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RESA DEI CONTI NEL CENTRODESTRA DOPO LA CAPORETTO DELLE AMMINSTRATIVE

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

SILVIO PERDE A MONZA., SALVINI IN TUTTO IN NORD … LA MELONI COLPITA DALLA SINDROME DEL MARCHESE DEL GRILLO

È il momento della resa dei conti nel centrodestra. I numeri dei risultati delle elezioni comunali dicono che nei capoluoghi di regione il centrodestra ottiene 3 sindaci, il centrosinistra 1. Nei capoluoghi di provincia il centrodestra ottiene 13 sindaci, il centrosinistra 10, le liste civiche 3. Il centrodestra porta a casa i primi cittadini di Palermo, Lucca, Belluno, Barletta e conferma i comuni di Genova, L’Aquila, La Spezia, Pistoia, Asti, Rieti, Frosinone, Oristano, Gorizia. Il centrosinistra strappa i sindaci di Catanzaro, Lodi, Alessandria, Parma, Piacenza, Verona, Monza e conferma i comuni di Padova, Taranto e Cuneo.
Le liste civiche prendono al centrodestra i sindaci di Como e Viterbo e confermano il comune di Messina, mentre il M5s conferma il solo sindaco di Mottola in Puglia. M
a la coalizione di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi perde nei comuni in cui si è presentato diviso al primo turno.
La fatal Verona, Monza e il Nord senza Lega§
E l’esempio emblematico di questa tendenza è Verona. Dove trionfa l’ex calciatore Damiano Tommasi e il centrodestra vive uno psicodramma locale con chiari rischi di ripercussioni sull’alleanza a livello nazionale. Qui a perdere sono soprattutto Meloni e il suo candidato Federico Sboarina. Che ha rifiutato l’apparentamento con Tosi e adesso è sul banco degli imputati. «Le divisioni hanno penalizzato il centrodestra e aumentato l’astensione, serva a tutti di lezione: quando litiga e si divide, il centrodestra perde», segnala il responsabile Enti locali della Lega Stefano Locatelli.§
Mentre Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia prima evidenzia che «hanno votato in pochissimi, i sindaci sono eletti con il 20% dei voti degli aventi diritto». Poi scarica il suo candidato: «Su Verona è stato uno sbaglio di Sboarina e Tosi non sapersi accordare nel ballottaggio con apparentamento o appoggio ufficiale, ma il vero errore è stato fatto al primo turno quando solo FdI e Lega hanno appoggiato il sindaco uscente. Mentre FI ha voluto rompere per appoggiare Tosi. Che non è arrivato neanche al ballottaggio».
Il problema, spiega oggi il Corriere della Sera, è che però il centrodestra ha perso anche quando era unito. Per questo ora il dito è puntato proprio su Meloni. Che, secondo l’accusa degli alleati, ormai soffre della sindrome del Marchese del Grillo. «Quella dell’“io sono io e voi non siete…”.
Ormai crede di poter comandare solo lei, forte di sondaggi che la premiamo in quanto opposizione, ma che al voto potrebbero cambiare… Da tempo non chiamava Berlusconi, ora negli ultimi giorni lo ha fatto spesso, evidentemente vede il rischio di una posizione troppo isolata. E sbaglia troppo spesso i candidati, con arroganza», secondo gli alleati.
Ma se la Meloni è come il Marchese del Grillo, Salvini ha poco da esultare. La Lega vince a Sesto San Giovanni, ormai ex Stalingrado d’Italia. Ma per il resto è in calo al Nord e il Capitano dovrà risponderne. Dopo il flop del referendum lo Stato maggiore del Carroccio attendeva soltanto i risultati del ballottaggio per cominciare a farsi sentire.
Il calo dei consensi è la riprova dei troppi errori nella gestione solitaria del partito che già in molti imputano a Salvini. E porterebbe a lavorare su nuove ipotesi. Come quella di mandare in pensione la Lega «nazionale» per tornare a concentrarsi sulla rappresentanza dei settori produttivi.
Un progetto che prevede una bella giravolta per l’attuale leadership. Che non a caso da qualche tempo teme di fare la fine di Conte con Di Maio.
Poi c’è il Cavaliere. Che ha portato il Monza in Serie A per poi veder esultare alle elezioni il candidato di centrosinistra.
Nonostante l’appello registrato venerdì per mandare ai seggi gli elettori anche con la bella giornata di sole. Ora in ballo ci sono anche le candidature per le elezioni regionali. In Sicilia il candidato di Meloni Nello Musumeci ha ormai rinunciato alla corsa. Facendo un passo di lato sotto le pressioni degli alleati. E qui bisogna fare in fretta perché si voterà in autunno.
Poi ci sono il Lazio e – soprattutto – la Lombardia. Dove il bis di Attilio Fontana è in bilico dopo l’annunciata candidatura di Letizia Moratti. Un altro bel problema da risolvere entro marzo. Possibilmente prima delle urne.
L’esultanza di Letta§
Sull’altro fronte è il segretario del Partito Democratico Enrico Letta ad esultare. «Questo risultato ci rafforza in vista del futuro, della costruzione di un centrosinistra che sia vincente anche a livello nazionale per le politiche dell’anno prossimo. Da domattina ci mettiamo al lavoro per preparare le elezioni politiche dell’anno prossimo e per andare con la stessa determinazione, la linearità, candidati unitari scelti bene senza strappi e un lavoro che tiene insieme un campo largo, ovunque l’unità ha premiato», dice a botta calda.
Il centrodestra perde male perché «ha fatto il alcuni casi scelte incredibili: «In alcuni posti il centrodestra ha scelto come proprio candidato un fuoriuscito del centrosinistra e per me questa è la scelta peggiore che si possa fare. Quei candidati hanno perso, penso al risultato clamoroso di Catanzaro e penso che anche questo sia il segno della linearità che vuol dire che si lavora con coerenza e questo alla fine paga». Un segnale al Centro?
(da Open)

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SE NE VA LEONARDO DEL VECCHIO, UN GRANDE IMPRENDITORE, UN SELF-MADE MAN ITALIANO

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

DAL COLLEGIO DEGLI ORFANI ALLA CRAZIONE DELL’IMPERO DI LUXOTTICA

Il fondatore di Luxottica Leonardo Del Vecchio è venuto a mancare oggi, all’età di 87 anni. Secondo Forbes, con una ricchezza stimata intorno ai 25 miliardi di dollari,
Del Vecchio era il 52esimo uomo più ricco del mondo: ma il suo percorso ha inizio da condizioni ben diverse.
Figlio di un commerciante di frutta di origini pugliesi morto poco prima della sua nascita, ultimo di quattro fratelli, Del Vecchio viene alla luce a Milano.
A causa dei problemi economici della sua famiglia, viene affidato al collegio dei Martinitt, nella periferia Est del capoluogo lombardo, dove resta fino al diploma di scuola media.
Comincia a lavorare all’età di 15 anni in qualità di garzone in una fabbrica milanese produttrice di medaglie e coppe. L’azienda era piccola, ma produceva partite di montature metalliche per occhiali: per la prima volta, il ragazzo entra così in contatto con il settore che avrebbe cambiato il corso della sua vita.
Nel frattempo, frequenta corsi serali all’Accademia di Brera per incisore, e a 22 anni si trasferisce in un paese del Trentino dove lavora come operaio.
Vi rimane circa un anno, per poi aprire una bottega di montature per occhiali ad Agordo, in provincia di Belluno, dove la comunità montana aveva messo a disposizione gratuitamente terreni ai giovani imprenditori che avessero impiantato una nuova azienda.
È il primo embrione del suo impero: nel 1961 Del Vecchio avvia Luxottica S.a.s., con soli 14 dipendenti. Sei anni dopo, l’azienda si lancerà nel mercato nazionale, producendo e commercializzando occhiali completi con il proprio marchio. Nel giro di una dozzina d’anni circa, il business decolla: nel 1981, Luxottica si lancia nel mercato internazionale, puntando prima all’Europa e poi all’America, fino a incorporare Ray-Ban, il più famoso marchio mondiale di occhiali da sole. Il successo si riflette in borsa: nel 1990 l’azienda viene quotata a New York, nel 2000 sbarca anche a Piazza Affari. Grazie alla quotazione, sono facilitate le acquisizioni: prima Sunglass Hut, nel 2001, e successivamente, nel 2007, la californiana Oakley, il più importante marchio al mondo di occhiali da sport. Dieci anni più tardi, arriverà la fusione da 50 miliardi di euro tra Luxottica e la francese Essilor.
Dall’unione nascerà EssilorLuxottica, la più grande holding produttrice e venditrice mondiale di occhiali e lenti, che conta circa 80.000 dipendenti e oltre 9.000 negozi in 150 Paesi, per circa 91 milioni di occhiali prodotti nel 2019.
Ora a capo del gigante da 65 miliardi di capitalizzazione lascia il fidato Francesco Milleri. Sposato tre volte, di cui due con la stessa donna, padre di Claudio e Paola (avuti dal primo matrimonio con Luciana Nervo), di Leonardo Maria (dall’ultima moglie Nicoletta Zampillo, risposata nel 2010, dopo il divorzio nel 2000), e di Luca e Clemente (nati nel 2001 e nel 2004, avuti dalla ex-compagna Sabina Grossi), Del Vecchio lascia cinque figli. E un impero.
(da agenzie)

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LA VITTORIA DI KATIA TARASCONI A PIACENZA, A MENO DI UN ANNO DALLA TRAGICA MORTE DEL FIGLIO DI 17 ANNI

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

“SEI STATO UN DONO IMMENSO”

Quella di Damiano Tommasi a Verona è stata – giustamente – definita un’impresa: il nuovo sindaco della città scaligera, infatti, è riuscito a imporre il suo nome nel Comune roccaforte del centrodestra.
Ma un centinaio di chilometri più a sud, c’è stata un’altra donna in grado di trionfare contro il centrodestra (questa volta unito): Katia Tarasconi, infatti, è stata eletta nuova prima cittadina di Piacenza.
Aveva “vinto” il primo turno e al ballottaggio di ieri si è scontrata con la sindaca uscente Patrizia Barbieri sostenuta da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. E con il 53,46% di voti, sarà lei ad amministrare la cittadina emiliana per i prossimi 5 anni.
Oltre duemila voti di vantaggio nel computo finale ufficializzato dal Viminale. E così, dopo cinque anni di amministrazione a trazione centrodestra, Piacenza torna nelle mani del centrosinistra.
“Ce l’abbiamo fatta! Questo è stato il risultato di un lavoro comune, portato avanti giorno per giorno, strada per strada, incontrando e ascoltando le persone. Con questa campagna elettorale abbiamo riscoperto il senso di comunità di Piacenza, una città inclusiva, aperta a tutti e che non lascia indietro nessuno. Grazie! Sono onorata della fiducia dei piacentini. E ora, al lavoro!”.
Queste le prime parole di Katia Tarasconi dopo l’ufficializzazione della sua vittoria a Piacenza. E il pensiero della nuova sindaca emiliana sarà andato sicuramente anche al figlio Kristopher Dixon che nel settembre dello scorso anno perse la vita in un incidente a Roma.
Si trovava a bordo di uno scooter con un suo amico, quando il mezzo si è schiantato contro il tram numero 5. Una tragedia che ha colpito tutta la sua famiglia e l’intera comunità piacentina. Il giovane, 17 anni, era molto noto in città anche per il suo ruolo di calciatore nella selezione juniores della Gotico Garibaldina. E dopo la tragedia, sua madre scrisse una lettera aperta a quel figlio morto in un incidente.
“Balla amore mio, balla come solo tu sapevi fare. Affido queste parole a questo luogo invisibile, intangibile. Abbiamo sentito tanto tantissimo amore. Nella tua breve vita sei riuscito a fare la cosa più importante, hai dato amore. La mamma è orgogliosa di te, sei speciale, sei buono e hai fatto ridere tanti con la tua comicità spaziale. Come ci siamo sempre detti, la vita è meravigliosa e va vissuta. Tu l’hai fatto. Se mi dicessero che posso scegliere tra non averti mai avuto e non provare ora questo vuoto oppure averti avuto e doverti lasciare andare, sceglierei sempre di averti avuto nella mia vita. Sei stato un dono immenso. Affido qui il mio grazie a tutti quelli che ti vogliono bene, l’amore è arrivato da tante parti di mondo. Da tante vite che hai toccato. Ai tuoi amici voglio dire quello che dico a te, vivi, sorridi, ama. Adesso basta, perché mi stai dicendo: mamma non bollare! Te ne sei andato con stile, il tuo stile. Hai spaccato. Sono fiera di te. Sarai sempre il mio cucciolo, il mio bambino, la mia vita. Ti amo. Da adesso tu per noi sei in California dove volevi tornare. Verremo a trovarti”.
Meno di un anno dopo, quella vittoria e il compito – affidato dai cittadini – di guidare la città di Piacenza per i prossimi 5 anni.
Con un pensiero che sarà sicuramente andato anche al giovane Kristopher.
(da NextQuotidiano)

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DEBACLE DEL CENTRODESTRA: CENTROSINISTRA VINCE 7-4

Giugno 27th, 2022 Riccardo Fucile

STRAPPATI 5 COMUNI AI SOVRANISTI

Il dado è tratto. I risultati dei ballottaggi nei 13 capoluoghi hanno consegnato la vittoria, in questa tornata elettorale, al centrosinistra.
La coalizione guidata dal Partito Democratico, infatti, è riuscita a strappare al Centrodestra ben 5 Comuni, tra cui Verona.
E proprio la città veneta rappresenta la cartina di tornasole di queste elezioni: Damiano Tommasi, infatti, è riuscito nell’impresa di trionfare (confermando quanto già indicato al primo turno) contro il sindaco uscente Federico Sboarina.
Una roccaforte che ha cambiato colore politico, portando il “punteggio” (per rimanere in ambito calcistico) finale sul 7-4 per il centrosinistra.
Tommasi sindaco di Verona si unisce ad altri grandi successi del Centrosinistra in giro per l’Italia. Pilotto a Monza, Tarasconi a Piacenza, Abonante ad Alessandria e Fiorita a Catanzaro, infatti, sono gli altri 4 Comuni che hanno deciso di passare da un’amministrazione di centrodestra a una di centrosinistra.
A queste cinque si uniscono le vittorie di Guerra a Parma (amministrata per dieci anni dall’ex pentastellato Federico Pizzarotti) e la conferma di Cuneo che passa dalle mani di Federico Borgna a quelle di Patrizia Manassero (sempre del Partito Democratico). Questi i risultati definitivi dal sito del Viminale.
Per il centrodestra, dunque, si tratta di una sconfitta piuttosto rumorosa che arriva dopo mesi di tensioni. Anche sulle scelte dei candidati. §La scissione principale, infatti, è stata quella di Verona (con Forza Italia che aveva sostenuto, al primo turno, l’ex leghista Tosi). Ma anche nelle altre città non è andata meglio. L’unica sorpresa, di fatto, arriva dal Comune di Lucca strappato al Centrosinistra.
Si tratta di un’elezione anticipata anche da molte polemiche interne, vista la decisione dei tre principali partiti di apparentarsi con un ex candidato (ed ex consigliere Comunale) di CasaPound. Una scelta che, oltre alle tensioni, ha provocato anche l’addio del deputato Elio Vito a Forza Italia (con tanto di rinuncia anche al suo ruolo da parlamentare). Alla fine, però, il fare sponda su quel nome legato al movimento di estrema destra ha fatto il gioco della coalizione di centrodestra che è riuscita a ribaltare il risultato del primo turno, con il Comune che passa nelle mani di Mario Pardini.
Il punteggio finale di 7-4 per il centrosinistra arriva grazie agli altri tre “gol della bandiera” messi a segno dal centrodestra, con Barletta, Frosinone e Gorizia. Gli ultimi due Comuni, per arrivare ai 13 totali, sono andati a candidati di liste civiche: a Viterbo Chiara Frontini, a Como Alessandro Rapinese. In entrambi i casi, a essere sconfitto è stato il centrosinistra perché il centrodestra non aveva neanche superato la tagliola del primo turno.
(da agenzie)

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“IVANKA, SEI PARTICOLARMENTE SILENZIOSA, OGGI. LE TUE AMICHE DI SCUOLA CHE TI PORTARONO AD ABORTIRE, PERÒ, NON LO SONO”

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

IL TWEET ESPLOSIVO SCRITTO DA LAUREN SANTO DOMINGO, EX COMPAGNA DI SCUOLA ED EX AMICA DELLA FIGLIA DI TRUMP… IVANKA NON HA MAI PARLATO DI AVER EFFETTUATO UN ABORTO: ANZI, HA DEFINITO LA SUA POSIZIONE “DECISAMENTE PRO LIFE”, QUANTA IPOCRISIA

«IvankaTrump, sei particolarmente silenziosa, oggi. Le tue amiche di scuola che ti portarono ad abortire, però, non lo sono». A scriverlo, su Twitter, è stata Lauren Santo Domingo, imprenditrice, ex compagna di scuola ed ex amica della figlia del presidente degli Stati Uniti.
Il tweet – postato nelle ore che hanno seguito la sentenza con cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribaltato Roe vs. Wade, la sentenza che garantiva a livello federale il diritto all’aborto — non ha ricevuto reazioni ufficiali da parte di Ivanka Trump.
Lauren Santo Domingo, che ha 46 anni ed è stata molto contestata per il tweet, ha poi deciso di cancellarlo. Alcuni utenti hanno segnalato all’ex amica di Trump come nemmeno l’indignazione per una decisione cui Trump, con le sue nomine di giudici conservatori alla Corte Suprema, ha fornito un contributo decisivo possa giustificare la diffusione di una informazione personale di questo tipo.
Ivanka Trump non ha mai parlato di aver effettuato un aborto: anzi, ha definito la sua posizione «decisamente pro life». «Rispetto tutte le posizioni, su un tema così personale e sensibile», aveva detto nel 2020 al sito RealClearPolitics, «ma sono anche madre di tre figli, e l’esserlo ha influito in modo profondo su di me e sulle mie posizioni in merito. Sono pro life», aveva detto, «e non penso di dovermi scusare per questo».
In una intervista risalente al 1999, Trump si era definito «pro choice», nonostante dicesse di «odiare l’idea di aborto. La odio. Odio tutto ciò che rappresenta. Ma credo nella libertà di scelta».
(da il Corriere della Sera)

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MOSCA SCIVOLA VERSO IL DEFAULT TECNICO SUL SUO DEBITO

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

MOLTI OBBLIGAZIONISTI NON RICEVERANNO IL DENARO

Con il termine di oggi scade il mese di grazia di un mese relativo ai 100 milioni di interessi su due obbligazioni, una in dollari e una in euro, in scadenza nel 2026 e nel 2036, che erano attesi dagli investitori lo scorso 27 maggio.
Spiega Bloomberg che se i soldi non arriveranno, come pare sempre più probabile, non ci sarà una dichiarazione ufficiale – tanto che la Russia sta già da tempo contestando il default come una “farsa” – ma nei fatti lunedì mattina ci sarà un “evento di default”, secondo quanto spiegano i contratti obbligazionari stessi.
Si tratterebbe del primo default estero, da quando i bolscevichi ripudiarno i debiti dell’era zarista, nel 1918.
L’agenzia finanziaria americana spiega che si tratta di un passo pressoché simbolico, visto che già da tempo la Russia è tagliata fuori dai mercati internazionali e non si può finanziarie in dollari né in euro, a causa delle sanzioni scattate dopo l’invasione in Ucraina.
Mosca ha faticato a mantenere gli impegni di pagamento sui 40 miliardi di dollari di obbligazioni in circolazione, dallo scorso 24 febbraio. E anche in futuro è difficile ipotizzare quando possa avvenire la “riammissione” al club della finanza occidentale.
A sancire il default dovrebbero essere le agenzie di rating, ma anche in questo caso la loro attività sulla Russia è stata tagliata a causa delle sanzioni.
Bloomberg spiega che gli obbligazionisti potrebbero raggrupparsi per fare la propria dichiarazione, ma potrebbero d’altra parte preferire ed aspettare l’evoluzione della guerra e della reazione occidentale per cercare di capire che chances hanno di rimettere le mani sul denaro.
“Una dichiarazione di default è un evento simbolico”, ha affermato Takahide Kiuchi, economista del Nomura Research Institute di Tokyo. “Il governo russo ha già perso l’opportunità di emettere debito denominato in dollari. Già da ora, la Russia non può prendere in prestito dalla maggior parte dei paesi stranieri”. “Il ‘marchio’ probabilmente aumenterebbe i suoi costi di prestito in futuro”, si spiega. E comunque sarebbe un duro colpo al prestigio della nazione.
Per molti obbligazionisti, il mancato ricevimento in tempo del denaro dovuto sui propri conti costituisce un inadempimento. Non essendo stata specificata una scadenza precisa nel prospetto informativo, gli avvocati sostengono che la Russia potrebbe avere tempo fino alla fine del giorno lavorativo successivo per pagare gli obbligazionisti.
(da agenzie)

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“IN CUCINA A 42 GRADI. PAGA TRE EURO L’ORA: E SEI STAI MALE NIENTE OSPEDALE”

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

LO SFRUTTAMENTO DEGLI STAGIONALI IN CALABRIA

Per quindici estati di fila Lidia (nome di fantasia) ha pulito le stanze nei villaggi turistici della provincia di Vibo Valentia. Dodici ore al giorno, sette giorni su sette. Il tutto per 31 euro a giornata.
“Ci trattavano come muli” racconta “Ero arrivata a perdere cinque chili in meno di un mese a causa del lavoro”. Ma l’anno scorso ha deciso di dire basta. “Mi avevano chiesto di pulire la piscina con l’acido muriatico puro senza darmi stivali né guanti”.
Dopo pochi minuti ha iniziato ad avvertire bruciori in gola e a respirare con sempre più fatica. Si è sentita male, ma non è andata in ospedale perché lavorava in nero, senza contratto.
“Lì ho capito che non potevo più andare avanti così”. Lidia ha cambiato lavoro e oggi fa assistenza agli anziani. Quando legge dei lamenti degli imprenditori, che non troverebbero stagionali “a causa del reddito di cittadinanza”, le viene da sorridere. “Chi piange fotte a chi ride“, sintetizza, “ma la verità è che chi può va a lavorare all’estero, e chi non può cerca di cambiare settore. Non siamo più disposti a farci sfruttare”.
La storia di Lidia non è isolata. Sono migliaia i lavoratori e le lavoratrici stagionali che ogni estate vengono impiegati nel settore del turismo in Calabria.
C’è Laura, che pulisce più di 24 stanze di hotel dalle 9 alle 17 per tre euro all’ora. C’è Andrea, che prepara paste e risotti di pesce per cinque ore di fila a più di quaranta gradi di temperatura, e per resistere deve prendere la creatina. C’è Lucia, che lavorava fino a 16 ore al giorno come lavapiatti per quaranta euro, mangiando le rimanenze dai piatti che tornavano in cucina.
Tutti fanno parte del gruppo Facebook “Mai più sfruttamento stagionale – Calabria”, che è nato sul web durante la pandemia per poi trasformarsi – grazie all’Usb calabrese – anche in un’aggregazione reale. “Sentiamo gli imprenditori lamentarsi che mancano gli stagionali a causa del reddito di cittadinanza: ma qui il problema non è il reddito, ma le condizioni e i salari che questi imprenditori offrono” dice Domenico Cortese, militante del sindacato di base.
Cortese ha promosso un sondaggio virtuale su un campione di circa un migliaio di lavoratori. Risultato? Soltanto il sei per cento dichiara di avere un contratto in regola mentre più di un terzo riporta di aver subito infortuni sul lavoro ignorati o nascosti dal titolare.
“Non riuscivo a stare in piedi, ma niente malattia”
Dietro ai numeri, però, ci sono le storie delle persone. “Nel mese di agosto queste cose non devono capitare”. È la risposta che si è sentita dare Laura (nome di fantasia), cameriera ai piani di un villaggio turistico calabrese, quando ha avuto le coliche renali durante la stagione estiva. “Non riuscivo a stare in piedi, ero andata dalla guardia medica che mi ha prescritto le punture e dieci giorni di malattia. Ma la mia superiore non ne ha voluto sapere” racconta
Così, per non perdere il posto, ha dovuto chiedere a sua sorella di sostituirla. “Ma alla fine della stagione non mi è stata pagata la malattia e sono stata lasciata a casa”. L
aura lavorava trenta giorni al mese, dieci ore al giorno. Il salario? Tre euro l’ora, trenta euro al giorno, novecento euro al mese. Ma sulla busta paga erano segnate soltanto quattro ore giornaliere, dalle 9 alle 13.
“La giornata iniziava alle sette del mattino quando preparavo il buffet per la colazione – racconta – poi iniziavamo a pulire le camere”. Anche 24 stanze in quattro ore, dieci minuti a stanza. E poi in giardino, in cucina o dove c’era bisogno: “Avevamo un contratto da addette alle pulizie, ma in pratica eravamo delle tuttofare”. Lavava gli stradoni con l’acido, bagnava le piante, lavava i piatti. “Ci dicevano che se ci fossimo rifiutate di farlo, ci avrebbero lasciate a casa e avrebbero trovato qualcun altro”. In caso di controlli era stata istruita su come rispondere: “Una volta ci hanno fatto nascondere i lavapiatti che lavoravano in nero nelle camere, per evitare che venissero notati”.
La creatina (o l’alcol) per reggere ai fornelli
“Immaginatevi di passare il 15 di agosto a pochi centimetri da una padella con dentro un risotto ai frutti di mare per venti persone. La temperatura supera i 42 gradi. Immaginate di passare cinque ore di fila così senza pause, due volte al giorno, sette giorni su sette”.
Da vent’anni Andrea (anche qui il nome è di fantasia) lavora come cuoco in Calabria. Oggi ha cinquant’anni e, come all’inizio di ogni estate, si augura di “riuscire a finire la stagione”.
Per questo nel corso degli anni ha iniziato ad assumere creatina per reggere quei ritmi. “In tanti bevono, anche durante il servizio, per riuscire ad arrivare a fine turno” spiega al fatto.it.
“Quando ho iniziato vent’anni fa ero senza esperienza ma prendevo più di adesso. Le condizioni degli stagionali sono peggiorate”, racconta in uno dei rari momenti di pausa. Ha iniziato nel 2002 con uno stipendio da 1800 euro e due giorni liberi a settimana. Poi il passaggio a una grande catena di fast food: 1200 euro al mese per quasi settanta ore a settimana come capo cucina.
“In tanti scappano, è semi-schiavitù”
Oggi Andrea lavora in un agriturismo, con il contratto da cuoco del settore agricolo: 1400 euro al mese per cinquanta ore a settimana. Trenta giorni di lavoro al mese, senza riposo. Ma sulla busta paga sono segnati soltanto 15 giorni per 900 euro: “Gli altri 500 me li danno in nero”.
Della tredicesima non c’è traccia, così come del Tfr: “A cinquant’anni non riesco manco a farmi fare un finanziamento per acquistare la macchina a rate”. E se dovessero esserci controlli? “Una volta è successo”, ricorda, “mi hanno fatto sedere allo stesso tavolo del titolare e hanno iniziato a farmi le domande con lui a fianco. Che cosa avrei dovuto rispondere?”.
E così ha continuato a lavorare nello stesso settore, in condizioni che non esita a definire di “semi-schiavitù”. Oggi però, nota, qualcosa sta cambiando. “Tanti stanno scappando dal settore della ristorazione e non sono più disposti a lavorare a quelle condizioni”. Anche grazie al reddito di cittadinanza, che “ha permesso alle persone di uscire dal ricatto ed essere inserite in un mercato lavorativo diverso da quello degli stagionali”.
Anche Lucia (nome di fantasia) lavora in un agriturismo che produce succhi di frutta biologici. Un’eccellenza nel campo della sostenibilità del prodotto, un po’ meno in quello delle condizioni di lavoro. Sul suo contratto sono segnate un centinaio di giornate lavorative all’anno, ma in realtà sono più del doppio. Così non riesce a ottenere i bonus fiscali e matura meno contributi rispetto a quelli che dovrebbe avere. Nella stagione estiva si occupa della gestione dell’agriturismo: pulire le stanze, preparare la colazione, lavare le lenzuola. Sette ore di lavoro al giorno per 35 euro. Ottocento euro al mese, 350 in busta paga. “E si lamentano pure che quest’anno non trovano personale per colpa del reddito di cittadinanza”.
Dopo la nascita sul web, la rete calabrese ha iniziato a organizzare iniziative anche in presenza. Volantinaggi nei luoghi del turismo e assistenza nelle vertenze dei lavoratori. Oggi il gruppo “Mai più sfruttamento – Calabria” raccoglie un migliaio di stagionali che nelle scorse settimane hanno risposto al sondaggio proposto dall’Usb, per provare a dare una visione d’insieme delle condizioni di lavoro nel settore. Il quadro che emerge è quello di uno sfruttamento diffuso. Un lavoratore su cinque dichiara di lavorare in nero, il 64,2% ha ammesso di fare più ore rispetto a quelle previste dal contratto e soltanto il 6,3% afferma di avere un contratto in regola. Alla domanda “Hai mai ricevuto ricatti relativi al lavoro?” solo il 37,5% dichiara di non averne subiti, mentre più di un lavoratore su tre ha dichiarato di essere stato costretto a far finta di niente dopo un infortunio. E quando si parla di retribuzione, più della metà dei lavoratori dichiara di essere pagato meno di cinque euro l’ora. La vera domanda che andrebbe fatta ai datori di lavoro, conclude Cortese, è questa: “Se il tuo dipendente di due anni fa fosse stato pagato in regola, non avrebbe avuto un Isee così basso da prendere il reddito di cittadinanza. Dunque, se pensi che quest’anno non è venuto a lavorare per colpa del reddito, significa che non lo pagavi abbastanza, o lo pagavi in nero”.
(da Il Fatto Quotidiano)

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IUS SCHOLAE, LE VITE DIMEZZATE DEI GIOVANI ITALIANI SENZA CITTADINANZA

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

“ASPETTO DA 30 ANNI, HO TUTTI I DOVERI E NESSUN DIRITTO. COSI’ LA POLITICA MI UMILIA”

Omar aveva soltanto sei mesi quando si è trasferito con i genitori dalla Tunisia a Sutri, in provincia di Viterbo. “Un piccolo paesino, ma per me è un ‘pezzo de’ core’ “, racconta orgoglioso, in dialetto romanesco. Eppure, aspetta da 27 anni di essere riconosciuto dall’Italia.
Accanto a lui c’è Sonny, che non ha mai ricevuto una risposta alla sua domanda, ancora senza cittadinanza a 36 anni pur essendo nato e cresciuto a Roma, città dove ha studiato e lavora, come ballerino, scrittore e da alcuni ani attivista e volto della campagna per la cittadinanza.
Madhobi Tasaffa invece è arrivata da Dacca, la capitale dal Bangladesh, quando aveva appena un anno e mezzo. “Sei anni di attesa, senza ricevere alcuna comunicazione, poi all’improvviso una mazzata“, lo scorso anno, racconta. “La mia richiesta di cittadinanza è stata respinta“. Il motivo? Colpa di sei mesi di interruzione nel requisito della continuità di residenza. Forse un errore, in realtà, perché lei non si è mai spostata altrove in quel periodo. Ma tanto è bastato per sentirsi esclusa, ancora una volta. Respinta dal Paese che sente suo. E dove presto diventerà madre.
Sono soltanto alcune delle storie di tanti ragazzi e ragazze, figlie e figli di immigrati, giovani di seconda generazione.
Un milione di italiani, di fatto, ma senza diritti, che il nostro Paese fa ancora finta di non vedere. “Se si nasce in un Paese che non ti riconosce, si fa fatica, soprattutto se dalle istituzioni percepisci un sentimento di respingimento. Se non ti permettono di abbracciare il tricolore, qualcuno ti porterà ad abbracciare altri valori. E allora mi chiedo perché la politica non si sbriga a far sentire questi ragazzi italiani fin dalla nascita?”, attacca Sonny, che da anni porta avanti la battaglia degli ‘Italiani senza cittadinanza’.
Cinque anni fa c’era anche lui, tra le tribune di Palazzo Madama, quando veniva affossata la riforma dello Ius soli temperato. È da allora che attende un segnale di vita da un Parlamento rimasto immobile a quel fallimento, a un provvedimento prima approvato dalla Camera nel 2015, poi dimenticato, dai governi Renzi e Gentiloni.
Sacrificato sull’altare della governabilità e del timore di perdere consensi elettorali, tra referendum e Politiche in arrivo. Scomparso dal calendario dei lavori, fu esposto alla farsa dell’approdo a Palazzo Madama nell’ultima seduta della legislatura, per una discussione nemmeno iniziata per mancanza del numero legale. Ora, però, dopo anni di nulla, tra l’ostracismo di Lega, Fratelli d’Italia e destre e il silenzio di Pd e progressisti, qualcosa sembra muoversi. Perché a Montecitorio è atteso l’inizio della discussione del provvedimento sullo Ius Scholae, proposta di legge presentata dal presidente della Commissione Affari Costituzionali, il deputato M5s Giuseppe Brescia.
Permetterebbe a chi nasce in Italia da genitori stranieri, residenti regolari, o a chi arriva entro e non oltre i 12 anni di età, di poter acquisire la cittadinanza dopo aver frequentato un ciclo scolastico quinquennale. O su richiesta dai genitori, o dello stesso minore, entro due anni dal compimento del 18esimo anno di età. Un disegno di legge ora atteso nell’Aula di Montecitorio.
Almeno per ora, perché dopo le barricate annunciate da leghisti e meloniani, il provvedimento prima calendarizzato per il 24 giugno, è già slittato di una settimana quasi, al 29 giugno. Data nella quale dovrebbe partire finalmente la discussione generale, per un testo che in commissione ha avuto anche il sostegno di Forza Italia.
Domani in Aula, chissà. Perché la legislatura è di nuovo nel suo rettilineo finale, la campagna elettorale già iniziata. E nessuno, tra i partiti, propaganda a parte, sembra crederci davvero. Senza considerare come, tra pausa estiva e futura legge di bilancio da approvare, i tempi saranno ridotti.
Ci sperano lo stesso tanti ragazzi e ragazze, pur temendo di rivedere le stesse scene di cinque anni fa. “Già questo nuovo slittamento è un segnale di come manchi la volontà politica di andare davvero avanti, temo che finirà di nuovo con un nulla di fatto“, non si illude Madhobi Tasaffa.
Ma Omar Neffati, portavoce di Italiani senza cittadinanza insiste, questa volta non intende mollare: “Ci spieghino cosa toglie agli altri ampliare un diritto. A Salvini e Meloni dico che siamo come loro, siamo anche noi l’Italia. Ma nessuno faccia più propaganda sulla nostra pelle, da una o dall’altra parte. Servono fatti”, rivendica.
“Questa storia già la conosciamo, ma discutere e approvare questo provvedimento sarebbe il minimo. Rischio di un compromesso al ribasso? C’è il pericolo se il dibattito sulla cittadinanza si fermasse qui, invece lo Ius Scholae deve essere il primo passo, per un’alba di nuovi diritti”, concorda Sonny. Certo, precisa, dopo 30 anni di attesa dal ’92, anno di approvazione della legge sulla cittadinanza, “legare questo diritto soltanto a un ciclo scolastico è obiettivamente poco. Ma migliorerà comunque la vita di tanti minori e ragazzi”.
Rinviare ancora una volta sarebbe una beffa, anche perché i numeri del prossimo Parlamento rischiano di essere ancora peggiori per sperare in una riforma. Il percorso però, resta a dir poco complicato: tra centinaia di emendamenti, in gran parte provocazioni o semplici tentativi di rallentare l’iter (come già avvenuto in commissione), e la battaglia annunciata da Lega e FdI, ottenere il via libera dei due rami del Parlamento sembra un’utopia.
“Serve un passo in più, bisogna che la legge sia retroattiva. Chi come me ha già frequentato questi cicli scolastici in passato, è per ora in un limbo, in un eterno paradosso”, rilancia Omar. Altrimenti, per tante persone anche un’eventuale approvazione della legge non garantirebbe la possibilità di ottenere la cittadinanza. Proposte di modifica al quale già in commissione hanno lavorato Pd, LeU e Iv, per sanare le situazioni pregresse, allargare la platea, prevedere anche i corsi universitari nel ciclo di studi.
“Oggi sognare ci è impedito. Volevo entrare a far parte dei Carabinieri, ma senza cittadinanza non era possibile. Mi sono sentita umiliata. Ora non vorrei che mio figlio sia costretto a rivivere lo stesso trauma e dover attendere fino a 18 anni, burocrazia permettendo, per poter diventare italiano”, racconta Madhobi Tasaffa. Racconta i suoi diritti negati, ma continua a sorridere.
Omar invece ricorda quando, emozionato, portò gli amici fino alla porta del seggio per votare, dove si era dovuto fermare: “Avevo messo tutto me stesso in quella prima campagna elettorale, ma votare non mi era permesso. Ma come fai a essere libero se non puoi partecipare?”.
Eppure, si sforza di restare ottimista: “Penso a Ugo Foscolo e alla sua ‘A Zacinto’, quando parlava della sua terra che non poteva più toccare. Ecco, per me l’Italia è come Zacinto, non posso toccarla, solo sfiorarla. Quasi come se fosse un amore non corrisposto. Ma è solo questione di tempo, sono convinto che presto saremo italiani a tutti gli effetti“.
(da Il Fatto Quotidiano)

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HA TRADITO CHI È RIMASTO NEL MOVIMENTO, NON CHI E’ ANDATO VIA” : INTERVISTA ALLO “SCISSIONISTA” VINCENZO SPADAFORA

Giugno 26th, 2022 Riccardo Fucile

“SIAMO ANDATI VIA ANCHE PER L’ECCESSO DI AUTORITARISMO E LA MANCANZA DI UN CONFRONTO INTERNO AUTENTICO. LUCIA AZZOLINA COME ME ED ALTRI, NON È STATA MESSA IN CONDIZIONE DI POTER DARE IL SUO CONTRIBUTO AD UN NUOVO CORSO MAI INIZIATO”

«Avremo modo di dimostrare che a tradire è chi è rimasto», ragiona Vincenzo Spadafora, ex sottosegretario grillino e appena nominato coordinatore politico di «Insieme per il Futuro», il gruppo parlamentare dimaiano staccatosi dall’M5S. «Ci siamo assunti la responsabilità di tenere più saldo e più fermo il governo», aggiunge.
Uno strappo impensabile sino a qualche giorno fa. Non solo per i modi ma anche per i numeri di chi ha aderito al vostro progetto politico.
«Ci sarebbe da fare un’analisi su cosa è accaduto nel Movimento nell’ultimo anno da portare 60 persone, ma sono convinto che nelle prossime ore aumenteranno, a lasciarlo. Noi stavamo vivendo una fase di maturità, da un anno a questa parte, dove senza rinnegare quello che ha rappresentato il Movimento per questo Paese, si potesse imparare dagli errori per presentarci in modo più credibile agli elettori»
Ma con chi interloquirete nelle prossime settimane? Si fanno i nomi, oltre che del sindaco Sala come ha detto lei, di Renzi, Toti o Brugnaro o dei moderati di Fi legati alla ministra Carfagna.
«Credo che si facciano troppi nomi: la nostra priorità oggi è costruire un progetto politico, trasformare un’operazione parlamentare in un progetto serio, concreto che parli il linguaggio della verità, proponendo ai cittadini non più slogan ma soluzioni complesse a problemi complessi».
Ma quest’ area Draghi, chiamiamola così, questo grande centro, non vede troppi aspiranti leader? Mi riferisco a Di Maio e a quelli che le ho citato prima. Riusciranno a interloquire superando vecchie divisioni? Calenda ha un profilo incompatibile per carattere con Renzi e Di Maio.
«Siamo andati via anche per l’eccesso di autoritarismo e la mancanza di un confronto interno autentico. Luigi Di Maio è un leader maturo a cui però non interessa costruire un partito personale ma un progetto collettivo che superi gli errori del passato».
Clemente Mastella parla di un centro che, in ipotesi, sarebbe capace di avere un peso del 20 per cento. Ma in politica non sempre si sommano i voti e le avventure al centro spesso si sono rivelate velleitarie. A proposito, lei che è campano: Mastella può essere un alleato in questa avventura?
«Oltre a non dover nascere nel Palazzo, le forze politiche non possono nascere nemmeno in laboratorio, anche perché la ricetta del centro la cercano in tanti da anni senza trovarla. Sono convinto che partendo dai sindaci, dai territori e soprattutto dai temi potremo dare vita ad una forza in grado di attrarre chi ne condivide i principi e i programmi, e la disponibilità al confronto ed al dialogo deve essere ampia».
Ma come vi regolerete in futuro con i vecchi amici dell’M5S? Conte ad esempio confermava l’alleanza del campo largo con il Pd per le prossime regionali nel Lazio, dove i consiglieri sono rimasti tutti grillini. Voi sareste in quest’ alleanza o ci sono preclusioni contro l’M5S?
«Vedremo come evolverà il quadro politico generale che, francamente, credo possa mutare ulteriormente. E poi dovremo verificare la tenuta dell’M5S da qui alle elezioni perché credo che la forza propulsiva del Movimento sia completamente finita e rischia non arrivarci neppure alle elezioni».
E in Campania? Da tempo c’è un rapporto tra Di Maio e De Luca: possiamo immaginare una vostra entrata nella maggioranza della Regione?
«Un passo alla volta, non è un tema all’ordine del giorno. Ma sicuramente dobbiamo lavorare in maniera costruttiva per dare risposte al nostro territorio».
Ora c’è un cambio di passo: De Luca è passato dagli insulti agli elogi verso il ministro degli Esteri. Eppure ci sono differenze enormi che vi dividono. L’ex sindaco di Salerno, ad esempio, nega l’esistenza della Terra dei Fuochi mentre voi siete nati con quella battaglia ambientale. Si cancella tutto?
«Non è che ora De Luca e Di Maio si sentono tutti giorni. Anche perché non c’è stato né il tempo, né l’occasione: è accaduto tutto molto velocemente. Possono aprirsi nuovi scenari, vedremo, ma a 48 ore dalla nostra nascita è prematuro parlarne. Ovviamente il cambio di passo su Luigi da parte di De Luca lo registriamo con grande piacere. Poi su alcune tematiche, le cose dette restano tali. Il futuro è tutto da vedere».
Rimarrà il nome Insieme per il futuro o è provvisorio?
«È il nome del nostro gruppo parlamentare. Il progetto politico che ne deriverà avrà senz’ altro un nuovo nome che decideremo insieme a chi farà il percorso con noi. Ma prima il progetto politico e poi il nome».
Come si sente dopo quest’ addio all’M5S? Quali sono i suoi sentimenti per l’abbandono di un partito dove ha militato per anni? E la feriscono gli attacchi, anche personali verso di voi, da parte dei vecchi compagni di squadra?
«Gli attacchi degli ex compagni erano prevedibili. Anche se poi in realtà molti di loro in privato manifestano comunque l’enorme insoddisfazione per l’incapacità di Conte di avviare un nuovo percorso e sono convinto che presto altri si uniranno al nostro progetto. Invece mi colpisce ovviamente la delusione di quanti pensano che abbiamo tradito un sogno. Avremo modo di dimostrare che a tradire è chi è rimasto».
Un paio di parlamentari ci hanno subito ripensato e sono tornati con Conte.
«Ma ci sono altri arrivi. Come Lucia Azzolina: sono molto felice della sua scelta. La stimo moltissimo come donna e come politica e so quanto lavoro ha fatto per il bene della scuola. Il paradosso è che quel lavoro gli viene riconosciuto proprio da gran parte di quel mondo ma lei, come me ed altri, non è stata messa in condizione di poter dare il suo contributo ad un nuovo corso mai iniziato».
Come vi regolerete nel vostro gruppo con il vincolo del doppio mandato che è stato un altro motivo di frizione all’interno dell’M5S alla vigilia della scissione?
«È stato creato questo gruppo da appena 48 ore e non c’è stato, ovviamente, il tempo di discutere di diverse cose. Ed è giusto così, altrimenti avrebbe ragione Conte convinto che ne parlassimo nell’ombra da diversi mesi…».
Non teme che la vostra possa apparire all’esterno come una mera operazione di ceto politico?
«Tutto è nato su un dibattito di politica estera. Ci saranno tempi e modi per tutto. Soprattutto per costruire e radicare il nostro progetto politico».
(da il Messaggero)

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