Settembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
IL RETROSCENA RACCONTATO DA LA STAMPA
Il primo ministro dell’Ungheria Viktor Orbán spera che il prossimo governo italiano lo aiuti per togliere le sanzioni alla Russia.
Lo racconta oggi un retroscena de La Stampa a firma di Marco Bresolin. Nel quale si racconta del meeting di Fidesz, il partito di cui è leader, dello scorso 10 settembre. Una prospettiva che cozza con quanto detto ieri da Giorgia Meloni a proposito del documento del Parlamento Europeo che accusa Budapest di costituire una «minaccia» ai valori fondanti dell’Unione.
La leader di Fdi ha detto infatti che il suo gruppo non ha votato il documento perché allontanare l’Ungheria dall’Europa potrebbe aiutare la Russia.
Ma a giudicare da quello che si racconta nel retroscena, Orbán sembra già di suo piuttosto vicino a Putin. Il racconto del quotidiano parte dall’incontro tenutosi a Kotcse, un piccolo comune all’ovest del paese. «In autunno dovremo ridiscutere il rinnovo delle sanzioni alla Russia e noi vogliamo bloccare la proroga. Al momento siamo abbastanza isolati, ma spero nel sostegno del governo italiano che uscirà dalle prossime elezioni», è il senso dell’affermazione del primo ministro ungherese.
Che si sarebbe lanciato anche in una serie di previsioni a medio-lungo termine. Come il crollo dell’Eurozona entro il 2030, otto anni di guerra in Ucraina e la prevalenza dei musulmani nelle grandi città francesi entro il 2040. Mentre ritiene che il suo partito rimarrà al potere nel paese almeno fino al 2060.
(da agenzie)
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Settembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
I DOCUMENTI USA SUI FINANZIAMENTI RUSSI SONO TRE: UNO DI 300 PAGINE È STATO SECRETATO E DENTRO SI PARLA DI POLITICI DI 24 PAESI DELL’OCCIDENTE, QUINDI I NOMI CI SONO MA NON E’ DATO SAPERLI (PER ORA)
Con una veloce informativa al Copasir, il governo nella persona del sottosegretario Franco Gabrielli ha archiviato la questione dei finanziamenti russi in appena un’ora e mezza.
In fondo, c’era poco da dire: nel famoso report americano che ha fatto tenere il fiato sospeso alla politica italiana per qualche giorno, non ci sono riferimenti ad alcun nostro partito o leader.
E infatti il presidente di questo speciale Comitato parlamentare che vigila sulla sicurezza della Repubblica, il senatore Adolfo Urso, FdI, si permette una battuta tranciante: «Mi pare di poter dire che il caso è chiuso, e non si sarebbe dovuto neanche aprire. Purtroppo siamo nel corso di una campagna elettorale in cui si pensa a denigrare l’avversario».
Se le presunte corruzioni non toccano il nostro Paese, resta la questione dei rapporti politici o comunque di una certa condiscendenza verso Mosca. E comunque la storia si è lasciata dietro uno spiacevole alone di sospetto che gli americani stessi hanno accreditato, facendo capire che comunque il lavoro d’intelligence non finisce qui. Se lo scopo finale dell’operazione era una sorta di «altolà» verso chi ha cedimenti verso i russi, a questo punto sono tutti avvisati.
Il sottosegretario Gabrielli, sulla base di due rapporti commissionati al Dis e all’Aise, ha spiegato ai parlamentari che il rapporto americano consta di due parti: un cablogramma, divulgabile (e infatti depositato presso il nostro ministero degli Esteri), inviato a una pletora di ambasciate affinché i più diversi governi siano sensibilizzati dai metodi russi, dove si illustra la loro consuetudine di corrompere per ampliare la sfera di influenza; e poi un allegato di circa 300 pagine, che invece rimane segreto, con la storia dei 300 milioni di euro utilizzati per corrompere 24 leader politici nei diversi continenti, negli anni dal 2014 a oggi.
L’allegato è lavoro di intelligence e pertanto resterà riservato. Il testo di accompagnamento è invece più di carattere politico, e stigmatizza i tentennamenti verso Mosca, i cedimenti alla loro retorica, la diffusione di disinformazione e fake news.
In pratica, si richiama la guerra informativa permanente che la Russia fa alle democrazie occidentali. Questo è quanto Gabrielli ha detto alle 9 del mattino. Ed è più chiaro, dunque, a che cosa si riferiva successivamente Mario Draghi nella conferenza stampa, quando ha ricordato agli italiani che «dalla Russia c’è un’opera sistematica di corruzione».
A pochi giorni dal voto, però, questo cablo in Italia ha creato un maremoto. Secondo indiscrezioni, gli stessi americani avrebbero riconosciuto che la vicenda non è stata gestita nel migliore dei modi.
(da agenzie)
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Settembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“LA RUSSIA SI TROVA ALL’ANGOLO E PROVERA’ A USARE OGNI MEZZO, ANCHE LA CORRUZIONE”
«Parole di Salvini confermano l’influenza di Mosca. Attacchi russi durante le elezioni sono approccio standard» . Panetta è convinto che in questo momento Putin sia all’angolo e non lo sorprenderebbe che «stessero usando fondi per influenzare chi sarebbe più favorevole alla Russia. In Italia e in altri paesi», dichiara a Repubblica l’ex capo della Cia, Leon Panetta.
«La Russia ha lanciato un attacco sfacciato contro gli Usa durante le nostre elezioni, e continua a farlo, per minarne l’integrità – sottolinea -. È un approccio standard per aiutare chi pensano sosterrebbe le loro posizioni. Sta accadendo in Italia e altrove».
E aggiunge: «Abbiamo sempre avuto intelligence sugli sforzi dei russi per aggirare le sanzioni e dirigere fondi verso coloro che sono vicini a Putin e nemici degli Usa – precisa -. Usa i soldi come farebbe un tiranno, per complicare l’applicazione delle sanzioni».
Parlando poi delle dichiarazioni di Salvini a Cernobbio contro le sanzioni alla Russia, Panetta sostiene: «Non sei mai sicuro di cosa ci sia dietro a quel genere di commenti. È chiaro che Mosca si trova in una posizione molto difficile, non solo militarmente in Ucraina ma anche economicamente a causa delle sanzioni, sentire da chiunque quelle cose mi dice che è stato influenzato dalla Russia».
Secondo l’ex numero 1 della Cia l’obiettivo di Putin è far sfilare l’Italia dalla coalizione: «Punta a cercare di favorire questo risultato. Ma fatico a pensare che chiunque verrà eletto non capisca come il ruolo dell’Italia nel mondo sia rafforzato dall’alleanza con Nato e Usa, e facendo altro minerebbe tanto l’economia, quanto la politica del vostro paese».
(da agenzie)
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Settembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
DOPO AVER APERTO UN PRIMO VARCO I SOLDATI UCRAINI SI SONO TROVATI PER ORE AD AVANZARE SENZA INCONTRARE RESISTENZA… I RUSSI ERA GIA’ IN FUGA, SOPRAFFATTI DAL PANICO
Com’è nato l’attacco che ha portato gli ucraini a riconquistare un’ampia fascia di territorio nel Donbass – pari a circa 6mila chilometri quadrati – strappandolo al controllo dei russi nel giro di una manciata di giorni?
A una settimana di distanza emergono dettagli inediti su quello che – a detta di tutti – è ad oggi il più rilevante successo delle forze armate di Kiev dal 24 febbraio.
Si è scritto molto sulla “trappola” escogitata dagli ucraini, che dopo aver avviato un’offensiva nella regione di Kherson, all’estremità sud-occidentale del fronte, hanno costretto i nemici a spostare in quel settore le poche riserve di cui disponevano lasciando Kharkhiv scoperta e decretandone la caduta.
Gli analisti hanno parlato di una manovra da manuale, ma secondo quanto rivelato a Fanpage.it dal professor Gastone Breccia – storico ed analista militare – il successo dell’operazione ucraina si dovrebbe a una combinazione di fattori: un’attenta preparazione dell’attacco, certo, ma anche la precipitosa e inaspettata fuga dei soldati russi.
L’apertura della breccia larga 3 chilometri e profonda 10
Citando una fonte militare autorevole e riservata, Breccia spiega a Fanpage.it: “Gli ucraini hanno organizzato un’offensiva nella zona di Kherson per far spostare lì le riserve russe. Poi hanno tentato un’avanzata nella zona di Kharkhiv conducendo dapprima dei test per verificare la tenuta del fronte russo”.
Le forze armate di Kiev hanno concentrato una serie di attacchi con Himars su obiettivi sensibili e pezzi d’artiglieria russi concentrati su un’area ampia tre chilometri e profonda dieci. Una zona molto circoscritta, dunque, che avrebbe dovuto servire a “testare” la tenuta nemica.
“Gli ucraini – spiega il professor Breccia – hanno impiegato complessivamente due battaglioni (1.800 uomini), una trentina di carri armati e una sessantina di veicoli corazzati da combattimento della fanteria. Dopo aver bombardato con gli Himars, sono avanzati senza incontrare praticamente nessuna resistenza. I russi sono stati sopraffatti dal panico. Avrebbero potuto tentare di opporsi, contando su una riserva di 4.000 uomini. Invece il fronte è collassato. Evidentemente il morale delle truppe era a terra, ed è probabilmente questo il dato più rilevante”.
La resa immediata dei soldati russi
Le forze armate ucraine all’inizio hanno operato uno sfondamento piuttosto limitato; nei loro piani iniziali non c’era la liberazione di Izium, importante città strategica, ma un semplice test della tenuta nemica. “Tuttavia dopo essere riusciti ad aprire un primo varco i soldati si sono trovati per ore ad avanzare senza incontrare resistenza. A quel punto hanno raccolto altre truppe dalle retrovie impiegando persino poliziotti, pompieri e riservisti. È stato solo in quel momento che gli alti ufficiali ucraini hanno capito di poter organizzare una manovra di respiro strategico più ampio, costringendo i russi ad abbandonare tutto il territorio della provincia di Kharkhiv”.
Secondo il professor Breccia tra i soldati russi si sarebbe creato un effetto domino dalle conseguenze disastrose. “Le prime unità sono state schiacciate dalla paura. Si trattava prevalentemente di uomini della Repubblica Popolare di Lugansk, meno addestrati e preparati dei loro alleati russi. Il comando del settore non è stato in grado di tamponare la falla tempestivamente, anche perché gli ucraini sono diventati molto abili ad operare in profondità. Hanno lanciato fanteria leggera scelta montata su suv e auto civili armate, mezzi che si sono sparsi tra i russi creando ulteriore confusione e panico. Nel giro di 48 ore i russi erano fuggiti, senza coordinamento, senza ordini e senza comandi all’altezza della situazione”.
Per Putin la sconfitta di Kharkhiv è stata una Caporetto
La sconfitta di Kharkhiv è stata già paragonata dagli storici alla rotta di Caporetto, che portò alla più grave disfatta nella storia dell’esercito italiano durante la Prima Guerra Mondiale decretando il collasso di interi corpi d’armata e il ripiegamento dell’esercito fino al fiume Piave.
Sarà così anche per le forze di Mosca? “Per i russi è stato un duro colpo – spiega Breccia – . La sconfitta li ha costretti ad abbandonare ogni futura velleità di conquista del Donbass. Però non necessariamente quello che accaduto sarà risolutivo nell’economia generale della guerra. Quello che è certo è che gli eventi di Kharkhiv hanno messo alla luce la debolezza delle forze armate russe. Disporre di soldati così demotivati è per Putin un campanello d’allarme molto serio. Non credo che politicamente il capo del Cremlino possa sostenere altre debacle simili”.
(da Fanpage)
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Settembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
REGIONE SOVRANISTA SOTTO ACCUSA: LE PREVISIONI IMPRECISE HANNO PORTATO ALLA DIRAMAZIONE DI UN LIVELLO DI ATTENZIONE SBAGLIATO… MA MOLTO SI SAREBBE POTUTO FARE NELLA PREVENZIONE
Il fiume Misa ingrossato da piogge torrenziali. Il temporale a V autorigenerante e il cambiamento climatico hanno messo in ginocchio le Marche e tolto la vita a 10 persone nella serata di giovedì 15 settembre. La Regione aveva dichiarato l’allerta meteo, ma non è stato sufficiente. Qualcosa è andato storto, perché in 6-7 ore nelle Marche è caduta tanta pioggia quanta di solito ne cade in 4-5 mesi. Un errore delle previsioni non ha permesso di diramare un’allerta meteo adeguata.
I fenomeni meteorologici estremi, infatti, sono sempre più imprevedibili a causa del riscaldamento globale. Soprattutto quest’anno, in cui la differenza di energia tra cielo e suolo è moltissima a causa dell’estate torrida. Ma c’entra anche l’incuria del letto del fiume Misa, che avrebbe potuto essere contenuto con delle vasche di laminazione.
Il livello di allerta sbagliato
Il livello di allerta giallo (medio basso) era stato diramato solo per le zone 1 e 3 del territorio marchigiano. Si tratta di quelle più interne al confine con l’Umbria e la Toscana. Al contrario, per la zona 4 – quella che va da Senigallia a Ostra dove si trovano alcuni dei comuni più colpiti – era stata prevista l’allerta verde (bassa).
Nonostante l’area fosse già stata interessata dell’esondazione del Misa che ha ucciso quattro persone nel 2014. Insomma, a Senigallia sarebbe dovuta arrivare qualche forte raffica di vento, ma poco di più.
Previsioni simili per la zona 2 in cui la maggior parte dei comuni era interessato da un’allerta verde, come nella 4.
Il bollettino regionale era poi in contrasto con quello nazionale, che avvertiva per il 15 settembre di «rovesci di forte intensità, frequente attività elettrica, grandinate e forti raffiche di vento» e «criticità idrogeologiche e idrauliche». L’allerta gialla per tutta la regione è arrivata solo ieri, fino alla mezzanotte di oggi.
Le lamentele dei sindaci
«Non avevamo contezza. Non c’era nessuna allerta meteo se non per il vento», ha dichiarato al Corriere della Sera il sindaco di Senigallia Massimo Olivetti. Un’allerta locale è stata diramata solo alle 20.45 di giovedì, spiega il primo cittadino.
Quando si è venuto a sapere delle forti piogge nell’entroterra. I sindaci, insomma, denunciano di non essere stati avvertiti. «Niente che potesse far presagire un disastro del genere in un ora», dice Maurizio Greci di Sassoferrato. «Tutto è successo in un attimo. Senza un’allerta particolare», gli fa eco Alessandro Piccini, sindaco di Cantiano, il piccolo comune il cui centro storico è stato spazzato dall’alluvione. «Era prevista solo pioggia. Ma in mezz’ora è successa una cosa inimmaginabile».
Il tradimento delle previsioni
A mettersi in mezzo è stato un errore dell’algoritmo che prevedeva problemi in Toscana, sulla costa e nella tarda mattinata di giovedì 15, spiega al Corriere Bernardo Gozzini, direttore del centro Lamma-Cnr. «Possiamo vedere oggi su domani che ci sono degli ingredienti che potrebbero portare a un temporale molto forte», spiega l’esperto «ma ho difficoltà a sapere dove e quando».
Dalla costa tirrenica si è passati all’Appennino e a quella adriatica. «Per ora questo è il limite delle previsioni» conclude Gozzini. E che a monte del Misa ci si aspettasse precipitazioni più moderate lo conferma anche uno dei due meteorologi che ha diffuso il bollettino del centro funzionale di Ancona, Marco Lazzeri, a la Repubblica: «Abbiamo incrociato due modelli quello con risoluzione a 10 km del Centro meteo europeo, e quello più stretto a 2 km del Cosmolani: il risultato era che per il 15 avremmo avuto acquazzoni a monte del fiume Misa e che in serata sarebbero diventati moderati».
Il Misa abbandonato a sé stesso e al cambiamento climatico
Lungo il corso dei Misa, mancano poi lavori in progetto da anni, ma la cui realizzazione definitiva è lontana. Sono previste, ad esempio, due vasche di laminazione per accumulare le acque meteoriche nell’entroterra di Senigallia. Il progetto, spiega la Repubblica, era stato approvato e finanziato dall’amministrazione del Pd già nel 2020. Ma la giunta Acquaroli (FdI) ha aperto il cantiere a febbraio, in seguito a pressioni dei sindaci. Dall’esame delle finanze della regione di apprende anche che i 3,5 milioni di euro che erano stati messi da parte tra il 2016 e il 2019 dall’amministrazione Ceriscioli per intervenire contro il dissesto idrogeologico non sono stati spesi.
«Un disastro annunciato»
E nel 2020 e nel 2021 ne sono stati stanziati zero. «Questo è un disastro annunciato», sostiene il presidente dei geologi marchigiani Piero Farollini. Che in un’intervista a Qn il ritardo nella costruzione delle vasche. «Non è accettabile. Bisogna mettersi in testa che il cambiamento climatico ormai è un dato di fatto e che certi fenomeni non possono più essere considerati eccezionali, ma la normalità. Succedono e continueranno ad accadere», commenta l’esperto.
«Le Marche, come l’Italia, devono aumentare il proprio livello di resilienza. Tenere puliti i letti dei fiumi, non costruire nelle zone alluvionali, alzare gli argini »- evidenzia Farollini. «Non si può ragionare per medie annuali, ma casomai per picchi stagionali. Se il clima è cambiato e su questo non si discute, anche il nostro approccio deve cambiare», conclude.
(da agenzie)
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Settembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
LULA HAI IL 45% DELLE INTENZIONI DI VOTO CONTRO IL 33% DELL’ATTUALE CAPO DI STATO
A meno di tre settimane dalle elezioni in Brasile, l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, al governo dal 2003 al 2010 e nuovamente candidato, ha il 45% delle intenzioni di voto contro il 33% dell’attuale capo dello Stato, Jair Bolsonaro, in corsa per un secondo mandato: è quanto rivela un sondaggio dell’Istituto Datafolha divulgato la notte scorsa da tv Globo.
Lula, del Partito dei lavoratori (Pt, di sinistra), mantiene lo stesso punteggio, mentre Bolsonaro, del Partito liberale (Pl, di destra), perde un punto rispetto al precedente rilevamento, pubblicato il 9 settembre.
Al terzo posto, con l’8% delle preferenze, si mantiene Ciro Gomes, del Partito democratico laburista (Pdt, di centrosinistra), seguito da Simone Tebet, del Movimento democratico brasiliano (Mdb, conservatore), che ha ottenuto il 5%.
Nell’elettorato femminile, Lula ha ottenuto il 46% delle intenzioni di voto contro il 29% di Bolsonaro, mentre tra gli uomini Bolsonaro guida con il 44% contro il 37% di Lula.
Tra gli elettori appartenenti alle varie chiese evangeliche, Bolsonaro ha il 49% delle preferenze, mentre Lula ha raggiunto per la prima volta il 32%.
(da agenzie)
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Settembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“DEVO RIPETERE LO STESSO MOVIMENTO CENTINAIA DI VOLTE, FINO A MEMORIZZARLO. LE 8 ORE D’ALLENAMENTO NON BASTANO”… “L’ATTREZZO PIÙ DIFFICILE DA MANEGGIARE? IL NASTRO: È LUNGHISSIMO E NON SAI MAI BENE DOVE PRENDERLO”
Tre medaglie d’oro: palla, nastro, cerchio. E una di bronzo alle clavette, «colpa» di due prese mancate durante un esercizio di grande difficoltà. A 18 anni Sofia Raffaeli da Chiaravalle, Ancona, ha già scritto la storia della ginnastica ritmica italiana.
Giovedì in Bulgaria, la poliziotta marchigiana è stata la prima azzurra a vincere un titolo mondiale individuale. Anzi, se n’è presi tre grazie a esercizi stupefacenti. Oggi Sofia tenterà l’assalto all’ultima medaglia, quella del concorso generale che offre il pass diretto ai Giochi di Parigi 2024.
Sofia, davvero si è costruita una palestra in casa per allenarsi anche dopo le otto ore quotidiane alla Ginnastica Fabriano?
«È successo durante il Covid: i miei genitori hanno fatto spazio in salotto e abbiamo montato una pedana uguale a quelle da competizione».
Immaginiamo per fare stretching o al massimo qualche volteggio.
«No, ci lancio anche nastri, palle e clave. Cerco di stare attenta ma il soffitto è basso e ogni tanto sbaglio. Ho rotto un lampadario e svariati soprammobili».
Compagne e allenatrice la chiamano «Formica Atomica» perché è instancabile.
«Quella che in tv sembra una fluidità totale è frutto di un lavoro enorme. La sequenza viene costruita pezzo per pezzo e se considerate che ogni movimento va moltiplicato per i quattro attrezzi a volte le otto ore non bastano».
Ulieta Cantaluppi, la sua allenatrice, dice che è una passione feroce a renderla così resistente.
«È vero. Posso sembrare una perfezionista, una maniaca dell’allenamento. In realtà amo alla follia quello che faccio e ci metto tutta me stessa perché la ritmica ti punisce se non lavori tanto».
La parte più faticosa dell’allenamento?
«Ripetere lo stesso movimento centinaia di volte, fino a memorizzarlo. E poi incastrarlo con quello prima e quello dopo».
La palla che lei lancia altissima ed esce dal campo visivo della telecamera sembra non atterrare mai. Però poi ricade sempre sui suoi piedi o sulle sue mani.
«Sulla palla e in generale sugli attrezzi in volo mantieni un controllo visivo che devi mascherare per non rovinare l’estetica dell’esercizio. La cosa più difficile, che mi è successa giovedì con la bacchetta del nastro, è dover recuperare l’attrezzo a un centimetro dal suolo, prima che tocchi terra e scatti la penalità. Devi essere rapida e imperturbabile».
Cerchio, clavi, nastro, palla. Vero che viaggiate sempre assieme?
«Verissimo. Sono oggetti costruiti su misura, sulle misure delle mie mani. In aereo le palle andrebbero sgonfiate e il cerchio smontato. Ma si potrebbero danneggiare. Così prima di ogni volo chiamiamo la compagnia aerea e spieghiamo la situazione. Il cerchio lo affido alle hostess: non entra nella bagagliera».
L’attrezzo più difficile da maneggiare?
«Il nastro: è lunghissimo e non sai mai bene dove prenderlo».
Quanto conta il pubblico?
«Tantissimo prima per caricarti e dopo per premiarti o consolarti. Durante l’esercizio è come se isolassi solo il canale audio della musica, sono in trance».
Si sente diversa dai suoi coetanei?
«Sono consapevole di esserlo. Esco pochissimo e quasi solo con le mie compagne per una pizza o un gelato e senza mai fare tardi. Per allenarmi ho scelto di frequentare un liceo paritario (Scienze umane, ndr) in orari serali e mi sono appena iscritta a un corso di laurea online in psicologia. Ma la diversità non mi pesa: sto seguendo un mio percorso e ne sono orgogliosa».
Il suo tempo libero?
«Serie tv, qualche libro, chiacchiere con i miei. Niente social, tanto sonno per recuperare la fatica degli allenamenti».
Ha avuto notizie dell’alluvione nelle sue Marche?
«Sì e mi hanno profondamente colpito. Sono legatissima alla mia terra e la porto sempre nel cuore».
(da il Corriere della Sera)
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Settembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“I CONTROLLI AVREBBERO EVITATO LA TRAGEDIA, INESISTENTI DA MESI”
La fune traente della funivia del Mottarone si è spezzata “a causa del degrado della fune stessa verificatosi in corrispondenza dell’innesto della fune nella testa fusa, punto più delicato della fune”. Lo scrivono i periti tecnici nel documento depositato ieri alla cancelleria del gip di Verbania.
I “forchettoni” che disattivavano i freni, inoltre, erano disinseriti da almeno due settimane.
“La causa della precipitazione della cabina n. 3 della funivia – aggiungono i periti – è stata l’inserimento di esclusori di funzionamento (i forchettoni appunto, ndr)al sistema frenante di emergenza previsto da norma e presente nella cabina n. 3. Tali esclusori hanno impedito, in occasione della rottura della fune traente, che il sistema frenante di emergenza si attivasse andando bloccare in sicurezza la cabina sulla fune portante”.
“L’analisi frattografica – prosegue la perizia – ha infatti mostrato che, in corrispondenza del punto di rottura della traente, il 68% circa dei fili presenta superfici di frattura che testimoniano una rottura a fatica e fatica/corrosione dei fili ragionevolmente antecedente la precipitazione del 23 maggio 2021”.
Sulle condizioni della fune traente non sono stati effettuati, almeno negli ultimi mesi prima della strage, i controlli previsti dalla legge. Lo scrivono i periti incaricati dal Tribunale di Verbania nell’ambito dell’incidente probatorio sulla tragedia delle funivia del Mottarone.
“Al fine di ridurre al minimo i rischi di precipitazione della cabina – scrive il collegio presieduto dal professor De Luca dell’universita’ di Napoli – la prescrizione di normativa, oltre a prevedere la gia’ citata presenza e disponibilita’ del freno di emergenza agente sulla fune portante, richiede anche che vengano condotti specifici e programmati controlli alla fune traente in corrispondenza dell’attacco della medesima con la testa fusa finalizzati alla sostituzione della testa fusa all’apparire dei primi segnali di degrado. Questo proprio perche’ e’ noto (cfr Circolare 130/1987) che in corrispondenza di tale innesto con piu’ probabilita’ possano avvenire rotture a fatica e fatica/corrosione di questo tipo”.
“Dalle analisi mostrate nella presente perizia – prosegue – con ragionevole certezza ingegneristica, si dimostra che (…) negli ultimi mesi i controlli, peraltro non ritrovati in alcun registro, non sono stati effettuati; una corretta attuazione dei controlli stessi avrebbe consentito di rilevare i segnali del degrado, ovvero la presenza di anche un solo filo rotto o segni di corrosione, e quindi di sostituire la testa fusa, cosi’ come previsto da norme”.
(da agenzie)
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