Destra di Popolo.net

YUSUPHA JOOF, IL BRACCIANTE MORTO NELL’INCENDIO A SAN SEVERO

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

E’ MORTO NEL ROGO DELLA SUA BARACCA, VITTIMA DELLO SFRUTTAMENTO

Aveva 35 anni Yusupha Joof e veniva dal Gambia. In Italia lavorava come bracciante, ed è morto nell’incendio del suo alloggio, una baracca, che ha preso fuoco la passata notte, verso le tre. Per lui non c’è stato niente da fare.
Una baracca di legno e lamiera appena sufficiente a riparare alla bell’e meglio Yusupha e i braccianti che come lui vivono, dopo una giornata di sfiancante lavoro sotto il sole, nell’insediamenteo di Torretta Antonacci, nel foggiano.
I Vigili del fuoco hanno domato le fiamme evitando che il rogo potesse raggiungere alcune bombole di gas.
Ma la morte di Yusupha Joof poteva essere evitata?
Le miserrime condizioni in cui viveva quanto hanno contribuito al propagarsi delle fiamme che hanno coinvolto anche un’altra baracca? Aboubakar Soumahoro, sindacalista e da sempre voce dei braccianti sfruttati, è convinto che in molti si siano girati dall’altra parte:
“Stanotte Yusupha Joof, nato in Gambia, è morto tra le fiamme dell’incendio scoppiato nell’insediamento dei braccianti a Torretta Antonacci (Comune di San Severo) nelle campagne pugliesi del foggiano. La Lega Braccianti e tutta la comunità degli abitanti di Torretta Antonacci hanno domato le fiamme dopo aver chiamato da subito i vigili del fuoco e le forze dell’ordine, le cui cause sono da chiarire. Chiediamo a nome della famiglia e di tutta la comunità la verità sulle cause di questa tragedia. Chiedo a certi corpi dello STATO e della POLITICA, essendo stati INDIFFERENTI verso chi lotta a viso scoperto contro sfruttamento e assistenzialismo imprenditoriale sul corpo dei braccianti “NERI”, di risparmiarci lacrime di coccodrillo e dichiarazioni retoriche. Perché rappresentano l’altra faccia di questa tragedia. Chiediamo, a nome dei familiari in contatto con la Lega Braccianti, che siano accertate le cause di questa ennesima tragedia ai danni dei braccianti dimenticati della filiera agroalimentare. La comunità gambiana e gli abitanti dell’insediamento dei Torretta Antonacci insieme alla Lega Braccianti si faranno sentire.
Saranno ora le indagini a svelare le origini dell’incidente.
(da agenzie)

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MA CHE BRAVI BALNEARI: AGGREDITI UTENTI CHE CERCAVANO DI ATTRAVERSARE LO STABILIMENTO BALNEARE PER ARRIVARE ALLA SPIAGGIA LIBERA

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

IL PASSAGGIO E’ CONSENTITO DALLA LEGGE E NON PUO’ ESSERE RICHIESTO ALCUN PAGAMENTO

A Ostia (Roma) sei attivisti dell’associazione Mare Libero sono stati aggrediti da un bagnino dello stabilimento Marechiaro per aver cercato di accedere alla spiaggia libera attraverso un varco pubblico che dà sul tratto di litorale gestito dalla società Kelly’s Srl.
Appena messo piede sulla parte in gestione alla Marechiaro, ai sei è stato richiesto il pagamento di un “pedaggio” di 10 euro:
«Ci fermano e ci dicono che è una spiaggia privata, per entrare bisogna pagare» hanno raccontato gli attivisti a la Repubblica, chiedendo di rimanere anonimi.
«Abbiamo fatto presente che era un varco pubblico e che non potevano chiedere i soldi, loro hanno risposto che quando si entra in casa privata si saluta, dimenticando il fatto che le spiagge non sono proprietà private ma sono date in concessione e la legge prevede che non bisogna pagare per andare sulla battigia», hanno spiegato.
Secondo il racconto dei sei, in poco tempo, altri dipendenti dello stabilimento sono accorsi sulla scena, posizionando accanto all’ingresso un cartello che specifica come quel varco sia pubblico: «Lo hanno messo subito dopo che ci hanno visti e ci hanno detto che lo stavano spolverando. In pratica hanno privatizzato il varco pubblico e questo è reato. Infatti si sono innervositi, erano in otto, e hanno subito chiesto perché stavamo dando fastidio».
Nel frattempo, sul luogo è arrivata anche la polizia locale. Alla richiesta degli attivisti di spiegare perché il cartello non era presente prima, un assistente bagnanti si è innervosito: «Perde la pazienza, alza la voce, ci urla di andare e di dargli retta, poi da due ceffoni sul braccio a uno di noi pur essendo trattenuto dai vigili e afferra uno dei nostri e sotto gli occhi di un agente di polizia locale lo scaraventa sul marciapiede fuori dallo stabilimento provocandogli una ferita sanguinolenta al ginocchio», hanno raccontato i sei.
(da agenzie)

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L’ESTATE DEI RINCARI: 2.300 EURO IN PIU’ PER SPESA, BOLLETTE E BENZINA

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

A RISCHIO LE VACANZE DEGLI ITALIANI

Sarà l’estate dei rincari: dopo il caro energia e il caro carburanti, sulle vacanze di quest’anno cresce l’inflazione.
Un temporale estivo che si abbatterà dunque sul carrello della spesa: Assoutenti stima che il prezzo degli alimentari potrebbe crescere fino al +30%. L’associazione, avvalendosi dei dati Istat, ha individuato i prodotti più a rischio rincari: si tratta di mais, grano, girasole, cereali e quindi tutti i prodotti derivati (pasta, pane, dolciumi, pizza). Ma anche di frutta fresca come albicocche, ciliegie, pesche, susine, pere e mele, ma soprattutto cocomeri e meloni.
L’aumento dei prezzi non risparmierà nemmeno le verdure, come pomodori, insalate, melanzane e basilico, e i latticini.
Sommato al rincaro sul fronte energetico e del carburante, costringerà le famiglie a sostenere una spesa di almeno 2.300 euro in più all’anno, riportano le stime dei consumatori citate da La Stampa.
Il buio panorama economico che si prospetta è causato da una serie di fattori.
Anzitutto, il Covid-19, che ha generato una carenza di materie prime e di commodity. Poi è arrivato il caro energia, accompagnato da un’impennata nei costi dei trasporti.
La guerra tra Russia e Ucraina è intervenuta in questo scenario già drammatico, trascinando con sé le sanzioni a Mosca, le contro-sanzioni di Putin e la crisi del grano.
Da ultima, la siccità che ha colpito il nostro Paese.
E si aggrava ogni ora che passa: non a caso, la maggior parte dei prodotti a rischio rincaro necessita di molta acqua per crescere. Fattori che si accumulano e potrebbero costringere le famiglie a tagliare i consumi anche sui beni primari, come il cibo. Anche perché, ricorda il presidente di Assoutenti Furio Truzzi, «Già nell’ultimo mese i prezzi al dettaglio dei generi alimentari hanno comportato una maggior spesa per il cibo di circa 554 euro annui a famiglia».
Siamo reduci da mesi difficili, che avevano già iniziato a manifestarsi tra gli scaffali dei supermercati.
Rispetto all’anno scorso, i prezzi sono aumentati mediamente del 20%, stima Altroconsumo.
Tra i prodotti che sono diventati più cari spiccano olio di semi di girasole (+93% rispetto al 2021), lo zucchero, la farina, il caffè in polvere. Il mese scorso il record dei rincari l’ha vinto il prezzo dell’olio oliva: +70,2% rispetto a un anno fa. Al secondo posto il burro (+23,3%) ed al terzo le pere (+22,9%).
Seguono pomodori, pasta, farina, pollame, meloni e cocomeri e uova. «Un ulteriore incremento dei listini alimentari avrebbe effetti devastanti sulle tasche dei consumatori e sull’intera economia», commenta Truzzi.
In questo scenario, pensare a viaggi o a mangiate al ristorante si fa sempre più difficile. Il Codacons, dopo aver rielaborato i dati Istat, avverte dell’arrivo di una raffica di rincari in tutto il comparto del turismo e dei trasporti. Quest’anno spostarsi in auto costa fra il 25% e il 33% in più rispetto al 2021, mangiare al bar o al ristorante il 4,6% in più, +5% per una cena in pizzeria.
I voli europei diventano quasi inavvicinabili, con un balzo nei prezzi dei biglietti del +127%, mentre quelli nazionali si limitano al +21,4%. L’aumento medio nel costo delle camere d’albergo è del 14%.
(da Open)

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SICCITA’, SI RISCHIA IL RAZIONAMENTO DIURNO DELL’ACQUA

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

L’ALLARME DELLA PROTEZIONE CIVILE: “SIAMO AL 40-50% DI QUANTITA’ DI ACQUA PIOVUTA IN MENO RISPETTO ALLE MEDIE DEGLI ULTIMI ANNI”

Il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio ha annunciato che il governo è al lavoro per dichiarare lo stato d’emergenza a causa della siccità.
«I criteri li stiamo definendo con le regioni e soprattutto le misure. Penso nelle prossime giornate, al massimo prossime settimane avremo chiare le misure e potremo fare la dichiarazione», ha detto nel corso di un’intervista a SkyTg24. Mentre il governo va verso lo stato d’emergenza in sei regioni a causa della siccità, Curcio ha aggiunto che non è da escludersi «il razionamento diurno» dell’acqua.
«Siamo a 40-50% di quantità di acqua piovuta in meno rispetto alle medie degli ultimi anni e fino al 70 per cento di neve in meno», ha spiegato , mentre il Po avrebbe «sino all’80% in meno» della sua portata.
Alla crisi dell’oro blu, si aggiungono gli incendi: «Dal 15 di giugno a ieri ci sono state quasi 199 schede di intervento contro le 80 del 2021 e le 30 del 2020. Siamo molto preoccupati», ha dichiarato Curcio.
Il fenomeno sarebbe quindi raddoppiato rispetto all’anno scorso, e sestuplicato rispetto al 2020. Palazzo Chigi intanto prepara un Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dpcm), secondo indiscrezioni di stampa.
L’intervento si baserà su due binari paralleli: salvaguardia del comparto agricolo e approvvigionamento idrico. La Protezione Civile con lo stato d’emergenza potrà emettere ordinanze per attingere agli invasi: dal divieto dell’uso per fini non domestici alla chiusura dei rubinetti nelle ore notturne.
(da agenzie)

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BACCHETTONI E PURE BUGIARDI: I GIUDICI NOMINATI DA TRUMP SOTTO GIURAMENTO AVEVANO DICHIARATO CHE L’INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA FOSSE UN PRECEDENTE LEGALE ORMAI RADICATO

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

POI, AL MOMENTO DEL VOTO, SI SONO RIMANGIATI TUTTO. E LA LORO CREDIBILITÀ DI FRONTE AI CITTADINI È CROLLATA: SOLO IL 25% DEGLI AMERICANI HA FIDUCIA NELLA CORTE

«Mi sono fidato del giudice Gorsuch e del giudice Kavanaugh quando hanno testimoniato sotto giuramento che credevano che Roe vs Wade fosse un precedente legale oramai stabilito».
Con queste parole il senatore democratico Joe Manchin ha di fatto accusato due giudici della Corte Suprema di aver mentito durante le udienze di conferma della loro nomina davanti al Senato.
Manchin ha unito la sua voce a quella della collega repubblicana del Maine, Susan Collins, la quale ha puntato i suoi strali accusatori soprattutto contro Kavanaugh, con il quale aveva avuto lunghi colloqui a quattr’occhi.
Le televisioni, dal canto loro, ripropongono anche la testimonianza della giudice Amy Coney Barrett, terzo giudice voluto da Donald Trump e approvato a ridosso delle elezioni del 2020. Anche lei aveva ribadito di considerare «un precedente radicato» la sentenza “Roe Vs Wade” del 1973, che stabiliva che l’aborto era un diritto costituzionale.
Ora però il Paese si interroga se ci sia qualche punizione per i giudici che abbiano mentito sotto giuramento quando i senatori li interrogavano per decidere se approvare la loro nomina. Certo è che nel Paese la Corte ha perso molto del lustro di cui ha goduto per decenni.
Secondo un sondaggio Gallup, solo il 25% degli americani continua ad avere «alta fiducia» nella Corte.
Se si pensa che nel 2020 si arrivava al 58%, si capisce quanto sia grave la caduta. Dall’inizio del Novecento i giudici supremi erano stati oggetto di stima e rispetto al pari delle forze armate. Sia gli uni che gli altri sono sempre stati visti come super partes e non piegati al volere dei politici.
Ma la situazione è cambiata proprio con Donald Trump, che sin dalla sua campagna elettorale aveva apertamente promesso di scegliere giudici che abolissero il diritto di aborto, e dopo averli scelti e averne ottenuto l’approvazione dal Senato si è vantato di aver fatto più di ogni altro presidente per la causa degli anti-abortisti.
La Corte di adesso, con una super maggioranza di sei conservatori a tre liberal è sbilanciata come non lo era da decenni. Tutti i presidenti hanno sempre cercato di mantenere un bilanciamento nella Corte, strategia abbandonata in pieno da Trump, che sta così ottenendo che le leggi del Paese si spostino più a destra di dove la maggioranza dell’opinione pubblica le vorrebbe.
E per bloccare l’attivismo con-servatore dei giudici non c’è nulla da fare: la Corte non risponde a nessuno, i giudici sono nominati a vita e possono essere sottoposti a impeachment solo per gravi reati criminali.
(da agenzie)

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AVVISATE BERLUSCONI: NELLA “SUA” MONZA IL CANDIDATO DEL PD, PAOLO PILOTTO, HA RIMONTATO I 7 PUNTI DI SVANTAGGIO DEL PRIMO TURNO

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

BERLUSCONI AVEVA SCELTO LA CITTÀ BRIANZOLA PER IL SUO UNICO COMIZIO: “SE NON LO VOTIAMO SIAMO DEI COGLIONI. FORZA ITALIA TORNERÀ AL 20%”

A 122 anni dal regicidio di Umberto I Monza continua ad abbattere i suoi sovrani. A Dario Allevi, sindaco uscente di Forza Italia, non riesce la riconferma, stessa sorte toccata a tutti i suoi predecessori da quando vige la regola dell’elezione diretta dei primi cittadini.
La guida del municipio passa a Paolo Pilotto, Pd di estrazione cattolica, a cui riesce la missione impossibile di rimontare al ballottaggio i 7 punti di svantaggio accumulati due settimane fa. Finisce 51,2 a 48,8 per il candidato del centrosinistra (senza M5S) che ha la meglio su un centrodestra che a Monza si presentava nella sua formazione tipo (Forza Italia-FdI-Lega).
La «maledizione di re Umberto» colpisce di riflesso anche Silvio Berlusconi che aveva investito molto sulla riconferma del suo candidato. Non a caso il Cavaliere aveva scelto la città brianzola per la sua unica uscita tra primo e secondo turno (con Ronzulli e Fascina).
«Tra un anno Forza Italia tornerà sopra il 20%» si era sbilanciato l’ex premier parlando proprio a fianco di Allevi. Monza, del resto era l’unico capoluogo d’Italia in cui la lista berlusconiana aveva mantenuto la leadership della coalizione, con il 16% dei voti, sopravanzando tanto i meloniani quanto i salviniani.
Logico quindi che il Cavaliere vedesse in questo «fortino azzurro» il trampolino per una miracolosa risalita a livello nazionale. Così non è stato. Non ha funzionato stavolta nemmeno l’apparentamento tra politica e calcio che in passato tante fortune aveva fruttato al leader del centrodestra: il 29 maggio scorso il Monza (presidente Silvio Berlusconi, general manager Adriano Galliani) aveva conquistato la sua prima, storica promozione in serie A: nel centrodestra in molti scommettevano su un «effetto trascinamento» tra successi sportivi e fortune politiche. Niente da fare.
«Abbiamo vinto grazie al sorriso, grazie al dialogo, grazie al lavoro che è andato avanti anche quando tutti ci davano per sconfitti» è stato il primo commento del neo sindaco Paolo Pilotto.
E pensare che tutto sembrava congiurare contro questo insegnante di religione da anni politico per pura passione: i 3.000 voti di gap del primo turno, l’impatto mediatico di Berlusconi e della promozione in serie A, una lista civica che al secondo turno era andata in soccorso del favorito Allevi.
Persino l’affluenza al voto: per rimontare serviva una forte mobilitazione degli indecisi e invece anche a Monza il 63% dei cittadini ha girato al largo dei seggi. Evidentemente chi ha esercitato il suo diritto di voto ieri ha voluto fare lo sgambetto al sindaco uscente. E sotto sotto, anche a Silvio Berlusconi.
«Ci sono domande che ci arrivano anche da parte di chi non ci ha votato – ha aggiunto Pilotto – e di questo sarà necessario tenere conto». Il vincitore non ha mancato di sottolineare come Monza, a conti fatti, si inserisca in un’onda politica che ha investito altre città italiane dove il centrosinistra, pur partendo da posizioni di svantaggio, ha saputo guadagnarsi la fiducia degli elettori.
(da il Corriere della Sera)

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SALVINI PIANGE MA MELONI NON RIDE: LA SCONFITTA DI SBOARINA A VERONA È UNA DISFATTA PER LA MELONI

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

LA COALIZIONE È SPACCATA, NON SI È MAI RIPRESA DAL VOTO SUL QUIRINALE… IL CARROCCIO E BERLUSCONI RINFACCIANO A GIORGIA DI NON AVER VOLUTO L’APPARENTAMENTO CON TOSI

Difficile adesso dire che è soltanto un voto locale. Nei ballottaggi hanno perso tutti e le accuse incrociate si mischiano da Nord a Sud.
Per Matteo Salvini le sconfitte di Alessandria e Carrara sono colpi durissimi. Per Forza Italia il risultato di Catanzaro lascia interdetti e quello di Monza coinvolge anche Silvio Berlusconi.
Mentre Giorgia Meloni sa di finire sul banco degli imputati per il tracollo di Federico Sboarina. L’unico sorriso arriva da Lucca, la vittoria sul filo di Mario Pardini però non basta per addolcire una serata che apre scenari foschi per una coalizione che, a leggere i sondaggi, potrebbe, nel 2023, avere i numeri per governare.
Verona d’altronde non è soltanto un simbolo, non è soltanto un feudo che fatalmente può cadere. Per il centrodestra la città veneta è stata il catalizzatore di tutte le tensioni che si sono accumulate negli ultimi mesi.
Non appena si capisce che i cattivi presagi si stanno compiendo, gli alleati si rinfacciano la colpa della sconfitta: Lega e Forza Italia accusano Meloni di aver puntato su un candidato sbagliato e di non essere riuscita a imporre un apparentamento con l’ex sindaco Flavio Tosi.
Fratelli d’Italia risponde insinuando che la disfatta di Verona sia dovuta al mancato appoggio degli altri partiti, una sorta di fuoco amico, insomma.
E a riprova di questo si portano le dichiarazioni di Matteo Salvini, che in un colloquio pubblicato ieri da La Stampa, aveva definito la corsa solitaria di Sboarina uno «sbaglio clamoroso». Parole considerate improvvide nel migliore dei casi, un sabotaggio nel peggiore.
Il capogruppo di FdI Francesco Lollobrigida, poco dopo la chiusura dei seggi, forte del successo del primo turno, analizza: «Purtroppo, a volte, i risultati degli alleati sono stati meno brillanti di quel che speravamo. Nonostante tutto, FdI non ha mai fatto mancare il suo sostegno ai candidati proposti dal centrodestra senza fare mai polemiche che potessero danneggiarci».
E se in questa notte si maledicono le divisioni che hanno portato a perdere alcune partite significative, è bene ricordare che l’origine, almeno quella recente, di queste incomprensioni va fatta risalire al Quirinale. La scelta di rieleggere Sergio Mattarella ha spaccato la coalizione al punto di far saltare i tavoli nazionali che dovevano conciliare le liti locali.
A Verona hanno perso in tanti: Meloni che ha imposto la candidatura del sindaco uscente davanti allo scetticismo della Lega, Salvini che non riesce a invertire una tendenza al ribasso e persino il governatore Luca Zaia, molto legato a Sboarina, che vede scemare la sua aurea di invincibilità in Veneto.
«Era un risultato scontato, ce lo aspettavamo, dopo il mancato apparentamento con Tosi», dice Licia Ronzulli, coordinatrice azzurra in Lombardia. « L’errore è stato fatto al primo turno quando Fi ha voluto rompere la coalizione», risponde Ignazio La Russa, senatore di FdI.
I dirigenti di Fratelli d’Italia sapevano che una sconfitta nella città scaligera avrebbe aperto delle polemiche da parte degli alleati. La previsione è stata rispettata.
Per la Lega la colpa è di Meloni, che non ha ascoltato le perplessità del Carroccio, «abbiamo detto in tutti i modi che Sboarina ci portava alla sconfitta», ripeteva un dirigente salvininiano a Montecitorio nei giorni scorsi. L’accusa che fa da sfondo alle polemiche contro Meloni è quella di volare nei sondaggi, ma di dimostrare capacità di leadership.
Da via Bellerio arriva un elenco: Verona, Como, Roma. Sono gli esempi delle scelte sbagliate della leader di FdI alla amministrative. Ma in questa notte nessuno può dirsi innocente: la sconfitta di Alessandria, la città del capogruppo della Lega Riccardo Molinari, si aggiunge a quelle delle liste del Carroccio al Nord.
A questo punto Salvini dovrà convocare i suoi per un chiarimento che potrebbe non essere la solita messa cantata del leader. E la questione non si chiude di certo con i ballottaggi di ieri. In ballo ci sono adesso le trattative per i candidati alle regionali, in Sicilia, nel prossimo autunno, e poi nel Lazio e in Lombardia a marzo.
La questione della riconferma di Nello Musumeci, voluta da Meloni, e quella di Attilio Fontana pretesa da Salvini fa prospettare scenari di trattative tese.
(da la Stampa)

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SALVINI PREPARA LA VALIGIA! NON SOLO LA DISFATTA TOTALE A VERONA: ANCHE AD ALESSANDRIA LA LEGA SI È PRESA UN BELLO SCHIAFFONE

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

IL CANDIDATO DEL CENTROSINISTRA, GIORGIO ABONANTE, SOSTENUTO DA PD, M5S E CALENDA, HA RIPORTATO LA CITTÀ AL CENTROSINISTRA DOPO 5 ANNI … ALESSANDRIA È LA CITTÀ DEL CAPOGRUPPO DELLA LEGA ALLA CAMERA, RICCARDO MOLINARI

Giorgio Abonante è il nuovo sindaco di Alessandria, la città torna al centrosinistra dopo 5 anni. La rimonta di Gianfranco Cuttica di Revigliasco non c’è stata.
Anzi il centrodestra, che era costretto a rincorrere ma nutriva speranze perché il margine di svantaggio al primo turno era stato minimo (591 voti), non è riuscito nel sorpasso: anzi, il gap si è dilatato ulteriormente. Ancora una volta è stato l’astensionismo il dato più rilevante e di ciò si è rammaricato nel primo commento il neo sindaco: «Dovremo recuperare il rapporto con una città sfiduciata».
Erano stati pochi a votare al primo turno (il 46,7%), sono andati ancora in numero minore alle urne al ballottaggio, visto che si è registrato un modesto 37,13 per cento per complessivi 27.348 votanti.
Pochi istanti dopo le 23, è cominciato rapidamente lo scrutinio e, in uno dei seggi campione, le prime 100 schede sono state aperte in meno di dieci minuti. La tendenza era quella prevista, cioè di grande equilibrio: un voto per l’uno, subito bilanciato da uno per l’avversario.
Se ad Abonante riusciva un filotto di 4-5 preferenze, Cuttica ne otteneva altrettante e recupera il gap. Dopo il primo seggio, si credeva veramente che ci si giocasse la poltrona di sindaco per una manciata di preferenze e che anche le schede contestate potessero essere decisive.
Invece, si è rimasti in equilibrio per un po’, poi gradualmente Abonante ha preso un vantaggio lieve ma costante che ha incrementato ad ogni sezione.
Abonante, tifoso romanista e contentissimo anche per la vittoria di un suo idolo, Damiano Tommasi a Verona, è rimasto prudente per un po’, ha analizzato nella sede in centro l’andamento e poi, man mano che il margine saliva e ha deciso di spostarsi alla Soms del Cristo, dove lo attendevano già in tanti e i sorrisi si sprecavano.
Fra coloro che, già a metà scrutinio, si sentivano vincitori c’era uno storico esponente del Pd, cioè, Daniele Borioli, che ha dato una sorta di imprimatur ad Abonante: «Una delle vittorie più importanti di questo turno amministrativo, è nelle città che si ricostituisce il tessuto della democrazia».
Lo ha seguito a ruota il consigliere regionale dem, Domenico Ravetti: «Abonante ha trainato tutti, nessuno si sarebbe immaginato un esito simile pochi mesi fa, invece siamo riusciti a compiere l’impresa. Giorgio sarà un eccellente sindaco e governerà bene».
Anche Michelangelo Serra, del Movimento 5 Stelle, alleato fin dal primo turno con il Pd, non ha nascosto la soddisfazione. Proprio il M5s è stato prezioso per Abonante grazie alla battaglia condotta nel quartiere Europista contro l’insediamento del centro logistico Pam, una delle battaglie più convinte della coalizione di centrosinistra.
Sul fronte opposto, nel quartier generale di via Faà di Bruno, l’assessore uscente Cinzia Lumiera ha rimarcato che «una percentuale di votanti inferiore al 40% è stata penalizzante per noi, dovremo capire il perché».
(da la Stampa)

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DAMIANO TOMMASI, NUOVO SINDACO DI VERONA: “MI SONO SEMPRE PIACIUTE LE SFIDE DIFFICILI, HO SEMPRE PENSATO CHE NELLA VITA BISOGNA ESSERE ZEMANIANI: ATTACCARE, RIMANENDO SE STESSI”.

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

IL VESCOVO GIUSEPPE ZENTI AVEVA INVITATO A NON VOTARLO ANCHE SE TOMMASI È CATTOLICO, OSSERVANTE, PADRE DI SEI FIGLI: “ABBIAMO FATTO POLITICA SENZA INSULTARE”… L’ONDA GIALLA DI CENTINAIA DI GIOVANI ATTIVISTI HA SFONDATO ANCHE NELLE PERIFERIE

“Damiano alé, Damiano alé”, cantano commossi i ragazzi con le magliette gialle. Incredibile ma vero, a Damiano Tommasi è riuscito il più mancino dei tiri: è il nuovo sindaco di Verona.
Stipati come sardine nel suo comitato elettorale sauna, attorno a noi è tutto un abbracciarsi stile Mundial, grida festanti, rullare di tamburi, “Da-mia-no, Da-mia-no”, “non ci posso credere”, “abbiamo fatto la storia”: il senso di incredulità che danno le grandi imprese. Ed è una notte che questi ragazzi porteranno sempre nel cuore: questa è soprattutto la loro impresa.
Tommaso Ferrari, il leader della lista di giovani Traguardi, intorno alle 23,30 inizia a leggere i risultati che giungono dai seggi. All’inizio sembra che si profili un testa a testa, tuttavia è solo un’impressione fallace. “Ci dispiace, ma siamo a 54 a 46”, dice con slancio ribaldo a un certo punto Ferrari, e lì parte un enorme “sìììììììì!”. È come stare in curva sud.
In una sola sezione Federico Sboarina risulta avanti, in tutte le altre Tommasi è in fuga. A metà scrutinio, alle 23,45, il vantaggio si cristallizza. Arrivano le birre.
Fratelli d’Italia, il partito di Sboarina, lo sfidante, ammette la sconfitta. “Facciamo un applauso di incoraggiamento”, urla allora Ferrari. La torcida gialla esplode. Un ragazzo urla: “Vi è chiaro che abbiamo vinto?”. Ogni argine alla scaramanzia a quel punto cede: “Sindaco! Sindaco!”.
La destra – dopo vent’anni di dominio incontrastato (nell’ultima elezione il centrosinistra non era arrivato nemmeno al ballottaggio) – finisce così all’opposizione.
L’ha sconfitta un ex calciatore di 48 anni, un cattolico, un outsider dal carattere riservato e severo. La destra si era presentata divisa, ma la divisione è un demerito, non un’attenuante.
A mezzanotte e dieci è ufficiale. “Andiamo a festeggiare il nuovo sindaco”, urla Ferrari. “Damiano sta arrivando”, dicono.
Il chierichetto alla fine ha battuto il vescovo che aveva detto che non andava votato. E Damiano arriva, abbraccia moglie e figlia: “Abbiamo mosso un entusiasmo incredibile, facendo politica senza insultare. Abbiamo scritto una nuova pagina”.
È una notte che la sinistra italiana dovrebbe mandare a memoria. Qui ha ritrovato un popolo che le aveva voltato le spalle. Soprattutto nelle periferie l’affermazione è perentoria. Ed è una vittoria che viene da lontano, preparata con cura: Tommasi aveva ufficializzato la sua candidatura già lo scorso mese di novembre. Ha parlato di valori con umanità, ha spezzato la narrazione di Verona nera.
E Verona si rivela così un laboratorio politico per il centrosinistra: una lezione. Un candidato fuori dal mazzo, moderato ma anche radicale, che ha saputo conquistare i giovani, ricompattare tutti i partiti della coalizione, senza esclusione alcuna al secondo turno, offrendo “un’idea diversa di politica”.
Tommasi, 48 anni, ha convinto anche i vecchi, che nel suo tour nei quartieri si affacciavano dal balcone gridandogli tutto il loro entusiasmo. Una signora lo ha fatto entrare in casa e gli ha tirato fuori la scheda elettorale: c’era un solo timbro in trent’anni. “Ma per te tornerò alle urne”. Nella Prima Repubblica Verona era dorotea, nella Seconda la sua anima si è mutata, con la destra che ha lentamente preso il sopravvento nella narrazione.
Federico Sboarina, il sindaco di Fratelli d’Italia, sostenuto dalla Lega, nei giorni scorsi, aveva pubblicato appelli chiamando alle armi anche l’establishment, gridando contro “il pericolo comunista”. Flavio Tosi, l’ex leghista che per un decennio è stato il re incontrastato di Verona, facendo il sindaco per due volte, era l’ago della bilancia, col suo 23 per cento. Sostenuto da Forza Italia, a cui ha aderito, legato da pessimi rapporti personali con Sboarina, si era visto rifiutare l’apparentamento. Il risultato rivela che i tosiani sono andati al mare. Ora Tosi, sconfitto Sboarina, è l’unico leader forte del centrodestra in città.
“C’è una bellezza che dobbiamo ritirare fuori, mi sono sempre piaciute le sfide difficili, io ho vinto un campionato con la Roma, che ne ha vinti solo tre in cent’anni, e ho sempre pensato che nella vita bisogna essere zemianiani: attaccare, rimanendo se stessi”. Non a caso la sua coalizione si chiama “Rete!”. Nessuno, un mese fa, avrebbe scommesso un centesimo su di lui. Lo si immaginava forse al ballotaggio, ma da secondo. Invece la sera del 12 giugno si è rivelato primo, con il 40 per cento.
Il vescovo Giuseppe Zenti ha invitato a non votarlo (“lo sa, vero, che hai fatto il chierichetto a Trigoria?”, gli ha chiesto Dario Vergassola nella festa di fine campagna elettorale), anche se Tommasi è cattolico, osservante, (“prego spesso”), padre di sei figli.
Tommasi ha detto che bisogna “portare in politica un metodo nuovo”. Ha fatto una campagna atipica, con pochi manifesti elettorali, un unico slogan (“Ora!”), social parsimoniosi, tutta basata sul contatto con le persone, ascolto diretto, “bisogna guardarsi negli occhi”, diceva. “Vorrei che le persone mi guardassero negli occhi, e si fidassero”. Si sono fidate.
(da La Repubblica)

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