Giugno 19th, 2022 Riccardo Fucile
“PER ADESSO CHIUDIAMO UN GIORNO, POI CHIUDEREMO PER UNA SETTIMANA”
Troppa maleducazione e poco rispetto per il luogo: per questo motivo il don chiude
per un giorno l’oratorio parrocchiale e minaccia una serrata di più giorni per la settimana prossima.
Succede nella parrocchia di Cicognara, frazione di Viadana in provincia di Mantova, dove giovedì, come riportato dalla Gazzetta di Mantova, don Andrea Spreafico, ritenendo che la misura fosse colma, ha chiuso il centro di aggregazione parrocchiale che, se l’atteggiamento degli utenti non dovesse cambiare, potrebbe venire sbarrato anche la prossima settimana e per più giorni.
Sul cancello dell’oratorio ha affisso un cartello per spiegare i motivi: «Oratorio chiuso. Motivi: troppe parole volgari, cacca ovunque nei bagni, rifiuti buttati a caso, sedie prese dal portico e abbandonate, persone che entrano in mutandoni e canottiera, uomini che si tolgono le croste dai piedi, bambini sotto i cinque anni non accompagnati in bagno dai genitori, comportamenti da bulli violenti. Cioè, maleducazione. Per adesso chiudiamo un giorno – è l’avviso -, poi chiuderemo per una settimana. Questa è la nostra casa: se entri rispetti le regole oppure stai fuori. Attenzione: sulla piazza davanti alla chiesa, di nostra proprietà, non si gioca a pallone».
Un messaggio forte e chiaro che il parroco bergamasco (Viadana e le sue frazioni come gran parte dell’area circostante fanno parte della Diocesi di Cremona) ha voluto far arrivare ai numerosi utenti dell’oratorio, per dare un taglio ai comportamenti poco consoni ed evitare di dover chiudere al pubblico la struttura.
«Il senso di questo gesto – spiega il parroco – è dare un avviso perentorio a chi frequenta la nostra struttura: si tratta di tante persone che arrivano anche dai paesi e dalle frazioni vicine. Io sono contentissimo che il nostro oratorio piaccia così tanto, ma deve anche essere chiaro a tutti che il luogo deve essere rispettato. Abbiamo oltre cento volontari che si prendono cura dell’area in modo del tutto disinteressato e nel corso degli anni abbiamo investito parecchio denaro per migliorare questo luogo. Sono arrivato a Cicognara circa nove anni fa e la situazione era ben peggiore. Ora, per fortuna, è migliorata, ma ci sono ancora diversi comportamenti che denotano davvero poco rispetto per i luoghi. Che, si badi bene, non sono pubblici: ma sono della nostra comunità parrocchiale e vengono volentieri messi a disposizione di tutti. A patto che i fruitori, sia bambini che adulti, si comportino in modo adeguato. Per ora – conclude il parroco -, abbiamo deciso di chiudere per un giorno solo e siamo già pronti a riaprire i battenti del nostro oratorio. Ma tanti comportamenti devono cambiare, altrimenti non avremo problemi a chiudere una settimana intera: anche già la prossima». Come a dire: uomo avvisato, mezzo salvato.
(da il Corriere della Sera)
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Giugno 19th, 2022 Riccardo Fucile
LA MOGLIE DEL PRESIDENTE UCRAINO OLENA ZELENSKA HA RACCONTATO AL “GUARDIAN” LA SUA VITA DA FIRST LADY IN GUERRA: NIENTE CELLULARI, NESSUN SOCIAL, E’ STATA SEPARATA SUBITO DA MARITO E TENUTA NASCOSTA INSIEME AI FIGLI IN UNA LOCALITA’ SEGRETA
Olena Zelenska, ovvero come sopravvivere a quasi quattro mesi di caccia da parte di spie, missili, bombardieri e forze speciali della seconda potenza militare al mondo. L’intervista rilasciata dalla moglie del presidente ucraino a The Guardian è, assieme a quella di aprile del marito al settimanale Time, una ricostruzione dei primi giorni di guerra che servirà a storici e pianificatori militari.
Se è vero che il presidente era l’obbiettivo numero uno dell’attacco russo e la sua famiglia l’obbiettivo numero due, entrambi i target sono stati mancati. Presidente e consorte sono ancora vivi. È in egual misura un fallimento russo e un successo dei servizi di sicurezza ucraini. Com’è stato possibile? La conversazione con Shaun Walker dà alcuni indizi.
Top Secret. Anzitutto Olena non conosceva alcun segreto militare. Zelensky leggeva i rapporti dell’intelligence occidentale, ma non ne parlava con la moglie e, decidendo di dormire in casa, neppure lui ci aveva veramente creduto. Quando, però, nella notte del 24 febbraio Olena si è svegliata per i bombardamenti, ha visto il marito già vestito e pronto ad andare alla riunione del Consiglio di sicurezza. Non si sarebbero più incontrati per settimane.
«Aveva giacca e cravatta», ricorda la moglie. Il look «guerriero» è stata un’intuizione successiva, dello staff o del presidente, non della moglie. Per la coppia presidenziale tanta indipendenza non era una novità. «Ho saputo che si sarebbe candidato alla presidenza dalla televisione», ammette lei. Il giornalista la incalza: arrabbiata? affascinata? rassegnata? «Tutto l’arco delle emozioni», replica lei.
Black out. Le comunicazioni sono il punto debole di molti ricercati. Ad Olena e ai figli i servizi segreti hanno imposto di lasciare alle spalle ogni apparato elettronico personale e abbandonare ogni social network. Un suo ingresso su Facebook, ad esempio, avrebbe potuto essere individuato fornendo le coordinate per un missile. Niente più telefonini o vita virtuale dunque. Era il presidente a telefonare, di tanto in tanto, su linee militari criptate.
Distacco. Marito e moglie si sono divisi da subito, come milioni di coppie ucraine. Mentre lui è rimasto a Kiev rigettando l’offerta americana di fuga («ho bisogno di armi, non di un taxi»), lei è stata posta al riparo in una località segreta «ma sempre in Ucraina» con i due figli Kyrilo (7 anni) e Oleksandra (17). «Seguivamo in ogni momento la tv», racconta la signora Zelenska. Angoscia per le immagini di Kiev sotto attacco, per lo stress visibile ad ogni video del marito e per i figli isolati da amici e compagni.
Personalità. Olena è l’altra faccia di Volodymyr. Si conoscono da bambini, hanno fatto lo stesso liceo e la stessa università. Ma tanto lui adora essere al centro dell’attenzione, tanto lei è insicura in pubblico. Condividono però il senso dell’umorismo e così Olena ha scritto spesso gli sketch per le commedie di lui. «Solo che Volodymyr non si stanca mai. Anche quando litighiamo».
(da Il Corriere della Sera)
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Giugno 19th, 2022 Riccardo Fucile
“NON SERVONO DONNE AL COMANDO SE NON DIFENDONO I DIRITTI DELLE ALTRE DONNE”
“Non servono donne al comando se non difendono i diritti delle altre donne”. La
vicepresidente dell’Emilia-Romagna Elly Schlein scende in campo contro Giorgia Meloni e il suo comizio in Spagna. Lo fa nella serata finale di Repubblica delle Idee 2022. Presenti anche il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, la scrittrice Chiara Valerio, in un incontro moderato dal vicedirettore Francesco Bei.
“Nel suo comizio all’incontro di Vox ho visto tanto odio ma – ha detto la vicepresidente – le vorrei dire che con l’odio non si governa un paese”.
Elly Schlein si riferisce all’ormai noto discorso che Giorgia Meloni ha pronunciato a Marbella, in Andalusia, a sostegno di Macarena Olona, candidata alla presidenza della regione per Vox, il partito di estrema destra spagnolo.
Il comizio della leader di Fratelli d’Italia, oltre a diventare virale sui come quello “Io sono Giorgia, sono una donna”, ha attirato molte polemiche. “No alla lobby LGBT, No violenza islamista! No all’immigrazione! No alla grande finanza internazionale. Sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt, sì alla identità sessuale, no alla ideologia di genere, sì alla cultura della vita, no a quella della morte, sì ai valori universali cristiani”, aveva dichiarato Meloni.
Le sue parole, tra le tante voci contrarie, non sono piaciute alla vicepresidente dell’Emilia-Romagna, che durante l’incontro di Repubblica, ha detto: “In quel discorso c’era una lunga lista di nemici a cui addossare ogni colpa, ma non c’era mezza parola sulle soluzioni. Non ho sentito una parola su come contrastare il precariato. Cosa pensa Giorgia Meloni del salario minimo? Non ho sentito parlare dei 4 milioni di italiani che soffrono di povertà energetica. Sul perché serve investire sul welfare pubblico, nei servizi educativi per l’infanzia o nei sevizi per le persone non autosufficienti. A Meloni dico: non c’è niente di naturale in un modello di famiglia in cui le donne servono a fare figli e a occuparsene da sole. Non servono donne al comando se non difendono i diritti delle altre donne.”
(da Globalist)
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Giugno 19th, 2022 Riccardo Fucile
TOSI VUOLE L’APPARENTAMENTO, LA MELONI CERCA DI MEDIARE CON SBOARINA CHE PERO’ RIFIUTA… E’ UNA LOTTA DI POLTRONE
Mentre Damiano Tommasi continua a girare i quartieri di Verona e organizza
(partecipandovi) un torneo di calcetto pre-elettorale, il centrodestra continua a girare a vuoto, anche se le sta provando tutte per mettere d’accordo Montecchi e Capuleti, alias Federico Sboarina e Flavio Tosi.
Ieri Sboarina ha cercato di addossare a Tosi la responsabilità della mancata intesa. “Ho letto da qualche parte che io ‘avrei chiuso’. Io non ho chiuso a nessuno, i tecnicismi non verrebbero capiti dai cittadini veronesi”.
In realtà quello che Sboarina chiama tecnicismo è previsto dalla legge elettorale nei comuni con oltre 15mila elettori e prevede accordi formali al secondo turno, con una nuova maggioranza e inserendo nella scheda i simboli dei nuovi partiti che appoggiano il candidato sindaco.
Il sindaco uscente spiega anche il rapporto con i vertici di Fratelli d’Italia, partito del quale ha preso la tessera un anno fa. “Con Giorgia Meloni ci eravamo già sentiti. È chiaro che c’è stata un confronto rispetto al tema dell’apparentamento, dopodiché c’è stata la scelta che ho fatto e che stiamo portando avanti”.
Nel frattempo è stata rilanciata da RaiNews24 una dichiarazione di Tosi: “Il 26 giugno non andrò a votare per Tommasi, non per la persona, ma perché non ha la capacità amministrativa che serve. Immagino che andrò a votare Sboarina, ma prima mi confronterò con Forza Italia per decidere quale linea tenere e cosa dire al nostro elettorato”.
L’ex sindaco (dal 2007 al 2017) ha aggiunto: “Tommasi parte dal 40 per cento e sulle ali dell’entusiasmo se lo ritrova tutto a votare al secondo turno. Al ballottaggio l’affluenza cala, per questo o ci si allea organicamente con tutto il centrodestra per avere anche dalla nostra parte lo stesso entusiasmo, oppure la possibilità di perdere è altissima”.
La palla è così tornata a Sboarina, che ha risposto: “Ringrazio Tosi se ha fatto questa dichiarazione, ma sarebbe difficile comprendere il contrario”
A Tosi, però, non bastano le parole. Per questo non cambia la linea e risponde a muso duro al tentativo di Sboarina di ottenere un endorsement. “Accetteremo solo l’apparentamento ufficiale, l’unico previsto dalla normativa sui ballottaggi, alla luce del sole. Apparentamento che farebbe eleggere in Consiglio Comunale i nostri uomini e le nostre donne di centrodestra più votati e più votate (quindi scelti e scelte dal popolo). Accordicchi di palazzo e ‘careghe’ non ci interessano”. Chiede pari dignità: “Non ci interessa essere trattati come alleati di serie B, come vorrebbe Sboarina che cerca i voti dei nostri elettori ma non vuole che quegli stessi elettori siano rappresentati da chi hanno votato al primo turno. Una logica anti-democratica! E irrispettosa: un po’ come se ti invitassero a cena e mentre gli amici mangiano in salotto, tu sei seduto nel guardaroba”.
La situazione nel centrodestra veronese è talmente complicata che da Roma ha provato a sbrogliarla la stessa Giorgia Meloni, garantendo a Tosi quella dignità di trattamento tanto invocata: “Federico Sboarina a Verona e Valerio Donato a Catanzaro potranno dunque contare sul sostegno dell’intero centrodestra – ha scritto Meloni in una nota – al di là delle formule tecniche di una condivisione che rimane sostanziale. In particolare a Verona, seppur in assenza di un apparentamento tecnico, Fratelli d’Italia si fa garante da subito della piena condivisione del progetto con Flavio Tosi, per dare al capoluogo scaligero un programma e una squadra di centrodestra vincenti”.
Ma la risposta del terzo più votato al primo turno non è stata quella attesa dalla leader di FdI: “Leggo con meraviglia la nota di Giorgia Meloni, la quale interpreta a suo modo una mia dichiarazione, alludendo ad un accordo raggiunto con Fdi a Verona in vista del ballottaggio, accordo che non c’è proprio a causa delle scelte di Federico Sboarina, il quale dimostra finora di non avere a cuore l’unità, né tantomeno la vittoria del centrodestra”.
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2022 Riccardo Fucile
CHI SE NE ANDRA’ CON LUI?
Il clima nel M5s si è fatto irrespirabile: a dirlo non sono i commentatori più prevenuti, ma gli stessi parlamentari del Movimento, sia quelli vicini a Giuseppe Conte che quelli pronti a seguire Luigi Di Maio.
“Seguire”, perché non c’è più nessuno disposto a scommettere mezzo euro su una tregua duratura, e dopo la sentenza definitiva del tribunale di Napoli le chiavi del M5s sono saldamente in mano a Conte, e a traslocare deve essere il ministro degli Esteri.
Fino alla vigilia dell’ultima decisione dei giudici napoletani l’ex premier aveva un piano B in caso di verdetto sfavorevole, la nascita di una nuova formazione con tutti i suoi fedelissimi, da Patuanelli a Taverna, da Turco a Ricciardi, da Licheri a Baldini, da Todde a Gubitosa.
Ma dopo la vittoria giudiziaria di Napoli è subito stato chiaro per tutti che iniziava la resa dei conti tra le due anime. La aspettavano, gli uni e gli altri, da 140 giorni.
Perché la spaccatura, già evidente dalla nascita del governo Draghi, è diventata scontro aperto un mese prima dell’invasione russa dell’Ucraina, nella sera in cui Conte raggiunse l’accordo con Salvini su Elisabetta Belloni al posto di Mattarella (suggellato da un tweet di Beppe Grillo “Benvenuta Signora Italia, ti aspettavamo da tempo. #Elisabetta Belloni”), intesa mandata all’aria con una nota-killer firmata Luigi Di Maio: «Trovo indecoroso che sia stato buttato in pasto al dibattito pubblico un alto profilo come quello di Elisabetta Belloni. Senza un accordo condiviso. Lo avevo detto ieri: prima di bruciare nomi bisognava trovare l’accordo della maggioranza di governo (…) Così non va bene, non è il metodo giusto».
Si seppe subito che lo stop di Di Maio era parte di un’azione compiuta insieme a Guerini, l’asse che poi avremmo visto saldo sulla scena internazionale dal mese successivo. Di Maio silurò la Belloni, ma soprattutto l’intesa Conte-Salvini.
Solo l’esplosione del conflitto ha rinviato il redde rationem, anche se poi è stato proprio il dibattito sulla guerra a dare argomenti allo scontro finale, creando la contrapposizione sulle armi da inviare o no agli ucraini.
Conte e i suoi – pensateci – hanno affrontato la questione in queste settimane come se non ci fosse un esponente del Movimento al ministero degli esteri, e Di Maio ha agito nel governo e alla Farnesina come se non ci fossero nel M5s quelle spinte fortemente contrarie all’invio di armi a Zelensky che erano state evocate esplicitamente dall’ex premier.
Il pesante risultato delle elezioni comunali (non certo imprevedibile) è servito come ulteriore trampolino per l’uscita di Di Maio, che giovedì 16 ha fatto convocare i giornalisti e ha sparato a zero su Conte, prevenendo anche la decisione sul limite dei due mandati: una votazione tra gli iscritti che si sarebbe trasformata in un referendum su “Giggino”, anzi contro di lui.
§Il botta e risposta con Conte è stato soprattutto lo scarico di un’avversione reciproca tenuta troppo a lungo a freno per ovvie comuni convenienze. Ora si arriva a parlare di espulsione per Di Maio: lo fanno tutti i luogotenenti di Conte, che tace. Sicuramente ha sul tavolo la pratica, e ne valuta pro e contro.
Anche per questo c’è attesa per il Consiglio Nazionale che Conte ha convocato con urgenza per oggi. Ma è ovvio che nemmeno nella tragicommedia del M5s si può pensare il passaggio stalinista del leader che caccia l’ex leader, o un passaggio in cui Di Maio fa il Fini che provoca il Conte-Silvio, «Che fai, mi cacci?».
Sarà semmai lui a andarsene con le proprie gambe, e con chi lo seguirà. Castelli, Battelli, Di Nicola si sono esposti in questi giorni. Ma i fedelissimi sono tanti: Spadafora, Macina, D’uva, Nesci…
(da Open)
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Giugno 19th, 2022 Riccardo Fucile
DA PALAZZO CHIGI: “SE QUALCUNO CREA UNA CRISI POLITICA, SIA CHIARO CHE IL GOVERNO NON C’E’ PIU'”
«Non potevo fare altrimenti», dice Luigi Di Maio. «Sono il ministro degli Esteri di un
Paese che sta affrontando una situazione delicatissima. Non posso andare all’estero a spiegare posizioni ambigue sulla guerra. Questa non è una vicenda personale, è un tema nazionale, è una preoccupazione fortissima che non riguarda solo me. Quello che stanno facendo è molto pericoloso».
È il primo pomeriggio di ieri quando al capo della Farnesina arrivano i segnali di quel che sta per accadere. Il Movimento 5 stelle di cui è parte fin dall’inizio, che ha rappresentato come vicepresidente della Camera prima, come capo politico poi, fino a portarlo all’oltre 33 per cento delle ultime elezioni politiche, vuole metterlo fuori.
Non potranno farlo subito per ragioni procedurali, dovranno capire cosa pensa davvero di tutta questa storia Beppe Grillo, ma Giuseppe Conte e i suoi vicepresidenti hanno deciso di fare una dichiarazione che non lasci spazio a dubbi: Di Maio non parla più a nome del Movimento.
È la fine di un’epoca, l’ennesimo strappo senza precedenti dopo il distacco dalla Casaleggio Associati e quello dal fondatore cui è rimasto il ruolo di Garante (e di “comunicatore” a 300mila euro l’anno). Il ministro degli Esteri continua a dire a tutti coloro che riescono a parlarci che non aveva scelta: «Avete visto come la Russia è pronta a saltare sulle nostre divisioni? Non capiscono che non ce lo possiamo permettere?». Giura che al suo destino personale nemmeno ha pensato.
È rimasto in silenzio in tutti questi mesi – dopo aver posto il problema della débâcle nella partita per il Colle – e non ha rilasciato nessuna dichiarazione sulla politica interna per non essere considerato un sabotatore. Ma adesso intende mettere la sua forza politica di fronte al dovere della chiarezza: «Siamo o no nella Nato? Agiamo o no in totale coordinamento con l’Unione europea? L’Italia intende ergersi a difesa dell’Ucraina o della Russia?».
Sono domande imprescindibili in questo momento storico e secondo Di Maio servono risposte meno ambigue di quelle date fin qui.
Parla di «operazione verità», perché non ci si può più nascondere dietro a pensieri arzigogolati che seguono l’ultimo sondaggio e il consenso perduto: «Non possiamo mettere in discussione la nostra collocazione internazionale – ha detto più volte in questi giorni – è prima di tutto una questione di sicurezza del Paese».
Quando ha visto la bozza di risoluzione preparata dai senatori per il 21 giugno, il capo della Farnesina ha avvisato: «È impraticabile». Adesso è accusato di averla fatta circolare lui, ieri, in modo da mandare a monte la difficile mediazione che stava tentando il Partito democratico per disinnescarla. Il punto però non sono più le reciproche tattiche e narrazioni. Il punto è che da qui non si torna indietro. Che ogni composizione del dualismo interno appare ormai impraticabile.
E anche se i vertici M5S dicono che mai chiederanno al ministro degli Esteri di dimettersi, neanche se la scomunica diventasse presto un’espulsione, è chiaro che una mossa del genere non può non creare una fibrillazione nel governo. Dando ragione a chi pensa che Conte non veda affatto con dispiacere l’idea di un appoggio esterno che consenta a Draghi di andare avanti e al Movimento di fare una campagna elettorale con le mani più libere. Dei ministri, Stefano Patuanelli lo seguirebbe facilmente, probabilmente farebbe più fatica a convincere Fabiana Dadone e Federico D’Incà, ma è un’opzione che nessuno si sente più di escludere.
A Palazzo Chigi, però, in tutte le interlocuzioni avute con i 5 stelle, sono stati molto chiari: «Se create una crisi politica il governo è finito, non c’è più».
L’idea di andare avanti con un appoggio esterno non è mai stata presa in considerazione da Mario Draghi, anche se era prevedibile che più ci si sarebbe avvicinati alla data delle elezioni politiche più la situazione della maggioranza sarebbe diventata ingestibile. Quanto alla risoluzione parlamentare prevista per martedì 21, in occasione delle comunicazioni del premier sul Consiglio europeo, anche su quella da Chigi sono stati molto chiari: se i 5 stelle non rinunciano all’idea di vincolare l’invio di nuove armi a una decisione del Parlamento, il governo finisce.
A Conte è stato riferito esattamente con queste parole. E senza subordinate. È quindi probabile che per riuscire a giustificare davanti ai suoi parlamentari e agli elettori una posizione più morbida sulla risoluzione, l’ex premier abbia bisogno di “scomunicare” Di Maio. In modo che qualsiasi compromesso non sia interpretato come un cedimento alla visione dell’ex capo politico.
Questo però non gli eviterà problemi. Lo è già il richiamo di Grillo sul mantenimento del vincolo del doppio mandato: se fosse così, a mettersi di traverso sarebbero infatti molti dei fedelissimi del nuovo leader, a partire da Paola Taverna, e tenere i gruppi coesi – a parte chi vorrà seguire Di Maio in una probabile nuova avventura – non sarà affatto facile. Lo hanno capito anche nel Pd. «Sono preoccupatissimo – ha detto ieri ai suoi Enrico Letta – perché stavolta vanno fino in fondo».
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2022 Riccardo Fucile
OGGI LA RIUNIONE DEL CONSIGLIO NAZIONALE… I CONTIANI SONO PER LA “PACE DI MOSCA”: DISARMARE GLI UCRAINI, COSI’ I RUSSI POSSONO MASSACRARLI… L’IMPORTANTE E’ CHE I FIGHETTI NON PRENDANO FREDDO QUESTO INVERNO
Il braccio di ferro tra l’ala del presidente e la parte del ministro continua a spaccare in due il Movimento 5 stelle.
Da una parte Giuseppe Conte, accusato dal ministro degli Esteri di «mettere a repentaglio la sicurezza del Paese»; dall’altra Luigi di Maio, che ora, secondo le ultime indiscrezioni, rischierebbe la definitiva espulsione dal gruppo.
Dopo le amministrative erano arrivate le prime frecce del del ministro al leader M5S: «Mai così male – aveva detto -, continua ad imitare Salvini e confonde l’elettorato».
Un’accusa che Conte aveva incassato come la peggiore offesa «al M5s e alla sua stessa comunità».
Poi l’attacco sulla questione della armi in Ucraina, su cui Conte è sempre stato cauto, e che ha gettato benzina su un rapporto già inclinato. «Cacciarlo? Lo sta facendo da solo. Se Di Maio vuole formare un nuovo partito ce lo dica. Con le sue beghe indebolisce il governo», aveva dichiarato il leader del Movimento.
Ma il ministro non si è fermato. L’ultima dichiarazione è stata sulla bozza di risoluzione in cui viene messo nero su bianco il «no» dei senatori del M5s all’invio di nuove armi all’Ucraina, in vista del 21 giugno, data in cui il premier Mario Draghi interverrà a palazzo Madama prima del Consiglio europeo sulla crisi ucraina.
«Ho letto che in questo ore c’è una parte del Movimento che ha proposto una bozza di risoluzione che ci disallinea dall’alleanza della Nato e dell’Ue, la Nato è un’alleanza difensiva, se ci disallineiamo dalla Nato mettiamo a repentaglio la sicurezza dell’Italia»., ha detto Di Maio, scatenando le ire dei vertici del Movimento.
«Ora ha passato il segno. Si è posto fuori dalla comunità del Movimento», commentano le fonti interne, avanzando l’idea di portare “a processo” il ministro davanti al Consiglio nazionale.
E la riunione dovrebbe tenersi già oggi in giornata, probabilmente nel pomeriggio. Come racconta anche il retroscena del Corriere, una decisione interna su Luigi Di Maio sarebbe imminente. «È grave che un nostro ministro lanci un presunto allarme sicurezza legandolo al Movimento. Con questo atteggiamento infanga i Cinque Stelle, compresi tutti gli attivisti», ragionano i vertici in queste ore. E attaccano: «Ci attribuisce pubblicamente una posizione che non abbiamo mai avuto. C’è una interlocuzione in atto per una risoluzione condivisa con le altre forze della maggioranza». E’ crisi nera dunque.
Crisi che il leader Conte starebbe affrontando con Roberto Fico: l’allineamento con il presidente della Camera gli è fondamentale anche per il ruolo di Fico come presidente del Comitato di garanzia.
Espulsione o dimissioni? Mentre sulla bozza è giallo, avanza l’ipotesi di un nuovo progetto
La decisione sull’attuale ministro degli Esteri spetterà al Consiglio Nazionale del Movimento. Secondo il nuovo statuto l’organo è chiamato «a esprimere un parere circa la decisione da assumere nei confronti di un eletto che non abbia rispettato la disciplina di gruppo».
Intanto nel Movimento c’è chi spinge per un allontanamento temporaneo. Chi, e sembrerebbe rappresentare la maggioranza, grida all’espulsione definitiva. A inasprire il clima rimane il giallo della bozza diffusa. I contiani temono che sia stata fatta circolare ad arte per creare scompiglio e alimentare la crisi, e pur non facendo nomi non faticano ad alludere alla parte che appoggia Di Maio. Quest’ultima non fa invece che prendersi i meriti di aver portato alla luce un pericolo per il Movimento e per il governo. Di fronte a questo scenario, l’aspettativa imminente di tutti è quella di una eventuale divisione del gruppo. Se la parte di Conte minimizza i numeri della possibile scissione, quella di Di Maio è sempre più convinta che una buona fetta di parlamentari seguirà il ministro degli Esteri e che quindi sarà l’ora di intraprendere un nuovo progetto indipendente.
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2022 Riccardo Fucile
“NEL PARTITO, DI LIBERALE E DI DEMOCRATICO NON C’E’ RIMASTO NULLA, LE VOCI CRITICHE MESSE AL BANDO”… “TRASFORMISTI SENZA VALORI IDEALI”
Lo aveva annunciato e oggi è arrivata la decisione ufficiale. Elio Vito ha deciso di
lasciare Forza Italia e, contestualemente, di non sedere più in Parlamento. “Signor presidente della Camera dei deputati, a seguito della mia decisione di lasciare Forza Italia, il partito nelle cui liste sono stato eletto, rassegno le mie dimissioni dal mandato parlamentare”, scrive Vito in una lettera inviata a Roberto Fico.
“Mi auguro – aggiunge – che questa decisione possa contribuire ad aiutare le giovani ed i giovani del nostro Paese a ritrovare il senso della fiducia nelle istituzioni, nel Parlamento e più in generale nella politica”.
Una decisione motivata, tra le altre cose, dalla scelta di Fi di apparentarsi con CasaPound a Lucca in vista del ballottagio delle Comunali del 26 giugno e le parole di Berlusconi sull’Ucraina. “In Fi – accusa Vito – le voci critiche sono state messe al bando”.
L’annuncio delle possibili dimissioni era arrivato ieri, quando a Lucca si è ipotizzata la possibilità di un sostegno di CasaPound, a Lucca, a Forza Italia, Lega e Fdi in vista del ballottaggio del 26 giugno delle elezioni comunali.
“Ho comunicato al presidente Berlusconi che se Forza Italia a Lucca conferma l’apparentamento con CasaPound, lascerò il partito”, aveva detto Vito. E oggi ha ufficializzato la sua decisione. A Lucca, infatti, il candidato unitario del centrodestra Mario Pardini si avvia ad essere sostenuto dall’alleanza con il movimento politico di estrema destra.
Quanto a Forza Italia, nella lettera inviata a Fico l’ex deputato ha sottolineato: “In questi ultimi mesi ha messo in atto e promosso la pratica deteriore del trasformismo, alimentando cambi di partito e di gruppo non motivati da ragioni ideali, valoriali, politiche ma da meri interessi personali, elettorali, di voti, di preferenze”. Poi ha aggiunto: “Forza Italia ha perso la sua natura di movimento politico leaderistico, liberale e democratico. La sua classe dirigente si è chiusa in una gestione accentrata ed esclusiva del potere e le voci critiche sono state messe al bando, silenziate ed escluse dagli strumenti di comunicazione”.
Vito ha poi ricordato il suo dissenso contro la posizione di Forza Italia sul ddl Zan contro l’omofobia: “Ho sperato, ho cercato, ho creduto che fosse ancora possibile una fase di confronto e discussione, un cambiamento all’interno del partito. Sono accadute, invece, due altre cose molto gravi che mi rendono impossibile continuare a militare in FI”.
La prima riguarda le affermazioni di Berlusconi sull’aggressione russa dell’Ucraina , la seconda, dice, è “l’apparentamento a Lucca per il ballottaggio con formazioni estremistiche di destra”.
Quindi ha concluso: “Per far riavere fiducia nella politica, serve una buona politica, onesta, trasparente, leale incentrata su un confronto non ideologico, non animato da odio, da pregiudizi ma dal rispetto, dalla volontà di risolvere i problemi, di realizzare i diritti civili e sociali. Serve una politica che si divide su proposte di soluzione ai problemi ma si riconosce in valori comuni, di libertà, democrazia, laicità, di appartenenza alle Istituzioni internazionali dell’Onu, della Nato, dell’Unione europea. Che si riconosca nella Costituzione”.
(da agenzie)
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Giugno 19th, 2022 Riccardo Fucile
MACRON SI GIOCA LA MAGGIORANZA IN PARLAMENTO
Si sono aperti in Francia i seggi per il secondo turno delle elezioni legislative. Nella corsa per la maggioranza nel Parlamento francese, Emmanuel Macron dovrà lottare fino all’ultimo voto per raggiungere la quota necessaria a Ensemble! per governare con tranquillità: ha bisogno di 289 seggi.
Nupes, però, l’Unione della sinistra guidata da Jean-Luc Mélenchon, sta giocando bene le sue carte. L’attenzione massima è sulle circoscrizioni in cui Ensemble! affronta la Nupes testa a testa, con i due candidati dei rispettivi schieramenti impegnati in un duello al ballottaggio: su 577 (tanti sono i deputati dell’Assemblée Nationale) i duelli saranno 264. §
In quei casi, il terzo classificato della prima domenica di voto (12 giugno) non ha superato quota 12,5%, e soltanto le due prime coalizioni sono andate allo scontro. Si tratta delle circoscrizioni più numerose.
Al primo turno, la coalizione Ensemble! ha ottenuto il 25,75% dei voti – ovvero soltanto 21.442 preferenze in più (+0,09%) rispetto all’alleanza Nupes (25,66%).
Il rischio astensione resta comunque alto, dopo che domenica scorsa si era registrato un record di 52,49%.
Anche il caldo potrebbe scoraggiare gli elettori: ieri a Parigi c’erano 38 gradi, e in altre zone si è toccato addirittura i 41 o 42°C.
(da agenzie)
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