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“TOGLIERÒ IL DISTURBO”: NELLO MUSUMECI SPIAZZA TUTTI, È PRONTO A FARE UN PASSO INDIETRO SULLA RICANDIDATURA A GOVERNATORE DELLA SICILIA

Giugno 21st, 2022 Riccardo Fucile

CON SALVINI E BERLUSCONI CHE NON VOGLIONO NEMMENO SENTIRE IL SUO NOME, MUSUMECI SI È ROTTO LE PALLE DI ESSERE CONSIDERATO IL CANDIDATO ZOPPO

Amareggiato. Per essersi sentito trascurato, lasciato solo davanti all’ostilità degli alleati dal suo stesso partito, Fratelli d’Italia, esposto alle critiche degli alleati come quelle di Gianfranco Micciché – ieri omaggiato in un messaggio ai palermitani da Silvio Berlusconi per i grandi risultati ottenuti in Sicilia – che in un’intervista al Corriere della Sera ha ribadito la contrarietà alla sua ricandidatura e le critiche: «Gioca da solo, non passa mai la palla. Ci fa perdere».
Tutto troppo, per Nello Musumeci. Che ieri, da presidente della Regione quasi a fine mandato (si voterà in autunno), parlando degli interventi sulla cultura ancora da completare ha detto: «Ci sarà il mio successore», perché «io toglierò il disturbo».
Parole a sorpresa, visto che Musumeci aveva detto che aveva tutte le intenzioni di ricandidarsi, e successivamente non spiegate: «Quello che ho detto è stato sentito, ognuno gli dia l’interpretazione che vuole, io non ho nulla da dire adesso. Incontrerò la stampa nei prossimi giorni».
In realtà, ai fedelissimi il presidente della Sicilia aveva confessato che si sarebbe aspettato un diverso appoggio dal suo partito di riferimento, che invece finora aveva rimandato la questione a dopo i ballottaggi.
Ignazio La Russa conferma che negli ultimi giorni non c’erano stati contatti, ce ne saranno nei prossimi, e non vuole ancora considerare affatto chiusa la partita: «Credo che Nello voglia un appoggio unanime, e ha ragione. Non si può continuare a essere logorati. Dovremo ragionare insieme, perché come abbiamo sempre detto, se ci sono candidati migliori di lui parliamone, ma finora nessuno ha avanzato ipotesi».
Ma è chiaro che si apre un altro percorso, visto che sia Micciché che la Lega sono pronti a trattare. Il coordinatore azzurro della Sicilia d’altronde aveva usato i toni giusti con FdI: grande rispetto per Meloni e disponibilità a «decidere insieme», ovvero a tenere conto del risultato importante nazionale e anche nell’isola del partito. Ovvero: se c’è un candidato gradito a Fratelli d’Italia, se ne parli.
Si vedrà, la partita è delicatissima, ma il cammino di Musumeci adesso è più che in salita. Sia perché Cateno De Luca, che in Sicilia conta molto, aveva già detto che si sarebbe candidato contro Musumeci se fosse sceso in campo, sia perché avanza anche un terzo polo, guidato da Fabrizio Ferrandelli che a Palermo ha ottenuto un lusinghiero risultato, e FI guarda sempre più al centro.
Adesso la parola passa ai leader del centrodestra, che ancora non hanno ritrovato l’unità di un tempo. Berlusconi ribadisce che «il centrodestra ha bisogno di essere unito» ma avverte che non bisogna «perdersi in questioni sterili come la discussione sulla futura leadership» e ricorda: «Dove siamo andati divisi, mai per nostra iniziativa, abbiamo fatto un regalo insperato alla sinistra».
(da il Corriere della Sera)

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IL LIMITE DEL DOPPIO MANDATO (REGOLA DIFESA STRENUAMENTE DA GRILLO) RIGUARDA 68 GRILLINI CHE SONO A FINE CORSA (TRA CUI DI MAIO)

Giugno 21st, 2022 Riccardo Fucile

CHI STA CON CONTE E’ CONVINTO CHE OTTERRÀ “UN CERTO NUMERO DI DEROGHE”, CHI PENSA DI NON AVERE UNA NUOVA RICANDIDATURA, SI SCHIERA CON DI MAIO

Non è solo Giuseppe Conte contro Luigi Di Maio. Né tanto meno, come suggeriva ieri Roberto Fico, Di Maio contro il Movimento 5 stelle. Dietro l’implosione grillina c’è soprattutto la via del tramonto parlamentare intrapresa da molti degli eletti della prima ora.
La guerra fratricida che sta sconquassando la base pentastellata si consuma infatti attorno al vincolo del doppio mandato. L’ultima regola aurea dei cinquestelle, così faticosamente difesa fino a questo momento da Beppe Grillo, sarà messa ai voti a fine mese. E il risultato, spiega un parlamentare grillino addentro alle recriminazioni, «sarà che Conte confermerà il limite» ma otterrà carta bianca «per un certo numero di deroghe».
Vale a dire che l’avvocato potrà salvare chi si dimostrerà fedele e scaricare chi invece ha scelto la parte opposta della barricata. Tant’ è che nei giorni scorsi proprio il ministro degli Esteri, divenuto volto simbolo dei futuri epurati, ha provato a incastrarlo: «Invito gli iscritti a votare secondo i principi fondamentali». Semplificando al massimo, al netto dei rispettivi fedelissimi, chi è in lizza per la scialuppa di salvataggio blandisce Conte, mentre chi si reputa senza speranza si schiera con Di Maio e quindi minaccia di andarsene.
Sui 227 eletti oggi rimasti alle Camere (155 deputati e 72 senatori) ben 68 sono a fine corsa. Tra questi però solo i cosiddetti big nutrono qualche speranza di ottenere un salvacondotto. Una deroga appunto, che magari non li riporterà in Parlamento ma può garantirgli – urne permettendo – un posto al sole da capolista a Bruxelles, alle Regionali o come extrema ratio un qualche ruolo di primo piano all’interno del partito (sono un centinaio le cariche previste da statuto).
Anche perché i posti in Aula saranno molti meno: in primis per il taglio dei parlamentari deciso da questa legislatura e in secondo luogo per i risultati deludenti a cui sembra andare incontro il Movimento di Conte.
Gli indiziati principali sono Fico, il ministro Roberto D’Incà (considerato vicino al presidente della Camera), Vito Crimi, Carlo Sibilia, Fabiana Dadone o Giuseppe Brescia, Laura Bottici.
La posizione più chiacchierata oggi come oggi è però quella di Paola Taverna. Ha fatto discutere lo strano silenzio della pasionaria cinquestelle, vice-segretario di Conte, che anche nel bollente Consiglio nazionale di domenica è stata piuttosto conciliante.
Pure se in un’intervista ha provato a ricalibrare, in molti vedono nel suo attendismo un messaggio all’avvocato. Come lei anche l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede o il capogruppo alla Camera Davide Crippa. Quest’ ultimo in realtà, nel Consiglio ha impostato la sua riflessione su un altro assunto: assieme a chi è ormai consapevole che non verrà rieletto, ci sono pure i morosi.
E cioè quel centinaio di parlamentari che, almeno dalla fine del 2021, ha smesso di restituire al partito 2.500 euro al mese. Stando all’ultimo rendiconto del cassiere Claudio Cominardi mancano all’appello almeno 2 milioni di euro. Una voragine che diventerebbe incolmabile se i parlamentari morosi se ne andassero dal partito.
Sfogliando la margherita dei probabili non derogati ci sono diversi indipendenti che potrebbero fare la parte del leone in un’eventuale scissione. Tra questi Riccardo Fraccaro, Giovanni Endrizzi, Daniele Del Grosso, Diego De Lorenzis, Donatella Agostinelli, Alberto Airola. Ma la fetta più consistente è rappresentata dai tanti dimaiani.
La viceministra Laura Castelli, i sottosegretari Manlio Di Stefano e Dalila Nesci, Mattia Fantinati, Maria Edera Spadoni, Gianluca Vacca, Sergio Battelli, Francesco D’Uva, Sergio Puglia, Azzurra Cancelleri, Federica Daga. Ci sono poi due casi limite, quelli dei senatori Danilo Toninelli e Andrea Cioffi. Entrambi si sono detti indisponibili a ricandidarsi ma, soprattutto per quanto riguarda l’ex ministro, la deroga potrebbe essergli accordata a furor di popolo.
(da il Messaggero)

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DI MAIO VERSO L’ADDIO: IN CORSO RACCOLTA FIRME PER GRUPPO AUTONOMO ALLA CAMERA

Giugno 21st, 2022 Riccardo Fucile

TRA OGGI E DOMANI VERRA’ UFFICIALIZZATO

L’addio è inevitabile e i tempi saranno strettissimi.
Stando alle indiscrezioni arrivate da alcune fonti parlamentari all’agenzia Ansa, i “dimaiani” stanno già raccogliendo le firme per costituire un gruppo autonomo alla Camera: il numero minimo è 20 deputati. L’annuncio della nuova formazione attorno al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, potrebbe essere dato tra oggi e domani.
A quanto si capisce, sarà fatto a prescindere da come finirà la mediazione in corso tra governo e Movimento a proposito della risoluzione che sarà messa in votazione subito dopo l’intervento di Mario Draghi di oggi pomeriggio alle 15.
I contatti tra Di Maio e i parlamentari più vicini sarebbero diventati più intensi proprio in queste ore. Secondo le fonti di Ansa, tra l’altro, il numero di deputati che intendono aderire alla nuova formazione sarebbe già ora superiore alla quota minima di venti.
Lo scouting dei ‘dimaiani’ per costituire una nuova compagine parlamentare si è intensificato, di molto, tra ieri e oggi: “Telefoni roventi, stanno provando a sondare tutti…”, confida un eletto grillino all’Adnkronos. Alla Camera il nuovo gruppo plasmato dal titolare della Farnesina sarebbe già pronto: “Il numero esatto dei componenti ancora non c’è perché potrebbero aggiungersi ulteriori indecisi dell’ultima ora ma penso che nel pomeriggio avremo il numero definitivo”, spiega un deputato ‘dimaiano’. Secondo fonti ‘contiane’ sarebbero tutt’al più una ventina, massimo venticinque gli eletti intenzionati a seguire Di Maio nella sua nuova avventura parlamentare lontano dal M5S di Giuseppe Conte.
Ma per alcune fonti vicine all’ex capo politico i numeri “potrebbero essere più importanti”. Diverso il discorso per quanto riguarda Palazzo Madama, dove Di Maio potrebbe contare su una decina di senatori. “Ma al Senato – spiega un ‘dimaiano’ – la questione numerica è ininfluente. Per formare un gruppo servirebbe un simbolo: che siano dieci o venti, la sostanza non cambia”. L’annuncio dell’addio potrebbe arrivare già questo pomeriggio o comunque prima dell’assemblea congiunta fissata per domani, alla quale Di Maio non dovrebbe prendere parte.
(da agenzie)

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LA GRANDE PAURA DI SALVINI: “VOGLIONO COLPIRMI COME STA FACENDO DI MAIO CON CONTE”

Giugno 21st, 2022 Riccardo Fucile

ABBIAMO DUE RIVOLUZIONARI IN ITALIA SENZA SAPERLO… SALVINI HA PAURA DI ESSERE ESAUTORATO DAL PARTITO (CI CREDO, OGNI VOLTA CHE PARLA FA PERDERE VOTI)

Il segretario della Lega Matteo Salvini ha paura di fare la fine di Giuseppe Conte. Ovvero di finire all’angolo nel suo partito.
Lo racconta oggi un retroscena del Fatto Quotidiano a firma di Giacomo Salvini, che segnala la doppia preoccupazione del Capitano.
Ovvero quella per i risultati dei ballottaggi in arrivo lunedì. E per l’esito delle indagini sul Metropol in cui sono coinvolti uomini a lui vicini. Da Gianluca Savoini a Gianluca Meranda fino ad Alessandro Vannucci.
A inizio luglio la procura dovrebbe chiudere il fascicolo. Se chiedesse il rinvio a giudizio, per via Bellerio si metterebbe piuttosto male. Tanto che da quelle parte, fa sapere il quotidiano, c’è già chi usa la parola «complotto». Anche se i governisti Luca Zaia e Giancarlo Giorgetti hanno accettato di non criticare apertamente il segretario prima del ballottaggio.
Il piano
Il complotto che delineano dalle parti della Lega parte dal presupposto che sia Salvini che Conte siano i leader che mettono in pericolo il sistema (e quindi il governo) Draghi.
Per questo sono presi di mira con l’obiettivo di farli fuori per ripetere lo stesso governo di larghe intese anche dopo le elezioni del 2023.
Mentre Giorgia Meloni viene risparmiata perché «rompe le scatole a noi, ma sulla guerra è piegata sul governo» secondo un alto dirigente leghista. Nella Lega il maggior indiziato a fare quello che ha fatto il ministro degli Esteri è proprio Giorgetti. Che ha ottimi rapporti con Draghi e con Di Maio e viene descritto come avvilito dalle sbandate politiche del Capitano.
Politicamente c’è anche un altro pericolo all’orizzonte. La scissione del ministro degli Esteri potrebbe portare alla formazione di un polo moderato. Che ingloberebbe anche Forza Italia. Facendo fallire il suo disegno di una federazione del centrodestra.
Infine c’è il Metropol. Già in occasione dei suoi incontri con l’ambasciatore russo Sergey Razov Salvini aveva parlato di manovre dei servizi segreti per farlo fuori. Con la richiesta di rinvio a giudizio dei suoi fedelissimi la questione politica potrebbe ingrossarsi. E lui avrebbe tutto da perderci.
(da Open)

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ARMI ALL’UCRAINA, LA RISOLUZIONE ANCORA NON C’E’

Giugno 21st, 2022 Riccardo Fucile

DRAGHI IN SENATO ALLE 15

È ripreso stamattina il vertice di maggioranza sulla risoluzione sull’Ucraina dopo le sei ore di riunione di ieri.
Presenti a palazzo Cenci, tra gli altri, per il governo il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà e il sottosegretario di Stato Vincenzo Amendola. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è atteso in Senato alle ore 15.
L’intesa di massima c’è su tutto tranne che sulla formulazione del coinvolgimento del Parlamento. Ovvero il problema che ha tenuto in stand by la maggioranza negli ultimi giorni. Dopo più di 6 ore di riunione con il governo per mettere a punto la risoluzione l’accordo rimane appeso, al momento, al tipo di riferimento normativo da accompagnare all’impegno del governo a rendere partecipi le Camere delle scelte legate alla crisi in Ucraina.
Secondo l’agenzia di stampa Ansa una ipotesi gradita alla maggioranza sarebbe quella di fare un generico riferimento alla «normativa vigente» per indicare le modalità con cui coinvolgere il Parlamento.
Mentre l’esecutivo, viene spiegato da diversi presenti, preferirebbe che fosse esplicitamente indicato il riferimento al decreto numero 14 del 2022, il primo decreto con gli aiuti e l’ok all’invio di armi all’Ucraina che non implicherebbe, in sostanza, che le Camere vengano necessariamente informate prima degli invii di armi.
Intanto il dibattito continua a svolgersi sui giornali. «Vorrei ricordare che siamo in una Repubblica parlamentare e non presidenziale, chiedere che ci sia centralità del Parlamento non è un’eresia», dice a La Stampa la vicepresidente del M5s e viceministra allo Sviluppo Alessandra Todde.
E ribadisce come «inviare armi all’interno di un conflitto che si sta prolungando non sia la soluzione. Stoltenberg ha detto che la guerra può durare anni». Per questo, secondo Todde, «la situazione è cambiata in maniera sostanziale in questi mesi, c’è una situazione economica inedita e complicata, una crisi energetica».
(da agenzie)

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BEPPE GRILLO IRROMPE NELLA CRISI DI MAIO-CONTE: “QUALCUNO NON CREDE PIU’ ALLE REGOLE? CHE LO DICA”

Giugno 21st, 2022 Riccardo Fucile

IL GARANTE ALL’ATTACCO: “POSSIAMO SCEGLIERE DI LASCIARE UNA FORESTA RIGENERATA O PIETRIFICATA”

Beppe Grillo batte un colpo nella querelle tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. In un post sul suo blog il Garante del Movimento 5 Stelle manda messaggi sibillini a una delle due parti: «La luce del sole è il miglior disinfettante. Luce sia, dunque, sulle nostre ferite, sulla palude e sull’oscurità. Qualcuno non crede più nelle regole del gioco? Che lo dica con coraggio e senza espedienti. Deponga le armi di distrazione di massa e parli con onestà».
Con chi ce l’ha? «Quando il MoVimento fece i primi passi Steve Jobs chiese agli studenti di Stanford di accettare la morte come agente di cambiamento della vita e disse loro “ora il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, diventerete gradualmente il vecchio e verrete spazzati via. Scusate se sono così drastico, ma è vero”. La sua Apple è oggi diventata la più grande impresa del mondo e la Silicon Valley resta la culla dell’innovazione tecnologica. Ma nella vicina Arizona c’è anche una foresta pietrificata da milioni di anni».
Poi la chiusura: «Siamo tutti qui per andarcene, comunque, ma possiamo scegliere di lasciare una foresta rigenerata o pietrificata». Difficile indovinare con chi ce l’abbia.
Ma la frase sulle “regole del gioco” potrebbe riferirsi alla questione dei “due mandati e a casa”, che manderebbe in pensione molti dei nomi attualmente più in vista nel M5s.
Su 227 eletti grillini nel 2018 oggi 68 sarebbero a fine corsa. E senza deroga dovrebbero andare a casa. Tra questi personalità del calibro di Paola Taverna, Laura Castelli, Alfonso Bonafede. E, soprattutto, proprio Di Maio.
(da agenzie)

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