Giugno 16th, 2022 Riccardo Fucile
IL SUO OBIETTIVO E’ UNA LEGGE ELETTORALE PROPORZIONALE CHE LO AIUTI A SGANCIARSI DALL’ABBRACCIO MORTALE CON CONTE… BOCCIA INVECE SPINGE PER RINSALDARE L’ASSE CON IL M5S
Il nodo alleanze nel Pd? Se ne riparlerà «dopo i ballottaggi». Parola di Enrico Letta, che nel corso di un vertice lampo della segreteria convocata a Largo del Nazareno (obiettivo: impostare l’ultimo miglio di campagna elettorale in vista del secondo turno nelle città, il 26 giugno) prova a mettere fine a una discussione cominciata tra i dem ancor prima che lunedì sera si finissero di contare le schede.
Proseguire sulla via del «campo largo» con Giuseppe Conte, nonostante il magro bottino raggranellato pure al Sud dall’ex premier?
O mollare l’avvocato del popolo al suo destino, virando con decisione verso il centro (leggi: Carlo Calenda e Matteo Renzi)?
Magari – è il ragionamento che si fa dentro Base Riformista, la corrente di deputati e senatori più vicini al leader di Italia Viva – portandosi dietro un pezzo di M5S, quel Luigi Di Maio che diventa più draghiano ogni giorno che passa.
Una diatriba in cui il segretario dem ha ripetuto fino allo sfinimento di non voler neanche mettere piede: «Si vince tenendo insieme i progressisti, non imponendo veti», la linea di Letta. Eppure le sue parole di ieri per la prima volta sono suonate come un’apertura. Un forse, lanciato come un amo in direzione del terzo polo, che di sedersi a un tavolo con i grillini (e con Conte in particolare) proprio non vuol saperne.
«Tutte le discussioni su alleanze, futuro e campo largo – ha detto Letta – le rimandiamo al dopo ballottaggio». Non un no, insomma, ma un dopo. Almeno così la legge un pezzo del partito, soprattutto chi – e non sono pochi – è convinto che a prescindere dalle intenzioni del Pd saranno presto i pentastellati a cambiare strada. «Il divorzio è già nei fatti, i Cinquestelle un altro anno così non lo reggono. Resta da vedere chi manderà per primo la lettera dell’avvocato», ragionava ieri col Messaggero un influente deputato.
Ma dall’inner circle del segretario si affrettano a smentire: nessun cambio di rotta, nessun ripensamento dovuto al pressing di una parte del partito.
«Letta intendeva dire che questo è un momento in cui bisogna correre, e molto, per vincere ai ballottaggi. Non possiamo perdere tempo in discussioni sulle coalizioni. Quelle le faremo dopo», spiega Susanna Cenni, deputata ed esponente della segreteria Pd.
Lo stesso sostiene Francesco Boccia, responsabile Enti locali dem e regista di molte alleanze andate in scena alle urne domenica. «Il segretario ha solo chiesto a tutti di lavorare pancia a terra per i ballottaggi. Trovo lunare aprire un dibattito sulle alchimie quando abbiamo 62 città ancora al voto. Semmai bisogna cercare di unire il fronte il più possibile, incrementando il numero dei sindaci progressisti che portammo a casa nel 2017».
Tenendo dentro anche Renzi e Calenda? «È naturale – risponde l’esponente dem -. Anzi, questo è il momento della verità: i centristi devono scegliere se sostengono i sindaci di centrosinistra oppure quelli di destra. Il pallino è in mano loro, ma mi pare evidente che o si sta di qua o si sta di là».
Sul perché il campo largo non abbia premiato i Cinquestelle, Boccia non si sbilancia: «È una discussione interna al loro partito. Ma sono convinto che alle politiche andranno meglio rispetto alle amministrative, come avviene per tutti: alle comunali ci sono le liste civiche che sottraggono milioni di voti». La mission del Pd non cambia: «Unire tutte le forze progressiste e riformiste insiste Boccia Anche Calenda». Purché tutti abbiano ben chiaro che «i finanziamenti del Pnrr li abbiamo ottenuti noi con il governo giallo-rosso, non la destra»
Pancia a terra, dunque. E stop alle critiche di chi continua a mettere in dubbio la rotta tracciata. Almeno fino a domenica 26. Poi, è la concessione implicita contenuta nelle parole del segretario, si aprirà la discussione. Un compromesso, insomma, offerto a quell’ala di deputati e senatori che avrebbero voluto tagliare i ponti con Conte già lunedì sera, alla vista dei risultati delle urne.
Un ramoscello d’ulivo che ieri è stato colto anche da Tommaso Nannicini, tra i democrat più critici del rapporto quasi esclusivo con Conte. «Basta dissanguarci in una discussione infinita su come tenere insieme tutto il possibile, basta congresso permanente», le parole di Nannicini. «Propongo una moratoria: fino a Natale, quando saremo tutti più buoni, smettiamola di parlare di alleanze, campi larghi e fronti riformisti». Decidere di non decidere, è la linea. E intanto, possibilmente, vincere nelle città.
(da il Messaggero)
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Giugno 16th, 2022 Riccardo Fucile
BEPPE NON È ANDATO A VOTARE ALLE ULTIME ELEZIONI COMUNALI A GENOVA… NONOSTANTE L’ACCORDO DA 300 MILA EURO L’ANNO CON MOVIMENTO PER VEICOLARE ATTRAVERSO IL SUO SITO MATERIALI POLITICI E DI PROPAGANDA, BEPPE E’ ORMAI LONTANO DAL M5S E DA CONTE
La domanda a questo punto sorge spontanea: se non ci crede più neanche il
creatore, fondatore e garante, perché dovrebbero farlo gli elettori? Sì, perché Beppe Grillo domenica scorsa non è andato a votare il Movimento 5 Stelle alle elezioni comunali.
Nel seggio 617 di Genova, quello dove si recano i residenti della bella collina a ridosso del mare di Sant’ Ilario, tra gli otto voti ai 5 Stelle (ovvero il 2,5 per cento delle preferenze in quella sezione) non c’era il suo. Il comico da giorni è fuori città e a confermarlo, più o meno direttamente, sono gli stessi portavoce locali del M5S.
Cinque anni fa Grillo si presentò fuori dall’istituto di agraria non molto distante dalla sua villa in scooter, assieme alla moglie Parvin Tadjk; plateale come sempre, entrò nella cabina elettorale col casco in testa. «Invito tutti ad andare a votare: è importante!», scrisse quel giorno sui social.
Nel 2017 il comico fece un comizio davanti a Palazzo Ducale, ma soprattutto intervenì direttamente sulla competizione genovese quando d’imperio decise di annullare il voto online delle comunarie perché aveva vinto una candidata sindaca non di suo gradimento, Marika Cassimatis.
Un protagonismo anche eccessivo, con quel colpo di spugna che in un tratto solo cancellò tutte le ripromesse sulla democrazia diretta della rete. Ma comunque, nel frattempo è cambiato qualcosa, anzi parecchio.
Come detto se sono accorti gli stessi attivisti locali del Movimento: Grillo in campagna elettorale non s’ è mai fatto vedere, neanche quando Giuseppe Conte e il presidente della Camera Roberto Fico, nella sua prima e vera uscita pubblica non istituzionale di questi mesi, sono venuti a Genova per tirare la volata alla lista.
Oggi il candidato scelto nel 2017 al posto della candidata sindaca nominata dalla base sul blog e destituita da Grillo, cioè Luca Pirondini, è rimasto l’unico reduce in Consiglio comunale, l’ultimo nella città del (fu) “elevato”: «Beppe non ha votato?
Il problema è un altro – taglia corto sul tema, senza smentire la notizia sul voto mancato del garante – Mai come ora ci serve con urgenza questa benedetta riorganizzazione sul territorio del Movimento, sennò saremo condannati a dire per sempre che le amministrative non sono il nostro terreno elettorale più adatto, e commentare sconfitte».
In alleanza con il Pd, nella tornata appena conclusa i 5 Stelle sostenevano la corsa di Ariel Dello Strologo, il candidato sindaco scelto in accordo con i dem per allargare e testare il fronte anche in vista delle Politiche del prossimo anno.
È andata parecchio male: il sindaco uscente del centrodestra Marco Bucci ha vinto al primo turno, e il M5S ha racimolato il 4,4 per cento, sorpassato anche da Europa verde- Linea condivisa di Ferruccio Sansa (5,2 per cento).
Certamente almeno al momento del voto l'”uno vale uno” per davvero e quindi la preferenza di Grillo avrebbe cambiato di niente l’esito finale, ma in fondo Genova non è più la città culla del Movimento ormai da tempo.
A raccontarlo, in questi anni, è stata anche la diaspora continua dei parlamentari di casa, passati – tra espulsioni e fuoriuscite, le ultime dopo la nascita del governo Draghi – da otto a tre. Come dimenticare l’addio di una delle preferite di Grillo, la ormai ex plenipotenziaria Alice Salvatore che fu candidata alla presidenza della Liguria nel 2015? Oppure quello di Paolo Putti, exploit alle Comunali del 2012, poi transitato nella sinistra radicale?
Così oggi la valenza della diserzione del fondatore, proprio in una tornata che certifica l’affossamento elettorale delle cinque stelle nelle varie salse, è tutta politico-simbolica. Nonostante l’accordo da 300 mila euro l’anno con il suo (?) M5S per veicolare attraverso beppegrillo. it materiali politici e di propaganda proprio del M5S, il fondatore pare freddo rispetto al cosiddetto nuovo corso. “Corea del Sud: sempre più aziende sostituiscono i lavoratori con i robot”, è l’ultimo articolo pubblicato sul blog. Prima ancora, altri post su pannelli solari, fertilizzanti e «il controllo di dispositivi tramite segnali elettrici del cervello».
(da La Repubblica)
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Giugno 16th, 2022 Riccardo Fucile
“PRIMA SI PARTE CON LE ACCUSE DI FASCISMO E O DI CONFLITTO DI INTERESSE. E POI PARTE LA MAGISTRATURA… “IL COMIZIO IN SPAGNA? CONOSCO I RAGIONAMENTI CHE FA GIORGIA. QUANDO URLA TROPPO DISTRUGGE QUALUNQUE COSA STIA DICENDO”
Guido Crosetto ritiene di essere titolato nel difendere Giorgia Meloni, perché pur essendo uno dei fondatori di Fratelli d’Italia non viene dal Msi (ma dalla Dc)
Fdi ha un problema con il passato?
«Da adesso fino alle elezioni del prossimo anno vedremo questo mantra. Fino a qualche giorno fa il nemico era Salvini, neutralizzato lui, adesso tocca al prossimo. D’altronde lo abbiamo già visto in passato con Berlusconi, Renzi e appunto Salvini. C’è un metodo, con il quale si fa politica e si vincono le elezioni».
In cosa consiste, secondo lei, questo metodo?
«Prima si parte con le accuse di fascismo e o di conflitto di interesse. E poi parte la magistratura».
Succederà anche a Fdi?
«È un anno che lo dico a Giorgia, così come lo dissi a Renzi. Esiste un problema di democrazia, ma non per colpa di Fdi».
Ha funzionato il metodo?
«Sempre. È drammatico perché non consente il confronto sulle idee. È un metodo che costringe la politica a non migliorarsi: io vinco perché distruggo l’avversario».
Per affrontare il pericolo che lei denuncia, si potrebbero dire parole chiare sul fascismo e sul 25 aprile.
«Fini lo fece, dicendo, “ditemi cosa dovrò rinnegare e lo faccio”, ma non è servito».
Lei ha ascoltato il comizio di Meloni alla manifestazione di Vox, il partito dell’estrema destra spagnola?
«Sì. Tutti i 19 minuti e non solo i pochi secondi di cui si parla».
Cosa ne pensa?
«Conosco i ragionamenti che fa Giorgia. La cosa che le ho detto è che quando urla troppo distrugge qualunque cosa stia dicendo».
E nel merito?
«La famiglia naturale è presente nella Costituzione».
E la lobby gay?
«Ha detto lobby Lgtb, che è un’altra cosa. Anche all’interno della comunità omosessuale e delle femministe questi sono temi di discussione. Chi parla di omofobia, non vuole confrontarsi. Lo dico in maniera un
Si può arrivare così a Palazzo Chigi?
«Non stiamo parlando di arrivare a Palazzo Chigi, ma di poter giudicare una persona senza che le si scarichino addosso insulti».
Meloni sta affrontando l’eredità fascista in Fdi?
«Quelli che sono nel partito sono passati da An e poi nel Pdl di Berlusconi. Giorgia è stata ministra, La Russa e Urso anche. Di che parliamo?».
Però a volte spuntano esponenti di Fdi facendo saluti romani o inneggiando al Duce. È un caso?
«Chi si alza con il braccio teso è come il mafioso che ti trovi nelle liste. Magari hai fatto di tutto, ma te lo ritrovi».
Meloni ha fatto di tutto per non averli?
«Ma certo».
Punisce i nostalgici?
«Non vengono puniti, ma cacciati. Questi soggetti danneggiano più Letta o Meloni? Ovviamente Meloni».
L’alleanza con un partito come Vox non stride con questo percorso?
«Vox è una scissione del Partito popolare spagnolo. La Meloni è la presidente dei Conservatori europei e in quanto tale dialoga con chi fa parte di quel gruppo. Dialogare non vuol dire sposare le idee».
Il Pd accusa: Meloni usa un doppio linguaggio, relativamente moderato in Italia ed estremista in Spagna.
«Quando vai a parlare a un congresso, ti accordi sugli argomenti da trattare».
Ma quello che si dice a Marbella si ascolta anche in Italia.
«Ma lei non è che dica cose diverse. Ripeto: è il tono che ha scatenato tutto questo casino».
Fratelli d’Italia ha vinto le amministrative?
«È l’unico partito che ha continuato praticamente ovunque il suo trend di crescita».
Fdi punta a Palazzo Chigi oppure a un’opposizione perenne?
«Si sta attrezzando ad avere una classe dirigente all’altezza, sia all’interno che all’esterno per un compito importante con gli altri partiti. Di essere presidente, però, Giorgia non fa la ragione della sua esistenza».
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2022 Riccardo Fucile
“FORSE VERRÒ UCCISO O ARRESTATO PER QUESTE PAROLE” – UN RISCHIO REALE DATO CHE IL PARLAMENTO RUSSO HA APPROVATO UNA LEGGE CHE IMPONE PENE DETENTIVE FINO A 15 ANNI A CHI DISSENTE
Igor Denisov, capitano della Russia dal 2012 al 2016, ha apertamente criticato
l’azione di Putin e l’invasione del suo Paese in Ucraina.
L’ex centrocampista di Zenit San Pietroburgo, Anzhi, Dinamo Mosca e Lokomotiv Mosca, ha usato parole forti durante l’intervista al canale Nobel su Youtube: “Questi eventi sono un disastro. Un completo orrore”.
Denisov è cosciente del rischio corso nel pronunciare queste frasi, e a tal proposito commenta: “Non lo so, forse verrò arrestato o ucciso dopo queste parole, ma sto parlando delle cose come stanno”. Un rischio reale dato che il parlamento russo ha approvato una legge che impone pene detentive fino a 15 anni per chiunque diffonda “fake news” o intraprenda qualsiasi azione pubblica che screditi l’azione militare russa. Denisov infine ammette anche di aver scritto direttamente al presidente Putin chiedendogli di fermare la guerra.
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2022 Riccardo Fucile
SI AFFINA LA STRATEGIA PER ACCERCHIARLO: FEDRIGA COME NUOVO SEGRETARIO DI TRANSIZIONE, PER LASCIARE SPAZIO NEL 2025 A LUCA ZAIA… LO SCETTRO DI GOVERNATORE DEL VENETO SAREBBE PRESO DA MARIO CONTE, SINDACO DI TREVISO
“Nella Lega il problema numero è diventato Matteo Salvini. Non solo la gente ai gazebi, ormai anche i nostri stessi militanti lo dicono apertamente. Lo schema della rinascita potrebbe essere Massimo Fedriga nuovo segretario di transizione, per lasciare spazio nel 2025 a Luca Zaia. Ma, si sa, in politica gli schemi si possono fare fino a un certo punto”.
A parlare così è un esponente del Carroccio ben inserito nell’apparato del partito, che naturalmente vuole restare anonimo. Dopo le batoste collezionate alle amministrative di domenica 12 giugno (Padova persa al primo turno, Verona in bilico, percentuali fra il 4 e il 6% a Genova, Palermo, Parma), per non parlare del disastro annunciato dei referendum sulla giustizia, l’atmosfera tra i leghisti è incandescente.
Al di là degli specifici contesti locali dove la Lega, in particolare nei capoluoghi, storicamente non brilla, è la linea obliqua, né carne né pesce del leader che critica il governo Draghi e al tempo stesso lo appoggia, a finire nel mirino.
Così si fa strada l’ipotesi di un cambio di guida con passaggio di mano al presidente del Friuli-Venezia Giulia, Fedriga, volto moderato ma leghista doc, con il pensiero che va però a Zaia, il governatòr regionale più amato d’Italia. E qui, secondo indiscrezioni, circolerebbe già il nome del successore per il Veneto fra tre anni: il sindaco di Treviso, Mario Conte.
La situazione attuale dentro il più longevo partito risalente alla Prima Repubblica è la seguente. Salvini in questi anni ha tenuto in pugno la filiera decisionale commissariando a tutto spiano e insediando uomini di sua fiducia nelle segreterie territoriali.
In Veneto, da sempre “fratello minore” insofferente della posizione subalterna alla Lombardia, qualche voce di dissenso si è udita, tanto che nei mesi scorsi era scattato il cartellino giallo per figure storiche come l’ex presidente del consiglio provinciale trevigiano, Fulvio Pettenà (prontamente difeso da Zaia: “Gliela scrivo io in bella la risposta”).
Adesso l’aspra rivalità con gli arrembanti alleati di Fratelli d’Italia rischia di scippare alla Lega il ruolo trainante nel centrodestra. Con gli scarsi risultati concreti all’attivo e l’elettorato provato da due anni di sacrifici pandemici e dal caro-bollette, la corda è stata troppo tirata e il malcontento straripa.
Tanto che un peso massimo come Roberto “Bulldog” Marcato, assessore veneto portabandiera dell’antico leghismo tutto autonomia&territorio, all’indomani delle comunali se n’è uscito con la richiesta di una “riflessione profondissima e violenta” che arrivi fino “al nazionale”.
Cioè a Salvini. Se si aggiunge che il rappresentante permanente in casa Lega dell’establishment che conta, Massimo Giorgetti, più volte ha manifestato stizza e biasimo per le posizioni populiste del Capitano, il quadro per quest’ultimo è tutto tranne che lineare.
Vero è che da sempre, in un partito leninista e centralizzato com’è il Carroccio, le divisioni interne raramente deflagrano, men che meno in pubblico. Ma se Salvini sul Corriere della Sera deve mostrare di far sue le rimostranze (“È mio dovere prendere atto di queste riflessioni e lavorarci”, 15 giugno), significa che queste ci sono e danno adito a supposizioni che si fanno ogni giorno più insistenti.
Marcato, il più esplicito, onde evitare congressi pilotati chiede un’assemblea nazionale, dove magari far nascere l’alternativa Fedriga. Zaia, prudente all’estremo, è improbabile che lasci la dorata e blindatissima postazione in Veneto.
Ma fra due anni sarà difficile avvalersi di una seconda proroga e dovrà scegliere cosa fare da grande. Non è affatto detto che opti per il rischiosissimo posto di leader nazionale, ma è certo che in parecchi guardano alla sua rassicurante fisionomia da amministratore senza spigoli per la nuova era. Il problema è che Salvini non è tipo da mollare la presa. Il futuro, insomma, è tutto da scrivere, e si preannuncia turbolento.
Nel frattempo il toto-successione già impazza in Veneto per il dopo-Zaia. Marcato, burbero padovano dai toni schietti e finto-rudi, ha già spesso ripetuto di essere disponibile per prendere in mano il partito.
Ma come erede alla presidenza della Regione, radio-scarpa leghista si concentra su un nome che per molti aspetti sembra un fac-simile di Zaia: Mario Conte, classe 1979, figlioccio dello storico sindaco-sceriffo di Treviso Giancarlo Gentilini (poi ripudiato).
Carattere misurato, mood conciliante, mai una parola fuori posto, dal 2019 è il primo leghista a presiedere in Veneto l’Anci (Associazione Comuni Italiani). Primo cittadino del capoluogo trevigiano con quasi il 55% di consensi, come Zaia giura di non pensare ad altro che a finire il mandato e di voler ripeterlo una seconda volta l’anno venturo.
Ma è noto che i secondi mandati non prevedono il tris, e perciò se il quartier generale nel 2025 lo chiamasse per la staffetta con Zaia, da buon soldato qual è Conte non potrebbe sottrarsi.
C’è soltanto da capire che ennesima torsione avrà la Lega di qui a un anno. Dal no euro a Draghi, dal federalismo al sovranismo, dal gialloverde con il M5S al tuttifrutti di oggi, le traiettorie del misirizzi Salvini sono state sempre imprevedibili.
A meno che la prossima non sia la notoriamente non troppo gaia traiettoria dell’uccello padulo.
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2022 Riccardo Fucile
“ATTACCATA ANCHE DA CHI DEVE LA CARRIERA A RENZI”
Incassata l’assoluzione tra gli altri di suo padre per il crac di Banca Etruria, Maria
Elena Boschi passa al contrattacco con chi negli anni ha bersagliato l’ex ministra con quello che definisce «un massacro mediatico».
In un’intervista a Repubblica, Boschi denuncia il trattamento subito da avversari e media ben più pesante rispetto a chi sarebbe stato realmente coinvolto negli scandali bancari: «Molti dei protagonisti di quelle vicende erano legati a doppio filo con parte della classe dirigente mediatica, finanziaria, culturale di questo Paese. E su di loro è sceso un silenzio impressionante». §
A far riflettere il caso Etruria secondo la deputata di Italia viva dovrebbero essere più i giornalisti dei magistrati: «Sono stata condannata senza aver fatto nulla. E le opposizioni di allora, a cominciare dai Cinque Stelle, mi hanno insultato nel modo più becero. Nessun grillino ha ancora trovato il modo pronunciare la parola “scusa”».
Agli attacchi politici di allora, Boschi aggiunge gli insulti ricevuti da più parti: «la violenza verbale che spesso sfociava in sessismo. Hanno smesso di chiamarmi col mio nome per storpiarmi in Maria Etruria Boschi. Cambiarti il nome è il primo passo per disumanizzarti. Hanno ironizzato su tutto, mi hanno riempito di allusioni e minacce nel silenzio imbarazzato e complice di tanti e tante. Anche alcuni che debbono la carriera al renzismo hanno fatto a gara a dire che io ero il problema, che dovevo sparire».
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2022 Riccardo Fucile
INSULTI DI MEDVEDEV A DRAGHI, MACRON E SCHOLZ A KIEV: “QUEI MANGIA RANE, WURSTEL E SPAGHETTI TORNERANNO INDIETRO UBRIACHI” (LUI SE NE INTENDE)
Arriva una nuova raffica di insulti dall’ex presidente russo Dmitry Medvedev, stavolta indirizzata nei confronti dei tre leader europei che questa mattina sono arrivati in Ucraina per uno storico incontro con Volodymyr Zelensky.
Sul suo profilo Twitter, Medvedev attacca il presidente francese Emmanuel Macron, il premier italiano Mario Draghi e il cancelliere tedesco Olaf Scholz con un mix di stereotipi e commenti sferzanti contro quella che considera un viaggio inconcludente: «I fan europei di rane, wurstel e spaghetti adorano visitare Kiev. Con zero utilità. Promettono l’adesione all’Ue e vecchi obici in Ucraina, ubriachi di horilka (una bevanda alcolica ucraina, ndr) e se ne vanno a casa in treno, come 100 anni fa. Tutto bene – aggiunge il politico russo – Tuttavia, questo non avvicinerà l’Ucraina alla pace. Il tempo scorre».
Ha parlato colui che i social russi definiscono un alcolizzato…
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2022 Riccardo Fucile
ORMAI SONO FENOMENI DA CIRCO O DA STADIO
Un gruppetto di persone si è radunato in un bar del centro di Tolmezzo, in
provincia di Udine, per celebrare i festeggiamenti per l’elezione del nuovo sindaco. Roberto Vicentini, infatti, ha vinto al primo turno con i voti ottenuti dalla sua lista civica e con il sostegno di altre due liste targate Lega e Fratelli d’Italia.
E proprio durante l’ebbrezza della festa, alcuni sostenitori del nuovo primo cittadino hanno intonato – riuscendo anche a sbagliare le parole – l’Inno di Mameli. Il tutto condito da quelle “nostalgiche” braccia tese a mo’ di saluto romano fascista.
Le immagini mostrano queste persone in un bar mentre brindano per celebrare il successo del loro candidato preferito. Ed è lì che è scattato l’Inno di Mameli e quelle braccia tese.
E alla fine – mentre la telecamera (per motivi oscuri) passa dalla ripresa verticale a quella orizzontale -, al momento del “siamo pronti alla morte, l’Italia chiamò” la mano sul petto (all’altezza del cuore) si erge verso l’alto con la classica posa che rimane indelebile nell’iconografia tipica del fascismo.
(da NextQuotidiano)
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