Destra di Popolo.net

L’ORO RUSSO ARRIVATO IN SVIZZERA NONOSTANTE LE SANZIONI

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

L’INCHIESTA SU TRE TONNELLATE DI LINGOTTI SEQUESTRATE AGLI OLIGARCHI

I lingotti sarebbero stati prodotti in Russia a marzo per essere trasferiti a maggio dal Regno Unito alla Svizzera. Una scoperta che accende i riflettori sul traffico clandestino delle risorse degli oligarchi, nel tentativo di salvare i propri patrimoni dalle sanzioni contro la Russia
Tre tonnellate di oro di origine russa, importate in Svizzera dal Regno Unito durante lo scorso mese di maggio, sono al centro delle indagini dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC). L’UDSC ha infatti annunciato di star esaminando le importazioni citate in relazione alle sanzioni in vigore. Questo perché, dall’inizio dell’invasione in Ucraina, la Svizzera si è adattata alle misure internazionali che hanno sospeso l’import di diversi prodotti dalla Russia, tra cui figura appunto l’oro.
«Tutti i lingotti prodotti da raffinerie russe dopo il 7 marzo 2022 non possono più essere commercializzati in Svizzera», ha puntualizzato l’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini. Eppure, le tonnellate del metallo prezioso, per un controvalore di quasi 200 milioni di franchi, sembrano aver toccato terra elvetica lo scorso mese.
Interpellate dal quotidiano Blick di Zurigo, le autorità del Paese hanno glissato: il Segretariato dell’Economia ha invocato il diritto alla privacy per non rivelare il destinatario dell’oro. Dopo l’energia, il metallo rappresenta la seconda più grande fonte di reddito da export di Mosca, ma è una risorsa essenziale anche per l’economia svizzera.
La nazione alpina costituisce infatti il principale snodo mondiale di commercio dell’oro, che viene lavorato in 4 raffinerie della Confederazione, 3 delle quali si trovano nel Canton Ticino.
Il timore è che metallo raffinato rispedito a Mosca venga utilizzato per finanziare la guerra: ecco perché il London Bullion Market, da cui le citate raffinerie dipendono, ha vietato il trattamento dell’oro russo.
Il rispetto di questo divieto da parte della Svizzera è adesso in dubbio. Così come è in dubbio il modo in cui i lingotti riescono a circolare per il pianeta nonostante le sanzioni. Secondo quanto dichiarato dall’Ong Swissaid a Repubbblica, il punto di snodo sarebbe Dubai: all’emirato arriverebbero i lingotti, e dall’emirato verrebbero spediti al resto del mondo.
(da agenzie)

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G7 VERSO LO STOP ALL’ORO DI MOSCA, BIDEN E JOHNSON IN PRESSING: “NON MOLLIAMO, KIEV DEVE VINCERE LA GUERRA”

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

DOPO GAS E PETROLIO IL METALLO PREZIOSO RAPPRESENTA LA SECONDA FONTE DI REDDITO NELLE ESPORTAZIONI DI MOSCA

Il presidente del Consiglio Mario Draghi è atterrato a Monaco di Baviera e si sta dirigendo verso il vertice del G7 di Elmau, in Germania.
Il summit è iniziato da poche ore, ma ha già prodotto i primi risultati: almeno quattro Paesi si sono detti decisi a vietare l’importazione di nuovo oro dalla Russia.
Si tratta di Regno Unito, Canada, Giappone e Stati Uniti. I negoziati sulla mesa al bando del metallo prezioso sono ancora in corso e la decisione non sarebbe ancora chiusa, ma il presidente degli USA Joe Biden la dà già per certa: «Gli Stati Uniti hanno imposto a Putin costi senza precedenti per negargli le entrate di cui ha bisogno per finanziare la sua guerra contro l’Ucraina», ha commentato.
«Insieme, il G7 annuncerà che vieteremo l’importazione di oro russo, un’importante esportazione che permette alla Russia di incassare decine di miliardi di dollari», ha concluso. L’obiettivo è quello di sferrare un ulteriore colpo all’economia della Nazione che lo scorso 24 febbraio ha avviato l’invasione dell’Ucraina: dopo l’energia, infatti, l’oro rappresenta la seconda più grande fonte di reddito da export di Mosca.
l primo ministro britannico Boris Johnson ha garantito che l’iniziativa congiunta «colpirà direttamente gli oligarchi russi e colpirà il cuore della macchina da guerra del (presidente Vladimir) Putin». BoJo ha poi ribadito il suo sostegno a Kiev, annunciando un rafforzamento del sostegno finanziario del suo Paese per aiutare l’Ucraina a far fronte all’invasione russa. Ha poi lanciato un appello agli altri leader, affinché non rinuncino a sostenere il Paese che, a suo dire «può vincere e vincerà» questa guerra.
«Non è il momento di mollare», ha insistito. Queste parole accompagnano l’offerta da parte di Londra di altri 525 milioni di sterline in garanzie per l’ottenimento di prestiti. Sommati agli altri aiuti finanziari e umanitari concessi quest’anno dal Regno Unito a Kiev, la cifra raggiunge l’1,8 miliardi di sterline.
Una linea condivisa dai vertici europei. «Saremo al fianco dell’Ucraina per tutto il tempo necessario», ha garantito la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che puntualizza come al centro del G7 ci sarà «l’impatto globale negativo della guerra russa». Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha promesso: «L’Ucraina ha bisogno di più aiuti militari, più aiuti finanziari, e lo faremo». Ha aggiunto che «le azioni della Russia hanno messo il mondo a rischio», ricordando anche che «dal primo giorno abbiamo mostrato unità nel sostenere Kiev e sanzionare Mosca». Michel insiste infatti sull’importanza delle sanzioni coordinate, sulle quali afferma di «puntare molto», essendo inoltre intenzionato a «implementarle».
«Le sanzioni devono impattare sulle facoltà della Russia che sta conducendo una guerra, ma dobbiamo tenere in considerazione anche i nostri interessi economici», ha concluso. Michel ha parlato anche del grano, auspicando che «ci sia al più presto una intesa per permettere al grano ucraino di lasciare i porti del mar Nero», mentre nel frattempo «dobbiamo cercare anche delle alternative attraverso Romania e Polonia».
Tra le armi da sfoderare nella guerra economica alla Russia, potrebbe non esserci solo quella del divieto all’import di oro. Gli Stati Uniti probabilmente riporteranno sul tavolo la questione del price cap al petrolio da Mosca, ovvero un tetto al prezzo del carburante russo. L’Unione Europea potrebbe seguirli: Mosca sta infatti continuando a vendere il proprio greggio a Paesi come l’India e la Cina. Charles Michel ha annunciato a proposito: «Siamo pronti a prendere decisioni», dopo un attento esame di quelli che potrebbero essere gli «effetti collaterali» sulle «nostre economie».
La proposta del presidente Draghi di introdurre un price cap sul gas importato dalla Russia, formulata durante il Consiglio europeo conclusosi ieri, ha invece subìto una temporanea battuta d’arresto. Diversi membri del Consiglio si sono infatti espressi in maniera sfavorevole all’accelerazione, rimandando il confronto a ottobre. A luglio arriverà invece un piano della Commissione Europea per ridurre la domanda energetica dell’Ue, da cui dovrebbe restare escluso il tetto massimo sul gas.
(da agenzie)

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I COLOSSI HI-TECH, IL NUOVO CONTROPOTERE

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA CHE HA ABOLITO IL DIRITTO DI ABORTO, GOOGLE, APPLE E META HANNO ANNUNCIATO CHE I LORO DIPENDENTI POTRANNO FARE DOMANDA DI TRASFERIMENTO IN UN ALTRO STATO “SENZA GIUSTIFICAZIONE” E CHE LE AZIENDE COPRIRANNO I COSTI DI VIAGGIO, ALLOGGIO E PROCEDURE NEL CASO DEBBANO RECARSI IN UN ALTRO STATO PER ABORTIRE

I dipendenti di Google che lo vorranno potranno fare domanda di trasferimento in un altro stato “senza giustificazione”. La decisione, contenuta in una email al personale dell’azienda di Mountain View, arriva dopo la decisione della Corte Suprema americana che non rende l’aborto illegale negli Stati Uniti, ma lascia la decisione ai singoli governi statali. Un certo numero di stati ha subito limitato il diritto all’aborto, tra cui Louisiana, Missouri e Kentucky.
Altri stati, tra cui la California, dove ha sede Google, hanno promesso di proteggere i diritti di aborto all’interno dei loro confini. La sentenza “è un cambiamento profondo per il Paese che colpisce tanti di noi, soprattutto le donne. Ognuno risponderà a suo modo suo, si tratti di volere spazio e tempo per elaborare, parlare, fare volontariato al di fuori del lavoro.
Siate consapevoli di ciò che i colleghi possano provare e, come sempre, trattatatevi l’un l’altro con rispetto – si legge nell’email pubblicata dal sito The Verge – L’equità è straordinariamente importante per noi come azienda e condividiamo le preoccupazioni sull’impatto che questa sentenza avrà sulla salute, sulla vita e sulla carriera delle persone. Continueremo a lavorare per rendere accessibili le informazioni sull’assistenza sanitaria riproduttiva attraverso i nostri prodotti e continueremo il nostro lavoro per proteggere la privacy degli utenti”.
“Per supportare i dipendenti e le persone a loro carico – aggiunge la comunicazione – il nostro piano di benefici e l’assicurazione sanitaria copre le procedure mediche fuori dallo stato se non sono disponibili dove vive e lavora un dipendente. Si può anche richiedere il trasferimento senza giustificazione”.
Ieri altre aziende tecnologiche come Apple e Meta, la casa madre di Facebook e Instagram, si sono impegnate a pagare alle dipendenti viaggio, alloggio e procedure nel caso debbano recarsi in un altro Stato per sottoporsi ad un aborto. “Sosteniamo i diritti dei nostri dipendenti a scegliere”, ha affermato Apple.
(da agenzie)

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CLARENCE THOMAS, ECCO CHI E’ IL GIUDICE SUPER CONSERVATORE CHE HA IMPALLINATO IL DIRITTO ALL’ABORTO

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

E’ TEORICO DELLA RESTAURAZIONE CONSERVATRICE E SPINGE L’IDEA CHE IL SISTEMA AMERICANO DEBBA TORNARE A FONDARSI SULL’INTERPRETAZIONE LETTERALE DELLA COSTITUZIONE

La decisione della Corte suprema Usa era scontata. Nessuno si era fatto illusioni che la Roe vs Wade superasse le forche caudine di un tribunale a forte trazione conservatrice, simbolo di un disequilibrio che non rappresenta il Paese e che è destinato a durare decenni.
Il giudice Samuel Alito ha evocato la Costituzione per sentenziare che, non essendoci riferimenti all’aborto, tutte le leggi e le sentenze che la richiamavano come base di un diritto erano impure.
E così via la Roe vs Wade. Alito ha anche spiegato che questo approccio vale solo per la questione dell’aborto.
Se guardate la foto dei nove togati, però, soffermatevi su Clarence Thomas, il veterano dei giudici – è in carica dal 1991 – ultraconservatore e secondo afroamericano a sedere fra i nove custodi delle leggi Usa. È il teorico della restaurazione e non condivide questa «timidezza» di Alito. Secondo Thomas, ora la Corte ha il dovere di «correggere l’errore – ha scritto nel parere associato – stabilito in alcuni precedenti».
Linguaggio oscuro, che significa che almeno tre sentenze del passato (Griswold, Lawrence, Obergefell) che proteggevano la contraccezione, il sesso consensuale fra gay e il matrimonio omosessuale possono venire spazzate via.
La sua è una posizione estremista, gli altri giudici conservatori hanno preferito sposare la linea di Alito, ma è un indizio di dove una fetta di America vuole portare la nazione: a cancellare ogni diritto civile faticosamente conquistato.
Il miglior alleato di Thomas è in famiglia: la moglie Ginni è un’attivista e lobbysta, adepta dei Tea Party, sugli scudi contro l’Obamacare, e così intimamente trumpiana da aver inondato il capo dello staff di Donald, Mark Meadows, di email affinché trovasse il modo di ribaltare l’esito del voto del 2020. La Commissione 6 gennaio le ha inviato un mandato di comparizione.
Il giudice Thomas è stato sin dal suo esordio un falco, ma la sua posizione è spesso stata mitigata da un equilibrio della Corte a maggioranza conservatrice (5-4) da decenni, ma con un esponente – il moderato Anthony Kennedy, nominato da Reagan – a fare da bilanciere e sovente schierato con l’ala progressista sui sociali, come i diritti Lgbtq. Kennedy, nel 2018, ha rassegnato le dimissioni e Trump al suo posto ha nominato Brett Kavanaugh, conservatore anti-abortista.
E il piano restauratore di Thomas (e della moglie) qualche chance di andare in porto ce l’ha. I primi segnali di una svolta si ebbero quando il 13 febbraio del 2016 un infarto stroncò la vita del giudice conservatore Antonin Scalia. Barack Obama si trovò dinanzi la ghiotta opportunità di nominare un liberal: la sua scelta cadde su Merrick Garland, ma i repubblicani insorsero, dicendo che nomine così importanti nell’ultimo anno di Presidenza erano inopportune.
L’ostruzionismo che fecero fu così forte che la Presidenza arrivò al termine e il nuovo giudice lo scelse Donald Trump: Neil Gorsuch. Poi ne prese altri due, lo stesso Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett.
Quest’ ultima venne nominata appena un mese prima delle elezioni del 2020, ma evidentemente i repubblicani avevano dimenticato le critiche che avevano fatto a Obama. La storia sarebbe andata diversamente se Obama fosse riuscito a portare un «suo» giudice alla Corte.
E sarebbe stata diversa se H Bader Ginsburg, morta nel 2020 a 87 anni, avesse rassegnato le dimissioni durante l’epoca di Obama. Invece Donald Trump si è trovato a nominare ben tre giudici e Thomas ha trovato alleati tanto che, paradossalmente in una Corte con sei conservatori, il giudizio del presidente, John Roberts, moderato nominato da Bush junior, è ininfluente.
Nessuno pensa che la Corte rispecchi la società americana in termini di pensiero, costumi, valori. Solo il 30% degli statunitensi è favorevole alla cancellazione del diritto dell’aborto.
Ovviamente il lavoro dei giudici non è tenere conto dei sondaggi, stare sconnessi con la realtà però è un pericolo perché le conseguenze di scelte come quella sull’aborto investono il futuro della nazione.
E minano anche la credibilità delle istituzioni. Se anche il Tribunale supremo, per definizione super partes, entra nell’arena politica, di chi fidarsi? Oggi il tasso di approvazione della Corte scavalla appena il 20%. Eppure, è questa minoranza ad avere il potere: è una destra cristiana fondamentalista che ha trovato in Trump il guardiano di un modo di concepire l’America come un fortino assediato da un mondo volgare, debole e depravato.
Davanti al vortice Trump il partito repubblicano si è sgonfiato. Chi si espone – come Liz Cheney – vede in pericolo la rielezione; altri come il deputato Adam Kinzinger sono minacciati di morte (con la moglie e il figlio di 6 mesi) perché «traditori del giuramento». E in questo clima la restaurazione dei coniugi Thomas, una volta chimera, è un più vicina. E il paradosso è che il potere di fermarla è nelle mani degli altri giudici conservatori. –
(da agenzie)

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“I CASI CRESCERANNO ANCORA COME GIÀ AVVIENE IN EUROPA. LASCIAR CORRERE IL VIRUS? È SBAGLIATO SOTTOVALUTARLO”

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

BRUSAFERRO: “LA QUARTA DOSE E’ NECESSARIA PER I FRAGILI. LE REINFEZIONI SUPERANO L’8%”… “IL TRACCIAMENTO IN QUESTA FASE È MOLTO DIFFICILE. IL NUMERO DEI CASI È TROPPO ELEVATO E PRESUMIBILMENTE QUELLI NOTIFICATI SONO INFERIORI AI REALI”

«Siamo in partita», indossa i panni del giocatore Slvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità. La partita è quella cominciata a febbraio del 2020 contro il virus Sars-CoV-2 che oggi ci tiene ancora inchiodati in campo a rispondere ai suoi colpi di avversario trasformista. L’ultimo affondo è la sottovariante Omicron 5, più trasmissibile anche se meno aggressiva.
Avrà la meglio?
«Noi la stiamo monitorando attentamente. La raccolta dei dati è fondamentale per comprendere e contenere le sue evoluzioni . In altre parole, siamo sul pezzo».
Come?
«Abbiamo una larga fascia di popolazione immune e questo è fondamentale per poter prevenire le conseguenze gravi dell’infezione e l’impatto sui servizi sanitari»
Quanti sono gli immuni?
«L’86% degli italiani oltre 5 anni d’età si sono vaccinati con ciclo completo. Vanno aggiunti tutti coloro che hanno contratto il virus naturalmente e hanno sviluppato la protezione indotta dall’infezione, direi che superiamo certamente il 90%. La copertura è ampia».
Però?
«I casi gravi restano contenuti, i ricoveri in ospedale evidenziano una crescita limitata. Se non fossimo difesi dallo scudo delle immunità la situazione sarebbe ben diversa e non potremmo guardare all’estate con la stessa prospettiva. La priorità anche oggi resta la tutela delle persone fragili, sopra gli 80 anni e delle persone affette da malattie croniche, soprattutto se anziane e immunodepresse»
Il virus non è pericoloso e si esprime con forme lievi, non converrebbe lasciarlo correre per facilitargli la strada verso l’endemia?
«Non è corretto sottovalutarlo, occorre monitorarlo ed affrontarlo modulando le azioni. Oggi credo che la popolazione abbia imparato a usare precauzioni nelle situazioni a rischio. Però dobbiamo proteggere i fragili e mantenere elevata l’immunità. Noi monitoriamo giorno per giorno, confrontandoci con i colleghi europei per intercettare subito i segnali di allarme anche con attività di sequenziamento dei patogeni».
Quarta dose necessaria?
«È prioritario in questa fase garantire una immunità elevata ai fragili per proteggerli soprattutto dalle forme gravi di malattia. Le raccomandazioni esistenti vanno in questo senso: anche i dati pubblicati questa settimana mostrano una protezione all’86% dalla malattia grave e negli over 80 la percentuale sale al 91%».
A che punto siamo della pandemia?
«Siamo ancora in fase pandemica e di questo dobbiamo essere consapevoli. Al momento tutto il sistema di controllo è pienamente operativo ».
I casi sono in risalita esplosiva?
«Non la definirei così. L’incidenza settimanale è salita dai 310 casi per 100mila abitanti della scorsa settimana agli attuali 504. È un rialzo molto significativo accompagnato da un indice di replicazione, l’Rt, superiore all’unità. Questa ondata epidemica crescerà ancora come stiamo vedendo in altri Paesi. È partita dal Portogallo e sappiamo che ciò che succede in Europa prima o poi interesserà anche noi».
A cosa è dovuta la ripresa?
«Omicron 4 e 5, le ultime due sottovarianti, sono più trasmissibili. Costituiscono rispettivamente il 18% e 34% dei ceppi circolanti, secondo l’ultimo monitoraggio. La stagione estiva favorisce i contatti e la vita sociale».
Poi ci sono le reinfezioni.
«Superano l’8%. Sappiamo che oggi chi, pur essendosi vaccinato e avendo avuto l’infezione, potrebbe contrarre una seconda volta il virus che però colpisce in modo meno grave dal punto di vista clinico»
Mascherina ancora utile?
«Indossiamola nelle situazioni a maggior rischio».
Funziona ancora il «contact tracing», il sistema di tracciamento dei contatti dei positivi?
«In questa fase è molto difficile. Il numero dei casi è troppo elevato e presumibilmente quelli notificati sono inferiori ai reali. Chi scopre autonomamente di essere positivo dovrebbe dichiararlo ed essere consapevole che può trasmettere il virus».
(da il Corriere della Sera”)

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SUOR LUISA DELL’ORTO, LA MISSIONARIA ITALIANA UCCISA AD HAITI IN UNA TENTATA RAPINA

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

UNA VITA DEDICATA AI BAMBINI POVERI, UN ESEMPIO PER IL MONDO CIVILE

Uccisa con tre colpi di pistola, probabilmente una rapina finita male, suor Luisa Dell’Orto, originaria di Lomagna ma residente ad Haiti, nella capitale Port au Prince, dove si trovava in missione dal 2002.
Avrebbe compiuto 65 anni tra due giorni. Prestava il suo impegno nel centro “Kay Chal”, che accoglie giovani dalle città più disagiate del Paese. Apparteneva all’ordine delle Piccole Sorelle del Vangelo, si trovava in auto mentre passava per Delmas 19, una delle strade principali della città: secondo le prime frammentarie informazioni che arrivano dalla sua famiglia, sarebbe stata avvicinata da un gruppo di sconosciuti, che ha esploso tre colpi verso la sua auto. Portata d’urgenza all’ospedale Bernard Mevs, è morta poco dopo il suo arrivo.
Nella capitale haitiana era diventata una sorta di punto di riferimento: Kay Chal, costruita grazie ai fondi raccolti da Caritas italiana nel 2010 e promossa dalla Cei, costituiva un vero e proprio faro per la comunità, soprattutto per i bambini.
“Vengono dopo la scuola, a fare i compiti – raccontava suor Luisa a un’inviata di Avvenire nel gennaio 2020 – sanno che fino alle 17 si studia. Poi facciamo altre attività: dal ballo al basket. E ad organizzare i gruppi sono i nostri ex alunni cresciuti che vogliono restituire quanto hanno ricevuto”.
Chi era Suor Luisa
Lo scorso aprile, in occasione della Pasqua, aveva scritto una lettera nella quale esprimeva preoccupazione per la situazione di violenza generale nel paese. Nata a Lomagna nel 1957, suor Luisa si è laureata in Teologia nel ’94 per poi partire in missiona in Madagascar. Nel 2002 il trasferimento ad Haiti. Nel 2011, aveva ottenuto il premio alla memoria di Graziella Fumagalli e Madre Erminia Cazzaniga indetto dal comune di Casatenovo, con questa motivazione: “Con il suo impegno continuo ha promosso la cultura e il progresso sociale in particolare tra i giovani e le donne ancor di più nell’emergenza seguita al terremoto di Haiti”.
(da agenzie)

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