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“MI SI NOTA DI PIÙ SE VADO IN RUSSIA ANCHE SE FACCIO “TAPPEZZERIA” (O, MEGLIO, REPORTAGE) OPPURE SE RESTO A ROMA?

Giugno 18th, 2022 Riccardo Fucile

IL “LENIN DI ROMA NORD” ALESSANDRO DI BATTISTA ANNUNCIA IL SUO VIAGGIO NEL PAESE INVASORE DELL’UCRAINA… FA UNO SPOTTONE A SE STESSO E ALLA SUA FAMIGLIA EDITORIALE ALLARGATA

Mi si nota di più se vado in Russia – anche se faccio “tappezzeria” (o, meglio, reportage) – oppure se resto a Roma? Spannometricamente, si direbbe la prima. E, dunque, dopo il video da Istanbul in cui annuncia il suo viaggio nel Paese invasore dell’Ucraina, Alessandro Di Battista vince decisamente – e non solo per “abbandono” del campo da parte di Salvini – il derby dei populisti «Putin-comprensivi».
Un Dibba «russo-comprendente» at large, poiché afferma – tra un social e l’altro – di essere mosso, come sempre, dal desiderio di capire cosa pensa «l’altra parte», si dichiara (ovviamente) un amante della cultura fiorita tra Mosca e San Pietroburgo e si esibisce in alcune frasi nell’idioma di Tolstoj tra le estatiche espressioni di ammirazione di una fan madrelingua.
Una visita utile soprattutto per rilanciare la visibilità di colui che, da un po’ di tempo a questa parte, appare sempre più come un personaggio in cerca di autore. E che, da oggi, si tramuta un po’ anche nel «Lenin di Roma Nord», costantemente attratto da una specie di rivisitazione in salsa grillina dell’internazionalismo terzomondialista e antiamericano. E pronto, nel suo video su Facebook, a promettere una full immersion nell’anima di Grande Madre Russia, vellicando la curiosità di inguaribili nostalgici dell’Urss, appassionati della Corazzata Potemkin e nuovi putitaliani, ma facendo sostanzialmente uno spottone a se stesso e alla sua famiglia editoriale allargata.
(da La Stampa)

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LUCCA. IL CENTRODESTRA RASCHIA IL FONDO DEL BARILE: APPARARENTAMENTO AL BALLOTTAGGIO CON NO VAX E UN EX CASAPOUND

Giugno 18th, 2022 Riccardo Fucile

L’ALTRO CANDIDATO: “HANNO GETTATO LA MASCHERA”

A Lucca il candidato di centrodestra Mario Pardini, in vista del ballottaggio del prossimo 26 giugno, si allea con l’ex leader di Casapound lucchese Fabio Barsanti, che con il 9,5% rappresenta oggi la terza forza politica della città.
Il primo turno delle comunali si è chiuso con il 42,6% per Francesco Raspini (Pd), assessore comunale nella giunta del sindaco uscente e candidato delle forze centrosinistra, mentre Mario Pardini ha ottenuto il 34,3%, sostenuto da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. E Fabio Barsanti, che nelle amministrative lucchesi del 2017 aveva segnato il record nazionale di voti per Casapound – portando a casa l’8% (oltre 2900 voti) – potrebbe rappresentare il sostegno decisivo per la vittoria della destra, con l’appoggio delle sue tre liste: Difendere Lucca, Centrodestra per Barsanti e Prima Lucca-Italexit con Paragone.
“È un’alleanza solida, seria, credibile, vera: il nostro è un apparentamento” ha dichiarato Pardini in conferenza stampa. “C’è tanta voglia di cambiamento e il nostro è un progetto con un programma condiviso: sono veramente contento di questo accordo per la città e l’entusiasmo che sta provocando ne è la riprova”.
L’ex leader di Casapound ha a sua volta espresso soddisfazione per l’alleanza con Pardini e annunciato che lavoreranno insieme “per ridare la città ai lucchesi e sconfiggere chi la occupa da dieci anni”. Barsanti si è poi detto soddisfatto del proprio risultato elettorale, senza nascondere di non esserne sorpreso: “Considerando la bassa affluenza e il fatto di aver fatto campagna elettorale solo nell’ultimo mese e mezzo, questo risultato mi rende orgoglioso. Raspini ha iniziato a metà dicembre, Pardini nei primi giorni di marzo. Ma sinceramente mi aspettavo che potessero uscire questi risultati: l’entusiasmo che respiravamo in città e nei quartieri ha trovato conferma”.
Un’alleanza che ha scatenato la reazione delle forze politiche di centrosinistra a livello locale e nazionale. E il candidato di centrosinistra lucchese Raspini denuncia: “Pardini ha gettato la maschera: prima il tentativo di civismo, poi la sfilata dei leader nazionali con Salvini, Meloni, Berlusconi. Poi ancora lo spostamento verso la destra estrema, con l’accordo con Casapound, e le offerte ad Andrea Colombini”.
A sostegno di Pardini infatti si sono schierati anche il leader No Green Pass Andrea Colombini (“mi candido per Lucca capitale morale della Toscana”), che ha ottenuto il 4,2% di voti e il civico Elvio Cecchini, col 2,9%.
(da agenzie)

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VENTI DI SCISSIONE NEL M5S: NON SI ESCLUDE CHE DI MAIO SI FACCIA IL SUO PARTITO (PORTANDOSI DIETRO UNA CINQUANTINA DI PARLAMENTARI)

Giugno 18th, 2022 Riccardo Fucile

IL PROPORZIONALE SPIANEREBBE LA STRADA AI PROGETTI SCISSIONISTI DI LUIGINO… IL RISCHIO: NELL’AREA CENTRISTA GIA’ CI SONO RENZI, CALENDA, TOTI, LUPI E GLI ALTRI EX DC. DI MAIO SI TROVEREBBE A SGOMITARE IN UNO SPAZIO ELETTORALMENTE RISTRETTO”

C’è chi è pronto a scommette che l’intenzione alla fine sia proprio quella: «Vedrete che farà la scissione e si butterà sul centro», ripetono nei conciliaboli alcuni dei fedelissimi di Giuseppe Conte.
«Nessuno vuole andarsene ribattono gli uomini vicini a Luigi Di Maio ma se ci rendono impossibile restare…». È il bivio che si para di fronte all’ex capo politico dei Cinquestelle: continuare la battaglia nel Movimento, magari riconquistandone la leadership? Oppure lasciare Conte al suo destino, e forte delle aperture di credito maturate nell’ultimo anno alla Farnesina virare sul terzo polo?
Le aperture, in quest’ ultimo caso, già si moltiplicano: «Se lo cacciano lo accogliamo a braccia aperte», ha fatto sapere ieri Emilio Carelli, ex pentastellato approdato in Coraggio Italia (il partito centrista di Giovanni Toti e Gaetano Quagliarello). Facendo seguito all’interesse manifestato da un pezzo del Pd, incarnato dal senatore Andrea Marcucci, che non fa mistero di guardare con occhi nuovi al titolare della Farnesina.
Infine, la strada più rischiosa: quella di un partito nuovo di zecca. Ma quanto potrebbe valere una lista Di Maio? In parlamento il pallottoliere è già in azione, con risultati opposti: chi afferma che il ministro non porterebbe con sé più di una ventina di deputati e senatori, chi assicura che potrebbe strapparne anche 50 alle file dei Cinquestelle.
E alle urne?
«Azzardare una stima è molto complicato premette Antonio Noto di Noto Sondaggi Molto potrebbe dipendere dal posizionamento politico, al centro oppure nel cosiddetto campo largo». E molto, aggiunge l’esperto, potrebbe incidere un’eventuale modifica alla legge elettorale in senso proporzionale, che spianerebbe la strada ai partiti personali.
Una cosa però è certa: «La scissione potrebbe rappresentare il colpo mortale per il Movimento, già alle prese con un calo dei consensi che oggi si attestano tra il 12 e il 13 per cento», osserva Noto.
Il motivo? «Di Maio rappresenta la storia dei Cinquestelle: nella percezione degli elettori è più legato a quel simbolo rispetto a Conte. Se se ne andasse, potrebbe danneggiarlo molto di più».
Eppure per il titolare della Farnesina, secondo il sondaggista, lasciare i pentastellati potrebbe essere la mossa giusta: «Il marketing politico da questo punto di vista funziona come quello aziendale. È difficile rivitalizzare un marchio in decadenza, almeno nel breve periodo. Per Di Maio potrebbe essere più facile puntare su un nuovo brand, magari unendo le sue forze con quelle di altre figure in cerca di riposizionamento». Di parere opposto Enzo Risso, direttore scientifico dell’istituto Ipsos. Che fa notare come «in Italia, negli ultimi anni, chiunque abbia lanciato un proprio partito personale è rimasto ancorato a percentuali a cifra singola, mediamente attorno al 3 per cento».
Per Risso l’ostacolo si spiega con la «disillusione degli italiani rispetto all’ipotesi che aumentando l’offerta politica si migliori di pari passo la qualità della democrazia».
E poi, concordano i due esperti, parecchio dipenderebbe dalla collocazione della nuova lista: «L’area centrista in questo momento è molto presidiata osserva Risso Ci sono Renzi, Calenda, Toti, Lupi e gli altri ex Dc.
Di Maio rischierebbe di trovarsi a sgomitare in uno spazio elettoralmente ristretto». Dalla sua il ministro degli Esteri vanta però un consenso personale di tutto rispetto, per quanto «di 8-9 punti percentuali inferiore Giuseppe Conte, col quale si porrebbe in concorrenza».
Ma non tutti i sostenitori dell’ex capo politico potrebbero seguirlo in un’avventura scissionista: «Un conto precisa Risso è guadagnarsi la simpatia di un elettore dall’interno di un partito. Un altro fare in modo che questa simpatia si trasformi in voto nel caso in cui si decida di abbandonare quel contenitore».
(da Il Messaggero)

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SBOARINA RIFIUTA L’ACCORDO CON TOSI A VERONA E TIRA DRITTO. LA RUSSA SPIEGA PERCHÉ ERA IMPORTANTE L’INTESA CON l’EX SINDACO SCERIFFO

Giugno 18th, 2022 Riccardo Fucile

“NON È ACCETTABILE ESSERE TRATTATI COME DEI PARIA, È INDISPENSABILE PARI DIGNITÀ”, INSISTE TOSI … E INTANTO DAMIANO TOMMASI FA IL TOUR A PIEDI DEI QUARTIERI E ORGANIZZA UN TORNEO DI CALCETTO E UNO DI BEACH VOLLEY

Non si è fatto tentare neppure dalle sirene romane. Il sindaco uscente di Verona Federico Sboarina si è legato al suo rifiuto di apparentamento con Forza Italia e con il neoacquisto berlusconiano Flavio Tosi, e tira dritto per la sua rotta.
Piccolo passo indietro: dopo il primo turno, Damiano Tommasi, il candidato di un centrosinistra mai così compatto, è arrivato a sorpresa primo con il 39,8%; staccato di sette punti Sboarina (sostenuto da Fratelli d’Italia e Lega). Terzo, con un pacchetto di voti di tutto rispetto (23,9%) Flavio Tosi, sindaco dal 2007 al 2017, appoggiato dalle sue liste e da Forza Italia. Sintesi in vista del ballottaggio: il centrodestra unito può battere Tommasi.
Così Sboarina il giorno dopo ha aperto a Forza Italia ma non a Tosi, suo acerrimo nemico. E Tosi lo ha spiazzato aderendo al parito di Berlusconi, con conferenza stampa a Roma, cena serale ad Arcore bagnata dal Lambrusco, e offerta ufficiale di apparentamento.
Sboarina ci ha pensato un giorno e poi ha sbattuto la porta. Inutile il pressing di Meloni e Salvini. Venerdì ha ribadito: «Non è una chiusura alla costruzione di un percorso comune per arrivare ad un centrodestra veramente unito al ballottaggio. È un no al tecnicismo e alle logiche che sanno poco di dialogo con le persone».
In caso di vittoria, infatti, i consiglieri andrebbero divisi tra tutte le liste apparentate, e ai tosiani spetterebbero ben 9 posti su 22. A Roma, i vertici di FdI (a cui Sboarina ha aderito l’anno scorso) prendono atto e cercano di raffreddare gli animi.
«Personalmente io l’accordo l’avrei fatto ma spetta al sindaco determinare in che modo raggiungere l’unità del centrodestra — osserva Ignazio La Russa —. Nella stragrande maggioranza dei casi gli apparentamenti sono politici e non formali. Sboarina ha fatto una scelta di sostanza e non di comunicazione, e ha invitato a mobilitarsi per far vincere il centrodestra. Se si condivide il progetto, poi è implicito che si condivideranno pure gli uomini, anche nella formazione della squadra». Conferma Ciro Maschio, coordinatore provinciale di FdI: «Noi ci rivolgiamo agli elettori alternativi alla sinistra, che in città sono il 60%. E teniamo aperto il dialogo con tutti i partiti del centrodestra».
Ma Tosi ha ribadito che non è interessato a un appoggio non suggellato da un accordo che andrebbe perfezionato entro oggi. «Non è accettabile essere trattati come dei paria, è indispensabile pari dignità» dice l’ex sindaco sceriffo, che sembrava lo sconfitto del primo turno e invece è riuscito a tornare al centro della scena.
La Lega veronese, uscita malconcia dal voto (solo un risicato 6,6%), fa buon viso a cattivo gioco.
«Ha fatto bene Sboarina? Non mi metto nei suoi panni, rispetto la sua decisione — commenta laconico Roberto Mantovanelli, vicesindaco designato per il Carroccio —. È vero che i vertici nazionali erano unanimi su cosa fare, ma sono state fatte valutazioni locali, considerando alcune difficoltà che vengono da lontano. E poi non si voleva dare l’impressone di una manovra di palazzo. Il nostro compito adesso è concentrarci nel portare più gente possibile al voto».
Nel frattempo Tommasi, l’ex calciatore che ha mostrato di sapersi muovere anche in campo politico, prosegue nella sua campagna fatta di incontri e niente comizi, ascolto e zero slogan. Da giovedì è partito per un giro degli otto quartieri cittadini, rigorosamente a piedi. Oggi la sua coalizione ha organizzato un torneo di calcetto e uno di beach volley. Lui ostenta sicurezza: «Preoccupato per il ballottaggio? Mai stato così sereno».
(da Il Corriere della Sera)

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GRILLO DICE CHE IL LIMITE DEI DUE MANDATI DEVE RESTARE E IL M5S ESPLODE: “TROVARE UN COMPROMESSO E’ IMPOSSIBILE”

Giugno 18th, 2022 Riccardo Fucile

I FEDELISSIMI DI DI MAIO CONTRO I CONTIANI: SE NON CI POSSIAMO RICANDIDARE NOI, ALLORA NON ESISTONO DEROGHE NEMMENO PER VOI … LA VICE DI CONTE, ALESSANDRA TODDE, ATTACCA IL MINISTRO DEGLI ESTERI: “LAVORA SOLTANTO IN UNICA DIREZIONE, LA SUA”

L’unica possibilità di tenere insieme quello che rimane dei Cinque Stelle passa ancora una volta da Beppe Grillo. Il garante, che venerdì con il suo post ha dato il la a fortissime fibrillazioni interne al partito, sarà a Roma mercoledì o al più tardi giovedì. Grillo incontrerà i vertici M5S, sia Conte sia Di Maio, e cercherà una mediazione. Non è escluso che il garante veda anche i gruppi parlamentari: in quei giorni ci dovrebbe essere una congiunta sul tema delle armi in Ucraina, ma vista la situazione la presenza di Grillo potrebbe servire per un chiarimento.
Le parole del garante sul tetto dei due mandati — di fatto un endorsement a non modificare la regola — hanno fatto crescere ulteriormente le tensioni nel partito.
«Ormai trovare un compromesso è impossibile», dice una fonte. «Queste parole avranno un effetto domino e segnano la dissoluzione definitiva del M5S», twitta l’ex ideologo Paolo Becchi. E in effetti la possibilità di eventuali deroghe sembra già vacillare. «Chi sceglierà chi?», si domandano in molti. C’è chi commenta: «Se la politica non è un mestiere deve valere per tutti». Tradotto: se non si possono ricandidare dimaiani e outsider, allora non esistono deroghe nemmeno per i contiani. Le deroghe, insomma, devono essere chiare e condivise da subito.
Negli ultimi mesi è circolata l’idea, che dovrebbe avere il placet di Grillo, del 2 + 2 +2, ossia due mandati in Parlamento, due in Regione, due in Europa. Tuttavia, la soluzione non ha convinto tutti.
Ora, un eventuale conferma del limite dei due mandati farebbe già a luglio la prima vittima eccellente. Parliamo di Giancarlo Cancelleri, il sottosegretario alle Infrastrutture contiano, che lo scorso anno si era schierato contro Grillo, in pole position per rappresentare il M5S (per la terza volta) alle Regionali in Sicilia.
«Accetto ciò che sarà deciso», dice Cancelleri al Corriere, commentando quella che potrebbe essere in chiave politica la prima grossa ricaduta dello scontro interno al Movimento.
A pesare in questa fase sono i soprattutto i silenzi. Molti big tacciono. Nessuno si sente più intoccabile. Sono più di cento tra parlamentari e consiglieri regionali gli esponenti su cui potrebbe cadere la tagliola.
A rischiare ci sono sia contiani che dimaiani. Al secondo mandato tra chi è vicino all’ex premier c’è la vice vicaria Paola Taverna, c’è Roberto Fico, c’è il ministro Federico D’Incà, c’è Carlo Sibilia. E ancora Vito Crimi e il tesoriere Claudio Cominardi, l’ex deputata Roberta Lombardi.
Anche tra i dimaiani la situazione non è rosea. Sono alla seconda legislatura oltre al ministro degli Esteri, Laura Castelli, Manlio Di Stefano, Gianluca Vacca, il questore Francesco D’Uva, la consigliera regionale Valeria Ciarambino. Sono girate indiscrezioni (confermate) di battibecchi anche tra i big.
Le seconde file invece ne hanno per tutti, Grillo compreso. «Si è ricordato dei valori fondanti dopo l’ok al due per mille», dice un Cinque Stelle, evocando anche il contratto di consulenza del garante.
Nessuno viene risparmiato. E i due schieramenti si muovono senza esclusione di colpi. La vice di Conte, Alessandra Todde, voluta da Di Maio come capolista alle Europee, attacca il ministro degli Esteri: «Lavora soltanto in unica direzione, la sua», dice all’Adnkronos.
«Se ci sono idee e visioni diverse non è questa la maniera di manifestarle», rintuzza Sibilia.
L’ex esponente del direttorio mette nel mirino Di Maio: «Se l’elettorato Cinque Stelle è disorientato è proprio a causa di certe uscite: nessuna soluzione, ma solo autolesionismo».
Il dimaiano Cosimo Adelizzi commenta gl interventi contro il ministro come «dei veri e propri attacchi personali che rappresentano un inno all’odio». In questa clima, si stanno muovendo equilibri sotterranei, pronti a spostare pesi ed equilibri della battaglia: è arduo immaginare una mediazione.
(da Il Corriere della Sera)

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“PUTIN ORMAI PARLA COME CASTRO MA LA RUSSIA È IN GINOCCHIO”: IAN BREMMER, FONDATORE DI EURASIA GROUP, SUL DISCORSO DI MAD VLAD AL FORUM ECONOMICO DI SAN PIETROBURGO

Giugno 18th, 2022 Riccardo Fucile

“MA È VERO CHE NULLA SARÀ COME PRIMA, I DIVIDENDI DELLA PACE SONO FINITI”… “LA TELEFONATA CON XI? NON HANNO PARLATO DI NEGOZIATO”

«Lo considero un discorso modello Fidel Castro, rivisitato, ma nulla di più. Quando uno ha poco da dire, parla troppo. È stato un improbabile tour virtuale sullo stato di salute dell’economia e della nazione russa. Così come la retorica antioccidentale sul tema delle sanzioni senza effetti, sulla decadenza di certi valori, e sull’ordine mondiale cambiato per sempre».
È perentorio Ian Bremmer, fondatore di Eurasia Group, sul discorso di Vladimir Putin al Forum economico di San Pietroburgo.
Nulla di nuovo nella sostanza quindi?
«No. Ci sono però due aspetti però da sottolineare, il primo è che Putin sembra godere di buona salute. Ciò smonta la narrativa che lo descrive indebolito, malato, prossimo alla fine».
Il secondo aspetto?
«È il fatto che il discorso è stato ritardato di un’ora circa perché c’è stato un cyber attacco contro la Russia che ha tenuto in scacco il forum. Questo rivela come ci sia un gruppo di persone con capacità e preparazione tecnologica di alto livello pronto ad attaccare la Russia».
Vorrei soffermarmi con lei su due passaggi del discorso, il primo è quello in cui dice che nulla tornerà a essere come prima..
«Sono d’accordo. È la fine della pace distributiva, quella che consentiva a tutti di incassare dividendi. Ed è invece l’inizio di una nuova Guerra fredda con la Russia con contaminazioni di guerra calda. L’estensione della Nato, il ritrovato vigore dell’Alleanza, l’aumento della spesa militare degli Stati membri, la candidatura di nazioni come Moldavia e Ucraina a entrare nell’Unione europea, il “decoupling'” della Russia dall’Occidente dal punto di vista economico, sono chiari segnali di una nuova fase. Quello che dice Putin è chiaro, ovvero che l’umiliazione dei russi seguita al collasso dell’Unione sovietica è ormai finita, è l’ora del riscatto».
L’altro passaggio è il futuro della Russia indicato nelle famiglie con due o tre figli.
«Credo faccia parte della crisi demografica della Russia, ed è lo stesso motivo per cui vuole conquistare l’Ucraina».
C’è un però in tutto questo
«Sì, è che la vera notizia questa settimana non è il discorso di Putin ma la visita dei leader politici di Italia, Francia, Germania e Romania a Kiev. Dimostra un livello di unità nel sostegno all’Ucraina. Un viaggio sul campo in cui si esprime sostengo al presidente Volodymyr Zelenesky credo che sia letta come una sorta di umiliazione per la Russia, specie a guardare la chiusura dei rubinetti del gas alla Francia decisa da Putin a distanza di qualche ora così come la riduzione drastica di fornitura alla Germania. Sono azioni legate».
Cosa ha voluto dire Xi Jinping a Putin nella telefonata di pochi giorni fa?
«Xi è a suo agio con Putin, anche perché condivide una certa visione del mondo. Non hanno parlato di negoziato e ciò dimostra come Pechino abbia preso atto del fatto che il risultato della guerra arriverà dal terreno e non dal dialogo. Non significa che sia entusiasta ma si sta adeguando alla realtà».
(da La Stampa)

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LA VICEPREMIER SPAGNOLA YOLANDA DÍAZ : “DA MELONI DISCORSI PIENI DI ODIO, LE SUE PAROLE METTONO PAURA”:

Giugno 18th, 2022 Riccardo Fucile

“LE POSIZIONI DELL’ESTREMA DESTRA DI VOX SU DIRITTI CIVILI E VIOLENZA DI GENERE SONO INCOMPATIBILI CON LE DEMOCRAZIE E LE COSTITUZIONI DEI NOSTRI PAESI”

Il comizio di Giorgia Meloni alla manifestazione di Vox, ha fatto molto discutere anche in Spagna. Quelle parole contro la «lobby lgbt», in nome della «famiglia naturale» e «l’universalità della croce», è stato un argomento che ha occupato parte della campagna elettorale in Andalusia, la più popolosa delle regioni spagnole, che va al voto domani, con Vox che rischia di entrare nel governo.
Tra le reazioni più dure al discorso di Meloni c’è quella di Yolanda Díaz, vicepremier e ministra del lavoro, nuova leader della sinistra, dopo l’addio di Pablo Iglesias, il fondatore di Podemos. Figlia di uno storico sindacalista dei portuali della Galizia, la ministra ha la tessera del Partito comunista spagnolo, ma ha posizioni meno ortodosse di Iglesias e il suo rapporto con il premier Pedro Sánchez è molto solido.
A Roma ha due alleati, Papa Francesco, che l’ha ricevuta in un’udienza privata, insolita per un ministro spagnolo e Andrea Orlando che ha apprezzato la sua riforma del mercato del lavoro. Il suo progetto politico fatica a nascere per le tante divisioni della sinistra, ma su un punto sono tutti d’accordo: Vox, alleato di Fratelli d’Italia, è un pericolo per la democrazia.
Vicepresidente Díaz, ha ascoltato il discorso di Giorgia Meloni alla manifestazione elettorale di Vox?
«Sì, e ho provato paura».
Perché paura?
«Perché era un discorso pieno di odio, e intolleranza verso maggior parte delle persone della nostra società: i lavoratori, le donne, le persone Lgtb+, la sinistra. L’intenzione era polarizzare: famiglia tradizionale, contro diritti Lgtb+».
L’ha stupita?
«È difficile da accettare il fatto che gente del tuo Paese, con una rappresentazione istituzionale e che governa alcune Regioni, abbia questo tipo di alleati internazionali».
Fratelli d’Italia e Vox hanno molti consensi in Italia e Spagna e potrebbero arrivare al governo di Italia e Spagna, dalle sue parole sembra alludere al fatto che ci sia un problema democratico. È così?
«Lo dico chiaramente: le posizioni dell’estrema destra di Vox su diritti civili e violenza di genere sono incompatibili con le democrazie e le costituzioni dei nostri Paesi».
È un attacco molto forte.
«Stiamo parlando di minoranze che vogliono imporre il proprio modo di vivere e i propri valori a una maggioranza».
Vox ha un sistema di alleanze internazionali, non si tratta di un partito isolato. E, come Fratelli d’Italia, si è opposto all’invasione russa dell’Ucraina. Questo non la tranquillizza?
«Vox ha una rete di relazioni internazionali alla quale si appoggia politicamente ed economicamente. Serve loro per poter dire: “Vedete? Ce ne sono molti nel mondo come noi”. Quello che è certo è che i loro punti di riferimento all’estero sono i governi ultraconservatori di Ungheria e Polonia. E fino a poco tempo fa c’era la Russia di Putin».
Oggi voi e i socialisti governate la Spagna, se domani toccasse a Vox non sarebbe una normale alternanza democratica?
«In quel caso sarebbe a rischio la nostra appartenenza all’Unione europea e in fondo la nostra democrazia. Ma Vox non governerà la Spagna».
Qual è la sua ricetta per sconfiggere la destra?
«A mio parere c’è una doppia dimensione importante: in primo luogo, bisogna svelare il loro “programma occulto”, che difendono strenuamente, del quale però non parlano mai».
Di che si tratterebbe?
«In Spagna quello che l’ultradestra vuole è lo smantellamento del sistema pubblico delle pensioni, il taglio dei salari, colpendo le condizioni di vita della classe lavoratrice. Le loro posizioni non sono soltanto reazionarie negli aspetti etici, ma sono un gradino più rispetto al programma economico delle élite. Attaccano la rappresentanza sindacale e il ruolo delle comunità autonome, per questo dico che c’è un problema democratico».
La sinistra si limita ad agitare il pericolo democratico o deve, secondo lei, proporre un’alternativa?
«La cosa più importante per combattere le posizioni, che le ho appena descritto, è progettare un’alternativa che rafforzi la democrazia. Senza il brodo di coltura dell’odio e della disperazione l’estrema destra non è nulla».
(da La Stampa)

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LE SOLITE PUTINATE: “LE ÉLITE EUROPEE STANNO DANNEGGIANDO LA PROPRIA POPOLAZIONE CON SANZIONI FOLLI E SCONSIDERATE ALLA RUSSIA”

Giugno 18th, 2022 Riccardo Fucile

MA I DATI DICONO BEN ALTRO: L’INFLAZIONE RUSSA E’ ESPLOSA AL 17%

E alla fine, (ri)parlò Putin. Presentandosi di persona (e non in video) al Forum di San Pietroburgo – dove quest’anno ospiti d’onore sono stati i talebani, ma c’erano anche gli italiani Vincenzo Trani e il presidente di Confindustria Russia – Vladimir Vladimirovich ha spiegato una volta di più che la guerra è a tutto l’Occidente, che «mina l’equilibrio internazionale», agli Usa, che «si credono unico centro del mondo», e all’Europa, che presto «sarà travolta dal radicalismo, e vedrà cambiare le sue élite». L’Ucraina è arrivata solo in fondo al ragionamento.
Prendendo la parola in mezzo al presidente kazako Tokayev – ormai uno dei pochi leader che accetti di farsi vedere con lui – e a Margarita Simonyan, la direttrice di RT e scatenata propagandista del Cremlino, Putin è andato subito al punto che gli brucia di più: le sanzioni. «Concetti chiave per le imprese» come l’inviolabilità della proprietà privata, ha detto, «sono stati decisamente minati dai nostri partner occidentali, apposta, per ambizione».
La colpa principale è degli Stati Uniti, nella sua visione: «Quando hanno vinto la Guerra Fredda, gli Stati Uniti si sono dichiarati rappresentanti di Dio in terra, persone che non hanno responsabilità, solo interessi. Hanno dichiarato sacri quegli interessi. Ora è un traffico a senso unico, che rende il mondo instabile». Poi ha allargato il tiro: «I nostri colleghi occidentali stanno cercando di fermare il flusso della storia. Sono persi nelle loro illusioni e non vogliono prestare attenzione ai cambiamenti. Pensano che tutti gli altri siano la loro colonia: se sono eccezionali, gli altri sono cittadini di seconda classe». In questo, riflettendo a specchio – un classico del Cremlino – proprio quello che aveva teorizzato nel celebre discorso su Pietro il Grande, e cioè che esistono stati sovrani e stati colonia. Solo che ora rovescia sull’Occidente questo (suo) modo di pensare.
Ma – e la notizia sta probabilmente qui – il presidente russo ce l’ha anche molto, forse soprattutto, con l’Europa, e questo è relativamente meno scontato. Tradendo frustrazione per le sanzioni e l’attivismo europeo su questa materia, Putin ha messo allo scoperto qual è la grande scommessa del Cremlino: «La situazione in Europa porterà a un aumento dei radicalismi e poi, in prospettiva, al cambio delle élite al potere».
Tutto a causa di sanzioni «folli e sconsiderate, il loro scopo è schiacciare l’economia della Federazione russa ma non non hanno funzionato. I politici europei hanno già causato con le loro stesse mani seri danni alla propria economia».
In realtà i dati dicono completamente altro. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo ha ridotto per quest’anno le le previsioni di crescita della zona euro dal 4,3% stimato a dicembre al 2,6% e dal 2,5% all’1,6% per il 2023. L’Ocse insomma ha stimato che la Russia crollerà almeno del 10% quest’anno. Putin sostiene che l’inflazione russa è sotto controllo, ma è al 17,6%. L’inflazione media della zona euro è attualmente meno della metà, 8,1%.
Per Putin, invece, esiste una realtà alternativa, «la guerra-lampo economica contro la Russia non ha mai avuto possibilità di successo. E le armi delle sanzioni sono a doppio taglio». E qui ha fatto anche un suo calcolo: il Cremlino ritiene che l’Unione europea perderà 400 miliardi di dollari a causa delle sanzioni.
Ma tutte le considerazioni di Putin sull’Europa sono particolarmente interessanti, perché espongono in maniera paradossalmente sincera lo scheletro delle operazioni di disinformation e propaganda a cui stiamo assistendo nei paesi europei, Italia in primis.
Per esempio solleticare i partiti populisti e sovranisti: «L’UE ha perso la sua sovranità politica. Le sue élite stanno ballando sulla musica di qualcun altro, danneggiando la propria popolazione. I veri interessi degli europei e delle imprese europee sono totalmente ignorati e spazzati via». Insomma: sono io a difendere la vera Europa, più di Joe Biden.
Per quanto possano apparire surreali, sono argomenti che possono fare presa, in uno scenario mediatico compromesso da disinfo ops e spy ops russe intensissime, in questi mesi. In questa visione, l’Ucraina è un puro tavolo da macello, per Putin: che però accusa l’Occidente di quello che st facendo lui. «La nostra operazione speciale
Il presidente della Federazione russa – stavolta in maniera più cortese rispetto al discorso su «spazzeremo via i traditori della patria come moscerini» – ripete anche l’avvertimento sinistro agli oligarchi: Putin dice alle élite russe di restare a casa: «Il vero successo è possibile solo quando leghi il tuo futuro e quello dei tuoi figli alla madrepatria», sibila. «Gli eventi recenti hanno confermato che è più sicuro stare a casa: coloro che non volevano sentire quel messaggio hanno perso milioni di dollari». La cosa curiosa è che, in platea, c’erano ad ascoltarlo anche tanti di quegli oligarchi che si erano vestiti da “pacifisti” e da “trattativisti” dopo l’invasione, facendo commenti (invero molto prudenti) contro la guerra. Alla fin fine, da Oleg Deripaska ad Andrei Kostin a Herman Gref, molti sono – come di consueto – a baciare la pantofola a Vladimir Vladimirovich.
(da agenzie)

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EMERGENZA SICCITA’, L’ALLARME DEL CNR: “ORMAI E’ TARDI, COSI’ DOVREMO RAZIONARE L’ACQUA IN AUTUNNO”

Giugno 18th, 2022 Riccardo Fucile

LE LIMITAZIONI SONO GIA’ SCATTATE IN 170 COMUNI DEL PIEMONTE, DOVE E’ POSSIBILE USARE L’ACQUA SOLO A SCOPO ALIMENTARE

L’emergenza siccità che sta colpendo soprattutto Piemonte e Lombardia potrebbe estendersi molto presto almeno nel Centro Italia, con tempi di risoluzione che rischiano di allungarsi e soprattutto con la necessità sempre crescente di soluzioni drastiche.
A lanciare l’allarme è la ricercatrice Ramona Magno dell’Osservatorio siccità del Consiglio nazionale della ricerca, che in un’intervista al Fatto quotidiano affaccia l’ipotesi che in vista di settembre «andranno prese decisioni anche drastiche».
Certo l’acqua potabile per uso domestico è generalmente l’ultima a essere limitata: «ma se continua così – dice la ricercatrice – il razionamento non è purtroppo da escludere».
L’allarme al Nord
La siccità lungo il Po, in secca come non mai da 70 anni a questa parte, sta già colpendo più di 100 comuni costretti a far ricorso alle autobotti per rifornire le case di acqua. Solo in Piemonte, denuncia Coldiretti, sono oltre 170 i comuni in difficoltà, mentre il governatore Alberto Cirio ha già chiesto lo stato di emergenza al governo. Per i prossimi 15-20 giorni sono previste misure tampone, come lo sversamento di acqua dai bacini sfruttati per l’idroelettrico. Ma sono soluzioni temporanee, avverte la Regione Piemonte. Secondo Magno, è ormai tardi perché la situazione possa trovare una soluzione, perché «può sembrare un paradosso, ma il problema della siccità si affronta quando piove». Per questo non ci sarebbe altra via, una volta usciti da questa emergenza, che pianificare dei metodi di risparmio concreto e sistematico.
L’effetto a catena
E la siccità potrebbe portare con sé un effetto a catena preoccupante. Il fenomeno della siccità non sta colpendo solo l’Italia, ma anche altri Paesi europei come Francia e Portogallo. Fenomeni altrettanto gravi, ricorda Magno, ci sono stati anche nel Nord e soprattuto nel Sud America: «Qui la crisi idrica sta colpendo pesantemente i mercati della soia e del grano. Il mix concentrico tra guerra in Ucraina a Est e crisi idrica a Ovest e oltreoceano è potenzialmente devastante».
(da agenzie)

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