Giugno 2nd, 2022 Riccardo Fucile
NON SOLO GIORGETTI, ALLA FINESTRA CI SONO ANCHE FEDRIGA E ZAIA, I GOVERNATORI CHE FINORA HANNO SEMPRE RIFIUTATO LE OFFERTE DI LASCIARE IL NORDEST PER TORNARE ALL’IMPEGNO NAZIONALE
La strategia internazionale di Matteo Salvini e la sua rete tessuta in gran silenzio con Antonio Capuano stanno provocando un incendio che non si può spegnere con un monologo su Facebook. Il segretario ora ha un fronte interno da affrontare, con il rischio concreto che i mugugni prendano corpo.
I suoi sono spiazzati. Quando li invitano in televisione o alla radio, declinano all’ultimo, niente interviste, «non oggi».
La diplomazia parallela di Salvini ha messo in imbarazzo anche i più fedeli tra i suoi, quelli che non lo hanno mai attaccato, ma che adesso non sanno più cosa dire, davanti alle mosse di un capo che li ha scavalcati e anche disorientati. Il malessere cova da tempo e fino a oggi non ha portato frutti concreti, tanti borbottii e poi basta un consiglio federale per rimettere tutti in riga.
Ora però qualcuno inizia a muoversi in maniera più decisa e qualche elemento inizia a esserci.
Paolo Damilano, l’imprenditore che il centrodestra aveva candidato a sindaco di Torino, ha abbandonato la coalizione denunciando «una deriva populista», una mossa che viene considerata da molti come una sorta di “pesce pilota” verso un approdo che non è ancora definito, ma che potrebbe coinvolgere governisti e governatori, ovvero il contropotere istituzionale all’interno della Lega.
Lo stesso Salvini ha annusato il pericolo di una scissione nel partito e i suoi fedelissimi in Parlamento hanno insinuato che dietro alla mossa di Damilano ci fosse Giancarlo Giorgetti, amico personale dell’imprenditore, e, a sentir loro, anche ispiratore dei suoi esperimenti centristi. Alla finestra ci sono anche Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, i governatori che finora hanno sempre rifiutato le offerte di lasciare il Nordest per tornare all’impegno nazionale.
La convinzione di molti nella Lega è che di questo passo Salvini non arrivi al 2023 e che quindi occorra muoversi in fretta. Le elezioni amministrative di giugno potrebbero essere, in caso di risultato negativo e di sorpasso definitivo di Giorgia Meloni, l’occasione di un movimento clamoroso, ancora tutto da definire, per affrancarsi da Salvini.
Le difficoltà però sono molte e non inedite: l’individuazione di un eventuale leader di questa nuova creatura e la collocazione in vista delle elezioni politiche dell’anno prossimo.
Senza una modifica della legge elettorale, poi, è difficile per tutti immaginare nuove avventure. Ma a dare credito a queste ipotesi è lo stesso nucleo duro salviniano che parla ormai apertamente, sebbene in privato, di manovre ostili «volte a indebolire il segretario» con il fine di imporre un governo simile a quello attuale, anche dopo le elezioni.
Gli occhi sono puntati sui ministri, Giorgetti e Massimo Garavaglia, accusati di aver accettato ogni decisione di Mario Draghi a scapito della linea del partito. A loro viene addebitato il calo netto nei sondaggi. La politica estera del leader del Carroccio sta mettendo in serio imbarazzo anche Forza Italia, specie l’ala guidata da Licia Ronzulli e Antonio Tajani, che ha scommesso su un’alleanza stretta con la Lega e che per questo subisce quotidiani attacchi interni (si veda il caso Gelmini).
Silvio Berlusconi, preso dall’euforia per la promozione in Seria A del suo Monza, ha evitato ogni commento, ma di certo non condivide le ultime mosse di Salvini.
L’opposizione interna azzurra è pronta a rinfacciare ad Arcore gli errori dell’alleato privilegiato, anche per ostacolare ogni idea di federazione o di liste uniche con la Lega.
Ma i guai di Salvini non sono soltanto legati a quelli che in maniera spregiativa vengono chiamati i «draghini».
Anche alcuni tra i dirigenti più legati al segretario ci sono rimasti male a leggere i fantomatici piani di pace elaborati con Antonio Capuano, la cui identità hanno scoperto sui giornali dei giorni scorso. Il fatto è «che Matteo ci ha spiazzati, siamo sotto attacco e non ci ha dato gli argomenti per difenderci», dice un dirigente che chiede di non essere citato.
A questo si aggiunga che si vota fra undici giorni e ai banchetti e ai comizi della campagna elettorale iscritti e simpatizzanti iniziano a chiedere: «Ma cosa fa Salvini?». Il manuale improvvisato prevede di deviare su argomenti locali, ma insomma «serve una linea». E questa linea «andrebbe condivisa con il partito».
Il segretario attribuisce questo malessere alle dichiarazioni avventate di Capuano ed è convinto di recuperare l’appoggio dei suoi, anche scaricando il consulente campano «non autorizzato a parlare in nome della Lega». Obiettivo: ricompattare le truppe in vista dell’offensiva dei governisti.
(da la Stampa)
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Giugno 2nd, 2022 Riccardo Fucile
CHI E’ PREOCCUPATO PER LA FINE DELL’ITALIA FA BENE A ESSERLO: SE UNO TI PRESTA I SOLDI E TU NON GLIELI DAI INDIETRO E’ NORMALE CHE SI INCAZZI
Urca, sta arrivando un altro diabolico complotto ordito dalle élite
globaliste ai danni del povero, indifeso popolo italiano.
Oddio, indifeso non so. Infatti a scorgere il luciferino è stata Giorgia Meloni alla lettura di un report di Goldman Sachs, banca d’affari americana, ovvero zoccoli biforcuti e artigli da usuraio.
Che ha detto il comitato di aguzzini? Ha detto che, con la salita dei tassi di interesse, e la possibile vittoria alle elezioni di Lega e F.lli d’Italia, sempre molto ringhiosi verso l’Ue, ci potrebbero essere preoccupazioni sulla sostenibilità del debito.
Del resto – aggiungiamo qui – il debito italiano è arrivato a duemila e 786 miliardi di euro (provate a scriverla questa cifra).
Ma a Giorgia non la si fa: i poteri forti ci attaccano perché sono preoccupati e fanno bene a esserlo, ha risposto.
Ecco, mettetevi nei panni non dico di un potere forte, anche di un potere medio, o medio piccolo, o un creditore qualsiasi: la risposta di Meloni vi tranquillizzerebbe?
Cioè, arriva una che considera la globalizzazione un castello di sabbia di menzogne e, con quella montagna di debito sparsa nei mercati globali, dice che se i mercati globali si preoccupano fanno bene a preoccuparsi. Già la presenza di Matteo Salvini, uno che esulta per un atto di pirateria scambiandolo per una pacifica iniziativa mercantile, non sembrerebbe pienamente rassicurante.
Aggiungiamo una leader in pectore la quale, a chi gli ha prestato i soldi, e si spaventa all’idea di non averli indietro, dice ok bello, spaventati pure. Il punto non è se ci siano complotti o no, il punto è che con questa sedicente destra italiana non ce n’è nemmeno bisogno.
(da la Stampa)
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Giugno 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“MAGARI SE AVESSIMO SEGUITO IL SUO SUGGERIMENTO AVREMMO AVUTO LA PACE MA NON AVREMMO AVUTO PIÙ L’UCRAINA. UNA PAX RUSSA CHE FORSE AVREBBE SALVATO LA COSCIENZA A BELPIETRO MA NON LA VITA E LA LIBERTÀ DEGLI UCRAINI”
Comprendo il travaglio di Belpietro che mi accusa di non avere idee sulla guerra. In realtà il sottoscritto e questo giornale sulla crisi ucraina hanno avuto fin troppe idee.
Tutte improntate al realismo e condite con un pizzico di pragmatismo, non certo con le pseudo ideologie che la pandemia si è portata dietro.
Consultare le collezioni dei quotidiani per credere: prima degli altri abbiamo ipotizzato un epilogo coreano, il rischio di un conflitto che potrebbe andare avanti per anni ad alta o bassa intensità e, addirittura, la prospettiva di un Paese diviso in due, immaginando quasi tre mesi fa un ipotetico confine che somigliava molto a quello che ora sta venendo fuori dal campo di battaglia.
L’unica idea, invece, partorita dalla eccelsa mente di Belpietro è stata quella di criticare l’invio delle armi. Magari se avessimo seguito il suo suggerimento avremmo avuto la pace ma non avremmo avuto più l’Ucraina. Una Pax russa che forse avrebbe salvato la coscienza a Belpietro ma non la vita e la libertà degli ucraini.
Augusto Minzolini
(da il Giornale)
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Giugno 2nd, 2022 Riccardo Fucile
DOVEVA TENERSI A VILLA GERNETTO, TRATTATIVE FINO A GENNAIO, POI LA GUERRA HA BLOCCATO TUTTO
L’Universitas Libertatis di Silvio Berlusconi voleva ingaggiare Vladimir
Putin per una lectio magistralis a Villa Gernetto. Ma la guerra in Ucraina ha rovinato tutto.
Anche se fino a gennaio i docenti hanno provato ad avere lo Zar in videocollegamento o addirittura di persona.
Lo conferma a Repubblica il prorettore dell’Università Niccolò Cusano Giovanni Puoti, che gestisce il reclutamento dei docenti: «Sì, abbiamo discusso della possibilità di invitarlo nel periodo tra dicembre e gennaio». Ma a far saltare tutto è stato l’invasione: «A quel punto il progetto l’abbiamo dovuto accantonare». Con il rammarico di Berlusconi. Che a quella presenza ci teneva assai.
L’Universitas Libertatis
Nell’articolo a firma di Lorenzo De Cicco si ricorda che l’ateneo voluto da Berlusconi con sede a villa Gernetto nella frazione di Lesmo in provincia di Monza è uno dei progetti più ambiziosi del Cavaliere. L’apertura risale al marzo scorso, dopo un accordo con Stefano Bandecchi, patron di Unicusano.
Il nome doveva essere “Università delle libertà”, ma alla fine si è dovuto soprassedere visto che non si tratta di un vero istituto di studi, anche se i corsi hanno valore legale.
Ma nell’aprile 2010, quando l’università era ancora un progetto, già si puntava in alto. «Vladimir Putin sarà il primo docente dell’università del pensiero liberale che sarà aperta a Villa Gernetto», raccontava il lancio di un’agenzia di stampa dell’epoca.
Anche stavolta, spiega Puoti, è sceso in campo Berlusconi. È stato lui a gestire i rapporti con l’ex amico Vlad. A provare fino all’ultimo a invitarlo. «Noi come comitato scientifico non ce ne siamo occupati. Credo che i contatti fossero tenuti direttamente dal presidente, che Putin lo conosce bene», racconta il professore. Poi lo scoppio della guerra e la rinuncia forzata a quel progetto così ambizioso. Che avrebbe reso l’università il centro del mondo per un giorno. E che oggi acquista un sapore in qualche modo diverso. Se non altro per le parole di critica (poi parzialmente corrette) rivolte a Joe Biden e al governo Draghi per la guerra.
(da agenzie)
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Giugno 2nd, 2022 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DEL WALL STREET JOURNAL: “SONO CENTINAIA”
Quando il 24 febbraio scorso Albert Sakhibgareev ha visto la notifica su Telegram: «La Russia invade l’Ucraina», ha deciso che quella non sarebbe stata la sua guerra, è fuggito dal campo base e si è nascosto.
Il soldato russo era stato mandato nella regione russa di Bolgorod, l’8 febbraio, per effettuare delle «esercitazioni militari», riporta il Wall Street Journal. Ma, il 21 febbraio, quando il presidente russo Vladimir Putin in un discorso ha negato il diritto all’autodeterminazione dello stato ucraino, i telefoni dei soldati militari sono stati confiscati, ed è stato loro detto di indossare giubbotti antiproiettile.
Il giorno dell’invasione, i soldati sono stati svegliati dal rumore delle bombe e da quello dei caccia che volavano sopra le loro teste. Sakhibgareev e i suoi commilitoni non sapevano che quel giorno stavano entrando in guerra.
Mosca ha poche vie legali per punire i disertori
«Nessuno di noi voleva questa guerra», ha dichiarato Sakhibgareev. A centinaia hanno disertato il conflitto e sono fuggiti, rivela il WJS, che ha visionato documenti militari, e raccolto le testimonianze di soldati accusati di non aver difeso la loro patria, e dei loro avvocati.
Finora, però, ci sono state poche conseguenze per coloro che sono fuggiti. Mosca, soprattutto nelle fasi inziali del conflitto, ha subito ingenti perdite – tra le altre, si parla anche di un quarto di tutti gli armamenti stanziati – e non può permettersi di attirare l’attenzione sul problema perché ha bisogno di nuovi arruolati per continuare l’invasione. Il Cremlino si è quindi limitato a esclusioni formali dal servizio militare. Mosca fatica a trovare vie legali di punire i disertori anche perché quella in corso non viene ufficialmente definita una guerra, ma «un’operazione militare speciale».
L’avvocato che ha ricevuto oltre mille richieste d’aiuto dai disertori
«Tantissime persone non vogliono combattere», ha dichiarato Mikhail Benyash al giornale statunitense. Benyash ha ricevuto richieste di assistenza legale da oltre mille disertori che protestano contro la loro esclusione dal servizio militare in seguito al rifiuto di invadere l’Ucraina. Il licenziamento dall’esercito comporta, oltre alla perdita dello stipendio, anche quella dei sussidi speciali sui mutui di cui i soldati dispongono in Russia.
Se le guerra fosse riconosciuta come tale, le conseguenze sarebbero invece ben più severe. La legge russa prevede fino a 10 anni di carcere per i disertori di guerra. Tuttavia, non ci sono le basi per una condanna se i disertori riescono a provare che hanno agito sotto «fortissime pressioni», hanno avuto gravi problemi personali, o si sono rifiutati poiché convinti di stare per fare qualcosa di illegale.
(da agenzie)
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Giugno 2nd, 2022 Riccardo Fucile
L’INNO NAZIONALE UCRAINO TRA L’OVAZIONE ANCHE DEI TIFOSI DELLA SCOZIA: “GRAZIE A OGNI GUERRIERO CHE DIFENDE LA NOSTRA TERRA”
«Grazie per il vostro sostegno! Grazie per aver creduto in noi! Dedichiamo
questa vittoria al popolo ucraino, a ogni guerriero che attualmente difende il nostro Paese. Vinceremo sicuramente questa guerra». Così l’attaccante ucraino Andrey Yarmolenko ha celebrato la vittoria per 3-1 di ieri sera della nazionale ucraina contro la Scozia.
La partita è valsa agli ucraini l’accesso alla finale dei play-off per i Mondiali di calcio in Qatar del prossimo inverno. L’Ucraina sfiderà il Galles.
Yarmolenko, l’attaccante ex West Ham che ieri ha segnato il primo dei tre gol contro la Scozia, ha continuato: «Vogliamo fare un regalo a ogni ucraino. Daremo tutta la nostra forza. Gloria all’Ucraina!».
(da agenzie)
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Giugno 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“VINTA GRAZIE A LORO UNA SFIDA SENZA PRECEDENTI”
«Oggi per la prima volta, le donne e gli uomini del Servizio Sanitario Nazionale partecipano alla celebrazione della Festa della Repubblica». Così il ministro della Salute Roberto Speranza in un post su Facebook dove coglie l’occasione per rendere omaggio al personale sanitario «grazie al quale il nostro Paese è riuscito a vincere una sfida senza precedenti».
In occasione della parata del 2 giugno a Roma per il 76esimo anniversario della Repubblica italiana, medici e operatori sanitari hanno sfilato tra gli applausi. «Una grande emozione e un bel riconoscimento al sacrificio e all’impegno straordinario dei nostri professionisti sanitari durante la pandemia», ha continuato Speranza. «Grazie a loro il Paese ha retto dinanzi ad una sfida senza precedenti ed è a loro che dobbiamo la ripartenza dell’Italia. Non dobbiamo dimenticarlo mai».
«E’ stato un abbraccio collettivo, un applauso che trasmetteva gratitudine e rispetto». A raccontare la sfilata dei sanitari ai Fori Imperiali di Roma è anche Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri. §
Anelli ha camminato in testa al gruppo di medici, seguiti dal personale del ministero della Salute tra i forti applausi della folla presente. «Un’emozione bella e forte. Ci siamo sentiti parte di una Repubblica di cui oggi difendiamo la salute dei cittadini». E ha aggiunto: «Credo ci sia la consapevolezza di come oggi la salute sia strategica per tutti».
(da agenzie)
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Giugno 2nd, 2022 Riccardo Fucile
L’INTELLIGENCE USA E IL NOSTRO CONTROSPIONAGGIO INTERNO (L’AISI) CONTROLLANO DA MESI CHI ENTRA E CHI ESCE DALL’AMBASCIATA RUSSA… A PALAZZO CHIGI ERANO A CONOSCENZA DELLE DATE ESATTE DEGLI INCONTRI RAZOV-SALVINI. ANCHE ALCUNI BIG LEGHISTI SONO STATI MESSI IN ALLERTA (E QUALCUNO HA PASSATO LA NOTIZIA ALLA STAMPA)
I servizi segreti italiani e quelli americani sapevano da mesi, come, quando
e con quali accompagnatori Matteo Salvini incontrava diplomatici russi a Roma.
Non perché spiassero il senatore della Lega ma perché villa Abamelek, sede dell’ambasciata della Federazione guidata dall’ambasciatore Sergej Razov, è monitorata costantemente dall’intelligence Usa e dalla nostra agenzia di controspionaggio interna, l’Aisi.
Un controllo che si è intensificato dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Domani – grazie ad autorevoli fonti convergenti – è in grado anche di rivelare che, per via informale, anche alcuni importanti esponenti di palazzo Chigi erano a conoscenza delle date esatte degli incontri Razov-Salvini.
Alcun esponenti di vertice della Lega sono stati addirittura messi in allerta per la presenza nei rendez vous del nuovo consulente per la politica estera del leader leghista, il misterioso Antonio Capuano. Avvertimenti caduti tutti nel vuoto, visto che gli incontri con l’ambasciatore russo – dopo il primo degli inizi di marzo – si sono susseguiti quasi sempre in presenza dell’avvocato di Frattaminore.
Nonostante le preoccupazioni di Giancarlo Giorgetti e altri big per il curriculum zoppicante di Capuano in materia di rapporti internazionali, l’ex parlamentare di Forza Italia è diventato il regista di una diplomazia parallela non solo a quella del governo Draghi, ma pure a quella su cui stavano lavorando gli strateghi della Lega (Giorgetti, il responsabile del partito per gli Esteri Lorenzo Fontana e la giornalista Mariagiovanna Maglie, amica storica di Salvini)
Sempre Capuano ha accompagnato Salvini anche all’ambasciata americana, il 22 marzo, per un delicato incontro a tre con il capo missione dell’ambasciata a Roma, Thomas Smitham. Gli sherpa Usa restano basiti della presenza del legale campano, che non avevano mai visto prima.
Gli americani avevano sempre tenuto rapporti minimi con Salvini perché considerato, dai tempi dello scandalo dell’Hotel Metropol, non affidabile e troppo vicino alla cerchia di Vladimir Putin.
A guerra appena iniziata entra in campo Capuano, che suggerisce al leader leghista di chiedere lui agli americani un appuntamento formale. Dallo staff del senatore dicono però che «l’incontro tra Salvini e Smitham è stato preso unicamente tramite canali istituzionali». Se la presenza di Capuano è confermata («è verosimile»), viene invece negata la circostanza che sia stato Capuano a “vendersi” il meeting per ottenere una consulenza economica dal partito (mai arrivata).
Il colloquio, si legge nel comunicato stampa, aveva al centro «consultazioni su argomenti di interesse reciproco con particolare riferimento alla guerra in Ucraina». Difficile sapere se Salvini e Capuano abbiano parlato con Smitham delle loro interlocuzioni con l’ambasciata russa, del piano di pace in salsa padana o dell’intenzione di volare a Mosca per chiedere un cessate il fuoco. Da via Veneto dicono solo «di incontrare regolarmente tanti rappresentanti politici: ma in genere non diamo informazioni sul contenuto delle conversazioni».
La versione fornita dal governo a Domani è che il premier e i suoi consiglieri nulla sapevano delle interlocuzioni di Salvini con l’ambasciata russa. Palazzo Chigi nega che il 5 maggio Salvini abbia fatto menzione dei suoi colloqui con Razov.
(da Editoriale Domani)
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Giugno 2nd, 2022 Riccardo Fucile
AL CONGRESSO DEL PPE ANDRIUS KUBILIUS ATTACCA SALVINI: “COLPA DEI LEADER OCCIDENTALI SE PUTIN SI PERMETTE DI ATTACCARE LA SOVRANITA’ DI ALTRI PAESI”
Guerra in Ucraina e opportunismo della Lega. «A Salvini farei una domanda molto semplice. Se fossimo negli anni ’40 andrebbe a parlare anche con Hitler? Temo che qualcuno in Europa non capisca che al Cremlino c’è un regime fascista e parlare con Putin sarebbe come se avessimo cercato il dialogo con Hitler».
Così Andrius Kubilius, ex primo ministro lituano ed eurodeputato del Ppe, a margine dei lavori del congresso del Partito popolare europeo in corso a Rotterdam.
«Cercare di avere relazioni con Putin è un errore, è anche una responsabilità dei leader occidentali se Vladimir Putin è come lo conosciamo oggi», ha concluso Kubilius.
(da agenzie)
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