l’attuazione del Recovery plan. E deve anche spiegare come intende superare quegli ostacoli che negli ultimi anni sono state indicate come le cause che hanno reso impossibile la messa a terra di queste riforme.
Ma la questione delle riforme non è la sola che complica le cose per Conte. C’è – come si diceva – il tema della governance.
L’ultima bozza del piano italiano cancella la task force dei tecnici e il triumvirato Conte-Patuanelli-Gualtieri, rimanda alla fase due del Recovery, quella del confronto con le parti sociali e con il Parlamento.
Ma il tentativo, fallito, del premier di sminare la questione per firmare la tregua con i renziani, si è trasformata in un boomerang. Sempre Confindustria: La governance “non è ancora delineate e a nostro avviso dovrebbe prevedere modalità di confronto strutturato e continuativo con le parti sociali e un loro coinvolgimento lungo tutto il processo di esecuzione dei progetti”.
Tradotto: va bene il disegno generale, ok anche alla ripartizione dei soldi, ma quando i progetti diventeranno veri, quando cioè dovranno essere eseguiti, allora anche le imprese dovranno sedere nella stanza dei bottoni.
La lista delle critiche delle imprese si allunga con l’indicazione di merito sulla stima degli obiettivi in relazione all’occupazione. La domanda a cui il Governo deve rispondere è: che effetto avranno i contenuti del Recovery plan in termini di ripresa, spinta alle imprese, posti di lavoro?.
Per Confindustria, questa fetta importante della strategia manca. E invece serve. Il rischio – viene spiegato – è che “ogni valutazione rischia di ridursi ad una mera somma di richieste, in nome dei diversi interessi economici e sociali”. E poi ancora un affondo sul capitolo infrastrutture, con “il gap” dei 35 decreti attuativi non ancora emanati e i “ripetuti interventi” del decreto Semplificazioni. In altre parole: la burocrazia statale che blocca i cantieri.
Ma se il Recovery impatta su una progettualità di medio-lungo periodo, ci sono questioni che traggono origine da questa discussione e che sono più impellenti. Anche con queste Conte dovrà fare i conti molto presto. Il 31 marzo termina il blocco dei licenziamenti, si apre la grande questione delle dinamiche del mondo del lavoro, il rischio di una questione sociale, oltre che puramente economica. Oltre alla misura contingente (il Governo valuta una proroga dello stop ma solo per le categorie più a rischio), c’è da capire come reggere l’urto, a maggior ragione se le restrizioni anti Covid dovessero proseguire per ragioni di salute.
Confindustria ricorda che da tempo bisognava pensare a una riforma degli ammortizzatori sociali e a una sulle politiche attive del lavoro. L’esecutivo è a lavoro, ma entrambe non prendono forma. Anche perchè si tirano dietro problemi che sono anche politici: dal consenso con Cgil, Cisl e Uil a quella dei navigator.
Il fianco debole per Conte è quello: la necessità di calare riforme strutturali in un contesto, ancora, di emergenza. Politica, prima ancora di quella che sta attraversando il Paese a causa del virus.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2021 Riccardo Fucile
PUTIN NEGA CHE LA VILLA SUL MAR NERO SIA SUA
«Illegali, pericolose e controproducenti». Così il presidente russo Vladimir Putin ha definito le recenti proteste di massa contro la detenzione del suo principale rivale, Alexei Navalny. «Tutti hanno il diritto di esprimere il proprio punto di vista, ma nel rispetto della legge. Ciò che oltrepassa i limiti della legge è controproducente e pericoloso e ha già portato a una scossa della società di cui tutti soffrono», ha detto Putin, alla tv Dozhd. Sabato scorso, 23 gennaio, a Mosca, migliaia di persone hanno protestato contro la detenzione di Navalny.
Nonostante le parole di Putin, però, i manifestanti non sembrano intenzionati a fermarsi. Su Twitter Leonid Volkov, coordinatore delle sedi regionali del Fondo Anti-Corruzione di Navalny, ha invitato a scendere nuovamente in piazza il 31 gennaio alle 12.
Le nuove proteste avranno luogo «in tutte le città della Russia. Per la libertà di Navalny. Per la libertà di tutti. Per la giustizia. Tutti i dettagli più tardi», ha scritto.
Intanto, sul fronte della video-inchiesta Un palazzo per Putin pubblicata dalla fondazione di Navalny, il presidente Putin ha negato in un’intervista che lui o i suoi familiari possiedano la villa lussuosa sul Mar Nero di cui riferisce il Fondo Anticorruzione. «Non ho visto il filmato per mancanza di tempo, ma ho dato un’occhiata alle raccolte video che mi hanno portato gli assistenti. Nulla di ciò che vi è indicato appartiene a me o a miei parenti stretti, nè gli è appartenuto», ha detto Putin.
Secondo l’inchiesta, la villa — dotata di eliporto, un campo da hockey sotterraneo, una serra, un anfiteatro e un tunnel che porta direttamente al mare — è stata pagata con fondi illegali.
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2021 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI PADULI, NEL SANNIO, CHIEDE LA RIMOZIONE DEL SACERDOTE
Il vaccino anti Covid è “una porcheria”. E giù con tesi complottiste. La voce non viene da un profilo fake sui social, ma dal pulpito di una chiesa, dove i fedeli sono riuniti per la messa serale e il parroco in carica non è presente e ha lasciato la funzione a un sostituto, che arringa gli accoliti e accusa scienziati e governi.
E’ accaduto a Paduli, dove a officiare il rito è stato il parroco di Sant’Arcangelo Trimonte, don Francesco. “Voi pensate che chi sta inventando i vaccini lo fa per il vostro bene – dice il prete, rivolgendosi ai fedeli riuniti – e credete ancora di più che, dopo aver iniettato quel poco di porcheria, fatta anche con gli aborti, non potete più morire. Eppure, ed è realtà , è sui giornali, un uomo, nonostante il vaccino il giorno prima, è morto di infarto. Pensava che si era salvato, il giorno dopo lo hanno messo nella bara”.
Parole che hanno sconcertato gli abitanti del piccolo comune sannita, e la reazione del sindaco, Domenico Vessichelli, rispecchia l’incredulità di tutta la comunità .
“Avventato” lo definisce il sindaco che spera in un equivoco o in un’espressione infelice. “Noi abbiamo un’idea opposta – precisa – il vaccino è l’unica strada per la salvezza, anzi siamo preoccupati per il ritardo nella consegna delle dosi. Anche il nostro parroco è rimasto perplesso da queste parole. Ci tengo solo a dire che non voglio che Paduli venga strumentalizzata da una persona che ha parlato a titolo puramente personale e che non rappresenta la nostra comunità “.
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2021 Riccardo Fucile
IL SINDACO: “OFFESA NON SOLO PER LA DONNA MA PER TUTTA LA CITTADINANZA”
“Ve la diamo gratis’: slogan volgare corredato da foto sexy per pubblicizzare sanificazioni e pulizie in uffici, negozi e supermercati.
Una pubblicità sessista che ha sollevato indignazione sui social e ha spinto il Comune di Lizzanello (Lecce), in cui ha sede legale la ditta, a dotarsi d’urgenza di un regolamento per bloccare l’affissione di questo manifesto e qualsiasi altro contenuto sessista ed escludere le aziende responsabili di campagne discriminatorie dalle negoziazioni private con l’amministrazione.
“Pulizia e sanificazioni. Ve la diamo gratis per un mese a ogni contratto annuale” recita il manifesto circolato in rete e corredato dall’immagine di una ragazza vestita da cameriera sexy con un vestitino retrò e uno scopino in mano.
Immediatamente nel Salento è montata l’indignazione. La pubblicità ha scatenato un vespaio di polemiche da parte di chi parla di un messaggio di chiaro stampo sessista, in cui la donna e il suo corpo vengono utilizzati come oggetti per vendere un prodotto.
“Non volevamo in alcun modo lanciare un simile messaggio – spiega il responsabile legale dell’azienda – la locandina è stata realizzata dall’azienda che gestisce l’immagine della ditta che ha scelto uno slogan solo un po’ diverso ma mai e poi mai possiamo essere tacciati di sessismo. Peraltro l’80 per cento del nostro personale è composto da donne. A ogni modo dispiace dover constatare insulti e cattiverie. In un mondo civile non è questo il modo di manifestare il proprio dissenso e per dimostrare la nostra buona fede ci scuseremo con una lettera che sta preparando il nostro legale Andrea Maggiulli chiarendo, una volta per tutte, quest’equivoco”.
Tutto rientrato? Per nulla. Il sindaco del paese salentino, Fulvio Pedone, parla apertamente di una locandina “offensiva non solo per tutte le donne ma per l’intera popolazione che ho l’onore di rappresentare”. “Non potevamo rimanere in silenzio e far finta di nulla davanti ad uno slogan che rischiava di accomunare la nostra comunità con idee che non ci appartengono e che mai ci apparterranno” spiega il sindaco. E nelle prossime ore sarà fatto qualcosa di concreto.
Nella giornata di lunedì 25 gennaio, invocando la Raccomandazione CM/Rec(2019)1 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla prevenzione e la lotta contro il sessismo, l’amministrazione redigerà un regolamento comunale che, ispirato al rispetto dei principi fondamentali, escluderà dalla negoziazione privata col Comune le imprese che si siano negativamente distinte per comportamenti sessisti, discriminatori e razzisti, oltre a negare ogni forma di affissione pubblicitaria di natura sessista. Un atto concreto, forte contro un “problema subdolo e che esiste davanti al quale non si può rimanere passivi”.
(da agenzie)
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